Su giustzia necessarie scelte coraggiose

Interventi sulla relazione del Ministro Bonafede sull’amministrazione della giustizia

[su_accordion][su_spoiler title=”DISCUSSIONE GENERALE” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]

Ministro Bonafede,

ho ascoltato attentamente la sua relazione, che ci restituisce un quadro che sta gradatamente migliorando, ma non abbastanza.

Penso in primo luogo alla lotta alla corruzione (sulla quale mi auguro possano essere prese in considerazioni alcune delle osservazioni, come la proposta di far decorrere il termine di prescrizione non dalla commissione del fatto ma dall’acquisizione della notizia di reato, come già previsto per i reati in danno dei minori, osservazioni che espressi e che continuo a credere renderebbero ancora più efficace la normativa vigente. L’elemento chiave nel combattere la corruzione consiste infatti nella possibilità di far emergere il reato, per questo non si deve sottovalutare l’importanza di poterlo perseguire efficacemente una volta che esso si sia manifestato).

Penso all’approvazione del codice rosso, un risultato importante che contribuisce a potenziare gli strumenti per combattere una battaglia difficile e complessa – quella della violenza sulle donne – che attraversa quotidianamente le cronache del nostro Paese e non può essere relegata alla sola dimensione del dolore privato di chi la subisce.

Penso al Decreto Fiscale, nel quale è stato previsto un sensibile aumento delle pene per i grandi evasori: un passo in avanti che, ancora una volta, testimonia la necessità di lavorare in modo sistemico e non con misure di corto respiro.

Abbiamo poi lavorato sul voto di scambio. Anche in quella occasione avevo sottolineato come alcune soluzione tecniche sarebbero state funzionali al lavoro dei magistrati e, anche in questo caso, signor Ministro, la invito a tenere in considerazione ciascun contributo che possa perfezionare gli strumenti a disposizione dello Stato per combattere la criminalità organizzata. Proprio in relazione alla criminalità organizzata, ad esempio, la Commissione Antimafia è impegnata nell’elaborazione di una proposta per rivedere – a fronte delle recenti pronunce della Corte Costituzionale e della Cedu – dell’articolo 4bis dell’Ordinamento Penitenziario: mi auguro che anche su questo tema si possa aprire una proficua collaborazione anche a partire dalla mia proposta.

Sempre rispetto alla lotta alla mafia, lei ha menzionato la convenzione di Palermo. La cooperazione tra Stati è indispensabile nella lotta al crimine organizzato. Lo aveva capito Giovanni Falcone che negli anni 80 collaborò con gli investigatori americani nell’inchiesta Pizza Connection. Proprio alcuni giorni fa eravamo in missione con la commissione antimafia ed è con un certo orgoglio che ho potuto rivedere la statua situata nel quartier generale dell’FBI a Quantico. Una colonna spezzata, simbolo del lavoro interrotto con la sua morte.

Sarebbero molti altri i profili da richiamare, avremo modo di confrontarci sui tanti dossier su cui dobbiamo lavorare. Mi limito solo a citarne un altro: la nuova disciplina della lite temeraria, sulla quale proprio in questi giorni sono stati compiuti dei decisivi passi in avanti.

Non è una novità che il nostro sistema abbia lacune enormi, frutto innanzitutto di mancanza di visione e di volontà politica. È proprio questo di cui abbiamo bisogno ora: visione strategica e volontà di realizzarla. In una sola parola, abbiamo bisogno di coraggio.
D’altro canto gli effetti negativi di una giustizia inefficace ed inefficiente travalicano i confini delle aule dei tribunali colpendo l’economia, gli investimenti e, più in generale, la fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni.

Questi primi mesi del Governo nato a settembre sono stati dominati dalle schermaglie sulla prescrizione. La mia posizione è nota. Mi sembra invece utile a tutti noi ricordare – ancora una volta – che la prescrizione è un importantissimo tassello della riforma della giustizia ma che, da sola, non ha alcun effetto davvero rilevante. Infatti il principio costituzionale della ragionevole durata del processo va interpretato in senso relativo rispetto alle risorse umane e materiali impiegate nella giustizia e alle indispensabili riforme di regole processuali che senza pregiudizio del basilare diritto alla difesa possano eliminare quegli ostacoli che determinano quella sostanziale odiosa impunità non rispettosa dei diritti delle vittime e delle aspettative dei cittadini.
È profondamente sbagliato e fuorviante considerare questa o quella soluzione come la panacea a mali antichi e complessi o come il più drammatico colpo allo Stato di diritto.

Mettiamo da parte le polemiche e approfittiamo invece di questa occasione offertaci dalla sua relazione per superare ogni strumentalità, nell’interesse dei cittadini. Il tavolo che lei ha aperto con le forze politiche della maggioranza ha svolto fino ad ora una buona istruttoria, pur al netto di qualche inevitabile incomprensione. Voglio guardare ai prossimi mesi con fiducia, convinto che si possa dare presto al Parlamento una seria riforma che non si limiti a toccare questo o quel comma ma che miri invece a risolvere gli annosi problemi sistemici che affliggono nel suo complesso il sistema giustizia.
Dipende da noi, proseguiamo nel lavoro.

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[su_spoiler title=”DICHIARAZIONE DI VOTO” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]

Presidente, Ministro Bonafede, colleghi,

esprimo il mio apprezzamento per quanto messo in campo con la Legge delega di riforma del processo civile, e le ribadisco la nostra intenzione di intervenire sulla bozza di Legge delega di riforma del processo penale e del progetto di riforma del Csm, attualmente in discussione con i colleghi della maggioranza di Governo, che deve ancora essere presentata  – speriamo al più presto – al Consiglio dei ministri prima e all’attenzione del Parlamento poi.

Nelle due Leggi delega sono contenuti passi in avanti importanti, che potranno migliorare aspetti importanti soprattutto in tema di durata ragionevole dei processi.

Il “sistema giustizia” del nostro Paese soffre problemi antichi e stratificati, e solo un intervento deciso e coraggioso ci consentirà di affrontarli con spirito costruttivo e risolutivo, senza l’ansia di sventolare bandierine di parte ma con la piena consapevolezza dell’importanza che riveste nel tessuto economico e sociale una giustizia efficiente ed equilibrata.

E’ proprio l’equilibrio la chiave di volta di una riforma complessiva non più rinviabile: intervenire sui singoli punti, come si è fatto negli ultimi quindici o venti anni, rischia infatti di rendere ancor più precario il delicato bilanciamento tra i diritti della difesa e il dovere dell’accertamento della verità con conseguenti eventuali responsabilità.

L’elefante nella stanza si chiama prescrizione. Non c’è discorso sulla giustizia negli ultimi mesi che non parta e non finisca su quel punto. Ma quando parlo di equilibrio e bilanciamento intendo proprio invitare ciascuno di noi a fare proposte di modifica che possano far superare il tema: perché se la giustizia funziona, se le risorse impiegate sono sufficienti – sia in tema di tecnologie che di risorse umane a tutti i livelli – il problema sarà superato nei fatti.

Al di là delle posizioni personali, la mia come noto è favorevole al blocco dopo il primo grado, è interesse di tutti – voglio sperare – che si possa intervenire sui principali nodi, che sono gli stessi da molto tempo.

Oltre alle risorse, è doveroso – per quanto difficile, lo comprendo – ridefinire l’interesse dello Stato nel perseguire alcune tipologie di delitti puniti con la sola pena della multa o alternative alla reclusione attraverso l’istituto dell’oblazione. Allo stesso tempo, è importante ridurre il numero e i tempi dei procedimenti con una serie di interventi normativi drastici sul codice di procedura penale in tema di nullità e di notificazioni, valorizzando i riti  alternativi e premiali, accorciando i tempi del dibattimento, inserendo maggiori limiti deflattivi dell’appello e del ricorso per cassazione.

Ho già avuto modo, nel confronto con Lei signor Ministro e con i colleghi di maggioranza di proporre anche una riforma dell’istituto del patteggiamento, proponendo un modello all’americana fondato sull’ammissione di colpevolezza dell’imputato e limitandone il ricorso per cassazione nei soli casi di violazione di legge.

Tra le priorità, ministro, vorrei ricordarle le questioni relative alle necessarie e urgenti modifiche all’articolo 4 bis dell’Ordinamento Pentienziario – il cosiddetto ergastolo ostativo. E’ importante infatti adeguarlo alle indicazioni della Corte Costituzionale, ma senza che questo metta in discussione la sua ratio e la sua funzione, almeno per quanto riguarda le organizzazioni criminali di stampo mafioso. La Commissione antimafia sta lavorando in questo senso: io stesso ho presentato un progetto di riforma, e spero che possa essere condiviso e portato presto all’attenzione del Parlamento.

Le ricordo inoltre l’urgenza di completare l’ormai annoso progetto di istituire una banca dati nazionale dei carichi pendenti, strumento indispensabile; infine, è da più parti segnalata l’importanza di implementare e rendere operativo il fascicolo elettronico del detenuto.

Concludo con due brevi accenni al dibattito in corso nella maggioranza. Lei saggiamente non si è esposto sul tema delicato della riforma del Csm, lasci però che dica che ritengo positivo aver superato l’illogica proposta del sorteggio, allo stesso tempo le segnalo che il meccanismo del ballottaggio non risolve da solo il problema delle possibili degenerazioni del correntismo, cosa che l’elezione con doppio livello farebbe. Infine, le sottolineo che non potrà mai la sola azione disciplinare a risolvere gli antichi problemi della velocità dei processi.

Tutto ciò che ha a che vedere con il Diritto e con i diritti dei cittadini non può essere oggetto di contrattazione politica di basso profilo.

Dobbiamo assumere l’impegno di proporre riforme importanti, condivise, equilibrate, ragionevoli e risolutive, cercando la più ampia condivisione non solo a livello politico ma anche con gli operatori del diritto, a partire dall’avvocatura e dall’associazione nazionale magistrati.)

Chi, come me, ha passato parte importante della sua vita lavorando come magistrato, sa bene quanto le aspettative dei cittadini, la loro richiesta di giustizia e verità, da un lato, e il loro timore di affrontare la macchina della giustizia, dall’altro, incidano in maniera deflagrante sia sulle vittime che sugli imputati, sia sugli innocenti che sui colpevoli.

In uno stato di diritto come il nostro il sistema della giustizia e la situazione delle carceri devono avere un posto prioritario nell’attenzione del Governo e del Parlamento, senza timore di prendere scelte impopolari.

Per tutti questi motivi, annuncio il voto di Liberi e Uguali alla risoluzione presentata dalla maggioranza come favorevole.

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Terracina aveva visto l’infermo ma non si era piegato

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Commemorazione di Piero Terracina al Senato durante la seduta del 9 dicembre 2019

Presidente, Colleghi, intervengo con commozione al saluto che l’Aula sta tributando ad un grande italiano. La sua vita è stata davvero preziosa.

Aveva solo quindici anni quando un delatore lo fece arrestare. Sopravvisse – unico della sua famiglia – all’inferno dei campi di concentramento. Portò con sé, per anni, il timore che gli fosse chiesto come mai lui, e solo lui, fosse riuscito a tornare dalla Polonia. Ad un certo punto della sua vita, molti anni dopo, ebbe la forza di raccontare. Abbiamo il dovere di ringraziare i sopravvissuti per questo ulteriore e per nulla scontato atto di coraggio, e dobbiamo sentirlo soprattutto noi che abbiamo l’onore di poter chiamare “collega” una persona come Liliana Segre.

La testimonianza di Piero Terracina ha, innanzitutto, un valore straordinario dal punto di vista storico: lui, insieme ai pochi che si salvarono, ci hanno consentito di conoscere nei dettagli l’industria della morte voluta e realizzata dai nazisti, la banalità del male che ha segnato per sempre il corso della storia del nostro continente.

Quando Piero Terracina descriveva Auschwitz – Birkenau scavava dentro di sé per offrire la testimonianza del ragazzino che era, e di come quegli eventi abbiano determinato la sua intera esistenza. Potevi sentire il dolore che gli procurava tornare indietro con i ricordi, rivivere e raccontare l’orrore dei campi di concentramento. Eppure non si fermava, non si fermava mai: sentiva l’obbligo morale di mettere la propria vita e la propria testimonianza al servizio di tutti noi, soprattutto dei più giovani. Lo ha fatto fino all’ultimo, donandoci una impareggiabile lezione di dignità ed impegno.

E’ senza dubbio questo il suo lascito più importante. Chi ha avuto il privilegio di misurarsi con il suo racconto, non poteva non incrociare la dolcezza del suo sguardo: quegli occhi avevano visto l’inferno ma non si erano piegati ad esso.

Pur parlando del passato – un passato che giorno dopo giorno si fa sempre più remoto e che perde inevitabilmente i suoi protagonisti – Piero Terracina interrogava se stesso e gli altri sul presente e, soprattutto, sul futuro. Condivideva infatti il pensiero che più che recriminare su quanto si sarebbe potuto fare o dire allora per impedire la Shoah, era decisamente più importante insegnare a riconoscere i frutti possibili dell’indifferenza, ciò che conduce a simili tragedie. Ricordo una bellissima occasione, l’onore di accoglierlo in Senato per un convegno nel quale si parlava appunto del “peccato dell’indifferenza”. Credo sia un giusto e doveroso omaggio concludere questo breve ricordo con le parole che scelse per terminare il suo intervento.

Cito:

“la Shoah insegna (anzi, io direi IMPONE) di ricordare, ma soprattutto di fare. Non basta andare in pellegrinaggio ad Auschwitz. E’ necessario informarsi e soprattutto conoscere, e per conoscere bisogna lasciarsi interpellare, senza reprimere un salutare sentimento di vergogna per un sistema che in qualche modo ci appartiene e dal quale non siamo affatto immunizzati […] Educare i giovani, e questo è compito della scuola, al dovere dell’accoglienza ed al rispetto delle minoranze. Mettere al centro la protezione delle persone e non l’ossessione dei confini; fare del soccorso e del salvataggio la priorità delle politiche nazionali ed europee. Ecco, io penso, quello che si potrebbe e dovrebbe fare”

Ora che Piero Terracina non c’è più, tocca a noi il compito di tramandare le sue parole, portarle nel presente e nel futuro, renderle – ogni giorno – semi di speranza. Grazie di tutto Piero, che la terra ti sia lieve.

Realtà chiama maggioranza. Ci siete?

Dal blog sull’HuffingtonPost del 5 dicembre 2019

A questo Governo serve coraggio, non un ennesimo muro contro muro. Viviamo di ultimatum lanciati come sassi contro gli alleati: minacce vuote per difendere brandelli di identità ormai, per tutti, sbiadite. Resta solo una sensazione di confusione e di nervi tesi: esattamente il contrario di quello che volevamo quando ci siamo imbarcati in questa sfida di Governo.

La battaglia sulla prescrizione è diventata surreale: i dati del Ministero della Giustizia ci dicono che, tra quelli prescritti, 3 processi su 4 si prescrivono prima della sentenza di primo grado. Vogliamo davvero un sistema più efficiente ed equo?

E allora invece di perdere tempo con il solito balletto di dichiarazioni, portiamo in Parlamento una seria riforma del processo. Rivediamo le nullità, le notifiche, i riti alternativi, il dibattimento, le impugnazioni: in breve tutte quelle cose che concretamente rendono ingestibile il numero e la durata dei processi. È per questo che ci sono innocenti che restano imputati a vita e tanti, troppi colpevoli che la fanno franca.

Vorrei vedere la stessa determinazione di queste ore sui temi che davvero toccano la vita delle persone: gli esuberi di Ilva, Alitalia e Ubi Banca, le crisi aziendali, i decreti sicurezza, lo Ius Culturae; fondi per i disabili, per le famiglie, la scuola, la lotta alla criminalità organizzata, il dissesto idrogeologico e l’emergenza climatica. Insomma, soluzioni concrete per gli italiani in difficoltà.

Pensate, ad esempio, che le piazze delle sardine su cui cercate di mettere il cappello siano piene per le polemiche sul Mes e per la riforma della prescrizione? O chiedono una politica che ritrovi misura, serietà, empatia e sensibilità con la parte di Paese che non vuole finire nelle mani della destra?

Cari Luigi, Nicola, Matteo smettiamola di guardare i sondaggi e minacciare elezioni. Non vi sopporto più io, figuriamoci gli elettori.

Disabilità. Necessaria strategia comune tra ricerca, istituzioni, associazioni, famiglie

Intervento del 2 dicembre 2019 al convegno Anffas, in occasione della giornata internazionale delle persone con disabilità

Sono contento di essere qui stamattina e ringrazio di cuore il presidente Speziale per avermi invitato. Purtroppo i numerosi impegni di oggi mi impediscono di rimanere ma ci tenevo davvero a portare il mio saluto, soprattutto considerando il rapporto che ci lega da molto tempo. Fate un lavoro straordinario ed è difficile trovare le parole giuste per darvi riconoscimento che meritate.

Il vostro convengo rappresenta una occasione preziosa: un momento di con-fronto e riflessione tra esperti di caratura internazionale per approfondire un tema che dovrebbe essere al centro dell’azione politica di qualunque Paese che si voglia definire civile. Dal canto mio vorrei brevemente proporre alcuni spunti di riflessioni che mi augurano possano essere utili nei lavori di questa due giorni.

In questi ultimi anni abbiamo fatto dei passi in avanti nel misurarci con il tema della disabilità ma molto ancora possiamo fare per rispondere alle necessità di migliaia di persone e delle loro famiglie. Se è vero infatti che la disabilità – non importa quale sia la sua causa – rappresenta la condizione di vita di una persona, è altrettanto vero che molto di può fare per costruirle intorno un ambiente il più possibile favorevole.

Voi che vi occupate quotidianamente e da molti anni di questi temi sapete come sogni e ambizioni di molti disabili si infrangano anche solo davanti ad una semplice barriera architettonica. Voi sapete bene che la qualità di vita di chi ha, ad esempio, una malattia rara a Milano – una città dotata di grandi ospedali e centri diurni capaci di prendere in carico un paziente in maniera strutturata – sono sicuramente migliori di chi vive la stessa condizione in un piccolo centro del Sud Italia.

Il punto, dunque, non è tanto la disabilità in sé ma la capacità della nostra comunità di articolare una risposta sempre più adeguata per diminuire il più possibile il grado di difficoltà che una persona disabile inevitabilmente deve affrontare. Questo ambizioso obiettivo non può essere raggiunto se non at-traverso una strategia comune che determini una sinergia positiva tra ricerca scientifica, istituzioni territoriali e nazionali, associazioni e famiglie.

Viviamo un’epoca straordinaria. Assistiamo quasi quotidianamente a passi da gigante impensabili fino a qualche anno fa in termini di cure e terapie. Le nuove tecnologie possono inoltre fare la differenza nel rendere reale il meraviglioso articolo 3 della nostra Costituzione, dove si dice che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno svi-luppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Mi piacerebbe allora che, quando si parla di politiche multilivello per la disabilità, si ragionasse di più e meglio su come incentivare la produzione di tecnologie avanzate e di come agevolarne l’acquisto.

Sarebbe sbagliato continuare a proporre soluzioni di corto respiro, o che non coinvolgano in maniera sistemica le centinaia di enti ed associazioni che ogni giorno fanno un ottimo e prezioso lavoro; sarebbe altrettanto miope non valorizzare al massimo l’esperienza e il valore sociale delle migliaia di persone che fanno volontariato e che colmano con la propria passione e con il proprio impegno i vuoti lasciati dall’azione delle istituzioni; sarebbe ancora più grave se – sotto un profilo strettamente normativo – non si desse continuità, risorse ed efficacia ad alcune misure come il dopo di noi o la riforma del terzo settore che sono stati passi in avanti incredibili ma non sufficienti se destinati a rimanere senza un seguito.

È innegabile che affrontare una condizione complicata non sia semplice ma non per questo bisogna pensare alla disabilità solo in termini negativi. La disabilita è e può essere un valore per l’intera collettività. Faccio due esempi concreti: una scolaresca che abbia trai suoi studenti un ragazzo o una ragazza con disabilità, ha mediamente un rendimento migliore. Le porte automatiche scorrevoli, al pari di molte altre tecnologie oggi comunemente diffuse, sono state pensate per consentire ai non vedenti di essere un po’ più indipendenti e liberi nella loro quotidianità.

Ci sarebbero molte altre riflessioni e valutazioni da fare ma non vorrei rubare troppo tempo a quanti interverranno nel corso di questa giornata. Vi saluto e ringrazio dal profondo del cuore, augurando a ciascuno di voi buon lavoro.

Basta assistenti parlamentari in carcere

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Intervista del 5 novembre 2019 su Il Fatto Quotidiano

Giuseppina Occhionero è stata eletta con Liberi e Uguali (LeU), il raggruppamento dell’ex procuratore Pietro Grasso. Poi nell’ottobre scorso è passata nelle file renziane di Italia Viva. Come collaboratore aveva scelto Antonino Nicosia, fermato ieri con l’accusa di associazione mafiosa. Il decreto di fermo è stato firmato dal procuratore aggiunto Paolo Guido, il magistrato che con Grasso ha condiviso il lavoro a Palermo quando ques t’ultimo era capo della Procura.

Grasso lei ha mai incontrato Nicosia?
Mai conosciuto.

E i suoi rapporti con la Occhionero?
L’ho incontrata poche volte, solo alle riunioni di gruppo. Prima della sua elezione non la conoscevo personalmente e anche dopo non c’è stata occasione di lavorare assieme. Se me lo avesse chiesto, le avrei certamente consigliato grande prudenza e la massima attenzione. Anche solo una visita in carcere ai detenuti, quando non si conoscono i propri collaboratori o i codici mafiosi, può avere grandi conseguenze.

Ha provato imbarazzo, come capo di LeU, per questa vicenda?
Assolutamente no, Nicosia era collaboratore, peraltro allontanato, della Occhionero, non mio. E poi ci sono le intercettazioni in cui si evince che era lui ad essere in difficoltà: si preoccupava del fatto che avrei potuto scoprire i suoi precedenti penali. Questa inchiesta però dimostra anche altro: ossia che Cosa Nostra cerca ancora i rapporti con la politica, continua ad infiltrarsi nelle istituzioni. LeU imbarazza chi vuole infiltrarsi: è un dato positivo. E noi ne siamo orgogliosi.

Secondo i pm palermitani ci sono anche conversazioni in cui si evince che Nicosia cercava altri sponsor politici perchè essere associato a lei lo “avrebbe messo in difficoltà con l’associazione mafiosa”. I politici dovrebbero fare maggiori controlli sui propri collaboratori?
Io l’ho sempre fatto, ma sui miei collaboratori. Però una volta che il parlamentare viene eletto, la gestione della propria funzione non è sottoposta a un controllo del gruppo politico o del partito. È cura di chi si avvale dei collaboratori sapere chi si mette dentro. Io sono stato pure presidente di una commissione per l’ammissione dei candidati.

Per i pm grazie alla presenza della deputata, Nicosia avrebbe potuto incontrare i detenuti “al di fuori di qualsivoglia controllo da parte della polizia penitenziaria”. Vi è bisogno di più controlli durante le visite ispettive in carcere?
I parlamentari devono controllare che vengano rispettati i diritti dei detenuti. Bisogna tutelare questa funzione. Ma i politici devono essere accompagnati dalla polizia penitenziaria e dal direttore del carcere. Posso parlare solo delle condizioni di vita in cella, se si parla di altro deve essere segnalato. Io però sono dell’idea di evitare l’i ngresso dei collaboratori. Maggiore attenzione poi quando i contatti sono con chi si trova al 41 bis: i detenuti al carcere duro non devono avere alcune possibilità di comunicare su temi al di fuori delle condizioni carcerarie, neanche durante le visite ispettive dei parlamentari.

Istituita commissione straordinaria contro razzismo, odio e violenza

Intervento del 30 ottobre 2019 sull’istituzione della Commissione straordinaria proposta dalla Senatrice Liliana Segre 

Presidente, colleghi,
voglio innanzitutto ringraziare la senatrice Liliana Segre per aver presentato la mozione per l’istituzione di una Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, che con convinzione ho firmato insieme a tanti colleghi.

Tali fenomeni non sono nuovi, né sono il frutto di Internet o dei social network, come una lettura superficiale vuol far sembrare. Covano da sempre nelle nostre società, crescono nell’ombra, e nei momenti di crisi possono far riemergere dalle tenebre del passato fantasmi, sentimenti, parole d’ordine, emulazioni e scorciatoie pericolose.

La predicazione dell’odio viene amplificata e propagata dai mezzi di comunicazione disponibili: se i totalitarismi del ventesimo secolo si sono serviti di radio, cinema e giornali, oggi a fare da megafono è senza dubbio Internet e i social network, dove il fenomeno esplode in tutta la sua evidenza come sintomo, ma non è lì che nasce.

Negli ultimi giorni una notizia ha colpito me, e credo tutti noi: una madre ha denunciato alle autorità un gruppo WhatsApp intitolato “The Shoah Party”, in cui venivano condivise frasi, video, immagini inneggianti al nazismo, al razzismo, all’antisemitismo, all’Isis e contenuti pedopornografici: un calderone del peggio che si può trovare online gestito da un quindicenne e con la maggior parte dei membri minorenni.

E’ evidente che la lunga serie di mancanze in questa storia parte dalle famiglie, dalla comunità educante, in generale dagli adulti. Così come è chiaro che la prima regola disattesa, nella complicità generale, è quella sull’età minima di iscrizione alle diverse piattaforme social.

Allo stesso tempo è fuorviante e ridicolo pensare di poter regolamentare tale accesso mediante documenti di identità: primo perché rappresenta una ulteriore cessione di dati a piattaforme private – i documenti appunto – con rischi di furti di identità, secondo perché Internet non ha confini, i social sono internazionali e qualsiasi tipo di limitazione su base nazionale potrà essere facilmente aggirata da un qualsiasi dodicenne di media intelligenza.

Da adulto credo che questo sia un problema enorme del tempo che viviamo. Dobbiamo usare parole di chiarezza, per non ridurre questo nostro dibattito e il lavoro della Commissione che oggi andiamo ad istituire ad un modo ipocrita per lavarci la coscienza da un lato, mentre dall’altro non facciamo nulla di concreto per sradicare l’ignoranza, la rabbia e le convinzioni che sono alla base di questi fenomeni.

Molti di noi avranno visto l’approfondimento che Report ha dedicato alle tecniche di manipolazione online gestite e pagate da gruppi politici e si saranno sorpresi nel vedere che alcune azioni erano mirate a un target di minorenni.

Possiamo fare Commissioni, convegni, discorsi profondi e alzate di scudi, ma finché verranno consentiti e sfruttati per convenienza elettorale tali modalità, cari colleghi, l’apporto della politica non aiuterà la soluzione ma anzi aggraverà il problema. Quante volte i profili social di esponenti politici hanno propagandato notizie di cronaca basate su elementi che si sono rivelati falsi, pur di lucrare consenso? Moltissime. E quante volte si è avuta una rettifica da parte degli stessi profili? Nessuna.

Lo sfruttamento di queste tecniche, lo stillicidio quotidiano in cui si mischiano notizie vere e false, termini ingiuriosi, minacce fasulle e dati spropositati, ha negli anni atrofizzato il nostro senso civico. D’altra parte, i discorsi e gli atti discriminatori e razzisti, non poche volte fomentati o compiuti da politici e amministratori, si vanno a tal punto moltiplicando e banalizzando che il razzismo rischia di divenire senso comune. Un senso comune costantemente rafforzato dal ruolo svolto dai mezzi di comunicazione di massa, potenti ripetitori e amplificatori di tale senso comune, che troppo spesso viene legittimato e incrementato.

Ciò che un tempo era socialmente inaccettabile ora viene rivendicato con orgoglio e accettato con indifferenza. Ma la discriminazione, il razzismo, il linguaggio d’odio va studiato e contrastato, analizzato per ciò che è e ciò che a volte diventa: non solo un insieme di idee, opinioni, rappresentazioni, stereotipi, pregiudizi, né solo un sistema di idee che orienta l’azione, ma la premessa per gravi comportamenti di discriminazione, segregazione, rifiuto, disprezzo e aggressione.

Anche grazie all’istituzione di una Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, fenomeni come xenofobia e razzismo, saranno al centro dell’attenzione politica e istituzionale. Infatti, sono utili le raccolte di dati statistici e soprattutto gli approfondimenti basati sull’osservazione di casi empirici e sulla raccolta di testimonianze delle vittime e degli artefici, di situazioni di discriminazione e razzismo.

Senatrice Segre: conosciamo bene la sua storia, la sua forza: gli insulti che riceve ogni giorno non hanno il potere di turbarla, e questa è una ulteriore lezione che ci offre, ma mi consenta di testimonarle, oltre al ringraziamento per questa proposta, anche la nostra vicinanza e il nostro affetto.

La gerarchia dell’ostilità e del disprezzo generalmente cambia in relazione al clima sociale e politico, all’orientamento degli organi di informazione, all’atteggiamento delle istituzioni, a certi eventi nazionali e internazionali, e alla traduzione che ne fanno i mezzi di comunicazione di massa. Dobbiamo avere a cuore qualsiasi persona sia oggetto di razzismo, e la consapevolezza – ce lo insegna la storia – che ciascuno di noi, per una sola delle sue caratteristiche, potrebbe diventarne vittima.

Per vincere questa battaglia c’è bisogno di grande senso critico e di proposte concrete, con una attenzione prioritaria verso l’educazione e la scuola, che si è attrezzata già da tempo per affrontare questi problemi senza tacerli o sottovalutarli.

Per questi motivi annuncio il voto favorevole di Liberi e Uguali.

Troppe minacce ai giornalisti

Intervento al convegno di Ossigeno per l’informazione in occasione della Giornata mondiale ONU per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti

Autorità, gentili ospiti,
è ormai una tradizione consolidata per me intervenire agli incontri di Ossigeno, di cui sono socio onorario ormai da qualche anno, in occasione della giornata indetta dall’Onu, che evidenzia la dimensione globale dei problemi relativi alla libertà di stampa e alla tutela dei giornalisti.

In ogni parte del mondo infatti, anche nelle più evolute e moderne democrazie, ci sono giornalisti intimiditi, minacciati, ingiustamente querelati, aggrediti e uccisi. Solo nel nostro Paese tra agosto e metà ottobre Ossigeno ne conta ben 45. Quante volte ne abbiamo parlato negli ultimi anni? Quante volte abbiamo sostenuto insieme questa battaglia, che non è una battaglia di categoria o sindacale, ma una battaglia per la democrazia e la legalità. L’impegno di Ossigeno, riconosciuto come buona pratica anche a livello europeo e internazionale, è stato determinante nel far emergere il tema della libertà di stampa e della tutela degli operatori dell’informazione come questione politica e culturale, tanto da aver dato vita a quella che viene chiamata “scorta civica” e che è la dimostrazione dell’impegno e dell’attenzione dei cittadini verso questo tema.

Sia da magistrato che da presidente del Senato, e oggi da Senatore, ho sempre avuto la massima attenzione per la tutela dei giornalisti. Ne ho conosciuti tanti che rischiavano davvero la vita, so bene come sia cambiata la loro vita e il loro modo di lavorare, con tutto ciò che ne consegue anche a livello umano e familiare oltre che professionale. Ho sempre visto un parallelismo tra il magistrato, l’inquirente, e il giornalista investigativo: nelle modalità di indagine e nella volontà di scoprire quanto viene abilmente nascosto, pur con una differenza fondamentale negli obiettivi finali. Da un lato infatti la scoperta del reato e la condanna di chi l’ha commesso, dall’altro la verità del fatto, con tutte le sue implicazioni. Non sempre, infatti, la verità processuale e la verità giornalistica (o storica) coincidono, ma una è sostegno e complemento dell’altra. Non serve a questa platea ricordare quanto un giornalismo serio, professionale, coraggioso, sia essenziale per imporre – ripeto: imporre – il buon governo e la buona amministrazione.

Oggi, tra gli altri, il convegno è dedicato a due casi particolari, due giornalisti messi sotto tutela per motivi diversi e entrambi molto gravi.
Paolo Berizzi, cronista di Repubblica, che è da mesi sotto attacco per aver raccontato il mondo dell’estrema destra con le sue inchieste e nel suo libro Nazitalia. L’odio e le minacce contro di lui sono l’unico argomento su cui le tifoserie – storicamente avversarie – sono d’accordo: un triste primato. Quanto a lungo si continuerà a sottostimare il fenomeno di formazioni autodichiaratesi fasciste? Le aggressioni sono continue, l’attenzione no. Per questo voglio ringraziare Berizzi, che non ha mai smesso di raccontare quanto si agita nel mondo dell’estrema destra e le sue connessioni con esponenti e partiti politici.

L’altro caso è davvero paradossale: Nello Scavo su Avvenire, di cui saluto il direttore qui presente, ha pubblicato una notizia e una foto davvero sconcertanti, quella del trafficante di essere umani Bija in amabile compagnia con delegati del Governo e del Ministro dell’Interno a maggio 2017, negli stessi giorni in cui l’Italia stava negoziando con le sedicenti autorità libiche per bloccare la partenza di migranti e profughi. Uno scoop che ha avuto risonanza internazionale ma scarsa attenzione interna, mi viene da dire, perché nessuno ha convenienza ad arrivare alle responsabilità politiche di quelle scelte, che fra pochi giorni saranno automaticamente rinnovate se non interveniamo per tempo. Il paradosso, l’assurdo mi viene da dire, è che lo Stato ha messo sotto tutela Nello Scavo per le minacce di quelle che era a tutti gli effetti un suo interlocutore e alleato. Anche qui mi chiedo: quanto a lungo potremo continuare a far finta di niente sulle responsabilità italiane di quanto avviene in Libia?

Concludo, ma non posso non aggiungere due parole su un tema che verrà trattato più tardi, perché riguarda una testata e persone che mi sono care.

L’Ora è stato un punto di riferimento sul quale si è coagulato il primo nucleo dell’antimafia della speranza e della consapevolezza perché ha interpretato la necessità di raccontare senza compromessi il groviglio di interessi tra mafia e politica che soffocava lo sviluppo delle nostre città e ne consumava l’anima.

C’è un titolo che, a mio parere, dice moltissimo: “quando il potere è silenzio e il silenzio è potere”. E’ una dichiarazione di intenti, una missione, un modo di intendere il giornalismo come fulcro del divenire democratico e come autorevole strumento per arginare l’arroganza di chi, oggi come allora, si considera superiore alla legge. Ben prima del resto dei giornali, delle istituzioni, della società civile e dei media – che avrebbero compreso la dimensione e la profondità del fenomeno con alcuni decenni di ritardo – la redazione dell’Ora aveva avuto l’intuizione di delineare il carattere più intimo della criminalità organizzata; poche, significative parole: “La mafia dà pane e morte”.

Ci voleva senza dubbio molto coraggio a sbattere in prima pagina la foto di Luciano Liggio, la primula di rossa di Corleone, allora appena trentatrenne. La prima grande inchiesta su ‘cosa nostra’ segnò una svolta fondamentale e non tardò ad arrivare la reazione. L’attentato alla redazione fu un gesto forte ma la risposta del giornale non fu da meno: “la mafia ci minaccia, l’inchiesta continua”. Una missione, quella di non cedere alla paura e al ricatto violento dei mafiosi, pagata a carissimo prezzo. Sono tre i giornalisti dell’Ora che sono stati uccisi: Mauro De Mauro, Cosimo Cristina, Giovanni Spampinato. Il loro lavoro, l’impegno e la professionalità che animava i loro pezzi rappresenta per intere generazioni di giornalisti un esempio di passione e competenza che – per fortuna – non abbiamo dimenticato.
Tutto questo era possibile grazie ad una straordinaria redazione che, negli anni, è stata fucina di molti talenti del giornalismo italiano, uno dei quali, Marcello Sorgi, vi racconterà tra poco la sua storia e la sua esperienza.

Buon lavoro.

Riforma della giustizia. Le mie proposte su prescrizione e Csm

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Intervista rilasciata al Il Fatto Quotidiano dell’11 ottobre 2019

Sulla prescrizione si litiga ancora. Pietro Grasso non nasconde un certo fastidio: “Bonafede – spiega – ha detto più volte che la crisi dei gialloverdi è nata dal veto della Lega sulla riforma della giustizia. Ecco, sembra quasi che la nuova maggioranza voglia ricalcare la linea di Salvini e compagni”.

LeU è l’unico gruppo che sostiene Bonafede sulla prescrizione.
Io chiedevo il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado già quando ero magistrato. È una questione di coerenza personale. Le dico di più: era nel programma del Pd nel 2013. E lo stesso Andrea Orlando, quando presiedeva il Forum Giustizia, era perfettamente d’accordo con questo principio, come è ben documentato nei lavori del forum.

Cosa è cambiato da allora per Orlando e compagni?
Probabilmente lui vuole difendere la riforma che ha fatto approvare da ministro nella precedente legislatura, che ha provocato il congelamento della prescrizione per 18 mesi. È stata una scelta politica al ribasso: in quella maggioranza c’era da mediare con Alfano. Il risultato è che sono stati allungati i tempi della prescrizione senza minimamente accorciare quelli dei processi. Che è invece l’obiettivo della legge delega di cui stiamo discutendo.

Cosa risponde a chi sostiene – come gli avvocati penalisti – che la riforma della prescrizione produrrà il “fine processo mai”?
La norma sulla prescrizione serve a stabilire un punto fermo da cui partire per intervenire sull’intero sistema processuale. L’obiettivo di fondo è far arrivare meno procedimenti possibili al dibattimento. La sfida è migliorare l’efficienza del sistema, riuscendo a preservare le garanzie della difesa. Oggi il 75% dei processi si prescrive prima del primo grado. Bisogna lavorare quindi sui “colli di bottiglia” che generano gli arretrati.

Renzi vorrebbe “salvare” la prescrizione almeno per gli imputati assolti in primo grado. È d’accordo?
Per la Costituzione la presunzione di innocenza è tale fino alla sentenza definitiva. E questo vale tanto per l’innocente quanto per il colpevole: non ci può essere una distinzione in questo senso.

Bonafede ha dichiarato che con la sua riforma l’80% dei processi penali saranno chiusi in 4 anni. Somiglia un po’ a Di Maio che abolisce la povertà, non trova?
(sorride) Il paragone è calzante. La riforma Bonafede prevede i seguenti termini: due anni per il primo grado, un anno per l’appello e un anno per la Cassazione. Con le condizioni attuali del processo, mi pare un obiettivo totalmente utopico. Se si facessero tutti gli interventi giusti, forse si potrebbe arrivare a rispettare i termini della legge Pinto: 4 anni per il primo grado e un anno a testa per appello e Cassazione. Sei anni in tutto. Non vanno posti obiettivi irraggiungibili, altrimenti si verrà accusati di non mantenere le promesse.

Cosa ne pensa dell’azione disciplinare per le toghe “negligenti”?
Non è solo un problema di negligenza: bisogna aumentare le risorse, migliorare l’organizzazione, guardare al numero e alla complessità dei casi assegnati. Io in tre anni da giudice del maxi processo su Cosa Nostra ho fatto solo quel processo… sarei stato passibile di azione disciplinare? Certo, i negligenti vanno puniti, ma la sanzione va ancorata a principi obiettivi.

C’è polemica anche sul sorteggio dei giudici del Csm.
Credo che quella norma rischi di essere incostituzionale, senza nemmeno risolvere il problema delle correnti nel Csm.

E come si risolve?
In Italia ci sono 145 Tribunali. La mia proposta è creare 150 piccoli collegi basati sul numero di magistrati, sulla continuità territoriale e tenendo conto dei tribunali più grandi. Così i magistrati, conoscendo i colleghi, possano scegliere sulla base della stima e del merito. Tra i delegati si passa ad un’elezione di secondo livello: il Ministero disegna un numero di circoscrizioni – sugli stessi criteri – pari ai togati da eleggere al Csm. I delegati votano al proprio interno, dapprima con maggioranza qualificata poi con eventuale ballottaggio, il rappresentante al Csm. In questo modo è difficile immaginare accordi correntizi. Approssimando molto, la sintesi è “ogni tribunale un delegato, ogni dieci delegati un membro del Csm”.

Com’è il bilancio di queste prime settimane di governo?
In chiaroscuro. Sullo ius culturae si fischietta, sui decreti sicurezza si tace, quota 100 si conferma, sul blocco della prescrizione si protesta: dov’è la discontinuità? Portare avanti l’agenda Salvini mentre lui fa opposizione e dover rispondere ogni giorno alle provocazioni di pezzi della maggioranza è un massacro. Servono più coraggio e più forza.

Ergastolo ostativo, CEDU sottovaluta pericolosità mafie italiane

Intervista al Corriere della Sera dell’8 ottobre 2019

«Sì, è vero, anch’io posso ritenermi una vittima di Giovanni Brusca, perché ha progettato un attentato contro di me e voleva rapire mio figlio; ma pure perché tra le centinaia di persone che ha ucciso o di cui ha ordinato la morte c’erano alcuni miei amici. Ma è pure vero che queste cose le sappiamo grazie a lui, alla sua collaborazione e confessione. Le ha dette anche a me, durante decine di interrogatori».

Pietro Grasso è stato il giudice a latere del maxi-processo alla mafia, poi procuratore di Palermo e procuratore nazionale antimafia, prima di entrare in politica con il Partito democratico, diventare presidente del Senato e fondare Liberi e uguali. Conosce bene il pentito che chiede di finire di scontare la sua pena in detenzione domiciliare.

Lei è favorevole è contrario a questa concessione?
«La decisione è andata nelle mani giuste: quelle dei giudici, e non credo che la mia opinione dovesse in qualche modo condizionare la decisione presa. I giudici devono emettere un provvedimento sul piano tecnico, senza essere influenzati dai sentimenti delle vittime».

Il tribunale di sorveglianza ha già detto no, motivando il rigetto anche con il fatto che Brusca non ha chiesto perdono nemmeno a lei.
«Dopodiché Brusca ha fatto ricorso ed è toccato alla Cassazione: la via giudiziaria è quella corretta. Quando ho avuto a che fare con lui avevo l’obiettivo di cercare la verità. Non mi sono preoccupato di ottenerne le scuse o richieste di perdono, la legge per “ravvedimento” intende altro. Lui ha deciso di collaborare con la giustizia, rompendo ogni legame con Cosa nostra, rendendo dichiarazioni che hanno trovato riscontri e conferme. Il “pentimento sociale” richiesto dai giudici di sorveglianza secondo me è rappresentato anche dalla collaborazione che non s’è interrotta in oltre vent’anni, perché ha aiutato a scoprire la verità su ciò che era avvenuto e impedito ulteriori crimini».

Però Maria Falcone e Tina Montinaro, sorella del magistrato e vedova del caposcorta che saltò in aria con lui a Capaci, sono contrarie a un ulteriore beneficio.
«Condivido il loro dolore e la loro rabbia, ma so anche che i giudici per fare il loro dovere sono tenuti ad applicare le norme prescindendo dai sentimenti delle vittime, per dimostrare che l’ordinamento statale opera secondo giustizia e mai secondo vendetta. Per me è stato giusto che Riina e Provenzano siano rimasti in carcere fino alla loro morte, ma uno come Brusca non si può valutare alla stessa maniera. Ha scontato oltre 23 anni in carcere, e tra due anni la pena sarà esaurita, gode già di permessi che per certi versi gli concedono più spazi di libertà rispetto alla detenzione domiciliare: è la dimostrazione che collaborare paga. I magistrati hanno avuto tutti gli elementi per decidere, e io rispetto qualsiasi decisione».

Anche lei è preoccupato per il rischio che l’ergastolo ostativo, che impedisce la concessioni dei benefici a mafiosi e terroristi non pentiti, venga bocciato senza appello dalla Corte europea dei diritti umani?
«Sì, perché non sono sicuro che a livello europeo, attraverso la sola lettura delle carte, si riesca a percepire fino in fondo la pericolosità e l’incidenza della criminalità organizzata in Italia».

Poi toccherà alla Consulta a decidere, la Costituzione prevede il reinserimento sociale di tutti i detenuti.
«Lo so bene, ma un mafioso non può reinserisi se non rompe le regole dell’organizzazione criminale, e questo si dimostra solo collaborando con lo Stato. Inoltre la norma concede la possibilità di accedere ai benefici anche a chi dimostra di non avere più legami con l’ambiente criminale pur non potendo fornire nuovi elementi ai magistrati».

Ma l’abolizione del divieto non significherebbe scarcerazione automatica, sarebbero sempre i giudici a valutare caso per caso.
«È vero, tuttavia non sempre i tribunali di sorveglianza hanno la possibilità di conoscere a fondo le storie criminali dei singoli soggetti. In ogni caso la strada per uscire dall’ergastolo ostativo c’è già, e ovviamente dipende dallo spessore criminale dei singoli detenuti. Ma vorrei ricordare anche un altro particolare».

Quale?
«L’abolizione dell’ergastolo era uno dei punti del papello di richieste che Riina pretendeva dallo Stato per fermare le stragi. Ce l’ha raccontato proprio Giovanni Brusca».

Governo gialloverde ha fallito. Doveroso ragionare su cambio agenda

Intervento sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio Conte in merito alla crisi di governo

Presidente Conte, colleghi,

stiamo affrontando questo dibattito oggi perchè il sen. Salvini, incredibilmente ancora Ministro – perché il potere è più forte della dignità – ha dichiarato finita l’esperienza di Governo, pentendosene amaramente appena ha capito che i pieni poteri li ha forse al Papeete ma non in Parlamento. E’ davvero patetico leggere di “telefoni sempre accesi”, come se si trattasse della crisi adolescenziale di un amore estivo e non del Governo del nostro Paese.

Nonostante tutto, non posso nascondere il sollievo, al netto di clamorose retromarce, della fine del Governo da lei presieduto. Al di là della considerazione personale per il suo stile pacato e ragionevole – e del ringraziamento che voglio pubblicamente riconoscerle per aver tenuta ferma la volontà di venire in quest’Aula ed affrontare in maniera trasparente questo passaggio – in questi mesi l’azione del Governo ha avuto un solo grande “dominus”, e sulla base del compromesso continuo con le istanze leghiste avete permesso che troppi strappi venissero fatti alle Istituzioni, alla Costituzione, al confronto democratico, allo stesso tessuto civile del nostro Paese.

Pochi giorni fa eravamo in quest’Aula e avete messo la fiducia sul Decreto Sicurezza Bis, la cui bocciatura è arrivata ben prima di quanto pensassimo: non dalla Corte Costituzionale ma dal Tribunale Amministrativo del Lazio. Anche per essere cattivi è necessario essere intelligenti, preparati e competenti.

Ripeto oggi, alla sua presenza, quello che ho detto il 6 agosto: non vi accorgete anche voi che gli animi sono troppo agitati? Lo stile delle “zingaracce”, degli attacchi ai giornalisti, ai critici, agli avversari, ha portato la nostra comunità oltre l’orlo di una crisi di nervi, e una campagna elettorale continua è quanto di più irresponsabile possa esserci in questa condizione.

C’è bisogno di altro.
C’è bisogno di ricucire i lembi spezzati della nostra società.
C’è bisogno di rilanciare il Sud, da cui negli ultimi anni sono scappate due milioni di persone.
C’è bisogno di ripartire dal lavoro, dal rapporto coi sindacati, con gli imprenditori, con gli artigiani e le partite Iva per ridare slancio a un’economia ferma.

C’è bisogno di tornare a parlare di sicurezza non promettendo armi e vendetta, ma tutela, giustizia e certezza delle pene.
C’è bisogno di tornare ai tavoli internazionali non attraverso le dirette Facebook, ma con proposte utili e ragionevoli.
C’è bisogno di un contrasto efficace all’evasione fiscale, alla criminalità organizzata, alle lungaggini dei processi.

C’è bisogno di chiudere la stagione dei selfie e dei proclami sulle spiagge, della rivendicazione dei pieni poteri, dell’odio, dell’indifferenza.
C’è bisogno di riscrivere l’agenda del Paese guardando in faccia i veri problemi, non nascondendoli dietro presunte emergenze.
C’è bisogno di tornare alla politica, fermando le Bestie che sui social aizzano i cittadini gli uni contro gli altri. Un massacro in cui – amaramente – non vince nessuno.

Appena un anno e mezzo fa gli elettori si sono espressi. Noi abbiamo avversato politicamente il Governo gialloverde nato da un accordo tra la prima forza parlamentare e la terza, ma mai – mai! – l’abbiamo considerato una truffa ai danni dei cittadini: è la nostra democrazia parlamentare. E’ allora legittimo e giusto che questo stesso Parlamento da oggi esplori ogni possibilità, non per fame di potere o per paura della democrazia ma proprio per essere all’altezza della Costituzione e del lavoro dei padri e delle madri costituenti.

Ma, lo dico senza infingimenti e con la stessa chiarezza, da uomo che ha servito queste Istituzioni per tutta la vita: l’Italia non ha bisogno di un accordicchio, di un esecutivo dal corto respiro dominato da tatticismi e posizionamenti elettorali. Se questo Parlamento invece desse vita ad un Governo pronto a ribaltare l’agenda attuale e lavorare, seriamente, nell’interesse di tutti, allora non avremmo solo il diritto di ragionarne ma il dovere storico di provarci, di non risparmiare qualunque tentativo di cambiare per davvero il segno di questi tempi. Solo in quel caso, a quel Governo darei il mio personale, convinto e fiero voto di fiducia.

Per ragionare su questo scenario però è necessario un passaggio ineludibile: Presidente Conte, salga al Quirinale. Non attenda oltre. Rimetta il suo mandato nelle sagge mani del Capo dello Stato. Questa maggioranza, questa maionese impazzita gialloverde – questo groviglio di dichiarazioni in cui dite tutto e il contrario di tutto – non merita di rimanere alla guida del Paese un minuto in più. Avete fallito.