Troppe minacce ai giornalisti

Intervento al convegno di Ossigeno per l’informazione in occasione della Giornata mondiale ONU per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti

Autorità, gentili ospiti,
è ormai una tradizione consolidata per me intervenire agli incontri di Ossigeno, di cui sono socio onorario ormai da qualche anno, in occasione della giornata indetta dall’Onu, che evidenzia la dimensione globale dei problemi relativi alla libertà di stampa e alla tutela dei giornalisti.

In ogni parte del mondo infatti, anche nelle più evolute e moderne democrazie, ci sono giornalisti intimiditi, minacciati, ingiustamente querelati, aggrediti e uccisi. Solo nel nostro Paese tra agosto e metà ottobre Ossigeno ne conta ben 45. Quante volte ne abbiamo parlato negli ultimi anni? Quante volte abbiamo sostenuto insieme questa battaglia, che non è una battaglia di categoria o sindacale, ma una battaglia per la democrazia e la legalità. L’impegno di Ossigeno, riconosciuto come buona pratica anche a livello europeo e internazionale, è stato determinante nel far emergere il tema della libertà di stampa e della tutela degli operatori dell’informazione come questione politica e culturale, tanto da aver dato vita a quella che viene chiamata “scorta civica” e che è la dimostrazione dell’impegno e dell’attenzione dei cittadini verso questo tema.

Sia da magistrato che da presidente del Senato, e oggi da Senatore, ho sempre avuto la massima attenzione per la tutela dei giornalisti. Ne ho conosciuti tanti che rischiavano davvero la vita, so bene come sia cambiata la loro vita e il loro modo di lavorare, con tutto ciò che ne consegue anche a livello umano e familiare oltre che professionale. Ho sempre visto un parallelismo tra il magistrato, l’inquirente, e il giornalista investigativo: nelle modalità di indagine e nella volontà di scoprire quanto viene abilmente nascosto, pur con una differenza fondamentale negli obiettivi finali. Da un lato infatti la scoperta del reato e la condanna di chi l’ha commesso, dall’altro la verità del fatto, con tutte le sue implicazioni. Non sempre, infatti, la verità processuale e la verità giornalistica (o storica) coincidono, ma una è sostegno e complemento dell’altra. Non serve a questa platea ricordare quanto un giornalismo serio, professionale, coraggioso, sia essenziale per imporre – ripeto: imporre – il buon governo e la buona amministrazione.

Oggi, tra gli altri, il convegno è dedicato a due casi particolari, due giornalisti messi sotto tutela per motivi diversi e entrambi molto gravi.
Paolo Berizzi, cronista di Repubblica, che è da mesi sotto attacco per aver raccontato il mondo dell’estrema destra con le sue inchieste e nel suo libro Nazitalia. L’odio e le minacce contro di lui sono l’unico argomento su cui le tifoserie – storicamente avversarie – sono d’accordo: un triste primato. Quanto a lungo si continuerà a sottostimare il fenomeno di formazioni autodichiaratesi fasciste? Le aggressioni sono continue, l’attenzione no. Per questo voglio ringraziare Berizzi, che non ha mai smesso di raccontare quanto si agita nel mondo dell’estrema destra e le sue connessioni con esponenti e partiti politici.

L’altro caso è davvero paradossale: Nello Scavo su Avvenire, di cui saluto il direttore qui presente, ha pubblicato una notizia e una foto davvero sconcertanti, quella del trafficante di essere umani Bija in amabile compagnia con delegati del Governo e del Ministro dell’Interno a maggio 2017, negli stessi giorni in cui l’Italia stava negoziando con le sedicenti autorità libiche per bloccare la partenza di migranti e profughi. Uno scoop che ha avuto risonanza internazionale ma scarsa attenzione interna, mi viene da dire, perché nessuno ha convenienza ad arrivare alle responsabilità politiche di quelle scelte, che fra pochi giorni saranno automaticamente rinnovate se non interveniamo per tempo. Il paradosso, l’assurdo mi viene da dire, è che lo Stato ha messo sotto tutela Nello Scavo per le minacce di quelle che era a tutti gli effetti un suo interlocutore e alleato. Anche qui mi chiedo: quanto a lungo potremo continuare a far finta di niente sulle responsabilità italiane di quanto avviene in Libia?

Concludo, ma non posso non aggiungere due parole su un tema che verrà trattato più tardi, perché riguarda una testata e persone che mi sono care.

L’Ora è stato un punto di riferimento sul quale si è coagulato il primo nucleo dell’antimafia della speranza e della consapevolezza perché ha interpretato la necessità di raccontare senza compromessi il groviglio di interessi tra mafia e politica che soffocava lo sviluppo delle nostre città e ne consumava l’anima.

C’è un titolo che, a mio parere, dice moltissimo: “quando il potere è silenzio e il silenzio è potere”. E’ una dichiarazione di intenti, una missione, un modo di intendere il giornalismo come fulcro del divenire democratico e come autorevole strumento per arginare l’arroganza di chi, oggi come allora, si considera superiore alla legge. Ben prima del resto dei giornali, delle istituzioni, della società civile e dei media – che avrebbero compreso la dimensione e la profondità del fenomeno con alcuni decenni di ritardo – la redazione dell’Ora aveva avuto l’intuizione di delineare il carattere più intimo della criminalità organizzata; poche, significative parole: “La mafia dà pane e morte”.

Ci voleva senza dubbio molto coraggio a sbattere in prima pagina la foto di Luciano Liggio, la primula di rossa di Corleone, allora appena trentatrenne. La prima grande inchiesta su ‘cosa nostra’ segnò una svolta fondamentale e non tardò ad arrivare la reazione. L’attentato alla redazione fu un gesto forte ma la risposta del giornale non fu da meno: “la mafia ci minaccia, l’inchiesta continua”. Una missione, quella di non cedere alla paura e al ricatto violento dei mafiosi, pagata a carissimo prezzo. Sono tre i giornalisti dell’Ora che sono stati uccisi: Mauro De Mauro, Cosimo Cristina, Giovanni Spampinato. Il loro lavoro, l’impegno e la professionalità che animava i loro pezzi rappresenta per intere generazioni di giornalisti un esempio di passione e competenza che – per fortuna – non abbiamo dimenticato.
Tutto questo era possibile grazie ad una straordinaria redazione che, negli anni, è stata fucina di molti talenti del giornalismo italiano, uno dei quali, Marcello Sorgi, vi racconterà tra poco la sua storia e la sua esperienza.

Buon lavoro.