Le parole di Francesco nel discorso pubblico

E’ per me davvero un piacere e un onore essere chiamato a riflettere con tutti voi sulle parole di Papa Francesco nel discorso pubblico, in occasione della pubblicazione del libro “La verità è un incontro. Omelie da Santa Marta”. Questo libro è un corpus di meditazioni, riflessioni, consigli, risposte ma soprattutto di domande che il Papa rivolge alla coscienza di ciascuno di noi, toccando tutti i temi della vita di un cristiano e di un cittadino. Dalla lettura delle omelie, delle interviste, in generale dei suoi scritti e interventi si possono trarre talune considerazioni.

La prima considerazione è stilistica: il Papa ama le frasi coordinate, incisive, essenziali. Ricorre raramente nelle occasioni pubbliche alle subordinate, alla complessità e all’oscurità del linguaggio, perché sente l’urgenza di comunicare, di essere capito, di scuotere il suo uditorio. La semplicità del linguaggio non è mai però semplicità di ragionamento: arriva sempre al cuore delle questioni, in profondità, ma porta ciò che è profondo in superficie e lo porge a chiunque abbia la voglia di ascoltare le sue parole.

La seconda considerazione riguarda il ricorso ai simboli, alle immagini. Il Papa parla a un orizzonte ampio, mondiale, e sa che è fondamentale riuscire ad arrivare a tutti. L’immaginario del nostro tempo è un immaginario visivo, per questo Papa Francesco recupera la modalità del linguaggio di Gesù, le parabole, e crea con parole semplici delle immagini di una incredibile potenza simbolica. Per fare qualche esempio: la Chiesa vista come “un ospedale da campo dopo una battaglia”, “le periferie esistenziali” – cui il Papa fa riferimento nell’omelia del 16 maggio 2013, quando contrappone il fervore di San Paolo ai “cristiani da salotto”, altra immagine fortissima. Oppure quando ai nuovi cardinali ha detto ricordatevi che “i Cardinali non entrano a corte” – invitandoli a “rifiutare intrighi, chiacchiere, cordate, favoritismi e preferenze” – mentre ai sacerdoti della sua diocesi, nella messa del giovedì Santo, ha chiesto di essere “pastori con l’odore delle pecore, pastori in mezzo al proprio gregge”. Potrei continuare a lungo, ma chiudo questo breve elenco con due immagini che ritengo particolarmente graffianti: durante l’Angelus di qualche mese fa ha invitato i ricchi a mettere parte delle loro ricchezze al servizio degli altri, condividendole in un gesto di solidarietà in cui far intravede la Provvidenza di Dio, perché “noi portiamo in cielo soltanto quello che abbiamo condiviso”,  ricordando loro che “il sudario non ha tasche”. L’altra è forse una delle più famose: da Lampedusa ha tuonato contro “la cultura del benessere, […] che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza”.

La terza considerazione riguarda la scelta dei temi. Chiaramente nelle omelie il Papa parla della fede, di Dio, del Vangelo. Ma lui, sin da subito, ha puntato in modo chiaro e netto su alcuni temi di grande attualità: bellezza, bontà e verità, giustizia, mafia. A proposito, che emozione l’incontro con i parenti delle vittime di mafia insieme a don Ciotti. Ero presente in quel momento toccante, e quando ho sentito il Papa rivolgersi ai mafiosi e dire “Il potere, il denaro che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi è denaro insanguinato, è potere insanguinato e non potrete portarlo all’altra vita” ho avvertito un anatema di una forza e di una potenza paragonabile al “convertitevi” gridato ai mafiosi da Papa Giovanni Paolo II. Inoltre temi quali la tenerezza, la misericordia, l’attenzione all’umanità dolente e povera, il giogo della competitività che porta alla cultura dello scarto, del vuoto a perdere, la tensione per un ordine politico alto, generale e più umano, l’attenzione al tema della pace e del dialogo, con una insistenza e una incidenza del tutto particolari.

Quarta e ultima considerazione: la corporeità di Papa Francesco. In passato i messaggi erano soprattutto testuali, ufficiali, arrivavano attraverso lettere ed encicliche. Anche oggi questi strumenti sono presenti, ma una grandissima parte della comunicazione di Papa Francesco è corporea: è un Papa che tocca la gente, che si lascia toccare, che accarezza, che si protende verso l’interlocutore e lo abbraccia. Tutti gesti di grande apertura e di grande accoglienza. Anche di grande rischio, a dirla tutta (e posso immaginare che la Gendarmeria si trovi spesso spiazzata). Davanti alle grandi masse sembra riuscire a rivolgersi alle singole persone, proponendo anche appuntamenti telefonici; negli incontri più informali interroga bonariamente il suo interlocutore, lo stimola ad avere con lui un dialogo. D’altronde lui stesso di se dice che ha sempre avuto “bisogno di una comunità” e di “vivere la sua vita insieme agli altri”. Questo bisogno è testimoniato dal fatto che, ad esempio, le udienze, la catechesi, durino una ventina di minuti, ma poi lui resta con il suo popolo per un’ora. Allo stesso modo a Santa Marta, dopo le omelie, non manca mai di salutare personalmente i fedeli. Quanto diversa la comunicazione di Papa Francesco il 27 marzo scorso, durante la messa con i parlamentari italiani, cui ho partecipato!

“I peccatori pentiti saranno perdonati. I corrotti no: una volta scelta questa opzione non torneranno indietro e diventeranno irredimibili, simili a sepolcri imbiancati, una putredine verniciata: questa è la vita del corrotto.”

Un’omelia forte, tagliente, nella quale ha bollato l’ipocrisia, il fariseismo, la corruzione, la distanza tra il popolo e le classi dirigenti, chiuse entro anguste logiche di fazione, di ideologie, di interessi. Del resto non può parlare di misericordia. Non ha davanti i poveri, gli ultimi, non può mostrarsi dolce, accarezzare e abbracciare. Stupisce che qualcuno si sia stupito. Cosa si aspettava: carezze e ha ricevuto sberle? Le parole che Papa Francesco ha utilizzato quella mattina per commentare il passo di Geremia previsto dalla liturgia io le conoscevo, perché erano il cuore del libro “Guarire dalla corruzione”- che raccoglie le riflessioni dell’allora cardinale Bergoglio a Buenos Aires – di cui ho avuto l’onore e il privilegio di scrivere la post fazione. Il testo di Bergoglio è un’analisi accurata e soprattutto spietata del fenomeno della corruzione: una condanna senza appello e quasi senza redenzione. La descrive non solo come una somma “quantitativa” di peccati ma come una mala pianta che minaccia le fondamenta su cui sono costruiti gli Stati democratici e la Chiesa stessa. E su questo tema Papa Francesco è tornato davvero molto spesso in questi mesi, dicendo ad esempio che i corrotti danno da mangiare ai loro figli “pane sporco”, e anche la settimana scorsa lo ha fatto, chiedendo attenzione perché “è facile entrare nelle cricche della corruzione”, e mai come in questi giorni queste parole andrebbero scolpite nella pietra. Anche stamattina ne ha parlato, con una sintesi economicamente e politicamente, oltre che spiritualmente, impeccabile, Papa Francesco si chiede: “Chi paga la corruzione? La paga il povero. Pagano gli ospedali senza medicine, gli ammalati che non hanno cura, i bambini senza educazione”. Quanto diversa la parola di Francesco da quella della politica!

Il linguaggio dei politici, con qualche eccezione, è, in genere, ancora un linguaggio chiuso, pieno di enfasi retorica, ma che allo stesso tempo gioca ancora in difesa, anzi in autodifesa. Un linguaggio autoreferenziale che allontana invece di avvicinare, che chiude invece di aprire. Spesso è malato di astrazione teorica, e non arriva quasi mai alla concretezza simbolica e tematica come invece fa Papa Francesco. Mentre le persone ascoltano e capiscono immediatamente il cuore del ragionamento del Papa, perché è posto loro sinteticamente e con quelle immagini che abbiamo prima richiamato, che brillano per chiarezza e potenza, la politica adotta slogan certamente semplici ma vuoti, che non artigliano l’attenzione e non schiudono alcuna consapevolezza. Anche nella selezione dei temi si verifica una sorta di paradosso: il Papa parla dei temi che toccano la vita quotidiana delle persone, temi di cui la gente ha bisogno di sentir parlare. Anche il politico sa quali siano questi temi, ma spesso parla d’altro, di alchimie parlamentari e di governo che nulla hanno a che fare con i problemi quotidiani dei cittadini, con le loro difficoltà e soprattutto con le loro speranze. Quando poi il discorso si centra su questi temi, nella migliore delle ipotesi offrono ottime analisi, con statistiche e dati, ma senza affrontarli con la drammaticità di chi vive l’esperienza, senza mettersi dal punto di vista di chi ascolta: in poche parole, anzi per usare le parole di Francesco, si dimostra di non conoscere l’odore e la scomodità della frontiera, ma solo l’asetticità del laboratorio.

Ricordo la grande emozione di quel 13 marzo 2013 – ero da poco stato eletto senatore, ma ancora la legislatura non era iniziata – quando dal balcone Bergoglio si presentò al mondo per la prima volta come Francesco, e disse che i suoi fratelli cardinali erano andati a prendere il Vescovo di Roma “quasi alla fine del mondo”, per poi aggiungere “E adesso incominciamo questo cammino” e salutare tutti, dopo le preghiere, con un caloroso “ci vediamo presto, buona notte e buon riposo”. Già da quelle pochissime parole si era potuto intravedere in nuce quello stile che nei giorni e nei mesi successivi è stato evidente al mondo. Solo tre giorni dopo sono stato eletto presidente del Senato, e nel mio discorso di insediamento cercai di mettere subito quella mia percezione di cambiamento della Chiesa in relazione a quello della politica con queste parole:

“Penso a questa politica, alla quale mi sono appena avvicinato, che ha bisogno di essere cambiata e ripensata dal profondo nei suoi costi, nelle sue regole, nei suoi riti, nelle sue consuetudini, nella sua immagine, rispondendo ai segnali che i cittadini ci hanno mandato, ci mandano e ci continuano a mandare in ogni occasione. […] Quanto radicale e urgente sia il tempo del cambiamento lo dimostra la scelta del nuovo Pontefice, Papa Francesco, i cui primi atti hanno evidenziato un’attenzione prioritaria verso i bisogni reali delle persone.”

La velocità impressa da Papa Francesco al cambiamento nella Chiesa è ineguagliabile. In pochi mesi ha rotto le tradizioni, infranto ogni barriera, innovato il linguaggio, superato le burocrazie aprendosi allo stesso tempo alla collegialità –  arrivando al paradosso che mentre il Papa cerca il confronto i politici si sentono depositari della verità. Il Papa inoltre ha rimesso al centro del discorso l’uomo, con le sue debolezze e i suoi punti di forza, nel rapporto con Dio. Il suo messaggio è chiaro e forte: non lasciamo che i principi e i valori religiosi restino sono nella preghiera e nella contemplazione, facciamone uno stile di vita quotidiano basato sull’accoglienza, sulla fiducia, sulla speranza, sulla solidarietà.

Papa Francesco sente l’urgenza del cambiamento: “I tempi stringono, non abbiamo diritto a continuare ad accarezzarci l’anima, a restare chiusi nelle nostre cosucce. Non abbiamo diritto a restare tranquilli”. Invita addirittura i più giovani a ribellarsi contro questo orizzonte: “Un giovane che non protesta non mi piace. Perché il giovane ha l’illusione dell’utopia, e l’utopia non è sempre negativa. L’utopia è respirare e guardare avanti”. Devo confessarvi di aver sentito una intima risonanza tra queste parole e quelle, proprio sull’utopia, che rivolgo spesso alle ragazze e ai ragazzi quando mi capita di incontrarli, e di cui ho scritto nel mio libro “Liberi tutti. Lettera a un ragazzo che non vuole morire di mafia”. Come dice Padre Spadaro, Papa Francesco non è solo un uomo dolce e tenero, per quanto queste siano senza dubbio due caratteristiche che lo contraddistinguano. E’ un uomo che indica anche un ring dove si combatte, detta le regole del gioco – il discernimento – e non teme di combattere egli stesso per realizzare l’utopia del cambiamento.

In conclusione: nell’innovazione del linguaggio impressa da Papa Francesco troviamo quindi molte componenti: la sua origine sudamericana, la sua formazione gesuitica, un carattere aperto, il bisogno di avere il contatto con la comunità, l’accurata scelta di temi di urgente attualità, la capacità di farsi comprendere da tutti attraverso immagini semplici ma di grande potenza simbolica, il tutto unito a una istintiva capacità di utilizzare le forme e gli strumenti della comunicazione per arrivare al cuore della gente. Tutto questo però non è fine a se stesso, ma è al servizio di un alto e profondo disegno riformatore della Chiesa: un cambiamento radicale, politico e spirituale, di cui la comunicazione è un fondamentale e indispensabile sostegno.

 

El Sistema. Visita del Maestro Abreu

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Il  Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi a Palazzo Madama il  Maestro  venezuelano  José Antonio Abreu, fondatore di “El Sistema“, il modello educativo venezuelano che, dal 1975, offre a bambini e giovani la possibilità di accedere gratuitamente a una formazione musicale. Una realtà che  conta ormai più di  quattrocentomila giovani e giovanissimi musicisti, sottratti alla povertà e alla criminalità locale. Si  tratta  dello  stesso progetto che in Italia, nel 2010, ha dato vita al “Sistema  delle Orchestre e dei  Cori  Giovanili  e  Infantili  Onlus”, protagonista, con il Maestro Nicola Piovani, del Concerto di Natale nell’Aula del Senato del 15 dicembre 2013.

Oggi  a  Palazzo  Madama  era presente anche Roberto Grossi, Presidente del Sistema dei Cori Giovanili e Infantili in Italia Onlus. “Tenevo  particolarmente  a  conoscere  personalmente il Maestro Abreu – ha sottolineato  il Presidente Grasso –  un grande uomo che ha fatto dell’arte uno  strumento  di recupero sociale per i bambini che vivono nelle favelas del Venezuela e nelle nostre periferie disagiate, un impegno che condivideva con il Maestro e senatore a vita Claudio Abbado. Sottrarre  i  ragazzi  al degrado  e  alla criminalità con la musica è una grande  idea.  Battersi per  la  legalità  – ha concluso il Presidente del Senato  –  è  una missione  nobile  che  deve essere sempre sostenuta come assoluto dovere civico e  morale”.

Il  Presidente Grasso ha poi consegnato simbolicamente al Maestro Abreu un violino acquistato con  i fondi raccolti al Concerto di Natale. Gli altri strumenti acquistati con  l’incasso  dei  biglietti saranno  consegnati  ai giovani del Sistema dei Cori Giovanili ed Infantili in Italia Onlus.

Al  termine  dell’incontro  è  stata  poi  conferita  al Maestro Abreu, dal Sindaco  Anna  Bulgaresi,  la  cittadinanza onoraria del Comune di Marciana (Isola d’Elba). José Antonio Abreu è infatti di origini italiane. Il nonno materno  Antonio Anselmi Berti, direttore della banda musicale di Marciana, emigrò in Venezuela alla fine dell’800. Il Maestro Abreu ha ringraziato il Presidente del Senato e il Sindaco di Marciana.

“Il Presidente Grasso ed io abbiamo molte affinità – ha detto – tutti e due ci rivolgiamo ai giovani  per la difesa e la tutela della legalità.  L’obiettivo di ‘El Sistema’ è quello di crescere ulteriormente e di arrivare ad offrire la formazione musicale ad un milione di bambini”.

 

Stop ai vitalizi per i senatori condannati

Lo avevo detto in Sicilia sabato scorso: stop ai vitalizi per i senatori condannati per i reati che secondo la Legge Severino comportano l’incandidabilità e la decadenza (ad esempio corruzione, mafia, reati contro la pubblica amministrazione). Già mercoledì scorso, durante il primo Ufficio di Presidenza del Senato, ho dato seguito a quell’annuncio chiedendo ufficialmente ai Questori di istituire le necessarie pratiche per ottenere questo risultato.

Nella prossima riunione approfondiremo tutti gli aspetti della proposta: spero di potervi presto comunicare l’approvazione di questo provvedimento che ritengo essere ineludibile. Dobbiamo, nel minor tempo possibile, passare dalle parole ai fatti.

 

Palazzo Madama. Nuovi risparmi per 7 milioni di euro all’anno

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Il  contributo  di solidarietà previsto dalla Legge di Stabilità 2014 verrà applicato  ai  trattamenti previdenziali degli ex senatori e dei dipendenti in pensione di Palazzo Madama. Lo ha deciso oggi il Consiglio di Presidenza del  Senato.  Le  somme  trattenute,  per  un totale di 5,2 milioni di euro all’anno, saranno versate al bilancio dello Stato. Il  Consiglio  di  Presidenza  ha  poi  autorizzato  due gare d’appalto per conseguire  ulteriori,  significativi  risparmi.  La prima gara riguarda il nuovo   Centro  elaborazione  dati  (Ced),  la  manutenzione  di  tutte  le apparecchiature  informatiche  e  la convergenza dei sistemi informatici di Senato  e  Camera.  La  nuova architettura informatica delineata dalla gara d’appalto  comporterà  minori  spese  per  circa 880 mila euro all’anno. La seconda  gara  riguarda  i  servizi  di  mensa  self-service  che  verranno unificati  per  senatori  e  dipendenti,  con un risparmio nell’ordine di 1 milione di euro all’anno. Il  Consiglio  di  Presidenza ha anche affrontato la questione dell’accesso agli  atti  della  Commissione  d’inchiesta  sul  “dossier  Mitrokhin” (XIV Legislatura).

Nell’Archivio   della   Commissione   sono  conservati  388 documenti, 156 dei quali già di libero accesso e disponibili in banche dati online.  Per  i 232 documenti “classificati”, cioè tuttora non accessibili, si   seguiranno   le   procedure   di  declassificazione  disciplinate  dal Regolamento  dell’Archivio  Storico.  Nella  quasi  totalità,  i  documenti classificati  provengono  da  istituzioni,  organismi  o  enti che li hanno trasmessi alla Commissione con vincoli che ne impediscono la pubblicazione. Il  Presidente del Senato è stato delegato a richiedere agli enti che hanno generato gli atti il consenso alla divulgazione.

Infine,  il  Presidente del Senato Pietro Grasso ha comunicato al Consiglio di  Presidenza  di  avere  nominato  i  componenti del Gruppo di lavoro sul “diritto  all’oblio”:  la  Vice  Presidente  Linda  Lanzillotta (SCpI), con funzioni  di  Presidente,  i Questori Antonio De Poli (Per l’Italia), Laura Bottici  (M5S)  e Lucio Malan (FI-PdL) e i Senatori Segretari Rosa Maria Di Giorgi (PD), Raffaele Volpi (LN-Aut), Lucio Barani (GAL), Alessia Petraglia (Misto-Sinistra  Ecologia  e  Libertà), Antonio Gentile (NCD) e Hans Berger (Aut).  Il  Gruppo  di  lavoro  dovrà  esaminare  le istanze presentate dai cittadini  che chiedono di rendere non rintracciabili dai motori di ricerca (ad esempio Google) gli atti parlamentari che contengono dati personali. Il Gruppo di lavoro presenterà le proprie proposte al Consiglio di Presidenza, competente per la decisione definitiva.

Garante privacy, presentazione relazione 2014

Autorità, Signore e Signori,

con piacere, il Senato torna ad ospitare la presentazione della Relazione annuale del Garante per la protezione dei dati personali, occasione che ci offre l’opportunità di una riflessione sulla situazione attuale del sistema della tutela del diritto alla riservatezza e sui suoi possibili sviluppi. Questo diritto, fondamentale per il cittadino e la persona, in un mondo permeato dalla tecnologia risulta in costante mutamento e necessita di un alto grado di riflessione, aggiornamento, protezione e di una sempre più attenta opera di vigilanza.

Se è vero che la riservatezza e i dati personali sono l’aspetto e il valore più intimo e privato di una persona, è anche vero che sempre più l’individuo, spesso inconsapevole dei rischi e delle autorizzazioni che firma senza leggere, fa veicolare volontariamente aspetti e momenti delicati della sua vita. L’inarrestabile progresso tecnologico ha portato nella nostra vita molte comodità e un’enorme facilità di comunicazione,  ma come ogni processo va governato e non subito, soprattutto quando come in questo caso va a toccare aspetti così delicati della nostra vita sia personale che come comunità. Sotto il primo aspetto, non v’è dubbio, che l’utilizzo di internet e dei cosiddetti social network sia entrato profondamente nella vita di molti italiani, di milioni di giovani e soprattutto di tantissimi minori. La necessità di una loro tutela non è sfuggita al Garante, il quale opportunamente, oltre alla costante attività di vigilanza, ha sottolineato l’importanza di un’opera di adeguata preparazione ed educazione dei ragazzi, anche con il coinvolgimento delle scuole, e delle famiglie – che spesso hanno meno strumenti dei loro figli nel valutare pregi e rischi dell’uso della rete -affinché vengano messi in guardia dei pericoli che si nascondono nella distribuzione di informazioni, foto e video personali. Una corretta educazione su questi punti è l’unica strada per evitare un dibattito ormai stantio e spesso mal posto.

Dal punto di vista collettivo invece, a complicare il quadro bisogna ricordare che esistono anche altri diritti, non meno fondamentali e garantiti dalla nostra Carta Costituzionale, che con il diritto alla riservatezza devono essere contemperati e correttamente bilanciati. Possiamo ad esempio citare il delicato rapporto tra la privacy e la tutela della sicurezza pubblica, soprattutto riguardo la videosorveglianza; il tema spinoso del trattamento dei dati personali per finalità di intelligence, salito agli onori delle cronache mondiali a seguito del cosiddetto datagate americano; il trattamento dei dati sanitari, specialmente in caso di malattie di rilevanza sociale, che non deve ledere mai la dignità del malato.

Vi sono poi aspetti che riguardano la cooperazione internazionale e il limite oltre il quale l’individuazione del soggetto vale più del diritto alla riservatezza: questa considerazione si basa sulla mia esperienza passata. Da Procuratore nazionale antimafia ho più volte provato la frustrazione di veder bloccate indagini importanti e ribadito quanto sia necessario procedere con accordi internazionali per facilitare, in caso di reati acclarati, l’individuazione dei colpevoli. Deve valere per internet quanto vale, ad esempio, per il mondo finanziario: come siamo chiamati a contrastare i “paradisi fiscali” e il segreto bancario in caso di reati economici dobbiamo contrastare i “paradisi virtuali” dove risiedono server che non consentono la rintracciabilità, o la rendono estremamente difficile, di chi ha commesso crimini perseguibili dal nostro ordinamento. Infine, quanto al bilanciamento tra libertà di informazione e diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali, ho accolto con favore l’iniziativa del Garante volta a promuovere un aggiornamento del codice di deontologia adottato nel 1998, relativo al trattamento di dati personali in ambito giornalistico, che tenga conto dell’evoluzione tecnologica e dell’evoluzione giurisprudenziale di alcuni istituti, come il “diritto all’oblio”. Gli operatori dell’informazione svolgono un ruolo fondamentale di vigilanza sulla vita democratica del Paese. Tuttavia tale compito deve essere svolto in modo responsabile per non ledere il diritto alla riservatezza, la dignità e l’autonomia dei soggetti che ne sono coinvolti. Siamo chiamati a interrogarci, ciascuno per il proprio ruolo nella società, su cosa sia giusto o meno dire: fino a che punto è possibile narrare o divulgare fatti concernenti un determinato individuo, chiunque esso sia? C’è un confine tra diritto di cronaca e vita privata? Queste sono domande che non devono smettere di interrogare il codice deontologico di chi, per caso o per lavoro, sia chiamato a gestire informazioni sensibili.

Io stesso ho dovuto pormi questi interrogativi di fronte a una gran mole di richieste di privati cittadini i cui dati personali sono citati in atti parlamentari disponibili nel nostro archivio online. In questo caso a confrontarsi sono le prerogative parlamentari, il principio costituzionale di pubblicità dei lavori parlamentari e la tutela dei dati personali. Al fine di affrontare e decidere su ciascuna singola richiesta il Consiglio di presidenza ha deliberato la creazione di un apposito Gruppo di lavoro che possa fornire risposte puntuali caso per caso. Queste sono solo alcune delle complesse sfide cui è chiamata a dare risposte l’Autorità, e per questo complesso lavoro intendo rivolgere un sentito ringraziamento al Garante Antonello Soro.

Convenzione di Palermo e lotta alle mafie internazionali: il ruolo dell’Italia

Discorso di apertura al convegno del 10 giugno presso il CSM

Autorità, colleghi, cari amici,

Con molto piacere ho accolto l’invito del Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura Michele Vietti e della Presidente Maria Falcone ad aprire questo incontro, un’occasione importante per riflettere sullo stato a livello globale della lotta alla criminalità organizzata transnazionale e il ruolo della Convenzione sottoscritta a Palermo nel 2000.

Alla Convenzione sono legato personalmente per diverse ragioni. Da Procuratore della Repubblica a Palermo partecipai ai lavori preparatori e da Procuratore Nazionale Antimafia ho avuto poi modo di parlare della Convenzione in paesi di ogni continente, come anche alle Nazioni Unite, a New York e a Vienna, rappresentando la validità dell’esperienza italiana contro le mafie che è in buona misura riflessa nella Convenzione. Come il Segretario Generale Ban Ki Moon mi ha ricordato in un recente incontro, proprio questo strumento convenzionale, che segna uno spartiacque nell’impegno internazionale, deve moltissimo alle indagini e alle intuizioni di Falcone. Giovanni fu il primo a comprendere la dimensione transnazionale delle organizzazioni criminali e la necessità di approntare risposte condivise globalmente: “non è importante quale forza di polizia arresta un latitante o sequestra dei beni e in quale parte del mondo, è solo importante che questo avvenga”, era solito ripetere.

L’osservazione del sistema mondiale dimostra quanto sia divenuta pervasiva e drammatica l’influenza delle organizzazioni criminali transnazionali sugli equilibri economici, di sicurezza e geopolitici del sistema mondiale. America Latina, Africa Occidentale, Asia, Caucaso, Balcani, Grande Mediterraneo sono fra le principali linee del fronte, dove si indebolisce la forza delle istituzioni e le mafie minacciano l’economia, la politica, la democrazia e la stabilità internazionale. Le mafie sono ormai attori geopolitici al pari degli Stati. Da una parte, si lasciano guidare nella ricerca del profitto dai fattori geopolitici, attente a valutarne e a servirsi di ogni mutamento e tendenza; e allo stesso tempo agiscono nell’arena mondiale da detentori di potere internazionale (di carattere militare, politico, economico, culturale, sociale) producendo in via diretta o indiretta processi di natura geopolitica. Così determinano conflitti, controllano territori, ridisegnano confini, tengono in vita oppure soffocano economie di intere nazioni. E la recessione economica degli ultimi anni ha ulteriormente consolidato il potere criminale, nella sostanziale inazione della comunità internazionale.

La grande debolezza dell’azione dei poteri istituzionali nel confrontare questi fenomeni risiede nella pretesa dei governi di risolvere da soli e comunque alle proprie condizioni questioni che un’azione congiunta soltanto permette di affrontare con efficacia strategica. Gli Stati sono rallentati da meccanismi farraginosi e faticano a cooperare fra loro, in una assurda ridda di frontiere giuridiche, approcci eterogenei, blocchi geopolitici. Invece le strategie delle organizzazioni criminali transnazionali hanno carattere genuinamente globale e sono favorite da grandi vantaggi competitivi: capacità di accedere e di elaborare informazioni riservate, rapidi meccanismi decisionali ed attuativi, una rete di collaborazione internazionale che pragmaticamente prescinde da schermi nazionalistici, etnici e politici.

Per questa ragione a undici anni dall’entrata in vigore della Convenzione di Palermo, io continuo a credere che in essa possa risiedere una delle chiavi per tutelare il futuro delle nostre società e della comunità internazionale. Le potenzialità di questo strumento internazionale sono però ancora largamente inattuate. Dalle mie missioni nel mondo e dallo studio delle analisi di singoli paesi ho tratto la certezza – e vi confesso anche con un senso di frustrazione – che molti Stati che hanno ratificato la Convenzione non hanno allineato la propria legislazione alla Convenzione e tanti altri che formalmente hanno adattato le norme, non ne hanno curato l’attuazione.

Per questo ho sostenuto e continuo a sostenere che sia necessario verificare lo stato effettivo di attuazione  della Convenzione e dei suoi tre Protocolli soprattutto negli stati più deboli colpiti dal fenomeno criminale, nei quali è spesso gravemente in pericolo la sopravvivenza dello stesso stato di diritto e della democrazia sostanziale. Dopo il risultato deludente della VI Conferenza degli Stati Parte di due anni fa il mio forte auspicio è che all’appuntamento del prossimo mese di ottobre prevalga il buon senso e si approvi, analogamente a quanto avviene per la Convenzione di Merida sulla corruzione, una procedura di verifica e una serie di strumenti di assistenza tecnica per sostenere gli stati più in difficoltà. E a questo proposito voglio ringraziare l’Ambasciatore presso le Nazioni Unite a Vienna, Filippo Formica, per l’impegno con cui sostiene queste posizioni. Sono fermamente convinto che la sfida alle mafie sia una battaglia vitale, per la sopravvivenza di quei principi e dei valori fondanti della civiltà italiana, dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite. E credo che con questo impegno si possa rilanciare, anche approfittando del prossimo semestre di presidenza europea, la posizione dell’Italia nel mondo, ricordando e onorando coloro che, come Falcone e tanti altri, hanno sacrificato la loro vita per la giustizia,  per la nostra libertà  e per il futuro dei nostri giovani.

Grazie.

 

Israele. Incontro con il Presidente Shimon Peres

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Il  Presidente  del  Senato,  Pietro  Grasso,  ha  incontrato oggi per un colloquio  privato  il  Presidente  israeliano  Shimon  Peres, che non sarà presente  in Israele nel corso dell’imminente missione in Medio Oriente del Presidente Grasso.

Nel   corso  dell’incontro  sono  stati  discussi  temi  di  cooperazione bilaterale,   le  prospettive  di stabilizzazione della regione e l’impegno per  la  pace,  rinnovato  domenica  in  Vaticano  alla  presenza  di  Papa Francesco.

Autorità per l’aviazione civile. Presentazione Rapporto 2013

Gentili ospiti,

è per me un grande piacere ospitare in Senato, come già avvenuto varie volte negli anni passati, la presentazione del Rapporto annuale dell’Autorità per l’aviazione civile. Desidero anzitutto ringraziare il Presidente Vito Riggio per avermi invitato a questa giornata di riflessione sullo stato del trasporto aereo italiano e della nostra aviazione civile. I risultati del rapporto 2013, che saranno a breve illustrati, rappresentano una preziosa occasione per discutere ed analizzare gli andamenti del settore nonché per riflettere sulle possibili azioni per migliorare il sistema dell’aviazione civile in Italia, elemento essenziale per lo sviluppo sociale ed economico del Paese. L’Enac ha infatti come missione la promozione dello sviluppo dell’aviazione civile, con l’obiettivo di garantire al Paese, agli utenti e alle imprese la sicurezza dei voli, la tutela dei diritti, la qualità dei servizi, l’equa competitività nel rispetto dell’ambiente. Si tratta di competenze estremamente complesse e delicate che l’Ente ha saputo sempre perseguire, fin dalla sua costituzione, con determinazione ed efficacia, in linea con il diritto alla mobilità dei cittadini tutelato dall’articolo 16 della nostra Carta costituzionale, diritto che si esprime nella garanzia di un trasporto sicuro e puntuale, in un quadro di progressiva libertà di spostamento delle persone e delle cose.

La situazione dell’aviazione civile del nostro continenete negli ultimi decenni è profondamente mutata, grazie all’azione normativa dell’Unione europea. Il mercato è più libero e la possibilità offerta ai cittadini di spostarsi è cresciuta notevolmente. Tuttavia, questi mutamenti hanno comportato, come sappiamo, difficoltà crescenti alle compagnie aeree nazionali. Proprio in queste settimane è in corso la complessa trattativa che riguarda il principale vettore italiano. L’Enac può senz’altro fornire, nell’ambito delle sue competenze, anche in tale circostanza un contributo positivo.

Come illustrato nel rapporto, il 2013 con riferimento alla sicurezza del trasporto aereo è stato particolarmente positivo con un miglioramento delle condizioni generali di sicurezza e una significativa riduzione del numero totale degli incidenti aerei su scala globale. Dal punto di vista economico, invece, nell’anno passato si sono continuati a registrare gli effetti sfavorevoli della crisi economica. Tuttavia, nella fase negativa del ciclo economico che stiamo ancora attraversando e in un momento in cui sono ancora molte le incertezze sulla forza della ripresa che pur si va configurando, fanno ben sperare i dati che descrivono una lieve ripresa negli ultimi mesi. Si tratta di un incremento ridotto, ma che deve contribuire a ridare fiducia ad un settore così strategico per il Paese, dal quale dipendono non soltanto il turismo ma vasti settori produttivi, i quali non possono prescindere dalla complessa rete di infrastrutture legate al trasporto aereo.

Le istituzioni rinnovano la loro fiducia nell’azione dell’ENAC e nel consolidamento del suo ruolo, nella convinzione che l’Ente, attraverso il proprio operato e le proprie competenze, sia presidio della crescita economica e sociale del paese.

Grazie.

Pio La Torre, siciliano onesto e politico coraggioso

Discorso alla cerimonia di intitolazione dell’aeroporto di Comiso a La Torre

Sono davvero felice che l’aeroporto di Comiso sia di nuovo intitolato a Pio La Torre. Lo era stato per un breve periodo: da siciliano – e all’epoca da Procuratore nazionale antimafia – vissi con profondo rammarico la polemica sul suo nome e sul fatto che potesse essere considerato in qualche modo divisivo perché appartenente ad un partito politico.

L’onorevole Pio La Torre, prima di tutto, era un siciliano onesto e un politico coraggioso, che aveva individuato come essenziali per un reale sviluppo dell’isola due temi: la lotta alla mafia e la lotta per la pace, dando forza a un movimento contro l’installazione dei missili “Cruise” proprio qui a Comiso. Due temi per lui strettamente intrecciati, perché, dati gli stretti legami tra i gruppi mafiosi operanti in Sicilia e negli Usa, considerava la creazione della base missilistica a Comiso, oltre che sotto l’aspetto pacifista, come occasione di crescita del potere mafioso e dei relativi interessi.

Il delitto La Torre, come del resto quello di Mattarella, ha una sua connotazione specifica che lo fa definire omicidio politico-mafioso, nel senso che sono la reazione, con connotazioni anche terroristiche o intimidatorie, all’azione di quelle persone che hanno tentato un’opera di rinnovamento della realtà siciliana e messo in pericolo gli interessi dei gruppi di potere mafiosi presenti nell’Isola senza subirne le lusinghe, le intimidazioni, le pressioni. Egli era fermamente convinto, e non ne faceva mistero,  dell’esistenza di strettissimi rapporti di affari tra esponenti politici regionali e locali con elementi mafiosi, inseriti negli appalti e nella vita economica dell’isola. In questi giorni in cui emergono inchieste che hanno a che fare con la corruzione e il voto di scambio fa bene ricordare un uomo come La Torre, perché la politica sa essere anche altro, e va spiegato soprattutto ai più giovani che se ne allontanano sempre di più.

Dentro l’Assemblea Regionale Siciliana lottò per evitare manovre connesse all’appalto per il Palazzo dei Congressi di Palermo, aggiudicato a favore dell’impresa Costanzo di Catania: comportamento emblematico dell’attenzione di La Torre al delicato tema degli appalti pubblici e della sua decisione nell’intervenire direttamente ove ritenesse di essere in presenza di episodi di corruzione. Più volte, pubblicamente, aveva fatto specifici riferimenti al ruolo nefasto esercitato da Ciancimino nell’ambito del suo partito, come esempio evidente delle connivenze tra ambienti politici e mafiosi, chiedendone apertamente l’espulsione e l’allontanamento da incarichi di responsabilità. Insistette più volte con l’allora ministro degli Interni sulla necessità della nomina del gen. Dalla Chiesa a prefetto di Palermo.

Ma soprattutto fu il primo firmatario di quella proposta di legge che per prima affrontava la mafia sul terreno più sensibile, il denaro, e che poi costituì il nucleo centrale della legge n. 646 del 1982, che ha istituito il reato di associazione mafiosa (il famoso 416 bis). Fu lui a proporre, tra l’altro, l’istituzione a Palermo di una efficace struttura di coordinamento nella lotta alla mafia, con compiti di indagini permanenti e sistematiche, estensibili anche all’estero; il risanamento del sistema carcerario, con particolare riguardo alla struttura dell’Ucciardone; l’aggravamento delle sanzioni penali e, per converso una riduzione di pena per i c.d. “pentiti”, nonché la revisione e la ridistribuzione degli organici di magistratura e polizia.

Insomma egli aveva già ideato ed espresso, con impressionante lucidità e determinazione, quella strategia antimafia che si riuscirà ad attuare in maniera completa soltanto dieci anni dopo. Ci vollero le stragi di Capaci e  di via D’amelio per risvegliare le coscienze dei cittadini e per rendere ineludibile ed improcrastinabile l’intervento del Governo e del Parlamento per una seria e concreta politica antimafia.

Nonostante gli anni passati dal suo assassinio il suo messaggio, la sua visione strategica sono quanto mai attuali. Tutti i collaboratori di giustizia sono stati concordi nel riferire che la Commissione aveva deciso questo omicidio a causa dell’impegno profuso dal parlamentare contro Cosa Nostra e, particolarmente, per la proposta di legge, da lui presentata e sostenuta, riguardante la confisca dei beni illecitamente accumulati dagli uomini d’onore. In merito a questa proposta di legge, Salvatore Greco – detto “il senatore” – aveva appreso da ambienti politici che l’orientamento del Parlamento, originariamente contrario, era divenuto ad un certo punto favorevole, sicché era quasi certo che la legge sarebbe stata approvata: venne riferito ai mafiosi anche che Pio La Torre avrebbe addirittura preso per il bavero alcuni esponenti politici per indurli energicamente ad approvare la legge. Eppure nemmeno il suo omicidio provocò un’accelerazione dell’iter legislativo; soltanto la nuova emergenza criminale determinata dall’omicidio Dalla Chiesa riuscì a smuovere e motivare la politica al punto da far approvare senza più alcuna discussione la legge Rognoni-La Torre.

Da presidente del Senato voglio indicare come esempio quello di un Segretario regionale di partito che prende per il bavero i politici timidi contro la mafia e contro la corruzione: i recenti fatti ci hanno dimostrato che il malcostume è diffuso in tutto il paese, ad ogni livello, e che è necessario un impegno preventivo e repressivo mai messo in pratica finora. C’è un Disegno di legge che nasce da una mia proposta in materia di corruzione, falso in bilancio – che lo voglio ricordare è l’anticamera della corruzione – riciclaggio e autoriciclaggio che è ora in fase avanzata di discussione in commissione Giustizia al Senato, stiamo aspettando un ddl del Governo sugli stessi temi, l’Autorità Anticorruzione sta finalmente prendendo forma. Non c’è più spazio per dubbi o perplessità: è il momento di dare segnali forti, e in questo senso apprezzo molto l’idea del Presidente Renzi del DASPO per le imprese ed i politici corrotti. Anzi, possiamo fare anche un passo ulteriore: La politica quando ha veramente voluto reprimere un fenomeno ha saputo trovare risorse tecnico-giuridiche, materiali e umane, come ha fatto per la criminalità organizzata. Abbiamo la soluzione si tratta di avere la concorde volontà politica di attuarla, peraltro secondo le indicazioni a livello europeo e internazionale: basta inserire i reati di corruzione tra quelli di competenza delle direzioni distrettuali antimafia. Ma si può fare anche di più:inserire un codicillo che blocchi, da subito e per sempre, ogni tipo di vitalizio per i politici condannati per reati di mafia e di corruzione, estendere la decadenza e la incandidabilità  ai parlamentari senza alcun limite, così come per i sindaci ed i consiglieri regionali.

Voglio chiudere con una breve frase presa dalla relazione tenuta da La Torre al IX Congresso regionale del Partito Comunista, il 14 gennaio 1982, in cui così si esprimeva: “Si tratta di spostare forze decisive su posizioni più avanzate, impegnandole a prendere le distanze dai gruppi conservatori, parassitari e mafiosi, che dall’interno dei partiti bloccano ogni processo di rinnovamento”.

Facciamo nostro questo impegno: solo così potremo dire di onorare davvero il sacrificio e il ricordo di Pio La Torre.

Grazie.

Crescere al Sud

Cari ragazzi, Caro Presidente Borgomeo, Caro Direttore Neri,

è con grande piacere che ho accolto l’invito a partecipare a questo incontro di “Crescere al Sud” per la presentazione dell’indagine partecipata sulle specificità delle condizioni dei minori che vivono e crescono nel sud del nostro Paese.

Ringrazio Save the Children e Fondazione con il Sud per aver promosso questa straordinaria iniziativa per la  protezione  e tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che ha coinvolto ragazze e ragazzi per riflettere sulle difficoltà ma anche sulle opportunità di vivere al Sud. Un grazie davvero speciale a voi ragazze e ragazzi per l’eccellente lavoro di indagine svolto, raccontato e vissuto dal vostro punto di vista e condiviso con le oltre 40 Associazioni e realtà locali che hanno aderito al progetto “Crescere al Sud”.

Il quadro che emerge dalla vostra indagine non presenta molti elementi positivi e indurrebbe allo sconforto. Ma sono certo che insieme alle vostre idee riusciremo a migliorare la situazione.

Sicuramente sempre meno sono le opportunità per i minori del mezzogiorno e sempre più grande il divario con il resto del Paese e l’Europa. Ma gli ultimi dati ISTAT, tristemente confermati dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e dai vari Rapporti delle Organizzazioni internazionali, sono davvero preoccupanti e riguardano tutto il nostro Paese, relegando l’Italia agli ultimi posti delle classifiche internazionali. Molti, troppi, bambini e ragazzi vivono in condizioni di povertà in territori densi di criminalità, dove la disoccupazione e il degrado urbano sono dilaganti, e dove l’abbandono e la dispersione scolastica impediscono di fatto qualsiasi prospettiva per il futuro. Non siamo più di fronte ad un “disagio sociale”; dobbiamo parlare di una vera e propria “questione sociale” da porre al centro dell’attenzione e dell’azione pubblica.

Se esistesse un solo dovere per una democrazia evoluta, questo consisterebbe nel saper offrire a ciascun suo figlio uguali opportunità di crescere, studiare, migliorarsi. Le conseguenze di una mancata protezione e promozione del benessere infantile sono pesantissime. Sappiamo bene che le ripercussioni possono andare dalla compromissione di un corretto sviluppo cognitivo a risultati scolastici scarsi; da aspettative e competenze ridotte a bassi livelli di produttività e reddito; da alti tassi di disoccupazione a una maggior dipendenza dallo stato sociale; dalla diffusione di comportamenti antisociali al coinvolgimento in attività criminali, alla maggiore probabilità di abuso di stupefacenti e di alcool. Oggi è più che mai urgente approvare misure contro la povertà infantile e le disuguaglianze. Sono certo che attraverso il sostegno alle famiglie si possano realizzare progetti efficaci e sostenibili per l’infanzia e l’adolescenza.

Le Istituzioni dovranno necessariamente prevedere politiche che facilitino l’ingresso nel lavoro; l’accesso garantito a servizi di qualità a prezzi accessibili; investire in istruzione ed educazione per dare a tutti uguali opportunità; politiche edilizie e urbanistiche a dimensione di bambino. Occorre mettere al centro dell’agenda il tema dell’infanzia e degli investimenti necessari affinché a tutti sia data la possibilità di crescere uguali. E sono sicuro che la ministra Lanzetta, che tutti ricordiamo sindaco coraggiosissima in una realtà difficile, saprà affrontare questi temi con decisione e con fermezza.

La spesa pubblica, soprattutto quella destinata ai minori, non è un costo ma un investimento fondamentale che ‘paga’ sia in termini di tutela di diritti che in un’ottica di razionalizzazione e risparmio per il futuro.

È in questa direzione che occorre pertanto rimodulare gli obiettivi delle politiche sociali del nostro Paese, lo Stato deve impegnare il massimo delle risorse disponibili per tutelare la vita e il sano sviluppo dei bambini e dei ragazzi. Ma la potenzialità maggiore di queste regioni siete voi, ragazze e ragazzi, che ogni giorno a scuola, con i vostri docenti – che non potremo mai ringraziare abbastanza per l’impegno e la passione che mettono nel loro lavoro aldilà delle tante difficoltà che incontrano – state imparando cosa significhi essere cittadini, state acquisendo una cultura basata sui valori della democrazia e del bene comune, un’educazione civica nel senso più alto del termine. Essere cittadini richiede un impegno intenso e costante, azioni responsabili di ciascuno di noi nella vita quotidiana. È nostro dovere, dovere delle istituzioni dare spazio alla vostra voce, alle vostre istanze, alle vostre esigenze. Ma spetta a ciascuno di voi impegnarsi giorno per giorno, con energia e convinzione, per essere protagonisti e non spettatori del futuro del nostro Paese.

Per questo, ragazzi, vi dico di continuare a sognare, sognate in grande, sognate insieme perché con la forza della vostra onestà e delle vostre idee, potremo sperare di rendere migliore questo nostro, straordinario Paese.

Grazie a tutti voi e buon lavoro.