Presentazione rapporto “Periferie”

Sarà presentato domani alle 16, nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, il Primo Rapporto annuale dedicato dalle “Periferie”, realizzato dal Gruppo di lavoro G124 guidato dal senatore a vita Renzo Piano. Sarà il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ad aprire i lavori che vedranno al centro l’attività svolta dai giovani architetti e dai loro tutors del gruppo G124 impegnati in questo primo anno ai progetti di “rammendo” delle periferie di Roma, Catania e Torino. Alla presentazione interverrà il Ministro per i Beni e le Attività culturali Dario Franceschini. Parteciperanno, inoltre, i rappresentanti delle  amministrazioni locali che hanno dato un notevole contributo per il progetto delle periferie delle città individuate dalla squadra dei giovani architetti, Susanna Eloisa, Francesco Lorenzi, Federica Ravazzi, Michele Bondanelli, Roberta Pastore, Roberto Corbia e dai loro tutors Massimo Alvisi, Maurizio Milan e Mario Cucinella.

Nota per le redazioni:

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Violenza contro le donne. Necessaria reazione di condanna forte e chiara

Intervento in occasione del convegno “Stop gender based violence by improving women’s life”

Autorità, Signore e signori,

apro con grande piacere questo importante convegno internazionale in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, istituita dall’ONU nel 1999; e sono lieto di vedere rappresentanti delle istituzioni, del mondo della cultura, dell’associazionismo e dell’economia. Desidero ringraziare per questa iniziativa la Presidente dell’Associazione “D.i.Re Donne in Rete contro la violenza”, Titti Carrano, e il Dipartimento di Psicologia della Seconda Università di Napoli, particolarmente la Prof. Anna Baldry. Quella di oggi è un’occasione preziosa per riflettere sul fenomeno odioso e diffuso della violenza di genere. Un tema su cui davvero si misura il grado di civiltà di una comunità. E ho sempre sostenuto che questa non può essere una battaglia solo delle donne, ma un impegno di tutti coloro, donne e uomini, che credono nell’eguaglianza, nei diritti della persona e nella democrazia.

Sono pienamente consapevole e preoccupato di questo fenomeno in tutte le sue forme, dal sessismo di certe affermazioni considerate, a torto, “leggere” alle offese e alle minacce; dall’uso, che purtroppo sta diventando frequente anche nel nostro paese, dell’acido come forma di sfregio, sino ai troppi casi di femminicidio. Non si tratta solo degli omicidi e delle lesioni gravi da parte di partner o ex partner. Ci sono donne che subiscono quotidianamente maltrattamenti, violenze sessuali e psicologiche, minacce e molestie. Donne, anche minorenni, alle quali viene negato l’accesso all’istruzione o al mondo del lavoro e che, essendo in condizioni di dipendenza economica, non riescono ad allontanarsi da un contesto relazionale di rischio e di violenza. Non dobbiamo dimenticare che molte delle vittime di omicidio o lesioni gravi avevano già denunciato episodi di violenza o di maltrattamento. Altre, invece, non avevano mai chiesto aiuto, per sfiducia nelle istituzioni, per mancanza di mezzi o per una pericolosa sottovalutazione delle violenze subite. “Credevo fosse amore” é uno degli slogan che rende meglio questa situazione. Donne che, trovata la forza di uscire da situazioni di questo tipo, non incontrano poi il sostegno sociale e istituzionale necessario per ricostruire la propria vita.

Ogni condotta che mira ad annientare la donna nella sua identità e libertà – non soltanto fisicamente, ma anche nella sua dimensione psicologica, sociale e lavorativa – è una violenza di genere. Lo ripeto perché sia chiaro di cosa stiamo parlando. Le cose vanno chiamate con il loro nome. Per contrastare efficacemente questa deriva ritengo essenziale garantire alle vittime una protezione efficace sin dai primi atti penalmente rilevanti. Ciò consentirebbe, da un lato, di prevenire offese ulteriori e più gravi, con un crescendo di intensità che spesso culmina nell’omicidio; dall’altro, faciliterebbe l’emersione di sopraffazioni, che in troppi casi vengono tenute nascoste dalle stesse vittime per paura o per vergogna.

Consapevole di queste esigenze, quando esercitavo le funzioni di Procuratore a Palermo costituii una sezione specializzata per la trattazione dei reati contro le donne e contro i minori, che collaborava con le varie strutture specifiche delle forze dell’ordine. E devo dire che ho potuto apprezzare il lavoro di magistrati e di investigatori donne, che sapevano unire alla preparazione professionale la cura più attenta alle fragilità psicologiche e alle necessità materiali delle vittime, pur dovendo servirsi di strumenti normativi che non sempre mettono in condizione di fermare le violenze e di prevenirne di peggiori.

La ratifica della Convenzione di Istanbul segna un progresso normativo di grande importanza, trattandosi del primo strumento giuridicamente vincolante  che predispone un quadro giuridico completo di protezione contro le violenze fisiche e psicologiche, i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali. L’innovazione più rilevante consiste nell’individuare nella prevenzione e nella protezione delle vittime il perno delle strategie di contrasto, attraverso azioni preventive, nel settore educativo e dell’informazione, e misure di sostegno medico, psicologico e legale. Prevenire significa anche garantire la sicurezza delle donne per le strade, nei luoghi pubblici e all’interno delle famiglie, contrastare quelle forme diffuse di sottocultura da cui traggono origine le diverse forme di violenza: fisica, psicologica, sociale, relazionale, economica. Un obiettivo che richiede un impegno di tutte le forze del Paese, pubbliche e private, per educare e informare i cittadini, non solo le giovani generazioni, e sottrarre le vittime dal bisogno economico, sostenendo il miglioramento delle condizioni di vita delle donne e l’eguaglianza giuridica e di fatto. Uno dei fenomeni più drammatici e preoccupanti per il futuro del Paese e dell’Unione Europea – mi capita di ripeterlo spesso – è il continuo crescere delle diseguaglianze, che colpisce ampie fasce della popolazione, per prime le donne e i giovani, e rischia di svuotare dall’interno la democrazia sostanziale. Io sono convinto che questa sia la nostra più urgente priorità, non solo nei Paesi in via di sviluppo ma anche nel mondo occidentale. Se è indifferibile l’approvazione di ogni norma necessaria, occorre nel contempo acquisire la consapevolezza che la violenza contro le donne è socialmente, prima ancora che penalmente, inaccettabile. Di questo dobbiamo parlare, parlare sempre di più. Perché maturi una sensibilità diffusa e profonda sul tema della violenza di genere, come presidente del Senato ho già assicurato il massimo impegno affinché venisse costituita la commissione parlamentare bicamerale, concordemente richiesta da tutte le forze politiche, al fine di studiare il fenomeno del femminicidio per delineare analisi, interpretazioni e adeguate soluzioni.

I dati e le analisi descrivono la preoccupante diffusione in ogni parte del mondo di comportamenti che violano la donna nella sua incolumità fisica, nella sua libertà, dignità e identità.

Ricordo con commozione due incontri che ho avuto nella mia veste di presidente del Senato. A giugno in Palestina, nel Governatorato di Betlemme, al Centro Mehwar per la famiglia e l’empowerment delle donne e dei bambini, dove la cooperazione italiana ha istituito il più grande centro nazionale antiviolenza per la tutela delle donne palestinesi, dove vengono offerti da operatori italiani e locali servizi di assistenza psicologica e legale, iniziative di formazione per la ricerca e la creazione di posti di lavoro, e fondamentali attività di sensibilizzazione rivolte non solo alle vittime ma soprattutto alla comunità, con l’obiettivo di diminuire il verificarsi di violenze domestiche. Un compito difficile, in un luogo dove ancora le donne sono vittime due volte: delle violenze e della riprovazione sociale, e dove per prima cosa vengono sottratti loro i figli.

L’altro incontro, a Natale dell’anno scorso, ancora più duro, in Afghanistan: la visita presso l’Ospedale Esteqlal di Kabul, in parte ricostruito dalla Cooperazione Italiana. Questo ospedale, con i suoi 400 posti letto, è oggi diventato un punto di riferimento per il Paese, per la popolazione di Kabul e per le altre province dell’Afghanistan e vede, come elemento di speranza, circa 1000 parti al mese. Ma quello per cui è famoso è soprattutto la cura delle ustioni per gli incidenti domestici, che hanno come vittime soprattutto i bambini, e il fenomeno dell’auto immolazione di giovani donne, anzi di bambine, che per non andare in spose a vecchi signori preferiscono bruciarsi tra le fiamme o con l’acido e sfigurare per sempre il loro volto e il loro corpo, nei rari casi in cui sopravvivono. Sono immagini che non posso dimenticare, che hanno lasciato una traccia indelebile nella mia memoria e nella mia coscienza e che oggi mi portano ad appoggiare con convinzione questa battaglia di civiltà.

Concludendo, voglio ringraziare per il tramite vostro il vitale mondo del volontariato e dell’associazionismo di cui fanno parte le forze migliori di questo Paese. Da uomo dello Stato, non mi sfugge tuttavia il dovere che incombe sulle istituzioni e che la nostra Costituzione ha scolpito nell’articolo 3, con parole che rileggo spesso e mi emozionano ogni volta: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini e impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la loro effettiva partecipazione alla vita del Paese. È necessaria una reazione di condanna forte e chiara. Non esiste tolleranza né giustificazione alcuna per le condotte che ledono i diritti delle donne, e la consapevolezza condivisa della gravità del problema, come spesso succede nel campo dei comportamenti sociali, è il presupposto indispensabile perché davvero, un giorno, si realizzi un effettivo, concreto cambiamento.

E questo, credetemi, io considero il mio più grande impegno.  Grazie.

 

 

 

 

Elezioni regionali. Auguri a Bonaccini e Oliverio

Auguri  di  buon  lavoro con l’auspicio di un rinnovato slancio, per cinque anni  di  buona  politica  e   risultati concreti. E’ quanto ha espresso il presidente  del  Senato, Pietro Grasso, nelle conversazioni telefoniche che ha  avuto  oggi  con i  neopresidenti della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini,  e  della Regione Calabria, Mario Oliverio. Il presidente Grasso ha  fatto  i  propri complimenti ai due candidati vincitori, con i quali ci sarà  sicuramente  modo, nei prossimi mesi, di approfondire il dialogo e la necessaria collaborazione tra Istituzioni.

 

 

Incontro con il Presidente egiziano Al-Sisi

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Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha incontrato oggi a Palazzo Giustiniani  il Presidente della Repubblica Araba d’Egitto, Abd Al Fattah Al- Sisi. Durante l’incontro, durato circa trenta minuti, sono stati discussi temi relativi alla cooperazione bilaterale fra i due paesi e lo scenario regionale in relazione ai conflitti in corso nell’area mediorientale. Il Presidente Grasso ha inoltre ribadito la viva aspettativa che si tengano al più presto elezioni parlamentari per la ricostruzione di un’assemblea legislativa.

 

Cultura. L’alternativa alla crisi per una nuova idea di progresso

Intervento alla presentazione del 10° Rapporto annuale Federculture 2014

Caro Ministro, caro presidente Grossi, Autorità, Gentili ospiti,

è per me un onore e un piacere poter accogliere in Senato la presentazione del Rapporto annuale Federculture, che quest’anno celebra il suo decimo  anniversario. Nel salutare tutti i relatori vorrei rivolgere un ringraziamento sincero a Roberto Grossi non solo per il lavoro svolto nel coordinamento di questo decimo Rapporto, ma soprattutto per la scelta del titolo, a mio parere straordinariamente convincente. La visione della cultura quale “alternativa alla crisi per una nuova idea di progresso” riassume infatti quello che, a mio parere, è l’obiettivo che deve muovere tutti noi nella modulazione di una “nuova” politica per la cultura.

Come ho avuto modo di sottolineare nella prefazione del Rapporto, sono convinto che il nostro patrimonio culturale sia una leva fondamentale per la ripresa economica perché, come diceva Aristotele, “La cultura è un ornamento nella buona sorte, ma un rifugio nell’avversa“. Il nostro Paese ha le risorse e le capacità per elaborare un nuovo paradigma di crescita che metta al centro la cultura, la valorizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico, il turismo.

L’Italia deve imparare a riscoprire nella propria identità le risorse strategiche per riconquistare competitività sul piano industriale anche nel settore culturale. Non è casuale che proprio l’art. 9 della nostra Costituzione parli insieme di sviluppo, cultura, ricerca e tutela del patrimonio. Proprio sull’articolo 9 della Costituzione venerdì scorso è stato lanciato, qui in Senato, un concorso dedicato agli studenti, e l’oggetto ricalca esattamente quello del dibattito di oggi: “Cittadinanza attiva per superare la crisi attraverso la cultura e il patrimonio storico artistico”. Segno che questo tema è finalmente entrato con la serietà che merita nel dibattito del nostro Paese, e mi aspetto grandi idee dalle ragazze e dai ragazzi che parteciperanno, perché i valori espressi dalla nostra Carta costituzionale devono tornare vivi e vitali nel Paese a partire proprio dai più giovani.

Per rendere attuali questi valori e per valorizzarne le sinergie reciproche, la nuova politica per la cultura deve partire da una visione insieme realistica e, consentitemelo, anche utopistica delle potenzialità di questo settore, una politica che sappia  costruire il futuro guardando alle dinamiche di lungo periodo piuttosto che alle contingenze della quotidianità. Il nostro realismo deve partire da una conoscenza approfondita delle tendenze e delle capacità del patrimonio culturale italiano, che collocano il Paese ai vertici delle classifiche mondiali. L’Italia è un Paese “fondato sulla bellezza”: siamo al primo posto per numero di siti(49) protetti dall’UNESCO, per numero di edifici storici, musei, teatri. Eppure, allo stesso tempo, l’Italia è nettamente al di sotto della media europea in termini di incidenza percentuale della spesa dedicata al settore “ricreazione e cultura” sul totale dei consumi. I dati Istat diffusi nel febbraio 2014, e riferiti al 2011, pongono infatti l’Italia al 21° posto nella classifica dei Paesi europei (guidata dalla Finlandia). Le famiglie italiane hanno destinato alla cultura il 7,3% della propria spesa, a fronte dell’8,8% della media europea. Preoccupa inoltre la tendenza, già fotografata dal Rapporto Federculture dello scorso anno, che testimonia, nel 2012, dopo un lungo trend di crescita costante durato oltre dieci anni, un significativo calo della spesa per cultura e ricreazione delle famiglie italiane, pari addirittura al 4,4%.

Anche nel settore del turismo, la componente culturale del nostro Paese continua ad esercitare una grande spinta motivazionale ai viaggi, eppure l’Italia compare in quinta posizione tra i Paesi più visitati, dopo Paesi con una minore dotazione culturale (Francia,Usa,Cina e Spagna) seguita da Turchia e Germania. E’ colpa nostra, di quello che viene definito “Sistema Paese” che non trova le sinergie giuste per capitalizzare un patrimonio ineguagliabile. Perché, a fronte della motivazione, spesso i turisti stranieri, a partire dai più lontani ma anche da quelli con più disponibilità a spendere, faticano a raggiungerci: pochissimi i voli diretti con la Cina, il Giappone e la Russia rispetto ad altri Paesi europei, ad esempio. Ma non é solo un problema di collegamenti aerei. Per trovare il primo museo italiano tra i più visitati al mondo dobbiamo arrivare al 21° posto con gli Uffizi di Firenze.

Questi dati confermano che l’Italia può e deve imparare a sfruttare meglio le proprie risorse culturali, sia nel mercato interno che rispetto ai potenziali consumatori esteri. Occorre quella che oggi si chiama economia creativa, che riesca a collegare e a coordinare settori che possono sembrare ininfluenti. Dobbiamo saper pensare a nuovi moduli di valorizzazione di questo patrimonio fondati su una solida cooperazione interistituzionale e su una virtuosa collaborazione pubblico-privato. Molti sono gli spunti ed anche le “buone pratiche” richiamate nel Rapporto. Penso ad esempio a quella che viene chiamata l'”anomalia positiva” della mia Sicilia e che si riferisce alla gestione pubblico-privata del Palazzo Reale di Palermo. Nella Parte III del Volume, dedicata agli “scenari possibili per una vera collaborazione con i privati”, è tracciato il percorso che idealmente deve accompagnare le sinergie tra pubblico e privato, le quali nascono dalla capacità di semplificare le procedure autorizzative, dalla ricerca di alleanze nei finanziamenti misti, dall’utilizzo delle sponsorizzazioni private quali strumenti e progetti di successo.

Dobbiamo imparare ad affrontare la programmazione culturale con quella logica manageriale che sa guardare alla domanda del mercato per scegliere come modulare l’offerta, ma che al contempo sa anche vigilare sugli standard dei programmi offerti al pubblico, con l’intento di salvaguardarne la qualità.

La nuova politica per la cultura che tutti noi auspichiamo, infatti, e di cui il Ministro Franceschini ha già delineato efficacemente gli aspetti in molti suoi interventi, non è solo una strategia economica per affrontare in maniera costruttiva la crisi in atto. Non dobbiamo infatti mai dimenticare la profonda valenza sociale di questo settore: la dimensione culturale è direttamente collegata alla crescita del reddito pro capite e contribuisce a plasmare in maniera determinante il capitale sociale di un paese, utilizzare al massimo gli aspetti della propria identità introvabili in altri Paesi. Mi viene in mente un’immagine della mia Sicilia:una donna che a novembre con le maniche corte sorbisce un gelato estasiata dalla valle dei templi di Agrigento, o dal barocco di Noto, e sullo sfondo il mare. Vanno presi in considerazione tutti i settori: cinema, teatro, TV, editoria, festival, ma anche musei, monumenti, biblioteche, ambiente, agricoltura, enogastronomia, turismo, eventi sportivi, artigianato, moda, design, architettura, grandi griffe, comunicazione informatica. A mio avviso sarebbe ora di creare il superministero del Turismo, con poteri di coordinamento degli altri ministeri interessati, come Ambiente, Infrastrutture, Sviluppo economico, Economia, Agricoltura (oggi in ascesa del 14%), Lavoro, Istruzione e naturalmente Beni culturali:

Non possiamo sottovalutare, a questo proposito, i gravi squilibri che ancora oggi attraversano la nostra penisola, a causa della forte differenza tra la spesa totale delle famiglie nel Nord Ovest, pari all’8,5, e il Mezzogiorno, pari al 5,7%. Questi dati sono il segnale che molto dobbiamo ancora fare per rilanciare la domanda di cultura, specialmente in alcune aree del Paese; in nome di tale obiettivo, è prioritario investire sull’educazione alla cultura, promuovendo programmi rivolti in particolare ai giovani, fin dalla prima infanzia e che garantiscano anche la fiducia e la sicurezza. A questo proposito non possiamo limitarci a fare i nostri migliori auguri a Matera, scelta come capitale europea della cultura, ma dobbiamo affiancare il sindaco Salvatore Adduce, che saluto, e fare di questa la sfida non solo di una città – bellissima, davvero unica al mondo – ma di tutto il mezzogiorno. Potranno esserci ritorni positivi in termini economici, di indotto e di immagine per tutto il nostro Sud, ma lo Stato dovrà impegnarsi per garantire, tra le altre cose, che tutti possano raggiungere Matera con una rete di trasporti adeguata.

Una politica culturale espansiva è una importante risorsa anche per la politica. Saper guardare alla cultura quale nuova idea di progresso significa anche scardinare i miti radicati nell’immaginario comune che vedono nella cultura un diversivo, quasi una distrazione, dai problemi del Paese e dalla gestione della “cosa comune”. Al contrario, il binomio “cultura e politica” registra un’alleanza strategica, su cui anche le istituzioni devono sapere scommettere, per far riscoprire l’identità del nostro essere italiani. Un esempio di come si possano scardinare i luoghi comuni lo sta provando a dare la città di Taranto: conosciuta oggi come la città dell’Ilva e dell’inquinamento sta trovando una sua propria strada con un progetto ambizioso. Guardare al futuro a partire dalla sua storia antica e proporsi come unica città spartana nel mondo, intercettando in questo modo i milioni di cittadini che nel mondo sono legati al mito di Sparta.Devo confessarvi che, prima di imbattermi nello studio relativo a questo progetto, nemmeno io immaginavo fossero così tanti ma tra la passione storica, quella sportiva e quella mediatica ho scoperto che esiste un brand “Sparta” che può davvero rappresentare un volano per una città così sofferente. Nella Prefazione a questo Rapporto ho auspicato per il nostro Paese un nuovo “Rinascimento culturale, tecnologico ed industriale”, legato all’arte e alla cultura.

Quello che serve all’Italia è un’età di cambiamento, un rinnovamento etico e culturale che sappia radicare in tutti noi una nuova coscienza culturale. Sono certo che la diffusione del Rapporto, che sapientemente individua le politiche, le azioni e gli scenari per fare della cultura una vera alternativa alla crisi, offrirà un contributo importante al raggiungimento di questi obiettivi. Ringrazio ancora Federculture per l’impegno profuso nella pubblicazione di questo Volume e in generale per l’impegno che quotidianamente svolge nella promozione della cultura e della sua fruizione ed accessibilità a tutti i cittadini.

Prima di salutarvi colgo l’occasione anche per annunciare una importante iniziativa che vede il Senato insieme al presidente Grossi e al “Sistema delle Orchestre e dei Cori infantili e giovanili in Italia” da lui presieduto. Come ricorderete l’Orchestra del Sistema è stata protagonista del Concerto di Natale in Senato dello scorso anno, e la grande emozione e il grande entusiasmo suscitato ci hanno spinto ad organizzare un evento ancora più importante, reso possibile grazie anche al contributo del Mibact e del Dipartimento per le politiche giovanili. Domenica prossima, in occasione della riunione plenaria della Cosac all’interno della dimensione parlamentare del Semestre italiano di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, l’Orchestra suonerà insieme a quella del Sistema venezuelano da cui tutto è partito, diretti da Dietrich Paredes e alla presenza del Maestro Abreu. Sarà un segnale concreto per dire a tutti ai rappresentanti dei 28 paesi europei presenti che le Istituzioni italiane credono nella musica, nell’arte e nella cultura come mezzo per affrontare la crisi economica e soprattutto per dare ai giovani una speranza di cambiamento.

A tutti voi porgo il mio più sincero augurio per la prosecuzione di questo confronto, che mi auguro sappia unire al realismo nella diagnosi anche una sapiente dose di utopia nella modulazione di una politica per la cultura, così che possa offrire ai nostri giovani di riscoprire la vocazione culturale della nostra tradizione e, insieme, di trovare concrete opportunità di lavoro.

Buon lavoro.

 

 

 

Mafie, traffici, terrorismo: le sfide per la nostra sicurezza

Gentili ospiti, Caro Direttore Caracciolo, Cari amici,

Apro con molto piacere questo incontro sulle sfide per la sicurezza per il nostro Paese promosso dalla Rivista Italiana di Geopolitica Limes, che apprezzo per il la passione e la competenza con cui i diversi autori da vent’anni contribuiscono agli studi geopolitici e internazionali: divulgando e così avvicinando a questi temi una considerevole platea di lettori, anche molto giovani; e, cosa ancora più importante, costruendo quella coscienza geopolitica che in Italia tarda ancora ad affermarsi. In generale io sono convinto – mi capita di ripeterlo spesso – che il Paese in questa lunghissima epoca di crisi che vive, abbia sete di riflessioni, di idee, diagnosi e proposte per riconsiderare la propria posizione nel mondo, le proprie potenzialità e per programmare il futuro. Nello specifico, credo da molto tempo che la nostra sicurezza debba essere garantita anche con gli strumenti della geopolitica, considerando le mafie, le strutture del terrorismo, le reti economiche illecite, come soggetti che agiscono nel sistema mondiale da entità geopolitiche e che come tali devono essere comprese ed avversate.

In un sistema globale sgranato e caotico come quello al centro del quale l’Italia si trova, una serie di poteri informali, non istituzionali, influenzano e in alcuni contesti determinano equilibri e squilibri economici, geopolitici e di sicurezza. Fra questi hanno un peso crescente fenomeni propriamente criminali (le mafie e le altre associazioni criminali), illeciti (le manifestazione dell’economia illegale che include il sommerso, l’evasione e i fenomeni di riciclaggio) ed eversivi (le reti terroristiche e i vecchi e nuovi califfati). Io ritengo per conseguenza che sia un errore affrontare questi fenomeni dall’angusta prospettiva interna o, peggio, solo attraverso strumenti militari e repressivi. In geopolitica conta per prima cosa misurare il potere a disposizione degli attori coinvolti (potere territoriale, economico, politico, sociale, culturale, militare) e valutarne le interazioni con le diverse variabili specifiche: geografia, clima, politica, religione, demografia, etnia, cultura, conflitti, economia, comunicazioni, trasporti, informazione.

Del ruolo di freno al Paese, alla democrazia e allo sviluppo che mafie e traffici criminali hanno giocato per molti decenni, ho avuto modo di dire anche in una intervista di qualche tempo fa a Limes. Oggi, come si ricorda nel numero ora in edicola, assistiamo ad una evoluzione pericolosa perché silenziosa e oscura. La riduzione degli episodi delittuosi più visibili ha purtroppo contribuito a rendere i media e la politica poco consapevoli. Data la lentezza con cui finora hanno proceduto i disegni di legge rivolti a colpire il malaffare, l’economia criminale, il falso in bilancio, la corruzione, a rivedere le regole della prescrizione e rendere più efficiente e giusto il sistema penale, ho accolto con molto favore il disegno di legge che il Governo ha presentato ieri recante “Misure volte a rafforzare il contrasto alla criminalità organizzata e ai patrimoni illeciti”. Il provvedimento che oggi ho già assegnato alle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato e che mi auguro venga prontamente esaminato, tratta di importanti temi fra cui l’auto-riciclaggio, il falso in bilancio, il sequestro e la confisca, la responsabilità amministrativa degli enti, l’amministrazione giudiziaria dei beni confiscati, l’Agenzia per i beni confiscati, ed altri. Si tratta di un’assoluta priorità perché negli ultimi anni si è molto accentuata la penetrazione mafiosa nell’economia e si sono consolidati quei fenomeni, di per se non recenti, di espansione dell’influenza mafiosa in aree non tradizionali del Nord e del Centro Italia. Indagini e processi hanno poi svelato il consolidamento di un’area grigia che coinvolge insieme ai mafiosi la politica, l’imprenditoria e le istituzioni. Un fenomeno che si alimenta di una generale deriva etica della politica, delle istituzioni, delle imprese e del tessuto sociale. E che deve essere affrontato con strumenti legislativi ed investigativi ma anche con una profonda rifondazione etica dei partiti ed una diversa selezione della politica, sia a livello nazionale sia a livello locale.

A proposito dei rischi di sicurezza connessi al terrorismo, io condivido l’analisi dell’On. Minniti nell’intervista su Limes, e sono convinto che gli apparati di cui il Paese dispone per la prevenzione e la repressione di tali fenomeni siano ben attrezzati e consapevoli. Voglio però aggiungere due riflessioni. La prima è che il jiahidismo “di ritorno” e le iniziative di terroristi solitari nei paesi occidentali, un problema reale cui però forse i media si dedicano con troppa enfasi, si prevengono anche sottraendo all’emarginazione e all’esclusione delle periferie coloro che sono vittime delle diseguaglianze e di politiche di immigrazione troppo riduttive. Ricondurre alla cittadinanza attiva chi, italiano o straniero, si trova spinto ai margini della società è una priorità assoluta, come è importante che si rivedano le regole troppo restrittive sull’attribuzione della cittadinanza e dei diritti politici agli immigrati, particolarmente quelli di seconda generazione, che devono tutti sentirsi parte di una collettività plurale ma unitaria e coesa.

La seconda riguarda IS, lo Stato Islamico. Io credo che sia fuorviante accettare acriticamente l’immagine del nuovo nemico rimandata dai media e si debba invece valutare geopoliticamente questo fenomeno, che riempie un vuoto determinato anche dalla debolezza e disunione delle politiche occidentali. Lo Stato Islamico ha le caratteristiche di una creazione a vocazione universale ma anche radicata territorialmente, dotata di forza militare e comunicativa. Noi dobbiamo reagire non solo garantendo la sicurezza territoriale con mezzi militari ma soprattutto favorendo la progressiva emersione e il consolidamento di istituzioni e di luoghi della politica, nel rispetto delle tradizioni locali e senza la pretesa di imporre la concezione occidentale della democrazia, che è il risultato di processi lunghi e complessi e non ancora del tutto maturi nemmeno nei nostri Stati.

Questa, per concludere, ritengo la vera scommessa: imparare a programmare il ruolo del nostro Paese, che la geografia e la storia hanno voluto al centro del mondo in subbuglio; e difendere la nostra comunità di valori consolidando già al nostro interno quei principi e quei diritti emersi dal sangue dei nostri martiri, per rappresentare agli occhi dei nostri vicini un modello possibile di convivenza e sviluppo. Grazie.

 

Legge elettorale. Incontro con i promotori della campagna “iovotofuorisede”

Il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto stamattina i promotori della campagna “Iovotofuorisede” Stefano La Barbera,  presidente del Comitato Iovotofuorisede, e Francesco Bertolino, fondatore del Comitato Partecipalermo,  in ordine all’introduzione del meccanismo di voto anticipato per i cittadini che si trovano lontani dalla propria residenza durante i periodi elettorali.

Durante  l’incontro  é stato rappresentato al presidente Grasso il percorso fin qui compiuto dal Comitato. “Mi  auguro che il lavoro parlamentare attualmente in corso sulla legge elettorale  accolga  la  vostra  richiesta,  individuando con  i ministeri dell’Economia e dell’Interno  la strategia migliore per sanare il ritardo del  nostro  Paese rispetto alle altre democrazie europee, che garantiscono forme  diverse  di  voto per i propri cittadini in mobilità”, ha commentato Pietro Grasso.

 

Informazione e criminalità. Stiamo vicini a chi combatte il crimine

Intervento su L’Espresso

Martedì 11 novembre durante Ballarò, nella parte della trasmissione dedicata a Roberto Saviano e alla sentenza sulle minacce dei boss casalesi a lui e Rosaria Capacchione, è stato mandato in onda un interessante servizio televisivo sulla criminalità organizzata romana, firmato da Francesca Fagnani e incentrato su un’intervista al giornalista dell’Espresso Lirio Abbate. Una mezz’ora di buona televisione, in cui si è parlato di informazione e criminalità. La stessa sera la macchina di scorta su cui viaggiava Lirio Abbate è stata speronata in pieno centro storico a Roma, e in questa occasione sono emerse anche altre pesanti minacce di cui è stato oggetto nei mesi scorsi l’inviato de l’Espresso cui, per ragioni di segreto delle indagini, non era stata data pubblica comunicazione. Ben tre dei giornalisti citati vivono da anni sotto scorta per le loro inchieste e anche Francesca Fagnani, come emerge da articoli dei giorni scorsi, è stata oggetto di minacce e intimidazioni.

Queste vicende devono essere per tutti l’occasione per tornare ad occuparsi di un tema importante: in Italia dall’inizio del 2014 l’associazione “Ossigeno per l’informazione” ha documentato minacce a 352 giornalisti in 319 giorni. Sul loro sito ad ogni minaccia corrisponde una pagina con il nome del giornalista e la sua storia di professionalità e di coraggio. Vale la pena scorrere quel lungo elenco perché, oltre ai nomi citati e ad altri ben conosciuti dal grande pubblico, si incontrano decine di giornalisti locali che con fermezza si oppongono ai piccoli e grandi criminali del loro territorio, ricevendo in cambio  pallottole per posta, vetri delle finestre di casa frantumati, lettere minatorie, copertoni tagliati, automobili date alle fiamme, insulti, pestaggi e così via.

Tutto questo ha a che fare con il tipo di società e di democrazia nella quale viviamo e non vorremmo più vivere in futuro. Intimidire un giornalista è un vulnus per la libertà d’informazione e per il diritto dei cittadini di essere informati. A questo va aggiunto il tema dell’utilizzo a scopo intimidatorio delle querele, della salvaguardia dei cronisti a rischio, soprattutto quelli con meno garanzie e che scrivono per piccoli giornali locali o su internet. Non va trascurata infine la necessità della trasparenza sull’assetto proprietario delle testate, perché spesso i criminali l’informazione provano anche a corromperla o comprarla. Un’informazione libera è il presupposto della conoscenza e della formazione di un’opinione e, dunque, una condizione essenziale per vivere in democrazia. Nutre il dibattito e la formulazione delle idee, è l’anima del vivere civile. Solo un cittadino informato può compiere scelte consapevoli, esercitare i propri diritti e partecipare al processo decisionale. Scriveva nel 1981 sul Giornale del Sud Giuseppe Fava: “Un giornalismo fatto di verità impone ai politici il buon governo. Un giornalista incapace della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato in grado di combattere”.

La criminalità pretende il silenzio e cerca di fermare i giornalisti scomodi. Anche la cattiva politica, a volte. Dobbiamo invece stringerci tutti attorno a queste persone, far sentire loro e a chiunque si impegni per la verità e la giustizia – penso ai magistrati di Palermo e più in generale a tutti i magistrati che, con coraggio e determinazione, combattono la criminalità – la nostra solidarietà, la nostra vicinanza, il nostro affetto, la nostra riconoscenza.

Articolo 9 Costituzione. Per costruire insieme ai più giovani un futuro di cultura e ricerca

Autorità, care ragazze, cari ragazzi,

è con vero piacere che vi do il benvenuto nella Sala Koch del Senato per la manifestazione di apertura del Progetto e Concorso “Articolo 9 della Costituzione. Cittadinanza attiva per superare la crisi attraverso la cultura e il patrimonio storico artistico“. Saluto i rappresentanti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nonché della Fondazione Benetton Studi e Ricerche e tutte le personalità qui presenti. Il Progetto “Articolo 9 della Costituzione“, giunto alla sua terza edizione, unisce due grandi forze del nostro Paese, la cultura e i giovani, chiedendo agli studenti di declinare le proprie idee, aspirazioni, sogni e proposte per trasformare il patrimonio culturale del loro territorio in risorse per la crescita della comunità, sia a livello economico che sociale.

Sono davvero felice che il Senato abbia, ancora una volta, confermato la propria collaborazione a questo progetto che ha il merito di aver costruito un luogo di riflessione e di elaborazione concreta, un laboratorio nel quale non solo si immagina ma si costruisce il futuro guardando alle dinamiche di lungo periodo piuttosto che alle contingenze della quotidianità. Fare questo esperimento a partire da un articolo della nostra Carta Costituzionale comporta, innanzitutto, la riscoperta dei valori sui quali si fonda il nostro Paese e, contestualmente, dare loro un nuovo e vitale significato. E’ interessante notare che la tutela e la promozione della cultura, di cui il nostro patrimonio paesaggistico e storico è un elemento essenziale, sia contenuta nel testo costituzionale e che, addirittura, i padri costituenti la vollero inserire tra i “principi fondamentali”.  In quella prima parte della carta fondamentale possiamo trovare tre fondamentali componenti, elementi che credo debbano genuinamente  guidare ogni progetto sociale e politico: l’utopia, l’ambizione, la responsabilità. Solo in nome dello slancio ideale che guidò l’agire dei Costituenti è infatti possibile superare le differenze e gli egoismi personali per costruire, nel nome dell’appartenenza ad una comune civiltà, la NOSTRA democrazia e affrontare con successo momenti difficili come quelli che ci troviamo ad vivere oggi.

Porre al centro della vostra riflessione e del vostro lavoro l’articolo 9 significa proprio avere questa ambizione, quella di disegnare insieme un orizzonte cui tendere e, allo stesso tempo, indicare una responsabilità che ognuno di noi è chiamato ad assolvere. La promozione della cultura e della ricerca, così come la tutela del nostro patrimonio storico ed artistico, richiede infatti un impegno quotidiano, tanto individuale quanto collettivo, dal quale dipende il futuro del nostro Paese. Educazione, cultura e ricerca sono settori strategici e rappresentano investimenti vantaggiosi in grado di produrre diritti e opportunità. D’altro canto, troppo spesso guardiamo alle ricchezze altrui, penso ad esempio ai grandi esportatori di risorse energetiche, senza ricordare che il nostro patrimonio storico e artistico può divenire, se valorizzato, il più grande volano della nostra economia. Riflettere su questi temi, confrontarsi con le difficoltà che sta affrontando l’Italia e immaginare soluzioni per risollevarla, a partire proprio dalla cultura, dalla ricerca e dalla tutela del patrimonio artistico, è una sfida affascinante e bellissima.

Sono certo che affronterete questo percorso con impegno e potrete, con la vostra energia e passione fornire un importante contributo al nostro Paese, un contributo che non si esaurirà con questo progetto perché dovrete essere voi, ragazze e ragazzi, ad avere il coraggio e la forza di creare e difendere, ogni giorno e in ogni occasione, un orizzonte culturale che ponga al centro i valori della carta costituzionale. Nello stesso tempo vi auguro di saper riconoscere e cogliere ogni opportunità che la vita vi darà, perché, se la lascerete sfuggire, ci vorrà molto tempo prima che si ripresenti.

In questo caso alle Istituzioni spetta il compito di ascoltare, con curiosità e grande attenzione, quanto voi ragazzi avrete da proporci.  Ho molta fiducia in voi e sono sicuro che con la vostra fantasia, la vostra passione e le vostre idee saprete produrre lavori originali e interessanti.

Vi ringrazio quindi per aver accettato questa “sfida” ed auguro a tutti voi buon lavoro. Grazie.

Una resistenza ante litteram: la vita e la memoria di Giacomo Matteotti

Illustri relatori, gentili ospiti,

ci troviamo, oggi, a rendere il nostro omaggio alla figura di Giacomo Matteotti nel novantesimo anniversario della sua morte. A quasi un secolo di distanza, Matteotti non rappresenta soltanto l’espressione più alta e la vittima più nota di una stagione tragica della nostra storia, ma è divenuto patrimonio di tutti, perché la sua vita e la sua morte, le sue idee, i suoi valori, le sue speranze fanno ormai parte della comune coscienza nazionale. Alla politica si era avvicinato prestissimo, all’età di sedici anni, colpito dalla miseria della sua gente, la gente di Fratta Polesine, ed era entrato in contatto con i movimenti socialisti, nei quali era diventato ben presto una figura di spicco.

Venne eletto nel 1910 nel Consiglio provinciale di Rovigo e da quel momento l’impegno politico fu al centro della sua vita, un’esigenza ancora più forte dell’amore per gli studi giuridici che, tuttavia, non abbandonò mai. Allo scoppio della Prima guerra mondiale egli, coerente antimilitarista, si schierò senza mezzi termini contro le posizioni interventiste di Benito Mussolini, giungendo ad auspicare, nel caso dell’ingresso in guerra dell’Italia, l’insurrezione popolare. Per questo motivo venne presto internato a Campo Inglese, nella Sicilia orientale. Nel 1919 riprese il suo posto nelle file del movimento socialista e venne eletto deputato per il collegio di Rovigo e Ferrara, giungendo alla Camera pressoché ignoto alla grande maggioranza degli italiani, ma in brevissimo tempo riuscì a distinguersi per levatura morale, cultura e competenza.

Fu presente alla prima giornata del congresso del PSI del 1921 a Livorno, dove si consumò la scissione che dette poi origine al Partito comunista d’Italia. Il 12 marzo 1921 subì una prima gravissima violenza dai fascisti di Castelguglielmo. Sebbene messo al bando dalle organizzazioni fasciste polesane, partecipò comunque attivamente alla campagna per le elezioni politiche del maggio 1921, riuscendo eletto nel collegio Padova-Rovigo. L’offensiva fascista accelerò la crisi interna del PSI e al congresso di Roma dell’ottobre 1922 la corrente riformista si staccò e dette vita al Partito socialista unitario. Matteotti venne chiamato a ricoprire il ruolo di segretario, quale figura emergente dell’ala riformista del PSI.

La sua coerenza si tradusse in intransigenza verso il fascismo. Il periodo che va dagli inizi del 1923 fino alla tragica morte è quello più drammatico della sua vita politica. Il 6 aprile 1924 si svolsero le nuove elezioni politiche, con l’applicazione per la prima volta della legge Acerbo. Le elezioni ebbero luogo in un clima di tensione e di violenza ad opera delle squadre fasciste che questa volta si rivolsero non solo verso i partiti considerati da sempre sovversivi, ma anche verso i popolari.

Ovunque si registrarono accuse di brogli, in particolare a seguito dei sorprendenti risultati elettorali. Matteotti, che si era recato a Bruxelles per partecipare al Congresso del partito operaio e a Londra per incontrare i dirigenti del partito laburista, rientrò in Italia il 30 aprile 1924. Era ormai imminente l’apertura della XXVII legislatura, che per l’opposizione si presentava particolarmente difficile. Nella seduta del 30 maggio, in cui si discuteva la proposta avanzata dalla Giunta delle elezioni di convalidare in blocco gli eletti della maggioranza, ebbe il coraggio di denunciare le illegalità commesse dai fascisti e dagli organi di governo durante la campagna elettorale. 

Era perfettamente consapevole dell’alto rischio a cui si esponeva, tant’è che al collega Giovanni Cosattini che lo raggiunse per congratularsi dell’intervento disse: «Ora preparatevi a fare la mia commemorazione». Fedele al suo programma di non dare respiro al Governo fascista, Matteotti, il 5 giugno, portò la sua offensiva in seno alla Giunta generale del bilancio. Si doveva discutere il disegno di legge che autorizzava il Governo all’esercizio provvisorio. L’analisi delle cifre consentì a Matteotti di concludere che il bilancio ufficiale presentato dal Governo alcuni giorni prima al Parlamento e al Sovrano fosse falso, mentre il bilancio vero faceva registrare un disavanzo di due miliardi. Il discorso venne preparato con grande impegno ma, come è noto, Matteotti non giunse mai a pronunciare quel discorso, stroncato dalla violenza fascista proprio alla vigilia di quell’intervento che in molti temevano come rivelatore dei gravi casi di corruzione di cui si sarebbero resi responsabili Mussolini stesso e alcuni tra i principali gerarchi fascisti.

Giacomo Matteotti rimane un punto di riferimento della nostra storia, esempio straordinario di passione civica e di coraggio, simbolo della libertà e della lotta contro la violenza e contro la demagogia. La sua vita e la sua morte costituiscono ancora una lezione di intransigenza e di onestà, una testimonianza credibile e autorevole in difesa della libertà e del Parlamento.

Abbiamo il dovere di non disperdere questa eredità e di non consegnare solamente al ricordo il sacrificio di un uomo che pagò con la morte il suo implacabile atto d’accusa, anzi, il suo atto d’amore per la libertà, la legalità, la democrazia.