Decreto sicurezza bis trasforma i tweet di Salvini in legge

Discussione generale del 5 agosto 2019 sul decreto sicurezza bis

Presidente, Colleghi,

ancora una volta questo Governo umilia il ruolo del Parlamento; ancora una volta ci costringe a ratificare un provvedimento – perché è questo che succederà, lo sappiamo tutti – senza poterlo realmente discutere. Non vi è bastato lo scempio della scorsa settimana sul seggio siciliano vacante. Il passaggio in Commissione del Sicurezza Bis è stato fugace e altrettanto succederà qui, dove ovviamente metterete la fiducia: testo blindato, emendamenti ignorati, il compito dei senatori si limiterà a timbrare, qualcuno felice e altri meno, il volere dei capi, anzi del Capitano. Un passo alla volta state trasformando il tempio della democrazia in quell’aula sorda e grigia, in quel bivacco di manipoli evocato in un periodo di cui alcuni, anche qui dentro, provano nostalgia.

Eppure, colleghi della maggioranza, non voglio rinunciare alla possibilità di dirvi che questo Decreto rappresenta il punto più basso della vostra azione di Governo. Mi correggo, il più basso… finora.

Non basta infatti aver messo qualche cosa buona, come l’incremento di risorse per i vigili del fuoco o quelle relative alle operazioni sotto copertura. Non bastano le disposizioni – che in parte mi sento di condividere – sulle manifestazioni sportive. Nulla, davvero nulla, può equilibrare i primi articoli di questo decreto.

Introdurre il pagamento di una multa per chi salva delle vite umane in mare è contro il senso stesso di civiltà. È frutto del clima di odio che artatamente viene creato e alimentato. Sono atteggiamenti che l’umanità ha già vissuto, che magari non si ripresentano nei medesimi termini, ma sono riconoscibili e non meno dannosi: con questa logica avreste multato anche Giorgio Perlasca! Se ne sono accorti anche quei ragazzi di Palermo – ve li ricordate? – che cito solo per dire a quest’aula che la famosa revoca della sospensione alla docente, promessa a reti unificate, non c’è mai stata!

Siamo bombardati da notizie, spesso false, che ci spingono all’odio: molte di queste notizie sono sparate (non uso parole a caso) dai canali social del Ministro dell’interno, da quel numeroso staff della Bestia assunto al Viminale. Ci sentiamo insicuri perché esiste davvero un pericolo o perché ci convincono a forza di allarmi che c’è un pericolo? Di fronte a un problema è facile trovare un colpevole, molto meno proporre una soluzione. E l’abile propaganda quello ci indica, il colpevole del giorno, coprendo col rumore le reali cause dei reali problemi del Paese. Se in pochi anni dal Sud sono fuggite 2 milioni di persone non è per colpa dei migranti!

Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio”: è l’art. 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948.

Coloro che arrivano sono uomini, donne, bambini che hanno bisogno di aiuto; che scappano da quei campi di concentramento in Libia che dovrebbero essere chiusi OGGI STESSO, anzi IERI, dagli organismi internazionali; scappano con traversate pericolose che dovrebbero essere sostituite da corridoi umanitari: questo sì che interromperebbe traffici e criminali! Al contrario si preferisce perseguitare chi, supplendo al ruolo degli Stati e dell’Unione Europea, si adopera per scongiurare sciagure e morti.

Muri, steccati e sanzioni non funzionano, non aumentano la sicurezza. Chiudere i centri e buttare la gente per le strade non funziona, non aumenta la sicurezza.
Indicare sempre come nemico chi sta peggio, basare il proprio consenso sulla paura dell’altro è un modo di pensare che speravo scomparso dalla mentalità degli europei. Sembra non essere così: su queste basi però il consenso si sgonfierà presto, lasciando macerie sul nostro tessuto civile e umano.

Non vi accorgete anche voi che gli animi sono troppo agitati? Non vi spaventano i video di chi si improvvisa controllore sui treni contro gli stranieri? Le urla sulla banchina a una giovane donna come la capitana Reckete? Gli insulti e le minacce sui social? Le sassate ai lavoratori in bicicletta in Puglia? Questi sono gli effetti che la propaganda del Ministro della paura ha sulle persone!

Il nostro Paese ha sottoscritto convenzioni internazionali dalle quali non si può prescindere. Quanto stabilito dalla Costituzione non si può modificare con un Decreto legge. Soprattutto, in mare vige la Legge del mare: ve l’ha spiegata con parole chiarissime un pescatore di Sciacca qualche giorno fa, se solo aveste la capacità – umana prima che politica – di ascoltarlo:

“Possono fare tutti i decreti sicurezza che vogliono, mettere tutte le multe possibili e immaginabili, sequestrarci la barca. Noi non siamo ricchi, siamo dignitosamente pescatori e sottolineo dignitosamente. Conosciamo una sola legge, quella del mare, e non lasceremmo mai nessuno alla deriva. Lo facciamo perché siamo uomini” e ancora, e voglio che queste parole risuonino in quest’Aula, a futura memoria: “Mi chiedo se uno solo dei nostri politici abbia mai sentito, nel buio della notte, nell’enormità del mare, levarsi delle grida d’aiuto disperate. Noi si”.

Non si può criminalizzare, come si sta tentando di fare, il soccorso in mare. Non si può instillare il dubbio, in persone come queste, che salvare sia un reato. La traversata del mediterraneo su barche di fortuna non è un giro in moto d’acqua, cari senatori!
Il fine non giustifica i mezzi. I metodi che state testando sono senza dubbio efficaci nel breve periodo, e magari farà fare a voi il pieno dei voti – quando avrete il coraggio di chiederli, questi voti, invece di sventolare sondaggi – ma questi metodi non sono quelli di uno Stato civile, di diritto.

La politica è una cosa tremendamente seria. Non è con le minacce e con il varo di norme ad situationem (l’articolo sul caso Diciotti, l’articolo sul caso Sea Watch…) che si affrontano problemi epocali.

Questo Decreto traduce in norme i tweet di Salvini: avete fatto dei post Facebook una fonte del diritto!

Esercitate davvero le vostre responsabilità e magari fate anche le vostre politiche, che non condivido, ma con gli strumenti della diplomazia, del diritto e della normativa internazionale. Altrimenti, se ne avete la forza, cambiate tutto. Ma appena varcate i confini, ormai è evidente anche a voi stessi, con questi metodi non avete alcun peso sullo scacchiere europeo, e siete ridicoli su quello internazionale, come Arlecchino provate a servire tutti i padroni, e come Arlecchino vi presentate sempre col cappello in mano, in Russia, negli Stati Uniti, persino in Marocco.

Questo Decreto, soprattutto i primi articoli, va contro le norme internazionali, contro la Costituzione, contro i principi stessi della Dichiarazione universale dei diritti umani. Se solo vi riprenderete dalla sbornia del consenso, difficilmente riuscirete a prendere sonno.

La foto dell’americano bendato in caserma fa male allo Stato

Intervista rilasciata a TPI il 29 luglio 2019

“Che vergogna. Non ho parole: ha notato che la prima versione della foto era tagliata in modo che sulle pareti del comando non si vedessero le foto di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino? Chi l’ha diffusa sapeva che questo prigioniero bendato e ammanettato era, è, una bestemmia contro il diritto, contro lo Stato, contro la legalità e la Costituzione”. Pietro Grasso, ex capo della procura Antimafia (oggi senatore di Liberi e Uguali), è rimasto letteralmente sconvolto per la foto del giovane americano sospettato di omicidio nel comando dei carabinieri.

E a TPI spiega: “Quello che più mi stupisce non è solo ciò che è accaduto, ma anche la perdita di qualsiasi coscienza, della memoria di come lo Stato ha combattuto contro la criminalità in questi anni. E poi sono interdetto per il dibattito incredibile che si è svolto, come se un reato grave giustificasse un comportamento barbaro. Per noi che abbiamo imparato a combattere la mafia nel maxi-processo, e che abbiamo proseguito con l’esempio di Falcone e Borsellino, è esattamente il contrario”, aggiunge Grasso.

Si è detto: anche loro hanno usato metodi spicci…

“Ed è una falsità facilmente dimostrabile: Falcone si conquistò il rispetto di Buscetta, che lo vedeva come un nemico, proprio per un rispetto sacrale della persona. Noi – prosegue l’ex procuratore – siamo la prima generazione di magistrati che ha avuto a che fare con i pentiti. Noi interrogavano persone che si erano macchiate di reati turpi, raccapriccianti: delitti, minacce, bambini squagliati nell’acido. Se ci fossimo abbassati al livello dei criminali saremmo impazziti. A Provenzano chiesi: ‘Ha bisogno di qualcosa?’. Mi disse che voleva delle medicine e gliele trovammo immediatamente”.

Mi può fare un altro esempio?

“Uno, davvero incredibile, riguarda proprio l’interrogatorio di uno dei pentiti, Gioacchino La Barbera, da cui appresi in maniera del tutto casuale una notizia per me, e non solo per me, sconvolgente. Quello che accadde dopo fu surreale”.

Può raccontare?

“Certo. Mi chiamano i carabinieri per dirmi: ‘C’è questo pentito che ha fatto una rivelazione importante. Doveva far parte di un comando per uccidere uno dei magistrati di Palermo, che abita in zona Monreale”.

Ed eravate in un clima terribile, subito dopo la strage di Capaci.

“Esatto. Avessimo dovuto seguire la barbara legge del taglione, o la nostra rabbia di allora, avremmo dovuto appendere tutti loro ai ceppi. Tuttavia non abbiamo mai torto un capello a nessuno, mai derogato ai principi del diritto…”.

E quel giorno che successe?

“Mentre vado ad incontrare il pentito mi dicono: se l’attentato non è stato eseguito da quel commando, altri potrebbero attuarlo. È necessario interrogare e capire chi era l’obiettivo’. La Barbera aveva raccontato negli interrogatori che aveva ritirato dei telecomandi a Catania, da alcuni referenti dei Santapaola, e li aveva consegnati a Salvatore Biondino. Ma bisognava scoprire di più”.

Ovvio.

“Chiamano me a fare questo interrogatorio perché ero uno di quelli che, ovviamente, conosceva benissimo Palermo. La Barbera aveva aggiunto che era tutto pronto: i telecomandi, l’esplosivo e il furgone modificato per compiere un attentato. Ma che non si ricordava più il nome del magistrato”.

E cosa successe?

“Sono lì che penso a come cominciare, apro la porta, entro nella stanza, ci sono la Barbera e un appuntato che parlano, ed è a questo punto che succede la cosa più folle della mia vita”.

Cosa?

“Appena mi vede La Barbera diventa pallido come un cencio, sbianca, si alza in piedi e si batte una mano sulla fronte. Poi, senza guardarmi dice all’appuntato: ‘Iddu!!!! Iddu è!! Iddu!’”.

Era lei che doveva far saltare per aria con il tritolo?

“Esatto, proprio io. Zona Monreale perché lì abitavano i miei suoceri e ci andavo spesso perché la madre di mia moglie stava male. Poi purtroppo morì e non ci andai più, ma loro non lo sapevano. Avevano ritenuto che il mio indirizzo di casa non fosse idoneo. A me non era passato per la mente che potessero pensare di ammazzarmi davanti a mio padre e a mia madre”.

Incredibile.

“Il bello è che a quel punto La Barbera aggiunge: ‘Io non dico più nulla! Nulla!’”.

E lei cosa fa?

“Devo mettermi a rincuorare il mio potenziale assassino. Spiegargli che non ci saranno vendette, ovviamente. Ma anche che sarà protetto. E devo essere molto rassicurante, perché per un uomo cresciuto con il codice della mafia questo metodo era quasi inconcepibile”.

Cosa ha pensato quando ha letto i commenti su quella foto?

“Che abbiamo letto e sentito parole irresponsabili. Negli anni Novanta ognuno di noi aveva una croce nel cuore, un amico o un fratello caduto. Non abbiamo mai ceduto all’istituto di emergenza. E solo per questo abbiamo potuto vincere senza rinnegare noi stessi e i nostri amici caduti sotto i colpi degli assassini”.

Baratto Lega-5 Stelle per una poltrona in più va contro la Costituzione

Dalla relazione di minoranza sul caso del seggio non assegnato al Movimento 5 Stelle in Sicilia. Intervento in Senato

Presidente, colleghi,

prima di tutto voglio esprimere sincera stima al Movimento 5 stelle per aver ottenuto, un anno e mezzo fa, un successo superiore alle loro aspettative e alle previsioni della stessa legge elettorale. Un consenso, va detto, perso con la stessa “alta velocità” – e non uso termini a caso – con cui è stato conquistato. Dalle vittorie di Pirro alle “vittorie zero”, per dirla con le vostre nuove parole, che danno un senso inedito sia alla grammatica che all’aritmetica.

La questione di cui stiamo discutendo è molto semplice, nella sua descrizione: avendo il Movimento 5 stelle usufruito, come previsto dalla legge, di pluricandidature sui seggi uninominali e plurinominali, si è verificato il caso che, nel collegio del Senato “Sicilia 02”, uno dei quattro seggi assegnati, quella della collega Catalfo eletta contemporaneamente anche nell’uninominale “Sicilia 08”, è rimasto non assegnato perché tutti gli altri della lista sono diventati nostri stimati colleghi.
Affronterò brevemente le prime due delle quattro soluzioni possibili, quelle che ritengo non essere percorribili per ragioni talmente evidenti che non meritano un particolare approfondimento.

La prima è quella di attingere dall’elenco dei candidati supplenti della lista. E’ noto a tutti che il ruolo dei “supplenti” è finalizzato alla fase di verifica della regolarità della lista prima delle elezioni, in tempo utile per consentire all’elettore di conoscere in anticipo i componenti effettivi delle liste presenti nel suo collegio. Dopo la pubblicazione delle liste elettorali, invece, gli elenchi di supplenti perdono ogni funzione e le persone che vi sono iscritte non possono essere elette, altrimenti andrebbe a cadere il collegamento tra elettori ed eletti.
La seconda soluzione prospettata, altrettanto impercorribile, consiste nell’assegnare il seggio ad una lista diversa dal Movimento Cinque Stelle, ma ciò non è ammissibile: esistendo il principio democratico (art. 1 Cost.) e il principio di uguaglianza del voto (art. 48, comma 2 Cost.) è evidente come un simile metodo corrisponderebbe a una violazione della volontà degli elettori che avevano contribuito all’assegnazione del seggio alla lista deficitaria.

La terza ipotesi, quella adottata a maggioranza dalla Giunta, è quella di assegnare il seggio vacante ad un candidato non eletto della lista del Movimento 5 stelle candidato in una circoscrizione diversa dalla Sicilia, soluzione in palese ed evidente contrasto col preciso e irrinunciabile dettato costituzionale della elezione del Senato “a base regionale” (articolo 57, comma 2), nonché con l’interpretazione letterale e sistematica della legge elettorale del Senato.

Ci sono due punti fermi nella Costituzione riguardo il Senato: la sua elezione “a base regionale” e il numero di senatori, introdotto dalla L. cost. 2/1963. Occorre quindi stabilire se il raggiungimento della completezza del plenum (315) possa giustificare il sacrificio del requisito del mantenimento del collegamento tra il seggio da assegnare e la circoscrizione della regione di provenienza.

Dato lo scarso tempo a disposizione, la difficoltà a seguire un ragionamento fatto di norme e rimandi incrociati senza avere le norme davanti, rimando per i dettagli tecnici a quanto scritto, depositato e distribuito ai colleghi senatori nella mia relazione di minoranza. Quello che è sufficiente sottolineare è che le norme escludono alcune disposizioni valide per la Camera, ovvero la possibilità di attingere dalle altre circoscrizioni, proprio in osservanza del limite dell’elezione «a base regionale», e che non ci si può spingere a considerare valida per analogia la norma di chiusura – ripeto: prevista per la sola Camera dei Deputati – nemmeno per effetto del doppio rinvio all’articolo 84, comma 4, del D.P.R. 361/1957. Un doppio salto mortale che viola la norma costituzionale!

L’unica soluzione in linea con la Costituzione e con i precedenti di questa Assemblea, è quella di non assegnare il seggio per l’intera legislatura, senza che questo comporti alcun vulnus perché il Senato può deliberare validamente anche con numeri inferiori al plenum dei 315 prescritto dal 57, comma 2, Cost.

Già in passato – ci sono diversi esempi citati nella mia relazione – le Giunte di Camera e Senato constatarono che era impossibile individuare nella legge elettorale allora vigente un criterio utile ad assegnare i seggi vacanti: per questa ragione si decise di non assegnare il seggio. Tanto più che nella nostra ipotesi la diminuzione di un solo senatore, da 315 a 314, non comporterebbe nemmeno uno spostamento della maggioranza assoluta, che in ogni caso rimarrebbe fissata in 161.

La legge elettorale vigente ha evidentemente delle falle, e il Parlamento dovrà porvi rimedio. D’altronde si ricorderà che questa legge (il c.d. Rosatellum) ebbe un cammino non proprio largamente condiviso. Il Governo di allora vi pose la questione di fiducia, espropriando il Parlamento di una sua prerogativa e non consentendo in Senato nemmeno la discussione generale. Scelta che, come noto, stigmatizzai fortemente da presidente del Senato.

La scelta tra il principio dell’elezione regionale del Senato e il numero di 315 senatori, non può spingerci a correggere i risultati elettorali, atto che la Corte costituzionale (nella sentenza n. 44 del 1961) giudica «di innegabile gravità poiché porta ad assegnare alcuni seggi a persone diverse da quelle a cui sarebbero spettati». Pertanto, considerata l’impossibilità di individuare un criterio adeguatamente condiviso nel suo fondamento di diritto, tale cioè da risultare un principio generalmente incontrovertibile dal punto di vista ordinamentale, e rilevata la legittimità sotto il profilo costituzionale del dato di fatto che la composizione del Senato possa essere inferiore al plenum previsto dal citato articolo 57, comma 2, Cost.; preso atto che non sussistono le condizioni per assegnare il seggio del Collegio plurinominale “Sicilia-02” ad un senatore eletto in altra circoscrizione diversa dalla Sicilia, l’unica soluzione alla mancata assegnazione del seggio siciliano consiste nel non assegnarlo e quindi nel farlo rimanere vacante per il resto della XVIII Legislatura.

Non può quest’Aula, per la volontà del Movimento 5 Stelle di avere un senatore in più (loro che si vantano di “tagliare le poltrone”!) e l’accondiscendenza della Lega – per il baratto continuo e quotidiano in quel suk in cui hanno trasformato il Governo – votare una decisione che va palesemente contro la Costituzione.

Già troppi sfregi alla democrazia avete consumato in questi mesi di Governo, già troppe volte, ora gli uni ora gli altri, avete chinato la testa e votato l’indifendibile: risparmiate, ve lo chiedo da cittadino, da senatore, da ex presidente di questa Istituzione, la scelta degli eletti “a la carte” come fossimo al ristorante. I voti dei cittadini siciliani non possono andare a chi è stato candidato per il Senato in Umbria: sarebbe ridicolo, se non fosse gravissimo.

Codice Rosso, maggioranza fa solo propaganda

Ennesima occasione spercata per scrivere una buona legge

“Per prevenire e punire le violenze di genere era importante che il testo fosse completo ed efficace. Ma la maggioranza non l’ha reso possibile”. Ha dichiarato il Senatore Pietro Grasso a margine della votazione della legge “Codice Rosso”, che introdice modifihe al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”.

“Per settimane come opposizione abbiamo chiesto di collaborare per migliorare il testo. Tutto inutile” – ha sottolineato Grasso che ha aggiunto: “È stata l’ennesima occasione sprecata. Insieme potevamo scrivere una buona legge. È evidente che la maggioranza pensa solo alla propaganda, al punto da rifiutarsi di introdurre il reato di “propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione di genere” e non aver previsto alcun tipo di finanziamento per gli strumenti da mettere in campo”.

Di seguito i discorsi tenuti in Aula durante la discussione generale del disegno di legge e la dichiarazione di voto sul “Codice Rosso”.

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Discorso del Sen Pietro Grasso durante la discussione generale del disegno di legge

Presidente, colleghi,
in attesa di poter parlare in Aula delle interrogazioni su quanto di inquietante sta emergendo con serie, documentate e approfondite indagini – ripeto: indagini – giornalistiche in merito al “Codice Russo”, argomento da cui il Ministro Salvini tenta di scappare da giorni, oggi affrontiamo il “Codice Rosso”, e voglio utilizzare il tempo della Discussione generale per un ragionamento che è sia “di merito” che “di metodo”.

Nel merito, infatti, questo provvedimento vede tutte le parti politiche concordi: in Commissione la discussione è stata svolta al solo scopo di migliorare il testo e renderlo il più completo ed efficace possibile.
Considero la violenza di genere, non da oggi, uno di quei temi che travalicano le appartenenze partitiche, e ritengo che l’impegno di ciascuno dei senatori e delle senatrici, in questo caso, non debba essere rivolto a risultati personali o di parte ma ad un successo comune, dell’intero Parlamento. Solo con un’alleanza di questo tipo possiamo sperare di contribuire a modificare una cultura maschilista e possessiva ancora troppo diffusa nel nostro Paese.

Una dimostrazione plastica di questo spirito trasversale è data dagli emendamenti firmati da tutte le opposizioni: è evidente a tutti quanto profonde siano le distanze che separano i nostri gruppi sulla quasi totalità dei temi, eppure senza nessuna difficoltà abbiamo condiviso lo spirito e il senso di alcune modifiche al testo che stiamo discutendo.
Alcune di queste modifiche, aggiungo, servono semplicemente a correggere errori e dimenticanze del testo originario!
Vado rapidamente a fare degli esempi per chiarire il ragionamento, riservandomi di intervenire in modo più approfondito in sede di illustrazioni degli emendamenti.

Nell’Articolo 1 si riconduce la violenza domestica o di genere – per cui si crea il cosiddetto “codice rosso” – a una serie di reati per i quali la polizia giudiziaria, acquisita la notizia di reato, è tenuta a riferire immediatamente al pubblico ministero, anche in forma orale.
Se prendiamo come modello e come riferimento la convenzione di Istanbul, però, da questo elenco sono lasciate fuori due importanti fattispecie, menzionate invece nella convenzione tra le condotte nelle quali può sostanziarsi la violenza di genere, ovvero le mutilazioni genitali femminili (articolo 583-bis c.p.) e la costrizione o induzione al matrimonio (articolo 558-bis c.p.). Queste due fattispecie, tra l’altro, vengono ignorate praticamente in tutto il provvedimento, e a queste si aggiunge in alcuni articoli il revenge porn (Art. 612 – ter), che si introduce con questo provvedimento nel codice penale.

Siccome sono certo che nelle intenzioni dei ministri che hanno proposto il testo e in quella della maggioranza non c’era alcuna volontà di minimizzare dei reati così gravi, l’unica possibilità che resta è quella dell’errore, della semplice dimenticanza. Mi chiedo e chiedo all’Assemblea: che senso ha non correggere questo errore?
Che senso ha immaginare, come è stato fatto in Commissione, di approvare un testo con questo tipo di lacune e promettere un successivo disegno di legge per correggerlo? Correggiamolo oggi, in quest’Aula, completiamolo e rendiamolo immediatamente efficace nella tutela delle vittime di tutti i reati che possono essere definiti violenza di genere!

Non mi si dica che c’è un problema di tempi: alla Camera dei Deputati l’attuale maggioranza gode di numeri tali da poter disporre del calendario come meglio ritiene. Aggiungo poi, come già evidenziato, che le opposizioni sono unite e concordi nel sostenere, migliorare e votare il provvedimento senza alcun intento ostruzionistico. Non c’è bisogno di sottolineare come spesso l’Aula non venga nemmeno convocata per carenza di materia da discutere, visto che tutte le decisioni vengono prese in altre sedi!
Tra Decreti, questioni di fiducia e chiusure irragionevoli state continuando a svuotare di senso e di ruolo il Parlamento: questo atteggiamento, che voi per primi e con forza avete contrastato in passato, è ugualmente inaccettabile oggi. Ne va della qualità della nostra democrazia.
In Commissione Giustizia tutto ciò è stato completamente ignorato, non con argomentate motivazioni ma con la prepotenza dei numeri. E’ per questo, come forma di protesta e non per sfiducia nei loro confronti, che ci siamo astenuti nel voto per il mandato ai relatori.

Concludo. Tra gli emendamenti c’è la proposta firmata da tutte le opposizioni di introdurre il reato di “propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione di genere”, che punta a punire le condotte di chi minaccia o augura stupri e violenze alle donne e di chi organizza dei veri e propri linciaggi di donne, spesso giovanissime, online. La cronaca e i social network sono pieni di questi casi, che già hanno prodotto gravi conseguenze. Ne sono vittime donne di ogni età, appartenenza politica e ruolo.
Abbiate il coraggio e l’intelligenza di sostenere questa proposta.

Respingiamo con forza quanto affermato dal sen. Pillon, che nel suo intervento ha tenuto a precisare che la violenza di genere non ha genere ma indistinte vittime e delinquenti, con evidente sprezzo del ridicolo. Purtroppo se ogni giorno la cronaca ci restituisce tragedie che vedono le donne come vittime di maschi violenti non è per un caso, nè per uno scherzo statistico. Quando dico che c’è un profondo problema culturale mi riferisco anche a questo, senatore Pillon: negare, minimizzare, colpevolizzare le donne – come fa lei dicendo che i 3 giorni servono a rendere evidenti le false denunce – è parte del problema. E pensare che lei, in quest’Aula, dovrebbe contribuire a trovare soluzioni! Ce n’è ancora tanta di strada da fare…

Avete oggi, colleghi della maggioranza, l’occasione di rimediare a una serie di errori nel merito del testo e nel metodo solo formalmente democratico con cui state portando avanti la Legislatura. Lo voglio ribadire con forza: state indebolendo giorno dopo giorno, il Parlamento, magari prendendo ad esempio Paesi con cui i rapporti si scoprono, inchiesta dopo inchiesta, più stretti di quanto non vogliate ammettere.

Pensateci bene: possiamo dare alle forze dell’ordine e alla magistratura strumenti completi ed efficaci e scrivere insieme, oggi, una bella pagina contro le discriminazioni di genere.

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[su_spoiler title=”VIDEO DISCUSSIONE GENERALE” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]

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[su_spoiler title=”DICHIARAZIONE DI VOTO. ENNESIMA OCCASIONE SPRECATA” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]

Presidente, Colleghi,

ancora una volta la maggioranza è rimasta sorda alle richieste, in alcuni casi alle semplici correzioni, suggerite dalle opposizioni, per una volta unite nonostante le diversità politiche, allo scopo di rendere questo testo più efficace e più completo: un importante passo avanti su un tema doloroso e delicato come le violenze di genere è stato trasformato nell’ennesima occasione sprecata. Peccato.

Peccato perché il tema della violenza sulle donne attraversa quotidianamente le cronache del nostro Paese e non può essere relegato alla sola dimensione del dolore privato di chi subisce una violenza. Esso è infatti intimamente legato all’idea di società che abbiamo in mente per il presente e soprattutto per il futuro.

La violenza nei rapporti di coppia e in famiglia – dinamiche che nulla hanno a che fare con l’amore – non può essere combattuta se non attraverso un’azione collettiva di carattere culturale, prima ancora che sul piano della prevenzione, della repressione e della legislazione.
Bisogna spazzare il campo da qualunque sottovalutazione, è decisivo fare chiarezza sulle parole: ogni comportamento che intende annientare la donna nella sua identità e libertà – non solo nella sua intimità fisica ma anche nella sua dimensione psicologica, sociale e lavorativa – è una violenza di genere. Le cose vanno chiamate con il loro nome, è il primo fondamentale passo sul quale costruire un percorso di civiltà.

Se l’intero Paese – e gli uomini soprattutto – sono chiamati ad un impegno straordinario, sul piano culturale, non è da sottovalutare l’apporto che il Parlamento avrebbe potuto dare migliorando la normativa sulla violenza di genere.

Il provvedimento che ci apprestiamo a licenziare ha una genesi che affonda le sue radici nella Convenzione di Istanbul, che predispose un quadro giuridico completo di protezione contro le violenze domestiche e di genere. Era necessario approfondire la normativa vigente, rafforzarne alcuni profili, armonizzare le previsioni del codice penale e di procedura perché chi è vittima di reati gravissimi sia veramente tutelato. E, senza dubbio, questo testo migliora l’attuale quadro normativo pur con lacune, frutto di sciatteria, supponenza e fretta, tali da costringere il Parlamento, presto, a dover rimettere mano alle norme, cosa che con una maggioranza responsabile e lungimirante si sarebbe facilmente potuta evitare.

Voglio brevemente richiamare alcuni elementi che reputo importantissimi.
In primo luogo viene accelerata la tempistica delle indagini, in particolar modo prevedendo che la polizia giudiziaria, acquisita la notizia di reato, riferisca tempestivamente al pubblico ministero anche in forma orale e che il PM – fatte salve particolari circostanze – assuma informazioni dalla persona offesa entro tre giorni dalla notizia di reato.
Una novità importante, ma non si capisce perchè non estesa anche a reati odiosi come i matrimoni forzati e le mutilazioni genitali femminili: violenze che la maggioranza evidentemente sottovaluta in sede legislativa per poi darne ampio risalto via Twitter come arma di propaganda.

C’è poi l’introduzione di nuove fattispecie di reato. Viene previsto il reato di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, una misura che era stata auspicata nella relazione conclusiva della Commissione di inchiesta sul femminicidio e che in questi giorni è tornata prepotentemente alla nostra attenzione con l’omicidio di Savona; è prevista la partecipazione a spese del condannato a specifici corsi di recupero per ottenere la sospensione condizionale della pena: ma non è un modo per creare una giustizia di classe tra chi può pagare questi corsi e chi no? Quali requisiti devono avere queste associazioni, dato che non c’è alcun tipo di regolamentazione o albo? Ma soprattutto: possiamo essere certi che basti a mettere in sicurezza le vittime? Sono domande a cui non viene data nessuna risposta, e questo influenza negativamente sulla valutazione complessiva del Disegno di Legge.
Vengono finalmente introdotti i nuovi delitti di costrizione o induzione al matrimonio (il cosiddetto matrimonio forzato) e di revenge porn, e questo è un fatto positivo, ma non ricevono adeguata collocazione in tutte le norme che sotto il profilo procedurale agevolano la repressione e la prevenzione delle violenze domestiche e di genere.

Non posso negare l’amarezza per l’atteggiamento incomprensibile che hanno avuto maggioranza e Governo nel dibattito e nella fase emendativa. Ci sono temi sui quali la battaglia politica deve cedere il passo ad una collaborazione totale, ammainando le bandiere di partito. La violenza di genere è uno di questi. Noi di Liberi e Uguali – come altre volte, penso in primo luogo al voto di scambio, allo spazza-corrotti e alla circonvenzione degli anziani – eravamo pronti a farlo. Abbiamo chiesto sin dall’inizio – visto che dal punto di vista dei principi siamo tutti d’accordo – che si lavorasse insieme, senza rivendicazioni di natura politica. Purtroppo i nostri colleghi della maggioranza avevano ancora una volta l’unica consegna di “andare avanti senza concessioni” alle opposizioni, ove per “concessioni” intendiamo tutte le nostre osservazioni tecniche che avrebbero consentito di licenziare un testo più completo e applicabile in maniera più coerente.

Capisco le necessità – imperanti per voi – della propaganda ma trovo comunque incredibile che siate stati sordi a qualunque nostra sollecitazione in Commissione, così come in Aula; potevamo consegnare al Paese una serie di norme che in sede applicativa avrebbero funzionato meglio. E’ infatti solo scrivendo buone leggi che si possono ottenere risultati concreti: ci sono state addirittura proposte di modifica sottoscritte da tutte le opposizioni: tutto inutile. Ancora una volta avete scelto di forzare la mano, di procedere senza cercare alcuna forma di collaborazione tra le forze parlamentari, preziosa come non mai su questi temi. Devo purtroppo constatare che autorevoli figure di questo Governo – penso alla Ministra Bongiorno, impegnata da sempre nel contrasto alla violenza di genere, ma anche al Ministro Bonafede, che si è sempre mostrato sensibile ai diritti delle vittime – non abbiano voluto alzare la voce, indicare ai parlamentari della maggioranza la strada per fare meglio.

Ancora una volta abbiamo chiesto, inutilmente, ai senatori di Lega e 5 Stelle un atteggiamento diverso, che valorizzasse il ruolo del Parlamento che è diventato mero esecutore dei desiderata del Governo.

Per tutti questi motivi, per non aver voluto introdurre il reato di “propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione di genere”, per non aver previsto alcun tipo di finanziamento per gli strumenti che intendete mettere in campo, pur condividendo i principi ispiratori del Disegno di legge annuncio con dispiacere che una legge che avrebbe dovuto essere approvata all’unanimità vedrà, per colpa della maggioranza, la nostra astensione.

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Grazie Maestro Camilleri

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Andrea Camilleri, maestro di ironia e intelligenza, ha creato una Sicilia immaginaria e universale. Il ricordo pronunciato in Aula nel giorno della dipartita

Presidente, Colleghi,

oggi è un giorno triste. Con Andrea Camilleri se ne va una delle figure più importanti della letteratura contemporanea italiana, uno scrittore che ha saputo regalare con i suoi romanzi moltissime emozioni a milioni di appassionati lettori, diventando una presenza familiare nelle case degli italiani attraverso i film tratti dai suoi libri. Camilleri è stato anche e soprattutto un intellettuale sempre pronto a intervenire con la sua arguzia, a offrire – con quella voce segnata dalle troppe e amatissime sigarette – un punto di vista mai scontato su quanto succedeva nel mondo e nel nostro Paese.

Proprio in questi giorni, se non si fossero aggravate le sue condizioni di salute, lo avremmo applaudito alle terme di Caracalla, dove avrebbe portato in scena l’Autodifesa di Caino, dopo aver preso le parti del saggio Tiresia, come lui privo della vista ma con lo sguardo lungo e capace di vedere oltre.

Andrea Camilleri ha vissuto due vite. Nella prima, da insegnante e regista dell’Accademia Silvio D’Amico e da funzionario Rai, ha dato vita a importanti lavori e sceneggiati che sono entrati nell’immaginario collettivo di intere generazioni, dal tenente Sheridan al Commissario Maigret.
Nella seconda, iniziata più o meno a sessant’anni, diventa lo scrittore che tutti conosciamo, il creatore di Montalbano e delle vicende di Vigata, che abbracciano un lungo arco di tempo.
Vigata è una piccola città “liberamente ispirata” a una terra, la Sicilia, e con una lingua “liberamente tratta” dal dialetto agrigentino, che ha creato un universo insieme immaginario e reale, un’isola nell’isola, talmente piccola da essere universale, amata e seguita in ogni parte del mondo: chissà come saranno state tradotte alcune di quelle parole, ormai entrate nel nostro vocabolario, in finlandese o in coreano…

Abbiamo davvero perso una grandissima figura, per la cui vita dobbiamo essere grati. Avremmo voluto leggere altre avventure prima dell’epilogo del Commissario Montalbano.
Il maestro – lo ha raccontato lui stesso – lo aveva scritto già anni fa: “non si sa mai se poi arriva l’Alzheimer”, diceva con quella ironia sulla fine tipica di noi siciliani. E io, da siciliano, gli sono particolarmente grato per aver reso così familiare la nostra isola a milioni di lettori nel mondo e per essere diventato – a buon diritto – l’erede di una grandiosa tradizione artistica e letteraria.

L’ultima volta che ho avuto il piacere di parlarci è stata la sera prima del suo racconto di Tiresia a Siracusa. Ha riconosciuto me e mia moglie dalle voci, è stato un incontro fortuito al ristorante, poi ci siamo fermati a parlare del suo debutto al teatro Greco, dell’emozione di questa prima a più di 90 anni, e delle vicende di cronaca. A un certo punto per non farci capire dai commensali dall’italiano siamo passati al dialetto, nell’ilarità generale.

Per quanto il successo strepitoso dei suoi Montalbano lo inorgoglisse non è un mistero che fosse più legato ai suoi romanzi storici, spesso fatti con ironia e genialità come raccolta di finti documenti, verbali, lettere e telegrammi, uno scartafaccio in cui al lettore spettava trarre collegamenti e conclusioni. E’ coi romanzi storici infatti che Andrea Camilleri spiegava il suo punto di vista sul mondo, sulla storia del nostro Paese, sulla brutalità di alcuni periodi storici – penso a “La presa di Macallè” – e sulla storia siciliana. Il suo libro preferito, ci disse, era “Il re di Girgenti”, dove “si cunta e si boncunta” di Zosimo, contadino diventato re e poi scappato dalla lama del boia legato a un aquilone.

La sua figura resterà nel nostro ricordo, nella nostra cultura, nel nostro immaginario. Per chiudere con le sue parole, le parole di un uomo arrivato alla fine della vita, senza più la vista, ma pronto a debuttare con un nuovo monologo: “da quando io non ci vedo più, vedo le cose assai più chiaramente. E finalmente, persona e personaggio si sono ricongiunti”.
Un abbraccio affettuoso va ai suoi familiari, e un enorme grazie ad Andrea Camilleri, maestro di ironia e intelligenza.

Circonvezione anziani: voto favorevole per una norma positiva

Dichiarazione di voto del 12 giugno 2019

Presidente, colleghi,

non c’è dubbio che le frequenti notizie di truffe ai danni di persone anziane siano particolarmente odiose. La fantasia dei truffatori è ampia, molte di queste hanno a che fare con finti operatori di acqua, luce e gas, o addirittura di finti carabinieri e poliziotti che con scuse plausibili entrano nelle case delle persone più sole e più vulnerabili.
Spesso vengono utilizzate informazioni sugli affetti più cari – figli, nipoti – per arraffare contanti e gioielli in una sorta di panico indotto adducendo incidenti, guai con la giustizia, situazioni di pericolo.

Come dicevo, comportamenti odiosi, reati che aggiungono meschinità a comportamenti illegali. Ciascuna di queste truffe è già oggi denunciata e, quando possibile, punita dal nostro sistema di leggi e dalla giustizia italiana.

Il codice penale, all’articolo 643, già punisce con la reclusione e con una sanzione pecuniaria chiunque, per procurare a sé e ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o dell’inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso.
Condizioni necessarie per la sussistenza del reato sono rappresentate dunque dall’esistenza di una “infermità” o “deficienza psichica”, la cui conoscenza da parte dell’autore costituisce premessa indispensabile. In altre parole, l’abuso si concretizza quando l’autore del reato abbia chiara consapevolezza della condizione di infermità o deficienza, ne riconosca distintamente la vulnerabilità particolare e pertanto, coscientemente, ne approfitti.

Nel 2015, ottemperando a quanto l’Unione Europea richiedeva da tempo, è stato opportunamente introdotto nel codice di procedura penale l’art. 90 quater “Condizione di particolare vulnerabilità”, che inserisce proprio questo concetto, mettendolo anche in relazione con l’età: “Agli effetti delle disposizioni del presente codice, la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa è desunta, oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede”.

Anche secondo la giurisprudenza, per l’applicazione dell’art. 643 non è necessario che il soggetto passivo sia privo in modo totale della capacità di intendere e di volere, ma è sufficiente che lo stesso versi in uno stato che lo privi del normale discernimento e potere critico e volitivo, inducendolo a compiere atti che una persona di media capacità non sarebbe indotta a compiere.

Quindi il concetto di “vulnerabilità” è già presente nel codice, seppur riferito ad altre tipologie di reato, ed è ben caratterizzato nel codice di procedura penale. In realtà si tratta di un principio che è sempre stato all’attenzione del giudice ed ha orientato le sue valutazioni.
La proposta chiede, in definitiva, di aggiungere il concetto di vulnerabilità anche al codice penale rafforzandolo con il concetto di “debolezza” e correlandolo con l’età avanzata.
Non vi è alcun dubbio che l’anziano possa essere vittima privilegiata di questo reato. E i fatti di cronaca purtroppo lo dimostrano.

La vulnerabilità specifica che caratterizza l’anziano lo espone difatti in maniera particolare al rischio di rimanere vittima di suggestioni, pressioni ambientali, influenze esterne, in altre parole a quell’attività induttiva che costituisce uno degli elementi fondanti del reato di circonvenzione.

Possiamo quindi ritenere la norma proposta un alert particolare, una lampadina che accendiamo che, aggiungendo di fatto poco alla norma esistente, richiama l’attenzione del giudice su una particolare condizione anche in riferimento all’età della vittima.

Il provvedimento che stiamo discutendo oggi, quindi, non rappresenta di certo una rivoluzione in ambito penale, quanto una sua più precisa definizione, andando a riempire in via legislativa una lacuna spesso già colmata dalle interpretazioni dei Tribunali.Vengono infatti introdotte con questo provvedimento tre novità.

La prima è, appunto, la condizione di “debolezza e vulnerabilità dovute all’età” di una persona. Il concetto di vulnerabilità, come visto, è già noto al codice penale e alla giurisprudenza, mentre quello della debolezza è, per così dire, originale. Personalmente non l’avrei introdotto, ma per quanto possano sorgere contrasti interpretativi confido nella capacità dei giudici di dare a questo concetto una sua fisionomia peculiare. Tra l’altro il concetto stesso di età non viene esplicitato con una soglia anagrafica, lasciando anche questo alla decisione del giudice. La seconda prevede, che anche chi è condannato per i reati di circonvenzione di incapace e truffa debba provvedere al risarcimento integrale del danno per poter accedere alla sospensione condizionale della pena. La terza novità è l’introduzione dell’arresto facoltativo in flagranza di reato anche per i reati di circonvenzione e truffa.

Concludo. Come già argomentato siamo di fronte a un provvedimento che non cambia sostanzialmente né il quadro sanzionatorio né quello giuridico, andando solo a specificare alcuni comportamenti che già, nella prassi, sono stati sanzionati dai Tribunali.
Ritengo comunque il Disegno di legge in discussione positivo, per questo annuncio il voto favorevole di Liberi e Uguali.

Radio Radicale: servizio pubblico senza paragoni. Trovare soluzioni di lungo termine

Dichiarazione di voto sulle mozioni per Radio Radicale 

Presidente, Colleghi,

come spesso accade con questa maggioranza ci troviamo a discutere di un tema su cui all’interno del Governo e tra i deputati e senatori abbiamo sentito dire tutto e il suo contrario. Lo stato delle cose però è innegabile: al momento la convenzione con Radio Radicale non è in essere. Si legge sui quotidiani – con sollievo – l’intenzione del Governo di trovare una soluzione ponte per il 2019, ma questa intenzione non si è ancora tradotta in nessun atto concreto.

Il servizio pubblico che Radio Radicale ha effettuato in questi decenni è un fatto, i numeri sono lì a dimostrarlo: 3.300 giornate parlamentari, 23.500 udienze, e ancora congressi, seminari, comizi, manifestazioni culturali e politiche. Tutto disponibile liberamente con pochi clic.

Un’opera che travalica l’appartenenza politica e addirittura quella partitica. È indubbio che abbia alimentato un dibattito proficuo, contribuito ad un’informazione diretta, libera, pluralistica, promosso la conoscenza consapevole su tante problematiche aiutando qualsiasi cittadino a formarsi una propria opinione, lontano dai cliché partigiani a cui il mondo dei social ci sta abituando.

Quanti di noi hanno potuto seguire eventi politici e istituzionali tramite la programmazione di Radio Radicale? E quanti l’hanno “usata” come testimone a futura memoria di proprie iniziative pubbliche? Cos’è questo se non un servizio pubblico?

Spegnere Radio Radicale significa impoverire la nostra società, ferirne la sua democrazia. Solo per questo il problema del rinnovo della convenzione non dovrebbe nemmeno porsi. Un Governo che abbia a cuore l’informazione consapevole dei cittadini dovrebbe addirittura ringraziare.

Ma quello che più mi preoccupa è l’atteggiamento politico che questo atto nasconde. Perché sono i mezzi ad indicare i fini, e non si può non vedere che l’eventualità sciagurata della chiusura di Radio Radicale è un tassello della politica della maggioranza che mira a colpire chi la pensa diversamente. E penso anche ai contributi per l’editoria. Quante voci, di parte certamente, possono essere colpite da questo modo barbaro di ragionare? E nel caso di Radio Radicale nemmeno può essere portato questo argomento: ha davvero ospitato, ci ha ospitato proprio tutti!

A ben vedere si tratta quasi un contronsenso. Una emittente legata a un partito politico, ma mai faziosa; una radio privata, ma che fa davvero servizio pubblico: senza pubblicità, solo parole, tutta informazione. Come dicono loro «dentro, ma fuori dal Palazzo».

Credo sia superfluo ribadire a quest’Aula l’importanza – storica, politica, giornalistica – dell’immenso archivio e del quotidiano lavoro dell’emittente, a partire dalla trasparenza dei lavori parlamentari. Stupisce – anche se fino a un certo punto – che proprio i fautori della trasparenza stiano facendo di tutto per limitare la possibilità dei cittadini di seguire quanto avviene in Senato e alla Camera. Non mi si dica che le sedute sono in diretta streaming: sappiamo bene che le due cose non sono paragonabili, anche solo per la diffusione del segnale e per i costi d’accesso ai due diversi strumenti.

E’ evidente a tutti che questo servizio, essenziale per la vita democratica del Paese, non possa essere sostenuto con interventi privati, sia per ragioni di mercato che di opportunità: chi non avrebbe il sospetto che un’azienda possa investire nella Radio per evitare che questa trasmetta, ad esempio, un processo a suo carico?

Il fatto che negli ultimi decenni si sia proceduto con rinnovi e non con bandi e gare non è in nessun modo imputabile all’emittente, ma all’inerzia della politica, e non è accettabile che questo comportamento diventi un’aggravante nella discussione che stiamo svolgendo oggi e che vi dovrà vedere impegnati nella ricerca di una soluzione.

L’intento di prevedere, con un provvedimento legislativo, una riforma generale del sistema delle comunicazioni è senza dubbio encomiabile, e degno – da parte delle opposizioni – della massima attenzione e della massima collaborazione. Ma è evidente che nel tempo che intercorre tra una dichiarazione alla stampa e la pubblicazione in Gazzetta ufficiale di una riforma condivisa e votata dal Parlamento, è vostro dovere impedire l’interruzione di un servizio per tutti i cittadini e la messa in sicurezza di un Archivio senza pari nel panorama nazionale e forse internazionale.

C’è un pezzo di storia da salvaguardare, ci sono professionisti che ogni giorno inseriscono nel dibattito pubblico elementi di riflessione – penso al tema delle carceri, ad esempio – di cui nessuno altrimenti parlerebbe.

Consentitemi una nota personale: per anni sono stato un fedele ascoltatore della rassegna stampa mattutina di un grande giornalista recentemente scomparso, Massimo Bordin, capace di offrire ai propri ascoltatori una analisi mai banale dei fenomeni sociali e politici del nostro Paese. Visti i difficili tempi che corriamo avremmo quanto mai bisogno di difendere i luoghi che coltivano il pensiero critico, che alimentano il dibattito, che arricchiscono con contenuti di qualità la nostra comunità.

Concludo. Abbiamo più volte richiamato l’attenzione del Governo e della maggioranza sul ruolo che Radio Radicale ha svolto negli ultimi decenni e siamo costretti – ancora una volta – a farci promotori di una iniziativa che impedisca la chiusura di una voce autorevole e importante del sistema dell’informazione del nostro Paese. L’atteggiamento sprezzante della maggioranza restituisce senza alcun dubbio l’immagine di due forze politiche – Lega e 5 Stelle – che non solo hanno un pessimo rapporto con il pluralismo delle idee ma anche con il dovere di garantirlo. Ne abbiamo esempi quotidiani riguardo la Rai, con Ministri che discettano di palinsesti, autori, programmi e compensi, che stilano liste di proscrizione, commentano le scalette e la scelta degli ospiti!

«La stampa serve chi è governato, non chi governa» (Corte Suprema degli Stati Uniti, 1971). È un principio cardine di uno stato di diritto che voglia definirsi tale. Se le istituzioni non faranno nulla, proprio come è accaduto in questi ultimi mesi, Radio Radicale chiuderà per sempre e con lei tutto il patrimonio di sapere e di cultura che ha prodotto in questi decenni. È per questa ragione che è fondamentale reperire le risorse necessarie per il periodo ponte e lavorare sin da ora a soluzioni a lungo termine per garantire la prosecuzione del servizio. Annuncio quindi il voto favorevole di Liberi e Uguali alla mozione e anche a quelle degli Gruppi che sono sostanzialmente identiche.

Il voto sarà di astensione nei confronti della mozione di maggioranza, con l’auspicio che il nostro invito e il corrispondente impegno che abbiamo sentito da parte del sottosegretario Crimi porti ad una ulteriore apertura e soluzione concreta che possa formare oggetto al più presto di un provvedimento e che, nel frattempo, si possa però mantenere lo status quo di Radio Radicale e di tutti quelli che vi lavorano.

 

 

Lo sblocca cantieri sblocca la corruzione

Intervento durante la discussione generale della conversione del decreto legge “Sblocca cantieri”

Onorevoli colleghi,

la materia degli appalti pubblici è una materia complessa e delicata perché in essa si annida il serio rischio della corruzione e della concussione e perché è il tramite attraverso cui i comitati d’affari e la criminalità si legano alla politica.

Lo sblocco, l’accelerazione, la semplificazione delle procedure in questo settore, spacciate come un taglio alla burocrazia, sono state più volte all‘origine di provvedimenti che invece di favorire aziende e lavoratori hanno solo aumentato il lavoro di magistrati e forze dell’ordine. Le modifiche che stiamo discutendo costituiscono il ritorno ad un vecchio armamentario che speravo essere stato superato con l’introduzione del nuovo Codice Appalti.

Questo decreto ha ben poco a che vedere con lo scopo di sbloccare i cantieri ma sembra più riguardare, in generale uno sblocca corruzione: un allentamento delle regole di trasparenza e vigilanza; una sottovalutazione del rigore necessario per le autorizzazioni, diminuendo la tutela dei beni culturali, paesaggistici e ambientali; un ridimensionamento sistematico e ingiustificato del ruolo e delle funzioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione-ANAC.

Non ho molto tempo a disposizione per evidenziare tutti i passaggi critici, ma voglio sottolineare negativamente almeno il ritorno fino al 2021 dell’appalto integrato, ovvero la progettazione ed esecuzione dei lavori da parte dello stesso soggetto. La progettazione indipendente da chi deve realizzare l’intervento è stata una dei caposaldi del nuovo codice degli appalti, e aveva lo scopo di incrementare la qualità dei progetti e la ricerca di soluzioni tecnologiche che al meglio potessero inserire le opere nel contesto territoriale e urbano.

Il ritorno al vecchio regime viene inoltre completato dalla riesumazione dei Commissari Straordinari: a tal proposito, considerata l’ampiezza dei poteri di deroga riconosciuti ai Commissari, sarebbe stato opportuno prevedere l’obbligo di motivazione delle deroghe, per questo ho presentato un emendamento che mi auguro possa essere accolto.

Un ritorno al passato è generato anche con le proroghe sulla quota di lavori da mettere a gara per le concessioni, con l’aumento del subappalto, con gli allentamenti dei controlli e della soglia dei lavori a trattativa privata, con la destrutturazione delle procedure autorizzative in materia di “infrastrutture strategiche”. Soluzioni già sperimentate in passato che non hanno incrementato i lavori ma solo la scarsa qualità delle opere pubbliche, un aumento ingiustificato dei costi e gravi episodi di corruzione e concussione.

Cari colleghi della maggioranza, a poco serve lanciare messaggi di rigore con una mano, se con l’altra si alza a dismisura la soglia per gli affidamenti diretti di lavori senza gara, se ritorna il criterio del “prezzo più basso” per lavori di milioni di euro, se si reintroduce la libertà di subappalto, se si cancellano le linee guida dell’Autorità Anticorruzione.

Ai colleghi Cinque stelle dico: non eravate quelli della legalità, dell’onesta e della trasparenza? Questo provvedimento, come altri che avete votato in questo ultimo anno, va nella direzione opposta. Gli elettori se ne sono accorti, la metà sono scappati.
Sicuri di voler continuare così?

Mafia. Con lo “sblocca cantieri” Governo apre pericolo di tangenti e malaffare

Intervista del 16 maggio 2019 su Il Fatto Quotidiano di Luca De Carolis

Il senatore che è stato presidente parla di ciò che conosce meglio, la mafia. E spiega la sua scelta: “Ho votato sì alla nuova legge sul voto di scambio perché migliora quella attuale. Ma è solo un passo nella lotta contro le cosche e non può certo bastare, soprattutto se nel contempo dai un segnale opposto con lo sblocca cantieri”. Così ammonisce l’ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso.

Lei e gli altri di Leu avete sostenuto la legge, mentre il Pd si è espresso contro. Cosa ne pensa, lei che è stato presidente del Senato su indicazione dei democratici?
Il Pd continua a ripetere sempre lo stesso concetto, ossia che nessuno può fare le cose meglio di quanto le avevano fatto loro in passato. Avevano presentato un disegno di legge, ma si sono rifiutati di prenderne in considerazione altri. Io invece ritengo che sia meglio migliorare i provvedimenti nei rari casi in cui siano condivisibili collaborando, piuttosto che fare un’opposizione fine a se stessa.

Perché la nuova legge migliora le norme attuali?
Perché nel testo vigente si faceva riferimento solo al procacciamento di voti con modalità mafiose, e questo creava grandi problemi interpretativi ai magistrati, tanto che alcune sentenze richiedevano come prova che il procacciamento di voti avvenisse attraverso l’intimidazione o l’assoggettamento. Invece il nuovo testo, migliorato nel passaggio alla Camera, configura il reato anche per il solo fatto che lo scambio avvenga con un appartenente alla mafia o con un intermediario. Insomma, si ampia il raggio della repressione.

Però come si stabilisce chi appartiene alle cosche?
Innanzitutto lo è chi è stato condannato con sentenza definitiva per associazione mafiosa o anche sottoposto a misure di prevenzione per quel tipo di reato.

Un politico non è tenuto a conoscere i casellari giudiziali.
Guardi, il criterio principale è che la richiesta di voto venga percepita all’esterno come proveniente da un ambiente mafioso, ossia che sia un voto di cosca.

Il confine rimane labile, no?
Il metodo mafioso ha modalità precise, previste dal codice: l’intimidazione, l’assoggettamento psicologico o economico, l’omertà. Ma le vie con cui si può realizzare lo scambio tra il politico e l’appartenente a una cosca sono tante. Basta anche che un boss si faccia un passeggiata in centro assieme al candidato di turno. E un politico che si candida in una comunità di solito sa chi può influenzare le elezioni. Detto questo, va necessariamente lasciato ai magistrati un margine per interpretare. E andava ampliato il raggio di azione dei magistrati.

La legge parla anche di intermediari dei mafiosi. E il rischio di confini troppo vaghi cresce.
In questo caso bisogna essere ancora più rigorosi nella raccolta e nella valutazione delle prove, ovvero nel dimostrare che il politico sapesse con chi aveva a che fare. E in questo sono fondamentali le intercettazioni e i collaboratori di giustizia.

Un’altra critica è che le pene vengono aumentate troppo, visto che un eletto con voti della mafia può rischiare fino a 22 anni e mezzo di carcere. “Si rischia l’incostituzionalità” dicono.
Il problema della sproporzione nel sistema delle pene effettivamente esiste, visto che chi dirige l’organizzazione mafiosa rischia dai 12 a 18 anni. Avevo anche presentato degli emendamenti su questo punto, ma rimane secondario rispetto al miglioramento della norma.

L’approvazione del testo cosa rappresenta?
È una buona notizia. Ma non si può con una mano dare un segnale di rigore, e con l’altra aumentare la soglia degli affidamenti senza gara degli appalti per i lavori pubblici.

Parla dello sblocca cantieri.
Il disegno di legge reintroduce la possibilità di sub-appaltare fino al 50 per cento dei lavori o addirittura senza soglia nel caso dei consorzi. E poi sblocca fino al 2021 gli appalti integrati, cioè quelli in cui chi partecipa alla gara presenta anche il progetto esecutivo. Ed è pericoloso, perché chi spende per un progetto senza avere la certezza di ottenere l’appalto? Così si favoriscono tangenti e malaffare. E sono messaggi al contrario: soprattutto oggi che c’è una mafia invisibile, che si nutre di corruzione.

La risposta di Lega e 5Stelle è che bisogna sbloccare i lavori e che il Codice degli appalti è un ginepraio. Può essere vero, no?
E vanno a cambiare proprio quelle norme che contrastano le tangenti invece di eliminare la burocrazia? Il problema non sono le regole, ma gli uomini che le applicano. I controlli servono: già oggi vengono aggirati con i cartelli tra imprese.

Questo governo come sta impegnandosi contro le mafie?
Non lo si fa inaugurando i commissariati o tuffandosi nelle piscine confiscate come fa Salvini, che ha usato la lotta alla mafia per non celebrare il 25 aprile. Servono risorse per magistrati e forze dell’ordine, per fare emergere l’economia criminale nascosta. E serve un lavoro anche sul piano sociale e culturale.

Voto di scambio. Favorevole, ma altri provvedimenti vanno in senso opposto

Intervento del 14 maggio 2019 sul Ddl che modifica il reato di voto di scambio

“Favorevoli alle modifiche del voto di scambio, ma altri provvedimenti del Governo vanno in direzione opposta”, così il senatore Pietro Grasso, in dichiarazioni di voto sul Disegno di Legge che modifica il reato di voto di scambio politico mafioso.

[su_accordion][su_spoiler title=”DISCUSSIONE GENERALE” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]

Signor Presidente, colleghi, stiamo affrontando un tema importante che incide sul livello di fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni, e cioè quello del rapporto tra le mafie e la politica, rapporto per lunghi anni negato e che ancora oggi troppo spesso si cerca di minimizzare.

L’articolo 416-ter del codice penale disciplina il reato di scambio elettorale politico mafioso: è un reato questo che – com’è stato già detto – è stato introdotto dal decreto-legge Scotti-Martelli dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio. È stato oggetto di successive modifiche frutto di un ampio dibattito e nasce per punire le forme di contiguità tra candidati e criminalità organizzata; per attuare, in sostanza, in pieno l’articolo 51 della Costituzione secondo il quale l’accesso alle cariche pubbliche deve avvenire in condizioni di effettiva eguaglianza, aspetto fondamentale per una reale democrazia rappresentativa.

La modifica attuata nella precedente legislatura, che aveva introdotto le altre utilità oltre alla dazione del denaro (pretendendo, però, una promessa di procacciamento di voti con modalità mafiose), ha reso necessaria un’ulteriore valutazione del Parlamento sulla formulazione di questa norma. Bisognava, infatti, superare tutte le problematiche connesse alle interpretazioni giurisprudenziali di quel richiamo al metodo mafioso nella promessa, che non ne facevano più uno strumento di contrasto davvero efficiente ed equilibrato. Cosa si vuole punire, in poche parole?
L’accordo tra un politico e appartenente alle mafie che si basa su un do ut des, uno scambio: io ti porto i voti, tu in cambio farai per me alcune cose vantaggiose. Limitarsi allo scambio di denaro non bastava, e per questo è stato utile inserire, nella precedente legislatura, le altre utilità oltre al denaro, e questa è stata una cosa certamente positiva. È evidente, infatti, che fosse piuttosto asfittica una norma che immagina un politico offrire solo soldi a chi gli porta i voti, ma ancora di più un mafioso accontentarsi soltanto di una controprestazione in denaro che esaurisse il rapporto mafia-politica. Ebbene, le inchieste che occupano le pagine dei nostri quotidiani da molti anni raccontano di promesse – ahimè spesso mantenute – di appalti pubblici, di forniture, di concessioni, di posti di lavoro.

Da questo punto di vista considero quindi importante avere ulteriormente esteso l’oggetto della controprestazione di chi ricopre un incarico politico alla generica disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa in modo da ricomprendere anche comportamenti non espressamente elencati.
Nel testo licenziato dal Senato in prima lettura era sanzionato il conseguimento della promessa del sostegno elettorale da parte di soggetti dei quali, a colui che contratta, sia nota l’appartenenza ad associazioni criminali di stampo mafioso. In questo senso la proposta di oggi è migliorativa perché a mio avviso ha eliminato quella notorietà necessaria: lascia alla magistratura il compito di chiarire quando l’interlocutore del politico possa definirsi appartenente all’associazione mafiosa, permettendo così un raggio più ampio di repressione, comprendendo anche la possibilità che il mafioso sia stato non solo condannato con sentenza di primo grado o passata in giudicato, ma anche sottoposto eventualmente a misure di prevenzione personale e patrimoniale che sappiamo possono essere irrogate senza che vi sia una condanna. Esigere nel politico, come era stata finora interpretata la norma, la consapevolezza che il procacciamento di voti sia avvenuto con modalità mafiose avrebbe continuato a rendere difficile, se non diabolica, la prova dell’illecito.

Sotto il profilo sanzionatorio, poi, si inasprisce la pena, che passa dalla reclusione da sei a dodici anni a quella da dieci a quindici, e con la stessa pena è punita la condotta del soggetto che promette, direttamente o a mezzo di intermediari, di procacciare i voti. Anche questo inciso, positivamente introdotto alla Camera (non era presente nel testo del Senato), dà atto della possibilità che intervengano faccendieri e intermediari in questo rapporto tra mafia e politica.

Viene prevista poi un’aggravante di evento: se infatti chi ha concluso l’accordo con il mafioso viene eletto, la pena prevista per lo scambio elettorale politico-mafioso è aumentata della metà. Pur condividendo pienamente la gravità del reato sotto il profilo del grave turbamento della sicurezza democratica del Paese, ritengo – e l’ho già detto precedentemente, quando il disegno di legge è passato in quest’Aula del Senato – che tale aumento secco della metà, non producendo comunque alcun effetto deterrente, purtroppo, non sarebbe coerente con il principio di proporzionalità di tutto il sistema sanzionatorio. Sono d’accordo con chi ha avanzato questa precisazione. Al riguardo ho segnalato più volte durante l’esame in Senato, anche presentando degli emendamenti, che sarebbe stato a mio avviso più opportuno un riferimento all’aumento di pena previsto dalle aggravanti comuni, ovvero fino a un terzo. Ciò avrebbe lasciato al giudice una più ampia discrezionalità in sede applicativa che, a mio parere, è sempre utile mantenere.

D’altro canto – e su questo aspetto forse sarebbe necessaria e opportuna una più attenta riflessione sistemica – l’aggravante, come formulata nel testo oggi in discussione, potrebbe comportare pene più elevate nei confronti del patto elettorale politico-mafioso rispetto sia al concorso esterno in associazione mafiosa sia alla partecipazione all’associazione sia addirittura alle pene previste per i capi dell’organizzazione, il che, come ho detto, mi pare una sproporzione non giustificata.

Concludo dicendo che è fondamentale e più che condivisa l’irrogazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici in caso di condanna per il reato in questione: chi si è macchiato di simili delitti non è degno di partecipare alla gestione della cosa pubblica.
Care colleghe e cari colleghi, c’è ancora molto da fare se si considera il dato del reiterato scioglimento di molti Comuni per infiltrazione mafiosa, realtà che è difficile eliminare nonostante il ricorso a successive competizioni elettorali locali.

È nostro dovere sostenere il contrasto alla criminalità organizzata in ogni sua forma, approfondirne le evoluzioni, adeguare l’impianto legislativo alle rapide trasformazioni delle organizzazioni, fornire alla magistratura ogni strumento utile e alle forze di polizia personale e mezzi per fare al meglio il proprio lavoro. È nostro dovere contrastare i traffici, gli affari che arricchiscono le mafie, impedire in genere ogni forma di illecito arricchimento, di riciclaggio, di elusione di responsabilità per chiunque delinqua; bisogna farlo. Bisogna farlo con buone leggi e comportamenti virtuosi, mai sottovalutando l’impatto drammatico che la cultura dell’illegalità ha sulla nostra comunità.

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[su_spoiler title=”DICHIARAZIONE DI VOTO” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]

Signor Presidente, colleghi,
come ho già avuto modo di spiegare in sede di discussione generale, ritengo che le modifiche apportate alla Camera dei deputati siano state migliorative rispetto al testo licenziato in prima lettura dal Senato. In prima lettura, infatti, era sanzionata la promessa di procurare voti da parte di soggetti dei quali fosse nota al candidato l’appartenenza ad associazioni criminali di stampo mafioso. È evidente la difficoltà di questa prova soggettiva, di volta in volta affidata ai magistrati e alle indagini.

Alla Camera è stata eliminata la necessità di provare in capo al politico la condizione soggettiva della notorietà circa l’appartenenza del suo interlocutore ad una associazione mafiosa e, tra le altre cose, è stato reintrodotto – ma stavolta in alternativa – il riferimento al procacciamento di voto mediante le tipiche modalità mafiose, così permettendo un più ampio raggio di intervento e di repressione e di interpretazione da parte dei giudici, che possono alternativamente scegliere tra l’agire con metodo mafioso da parte del promittente oppure l’appartenenza ad una associazione mafiosa determinata, secondo il giudizio del giudice, non necessariamente sulla avvenuta condanna con sentenza definitiva ma per tutta una serie di elementi, tra cui eventualmente anche le misure di prevenzione personale e patrimoniale. Sotto questo profilo, le modifiche apportate al provvedimento sono migliorative anche se non danno ancora la possibilità di uno strumento che possa veramente essere applicato con una giurisprudenza più continua.

La costruzione della fattispecie di reato, come originariamente pensata nel disegno di legge, con la riferibilità della promessa di procurare voti soltanto da parte di soggetti appartenenti ad associazioni mafiose, comportava un restringimento nella pratica applicazione della norma soprattutto, come ho detto, se si fosse dovuti arrivare alla conseguenza della condanna definitiva ai fini di una configurazione delle rispettive responsabilità e che questa condanna fosse nota al contraente.

Deve essere necessario e sufficiente che l’indicazione del voto sia percepita all’esterno come proveniente dal clan mafioso, perfettamente esistente, conosciuto nel territorio e come tale, in quanto voto di cosca, sorretto di per sé dalla forza intimidatrice del vincolo associativo, dall’assoggettamento e dall’omertà che il vincolo associativo produce.
È questo il punto. È sufficiente che il mafioso faccia una passeggiata per il centro del paese con il candidato perché non occorra nessun’altra indicazione su chi è il candidato della mafia.

Quando il reato venne introdotto fu aggiunta tra le finalità tipiche delle associazioni mafiose quella di impedire e ostacolare il libero esercizio del diritto di voto, cuore della democrazia rappresentativa. L’interesse delle organizzazioni criminali a influenzare le consultazioni elettorali amministrative e politiche è infatti evidente, ma non già per un tornaconto immediato derivante dai soldi – quella che potremmo definire la compravendita dei voti, che pure esiste, perché ci sono tanti casi in cui è stata accertata – quanto per la possibilità di inserirsi negli appalti, negli acquisti, nelle forniture, nelle concessioni, nei lavori pubblici, fino all’influenza, attraverso proposte di legge o emendamenti ad hoc, della funzione legislativa del Parlamento. Questi sono dati di cronaca, non esagerazioni o facile allarmismo e invito il senatore Vitali a leggere la motivazione della sentenza della corte d’assise di Palermo sulla trattativa: forse le sue certezze non sarebbero così granitiche come ha tentato di dimostrare.

Spezzare definitivamente questo legame tra la politica e la criminalità, o almeno renderlo ancora più rischioso, è senza dubbio un nostro irrinunciabile dovere, un importante passo per un più efficace contrasto ad ogni tipo di mafia. È però evidente che non può e non deve essere l’unico. Altri provvedimenti in discussione, colleghi della maggioranza, vanno infatti nella direzione opposta.

A poco serve lanciare messaggi di rigore con una mano, se con l’altra si alza a dismisura la soglia per gli affidamenti diretti di lavori senza gara, se ritorna il criterio del prezzo più basso per gli appalti pubblici e per lavori di milioni di euro, se si reintroduce la possibilità di subappaltare liberamente fino al 50 per cento delle commesse, se si cancellano le linee guida dell’Autorità anticorruzione.

State facendo anche della lotta alla mafia – tema che dovrebbe unirci tutti per garantire al nostro Paese legalità, sviluppo e crescita – l’ennesimo spot elettorale.

Vedere utilizzata la lotta alla mafia come scusa dal Ministro dell’interno per sottrarsi alle celebrazioni dell’anniversario della liberazione, ad esempio, è un modo per svilire un impegno che deve essere costante, quotidiano, serio. Non basta inaugurare a favore di telecamere beni confiscati molti anni fa; non bastano post e tweet ad ogni arresto, magari ad operazioni in corso, compromettendone anche l’esito, per adempiere agli obblighi di guida del Paese.
Ho sentito che gli arresti dei latitanti oggi vengono portati come vanto di tutti i Governi: non dimentichiamo, però, che ci sono stati magistrati e Forze di polizia che hanno prestato la loro opera per ottenere questo risultato che oggi viene rivendicato addirittura dai Governi.

Il contrasto alla mafia è molto più di tutto questo. Il Paese merita molto di più di quanto non stiate facendo, su questo come su tutti gli altri fronti della vostra azione politica.

Come avete avuto modo di percepire, le promesse stanno mostrando già la corda: il credito di fiducia si sta esaurendo; le armi di distrazione che avete abilmente utilizzato fino a poche settimane fa non funzionano più, ve lo dicono le piazze di questa infinita campagna elettorale, ve lo dicono i sondaggi, ve lo diranno presto gli elettori nelle urne.

Concludendo, ci aspettiamo altri provvedimenti in Commissione e in Assemblea per rendere il contrasto alle mafie più efficace, la lotta all’economia criminale più incisiva e i processi più rapidi.

Ciò premesso, dandovi ulteriore prova di quanto quello che ci interessa è il merito dei provvedimenti e non la parte politica che li sostiene, riteniamo che la nuova fattispecie dell’articolo 416-ter, soprattutto dopo le modifiche apportate dalla Camera dei deputati, sia migliorativa rispetto all’attuale, anche se, come ho tentato di dimostrare, non risolve i problemi. Per questo annuncio che la componente Liberi e Uguali del Gruppo Misto voterà a favore del provvedimento in esame.

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