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La mia storia

1945 - Mi chiamo Pietro, o Piero?

Sono venuto al mondo il 23 dicembre del 1944, ma su suggerimento di mia nonna – che ancora sconvolta dalla guerra voleva farmi guadagnare 1 anno in una futura ipotetica chiamata alle armi – fui rivelato a Licata, luogo di lavoro di mio padre, il 1 gennaio del 1945. Guadagnata la “classe 45”, dopo pochi mesi sono tornato nella mia città, Palermo, che con la sua storia e il suo patrimonio di bellezza e insieme di violenza, ha influenzato le scelte più importanti della mia vita. Spesso mi chiedono: ma ti chiami Pietro o Piero? All’anagrafe sono Pietro ma, come in tutte le famiglie siciliane, sin da piccolissimo mi diedero un soprannome per distinguermi dai cugini che, come me, avevano il nome del nonno. Da allora, per amici e parenti, sono Piero.

1966 - Un sogno realizzato: indossare la toga

Quando a scuola, da piccoli, facevamo i temi su “cosa farai da grande?”, io rispondevo sicuro: il magistrato. Mi iscrissi a giurisprudenza negli anni del sacco di Palermo. Il primo esame andò male: il professore mi disse “vada a studiare e torni”. Imparai la lezione, cambiai metodo di studio e a 21 anni ero laureato. A 24 diventai magistrato. Primo incarico: pretore a Barrafranca, in provincia di Enna. Era la Sicilia dell’inizio degli anni ‘70: in casa scorreva l’acqua una volta alla settimana e solo per poche ore.

1970 - Maria, una compagna per la vita

Era l’autunno del 1965 quando la vidi per la prima volta. Un amico, che voleva riattaccare con una sua vecchia fiamma incontrata all’università, mi chiese di accompagnarlo perché lei nel pomeriggio usciva in compagnia di una amica. Quella sua amica era Maria: capelli biondi sulle spalle “all’indentro”, come si portavano una volta, zigomi pronunciati in un ovale perfetto, sguardo penetrante e uno spirito libero. Appena uscì da casa durante il tragitto per entrare nell’auto del mio amico, ne fui subito conquistato, ma dopo qualche anno la “storia” semi clandestina divenne ufficiale: prima fidanzati “in casa”e poi, dopo il militare come ufficiale in aeronautica e il vittorioso concorso in magistratura, nel 1970 ci siamo sposati nel Duomo di Monreale. Da allora abbiamo affrontato la vita insieme, dalle grandi gioie ai momenti più difficili.

1972 - Ritorno a Palermo

L’omicidio del procuratore capo di Palermo, Pietro Scaglione, fece sì che molti colleghi abbandonassero la Procura. Fu così che, inaspettatamente, potei chiedere di tornare nella mia città molti anni prima di quanto avevo previsto. Nel frattempo era nato mio figlio Maurilio: con lui passavo tutto il mio tempo libero e così fu fino a quando iniziò la mia vita blindata, con il maxiprocesso. La morte di Giovanni Falcone, con cui Maurilio aveva trascorso tanti momenti del suo tempo libero, gli fece comprendere l’importanza dell’impegno per la legalità e nascere il desiderio di indossare la divisa della Polizia di Stato.

1980 - La mia prima indagine di mafia: l’omicidio Mattarella

Ero a casa, e lo sentii dalla tv: Piersanti Mattarella, il Presidente della Regione Sicilia che voleva la nostra terra “con le carte in regola” e libera dalla morsa della mafia, era stato ucciso. Come magistrato di turno divenni il titolare del caso, la mia prima indagine di mafia. Ne seguirono molte altre ma quella fu la prima volta che da magistrato affrontai Cosa nostra e le sue diramazioni nella politica, nella società, nell’economia.

1985 - La più grande sfida: il Maxiprocesso

Quando mi chiesero di fare il giudice a latere del Maxiprocesso chiesi 24 ore per parlarne con mia moglie: le prospettai che quella scelta avrebbe cambiato la nostra vita, e da lei ebbi la forza ed il sostegno per andare avanti e per affrontare le mille difficoltà; sapeva benissimo che se avessi rifiutato mi sarei dimesso dalla magistratura, cancellando così il sogno di una vita. Iniziò il periodo più duro: una vita blindata, minacce, migliaia e migliaia di pagine da studiare e centinaia di imputati, i riflettori del mondo puntati sul più grande processo penale della storia italiana. Nessuno pensava che ce l’avremmo fatta e, invece, riuscimmo a dimostrare in un’aula di Corte di Assise l’esistenza della mafia e a tenerla dietro le sbarre con il deposito, in tempi record, delle circa settemila pagine della sentenza. Fu proprio con il maxiprocesso che conobbi a fondo Falcone e Borsellino, due colleghi, due fuoriclasse che divennero presto anche due grandi amici.

1991 - A Roma con Falcone

Falcone, allora Direttore della Direzione affari penali del Ministero di Grazia e Giustizia, mi chiamò con sé come consigliere. Iniziamo a disegnare nuove strategie di coordinamento contro la criminalità organizzata: viene decisa la nascita della Procura nazionale antimafia, delle Direzioni distrettuali antimafia e della DIA. La morte di Giovanni e dopo pochi giorni di Paolo furono devastanti per me: davanti alle loro bare giurai che la loro morte non sarebbe stata vana e decisi che avrei speso ogni energia per ricostruire la verità sulle stragi. Iniziai subito nelle mie nuove funzioni di coordinamento e di impulso, prima come sostituto poi come aggiunto, presso la Procura nazionale antimafia. Da allora, non ho mai smesso di impegnarmi per fare luce su quel periodo.

1993 - Il “colpetto”

Fu Gioacchino La Barbera, uno dei grandi pentiti di cosa nostra, a raccontarmelo in un colloquio investigativo. Disse che dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio Riina voleva uccidere un altro magistrato, “un colpetto per ravvivare la trattativa”. Avevano scelto me. Decisero che il posto migliore era Monreale, dove il fine settimana rientrando da Roma andavo a trovare mia suocera, gravemente ammalata. Era tutto pronto, l’esplosivo doveva essere celato dentro un tombino davanti casa, ma a causa dei sistemi elettronici di sicurezza di una vicina banca il sistema di comando a distanza rischiava di provocare l’esplosione anzitempo. I mafiosi persero tempo a cercare un telecomando che non consentisse interferenze ma, nel frattempo, furono arrestati sia Riina che i mafiosi del commando, mia suocera morì e io non ebbi più motivo di andare a Monreale. E così posso raccontarlo!

1999 - Procuratore Capo a Palermo

Nel 1999, dopo gli anni di Roma, tornai a Palermo come Procuratore Capo: il sogno di una vita. Sotto la mia direzione, dal 2000 al 2004, furono arrestate 1.779 persone per reati di mafia e 13 latitanti inseriti tra i 30 più pericolosi. Nello stesso periodo la procura ottenne 380 ergastoli e centinaia di condanne per migliaia di anni di carcere. Cambiammo la strategia anche sui latitanti: un lavoro durissimo che però ci portò i risultati sperati.

2005 - Procuratore Nazionale Antimafia

Dal 2005 al 2012 sono stato Procuratore nazionale antimafia, passando dalla trincea di Palermo al quartier generale da dove si coordinano tutte le indagini sulla criminalità organizzata. La cosa di cui sono più orgoglioso è stato il fatto di aver raccolto la collaborazione di Gaspare Spatuzza e aver così potuto far riaprire le indagini sulla stagione delle stragi. Un risultato importante, ma che da solo non basta: ci sono ancora pezzi di verità che devono emergere.

2006 - Un successo atteso a lungo: l’arresto di Provenzano

11 aprile: dopo anni di durissimo lavoro e tentativi falliti, la strategia che avevo inaugurato in procura a Palermo della “terra bruciata” ci porta finalmente al risultato che volevamo. Bernardo Provenzano, il capo della mafia latitante da decenni, viene arrestato: nei suoi occhi, quel giorno, lessi l’incredulità di chi pensava di essere sopra la legge. Quel giorno lo Stato vinse, dimostrando che la mafia è forte ma non invincibile. Lo stesso anno nacque Riccardo, mio nipote: una grandissima gioia per me e Maria.

2012 - L’addio alla toga, Italia Bene Comune

Dopo 43 anni, decido, con molta emozione, di chiudere il più significativo e importante capitolo della mia vita e di dare le dimissioni dalla magistratura. Da allora mi sono “spostato in politica”, perseguendo, con altri mezzi, gli ideali e gli obiettivi di sempre. Mi impegno allora con il Partito Democratico nella coalizione Italia Bene Comune guidata da Pierluigi Bersani per portare la mia esperienza in Parlamento, con la convinzione di poter contribuire proponendo quelle leggi in materia di giustizia che avevo chiesto invano da magistrato. In campagna elettorale mi concentro allora sui temi della legalità, della giustizia e della lotta alla criminalità organizzata.

2013 - Il primo giorno in Senato Il DDL Grasso

15 marzo 2013, decido di non perdere tempo e il primo giorno in Senato deposito il mio primo disegno di legge che ha come obiettivo quello di aggiornare e potenziare gli strumenti dello Stato per combattere l’economia criminale. Il “DDL Grasso” si concentra sulla corruzione e il voto di scambio, proponendo anche la reintroduzione nel codice penale del falso in bilancio e una nuova disciplina del reato di riciclaggio, comprensiva dell’autoriciclaggio. Dopo due anni, a partire dalle mie proposte, il Parlamento ha approvato una nuova legge anticorruzione.

2013 - Presidente del Senato. Un ruolo super partes, di nuovo.

16 marzo 2013, ore 8.00. Squilla il mio cellulare, è Pierluigi Bersani, che mi dice: “Piero, abbiamo pensato di proporre all’Aula il tuo nome per la Presidenza”. Accanto a me c’è, come sempre, Maria: mai avremmo immaginato una cosa del genere, siamo entrambi colpiti da quelle poche ma “pesantissime” parole. Seguono alcune ore concitate e, alla fine, i colleghi del Senato mi eleggono Presidente con 137 voti: un’emozione indescrivibile, un grande orgoglio e una enorme responsabilità.

2015 - Elezione di Sergio Mattarella

Ho conosciuto Sergio Mattarella nel triste giorno dell’attentato di Via della Libertà: io ero un giovane magistrato, lui un giovane professore di diritto. Mai avremmo potuto immaginare, in quel momento di dolore e di smarrimento per l’omicidio di suo fratello Piersanti, che gli imprevedibili percorsi della vita ci avrebbero condotto 35 anni dopo nella solennità del Salone dei Corazzieri del Quirinale. Il 7 febbraio 2015 effettuammo il passaggio di consegne dal “Presidente supplente” al nuovo Capo di Stato: un momento indimenticabile, carico di emozione.

2017 - Un nuovo capitolo

A ottobre del 2017, dopo l’approvazione definitiva della nuova legge elettorale con cinque voti di fiducia e senza alcuna possibilità di iniziare la discussione in Aula, mi sono dimesso dal Gruppo del Partito Democratico. È stata una scelta sofferta ma non mi riconoscevo più nel merito e nel metodo dell’azione politica del PD. Ora inizia un capitolo nuovo nel quale continuare, senza rimorsi, rimpianti o ambizioni personali, a impegnarmi per gli ideali che mi hanno guidato lungo tutta la mia vita.