Incontro con una delegazione di “Articolo 21”

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I rappresentanti dell’Associazione, tra cui il portavoce e il segretario, hanno illustrato al Presidente la bassa posizione del nostro Paese nelle classifiche internazionali sulla libertà di stampa e i progetti in merito alla definizione di iniziative sul delicato equilibrio tra diritto alla privacy e diritto d’indagine, querele temerarie e diritto di rettifica. Su questi temi si è concordato di organizzare in Senato un momento di approfondimento pubblico in autunno.

Al Presidente sono stati inoltre consegnati i documenti che saranno discussi oggi pomeriggio in occasione dell’Assemblea di “Articolo 21”.

Relazione annuale dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza

Signor Ministro,
Autorità, gentili ospiti
è con viva emozione che mi trovo qui con voi questa mattina in occasione della presentazione della Relazione Annuale dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza sull’attività svolta nel 2012.

Caro Presidente, l’Autorità cui è a capo è giovane, è nata solo nel 2011, ma le sue potenzialità e il lavoro svolto finora, pur nelle prime inevitabili difficoltà, da lei e dai suoi collaboratori merita il nostro plauso. Voi siete nati a tutela di dieci milioni di italiani, una popolazione che non aveva voce e rappresentanti. E che pure può vantare, almeno “sulla carta”, un sistema di diritti garantiti da normative nazionali e internazionali.
La legislazione vigente a tutela delle persone di minore età è senza dubbio una grande conquista sociale e civile in materia di diritti umani. I progressi raggiunti sono straordinari, frutto di battaglie che hanno richiesto anni di impegno. Battaglie che il nostro paese ha avuto il coraggio di sostenere e difendere ponendosi all’avanguardia anche rispetto agli altri paesi dell’Unione.

Eppure ancora molto c’è da fare. Non possiamo fermarci qui. Viviamo in una società estremamente complessa che subisce criticità e problematiche spesso subdole, che impediscono l’effettiva tutela di questi diritti così faticosamente conquistati.
Un fattore come la povertà, che in Italia riguarda essenzialmente il Mezzogiorno, tocca da vicino molti bambini e le loro famiglie e spesso porta all’emarginazione e alla discriminazione. Il sostegno alle famiglie, a partire dalla maternità e dal lavoro femminile, è imprescindibile per qualsiasi progetto che voglia onestamente parlare di politiche per l’infanzia e l’adolescenza.

Lo scorso 10 aprile sono stato ospite dell’Unicef per la presentazione del Rapporto sul benessere dei bambini e degli adolescenti nei paesi ricchi. Bene, i dati che riguardano il nostro paese sono davvero preoccupanti. L’Italia su 29 Paesi e, insieme agli altri Paesi dell’Europa meridionale, si trova nella terza fascia più bassa della classifica sull’indigenza infantile relativa, con il 17% dei bambini sotto la soglia di povertà.
Non siamo più di fronte ad un “disagio sociale”; dobbiamo parlare di una vera e propria “questione sociale” da porre al centro dell’attenzione e dell’azione pubblica.
Sicuramente le cause di questa drammatica situazione sono da ricercare nella crisi economica, ma non è solo così. Siamo di fronte ad un impoverimento morale, dove le parole giustizia, cultura e tutela dei diritti fondamentali sembrano essere scomparse dal vocabolario e dal tessuto sociale.

Infatti, a fronte di un aumento del reddito globale nella parte ricca del mondo che va dal 100 al 200 per cento negli ultimi cinquant’anni, una percentuale significativa dei bambini continua a vivere in famiglie in condizioni di povertà tali da mettere a rischio la loro salute e il loro sano sviluppo. Questo significa che il reddito delle famiglie non può essere l’unica misura per rappresentare il benessere dei bambini nei paesi cosiddetti ricchi, ma è necessario affiancare ai convenzionali indicatori della crescita economica, statistiche più direttamente correlate alla vita delle persone, allo sviluppo umano, in termini di istruzione, salute, democrazia, equità sociale, tessuto relazionale.

Le conseguenze di una mancata protezione e promozione del benessere infantile sono pesantissime e si ripercuotono nelle fasi successive della vita di un bambino. In quest’ottica non possiamo ignorare le difficoltà in cui versa il sistema scolastico, spesso privo di risorse. La compromissione di un corretto sviluppo cognitivo porta a risultati scolastici scarsi; la scolarità carente determina competenze ridotte che inducono bassi livelli di produttività e reddito; da qui discendono alti tassi di disoccupazione e una maggior dipendenza dallo stato sociale; il risultato finale è una sempre maggiore diffusione di comportamenti antisociali e il coinvolgimento in attività criminali. Può sembrare brutale detto così, ma questa è una realtà per il 10 per cento della popolazione italiana. Un bambino, un ragazzo, un adulto su 10.

Ora, se esistesse un solo dovere per una democrazia evoluta, questo consisterebbe nel saper offrire a ciascun suo figlio uguali opportunità di crescere, studiare, migliorarsi. Recentemente anche la Commissione Europea ha diramato una raccomandazione ufficiale dal titolo “Investire nei bambini: rompere il circolo vizioso di svantaggio” con la quale, con inequivocabile chiarezza, gli stati membri vengono sollecitati a mettere al centro dell’agenda il tema dell’infanzia e degli investimenti necessari per combattere la povertà dei bambini, affinché a tutti sia data la possibilità di crescere uguali.
È indispensabile quindi una inversione di rotta. La spesa pubblica, soprattutto quella destinata ai minori, non è un costo ma un investimento fondamentale che ‘paga’ sia in termini di tutela di diritti che in un’ottica di razionalizzazione e risparmio per il futuro.

Insomma, non è sufficiente dichiarare i diritti di chi non è in grado di difendersi; bisogna saperli rispettare, difendere, coltivare. Ogni strumento è lecito per diffondere la consapevolezza dei propri diritti, anche quando a essere il portavoce è un topo di nome Geronimo Stilton, il più amato dai piccoli.
Per tutti questi motivi desidero ringraziare l’Autorità, i Garanti regionali, tutti gli operatori sociali e sanitari, le associazioni di volontariato, gli educatori e – per la prima volta nella mia vita – un “topo“. Tutti impegnati in un lotta preziosa. Perché i minori di oggi sono gli uomini di domani. Che ci potranno dire: “Ma voi che cosa avete fatto, dove eravate?“. Noi ci siamo, siamo qui, insieme. Determinati e fiduciosi.
Grazie.

 

 

 

Scatenare le energie. Etica e mercato

43° Convegno dei Giovani Imprenditori di Confindustria

Autorità, cari Presidenti, cari imprenditori,

è per me un autentico onore essere oggi in mezzo a voi, che rappresentate per l’Italia il segno tangibile di una imprenditorialità innovativa e dinamica, giovane non solo nell’età, ma anche nei contenuti, nello stile, nella progettualità.

Nel ringraziare Confindustria per l’invito a partecipare a questo importante momento di confronto, nella magnifica cornice di Santa Margherita Ligure, vorrei esprimere ai tanti giovani imprenditori presenti la mia personale vicinanza. Vicinanza per le difficoltà che, specialmente nell’attuale contesto economico, ogni giorno siete chiamati ad affrontare. Ma anche sincero apprezzamento per i risultati che siete riusciti a raggiungere nel campo dell’imprenditoria, che vi assicuro sono stupefacenti se ci si sofferma a considerare la vostra giovane età.

Ai ringraziamenti unisco un plauso per l’impostazione che avete scelto di dare a questo incontro, un incontro che consapevolmente vuole affrontare la crisi in termini costruttivi, come momento di ripensamento dell’esistente, un’occasione di riforma strutturale del nostro sistema economico. Un obiettivo molto ambizioso, che mi ha indotto ad abbandonare i ‘classici’ approcci politici al tema, che soffermano l’attenzione solo sui possibili correttivi alla crisi. Hanno certamente un rilievo preponderante le strategie macroeconomiche per risollevare le aziende nazionali dalla crisi, il possibile sistema di incentivi alla produzione e all’imprenditorialità nazionale, le misure di abbattimento del cuneo fiscale su cui investire per rilanciare l’economia. Ma le linee di fondo della politica macroeconomica conoscono ora percorsi decisionali che in larga misura prescindono dalle disponibilità del singolo politico, e forse anche della singola istituzione.

La crisi che ci troviamo ad affrontare è stata da tutti dipinta come una crisi globale, nella sua portata ed anche nella sua estensione. Ma la globalità della crisi non ha eliminato le specificità nazionali, che infatti sono emerse e continuano ad emergere sul piano della diversa reattività del tessuto produttivo alla crisi ed anche della capacità degli Stati di fornire risposte ai bisogni emergenti. Il tentativo di conciliare queste due dimensioni – quella globale e quella nazionale – ha dato origine a livello europeo ad un sistema di risposta assolutamente originale, sia in prospettiva storica che in chiave comparata. Quella che viene definita la nuova governance economica europea rappresenta infatti un meccanismo estremamente innovativo di regolazione economica, fondato sull’integrazione tra i livelli istituzionali e normativi dell’Unione europea e degli Stati membri. Un’integrazione che per la prima volta ha portato a far dialogare in chiave multilivello quelle sfere di decisione – le politiche fiscali e di bilancio, la politica macroeconomica – che da sempre hanno rappresentato il nucleo fondante della sovranità nazionale. Gli Stati ora non sono più soli ad affrontare la crisi; le fasi della programmazione economica e di bilancio non si esauriscono al livello nazionale, ma sono coinvolte in processi continui di interazione tra Bruxelles, Roma, Parigi, Berlino – cadenzati nel corso dell’anno – il cui obiettivo ultimo è prevenire futuri disastri finanziari ed economici e promuovere la ripresa comune.

Alcuni hanno affermato che questa nuova governance economica ci fa perdere un pezzo della nostra sovranità nazionale. Io non sono di questo avviso. Penso che il meccanismo di controllo reciproco che è stato attivato rappresenti la migliore garanzia per tutti noi, per le istituzioni, le imprese e i lavoratori. Ma la piena e convinta adesione ai valori e agli obiettivi dell’Unione europea non deve impedirci di guardare con onestà e schiettezza alle debolezze strutturali che contraddistinguono l’economia nazionale.

Dobbiamo mantenere sempre alto il livello di allerta. Il 29 maggio scorso la Commissione europea ha infatti raccomandato al Consiglio di chiudere la procedura per disavanzo eccessivo nei confronti dell’Italia. Lo ha fatto riconoscendo i significativi sforzi di riduzione del rapporto tra disavanzo pubblico e prodotto interno lordo, passato dal 5,5% nel 2009 al 3,0% nel 2012. È questo un successo importante, ma che non ci consente di ritenere ormai raggiunti i nostri obiettivi. La stessa Commissione europea, nella sua analisi annuale sulla crescita italiana pubblicata il 10 aprile scorso, ha infatti sottolineato gli squilibri macroeconomici che ancora caratterizzano il nostro paese, i quali risiedono nella perdita di competitività esterna e nell’elevato debito pubblico in un contesto di protratta debolezza della crescita.

Per questo, nei prossimi mesi dovremmo pensare ad una nuova strategia di intervento, orientata al medio-lungo periodo, che si rivolga non tanto a risanare i conti pubblici, ma soprattutto a rilanciare i fattori strutturali dell’economia nazionale, ad invertire l’andamento dei processi produttivi. E’ questa, in fondo, la linea di indirizzo che lo stesso Presidente Napolitano ci ha affidato, quando alcune settimane fa ha affermato che bisogna dare un’apertura nuova all’economia, un nuovo slancio nella società, “un colpo di reni” per sollevare il Mezzogiorno da una spirale di arretramento e impoverimento. Per fare questo, è prioritario ridare vigore agli investimenti, perché solo se l’Italia saprà attrarre capitali, al proprio interno e se necessario anche all’estero, si creeranno le condizioni per la creazione di nuovi posti di lavoro, l’attrazione dei talenti migliori, la ripresa dei consumi. Ma gli investitori, per credere nel nostro Paese, hanno bisogno di regole chiare, di procedure lineari, di amministrazioni trasparenti, di una giustizia efficiente.

Una seconda priorità parte proprio dal rapporto dei giovani con il mondo del lavoro. Dobbiamo attivarci tempestivamente per realizzare quel sistema di sgravi alle aziende sul lavoro giovanile di cui si sta parlando proprio in questi giorni, che servirà non solo a rilanciare l’occupazione, ma anche a ridare speranza ai vostri coetanei in cerca di un impiego. Dobbiamo pensare ad investire di più nei percorsi di alternanza scuola-lavoro e in tutti quei moduli di formazione aziendale finalizzati alla qualificazione e all’inserimento professionale dei giovani, come l’apprendistato, che rappresentano una reale opportunità di crescita non solo per il singolo, ma anche per l’azienda ‘ospitante’. Perché da voi giovani noi possiamo e dobbiamo imparare.

In questo scenario, il ruolo affidato alle istituzioni parlamentari è potenzialmente strategico. Il Parlamento italiano continua ancora oggi a mantenere una forte influenza sui contenuti della legislazione finanziaria e di bilancio, che in altri Paesi sono piuttosto affidati alle scelte programmatiche del Governo. Le due Camere dovranno attivarsi per promuovere un uso responsabile del potere di emendamento sui documenti contabili del governo, con l’intento di garantire che l’esame parlamentare di tali testi diventi una fase di autentico e costruttivo confronto in cui il perseguimento degli obiettivi macroeconomici è contemperato con i bisogni sociali emergenti. Inoltre, dovremo sforzarci di portare il Parlamento a concentrare le sue energie sul controllo finanziario e di bilancio, sulla verifica delle previsioni macroeconomiche che il Governo utilizza per redigere i propri documenti contabili e sul monitoraggio della spesa pubblica. Già molti passi in avanti sono stati compiuti sul terreno del controllo parlamentare; penso in particolare alla prassi, ora diventata legge, delle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri alle Camere prima e dopo lo svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, per illustrare la posizione che intende assumere e per informare i competenti organi parlamentari sulle risultanze di tali incontri.

Abbiamo però bisogno di andare oltre, promuovendo l’accesso del Parlamento a canali di informazione sulle tendenze economiche e contabili alternativi a quelli governativi, che possano garantire una vera trasparenza democratica. Dobbiamo fare in modo che il Parlamento sappia sviluppare una propria autonoma capacità di analizzare, comprendere e filtrare i dati disponibili. Sono, questi, obiettivi cui riusciremo a dare una concreta risposta con la costituzione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, l’organismo indipendente previsto dalla legge costituzionale n.1 del 2012 – che ha esplicitato nella nostra Carta costituzionale l’obbligo del pareggio di bilancio – e poi disciplinato dalla legge attuativa della riforma, la legge n. 243 del 2012.

A fronte di queste sfide, è necessario domandarsi quale sia il contributo che voi imprenditori potete offrire. La governance è per definizione un sistema di regolazione diffuso, privo di un vertice e forse anche primo di un centro operativo, in cui ogni singolo componente deve diventare elemento propulsore del meccanismo. Quello che a voi viene chiesto oggi è di continuare a lottare perché la crisi non scalfisca le dinamiche di fondo dell’economia di mercato, difendendo la concorrenzialità del sistema dagli attacchi – sempre più insistenti e potenti – provenienti dai mercati ‘alternativi’ della criminalità organizzata, che proprio nella crisi trovano terreno fertile di affermazione. Dovrete inoltre sapere resistere alle lusinghe della corruzione, che si faranno sempre più insistenti negli spazi di mercato contratti dalla crisi, consapevoli del fatto che la nostra produzione nazionale potrà riprendere a crescere solo se basata su solide fondamenta. Sono fondamenta che partono da una rinnovata capacità di investire sui fattori di crescita nazionali, quei fattori sani che sapranno ridare slancio a tutto il circuito produttivo.

Non sarete lasciati soli in questo difficile compito. La crescita richiede infatti una visione pragmatica ed unitaria, fondata su una più strutturale cooperazione tra gli attori politici e le forze produttive e sulla riscoperta di un nuovo rapporto fiduciario tra le imprese e la politica, tra chi produce e chi decide. E’ questo un terreno su cui, anche grazie all’importante azione di sensibilizzazione e di mediazione posta in atto dalle vostre associazioni di categoria, non partiamo da zero. Vorrei ricordare, in particolare, il protocollo di legalità, sottoscritto nel 2010 tra il Ministero dell’interno e la Confindustria, poi rinnovato nel 2012, che, attraverso una fattuale collaborazione tra imprese e autorità pubbliche finalizzata a contrastare l’azione delle organizzazioni criminali nell’economia, ha segnato un momento di rilevante evoluzione nella garanzia della libertà di impresa. Le stesse misure legislative sul pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione – che il Senato ha licenziato in seconda lettura lo scorso 4 giugno – sono il segnale di un cambiamento orientato proprio in questa direzione. E ancora l’accordo da ultimo raggiunto dalla Confindustria e dai sindacati su un tema delicato e da sempre controverso come quello della rappresentanza e della democrazia sindacale conferma che vi sono oggi, nella crisi, le condizioni per superare le vecchie barriere e partire insieme, comprendendo che lavoro e impresa devono difendere gli stessi interessi.

Queste sfide culturali, prima ancora che economiche, per essere affrontate con coerenza richiedono però da parte di tutti voi un assoluto rigore etico. E’ importante che tutti coloro che operano nel mondo economico si ritrovino in quelle scelte ed in quei valori fondamentali – il rifiuto della corruzione, il contrasto all’evasione fiscale, la rinuncia agli impieghi irregolari – che costituiscono le condizioni necessarie per una economia realmente libera ed anche sana. Solo se mossi da questo senso di responsabilità sociale, prima ancora che professionale, potrete liberare il nostro mercato dalle molte catene e dai molti vincoli che il radicamento di comportamenti scorretti sul piano etico quotidianamente pone sul nostro cammino. E questo impegno per la legalità non mancherà di far sentire i suoi riflessi anche sul piano economico, consentendo di ridestinare alla finanza pubblica, e quindi alla collettività, le risorse sottratte all’elusione e all’evasione fiscale, i patrimoni strappati alla criminalità organizzata attraverso il sequestro e la confisca.

Consentitemi di concludere con una battuta, ispirata proprio al titolo di questo 43° Convegno: “Scateniamoci – Liberiamo l’Italia da vincoli e catene”, che trovo estremamente calzante ed anche molto efficace. “Scatenarsi” ha infatti un doppio significato: vuol dire liberarsi da quel sistema di lacci e laccioli che ingessano l’economia nazionale; ma anche liberare le tante energie positive che da sempre accompagnano la nostra capacità produttiva. La prima è un’accezione negativa, una difesa da; mentre il secondo significato allude piuttosto ad un’azione positiva, un saper dar libero corso a qualcosa che è dentro di noi. Mi auguro che ciascuno di voi possa portare con sé da questo Convegno soprattutto una spinta in questa seconda direzione. E che questa spinta sia alimentata proprio da quel senso di responsabilità etico di cui parlavo prima. Abbiamo tante energie da scatenare, e la capacità di liberare queste risorse dipende innanzitutto da voi, da voi che con la vostra imprenditorialità, mettendo in campo il vostro migliore entusiasmo, saprete non solo realizzare voi stessi, ma anche offrire a tanti altri giovani l’opportunità di portare a compimento i propri sogni.

Presentazione del libro “Atlante delle mafie”

Presentazione del volume di Enzo Ciconte, Francesco Forgione e Isaia Sales

Signore e signori,

ho accettato con molto piacere l’invito ad ospitare in Senato ed a partecipare, insieme a relatori così autorevoli, alla presentazione, del primo volume dell'”Atlante delle Mafie”, a cura di Enzo Ciconte, Francesco Forgione e Isaia Sales. È un’opera importante e innovativa della quale ero stato messo a parte già nella fase di ideazione e alla quale con entusiasmo ho offerto un contributo attraverso il racconto della mia esperienza di giudice a latere della Corte di Assise al maxiprocesso di Palermo.

Il volume è il primo di un’opera che si pone un obiettivo ambizioso: descrivere in tutti i suoi aspetti il fenomeno della criminalità organizzata in Italia attraverso saggi e racconti di professori universitari, magistrati, sociologi, storici, ma anche di ricercatori, giornalisti e appartenenti alle forze dell’ordine, tutti attivamente impegnati contro la mafia, che hanno ricostruito la storia e l’evoluzione dei 4 fenomeni mafiosi italiani.

Dall’analisi storica e dallo studio degli elementi distintivi delle organizzazioni, gli autori sono arrivati ad individuare quello che hanno definito un “modello mafioso”, con caratteristiche ed origini comuni, fortemente caratterizzato dalla propria “riproducibilità”, all’interno ma soprattutto al di fuori dei confini nazionali. È questa riproducibilità la ragione, ad esempio, della diffusione della mafia siciliana nel Nord America, oppure della grande capacità di penetrazione in Germania della ‘Ndrangheta calabrese.

Ne risulta un testo che è senz’altro utile agli addetti ai lavori ma che al tempo stesso rappresenta una lettura estremamente interessante per un pubblico più ampio, per tutti coloro che sono interessati a ripercorrere i passaggi e le motivazioni che sono all’origine della diffusione di questo terribile fenomeno italiano.
Ho trovato particolarmente significativi e innovativi i capitoli dedicati al rapporto tra le mafie e la musica da una parte, il calcio dall’altra, così come quello dedicato agli aspetti sociologici dello “stare a tavola” dei mafiosi.
Ma non posso negare di aver sorriso amaramente nel leggere il titolo che è stato dato al primo saggio, scritto dai tre curatori: “Le ragioni di un successo”.
Perché è purtroppo un’amara verità: questo fenomeno tutto meridionale è diventato un successo nazionale e mondiale. Non é senza ragione che da un sondaggio si é appreso che la parola italiana più conosciuta al mondo è mafia, seguita dalla parola pizza.

Sono sicuro che quest’opera costituirà un utile strumento per capirne meglio le origini, le ragioni del radicamento e i suoi elementi costitutivi, primo fra tutti quel genere di violenza che gli autori hanno definito “di relazione e di integrazione”, che è alla base della sua forza. La Mafia oggi può essere considerata come la metafora del potere. Infatti, non ha ideologia e cerca di intrecciare relazioni e rapporti con la politica, con l’imprenditoria, con le professioni e con la burocrazia amministrativa soprattutto per appropriarsi di fondi pubblici, utilizzandoli poi per entrare in partecipazione in lucrosi affari. Finché mafia e politica ricercheranno il consenso dei cittadini con un sottile gioco di intimidazione, di ricatti, di clientelismo e di interessi, spesso convergenti, non si potrà mai intravedere una speranza di cambiamento, non vi potrà essere alcun progresso.

Solo una nuova dirigenza animata da sani principi etici, capace di dire no alla mafia e alla corruzione, potrà contribuire a una rivoluzione culturale che è presupposto indispensabile per liberare il Paese dalla schiavitù delle organizzazioni mafiose.

La ricerca di una posizione di monopolio (in economia) o di presenza condizionante (in politica) attraverso il coinvolgimento in lucrosi affari illeciti o l’uso, o la semplice minaccia, quando indispensabili, della violenza, ha da sempre imposto al mafioso la necessità di costruire, ampliare e rafforzare una fitta rete di rapporti esterni con le altre persone «che contano» nel medesimo ambiente. L’«uomo di rispetto» si colloca così al centro del divenire delle relazioni sociali. E se non cambierà il modo di fare politica, vi rimarrà pur nel mutare degli assetti politici, economici e sociali Il suo comportamento è centrato nella mediazione tra classi sociali in stato di conflittualità, anche latente, e tra queste e il potere politico-burocratico, sempre, naturalmente, in chiave di composizione di interessi opposti. Sorge così la nozione concettuale di rapporto clientelare, che presuppone una netta disuguaglianza di status e di potere tra i soggetti interessati e che é comune sia alla mafia sia ai cosiddetti poteri forti. I collegamenti e gli intrecci determinati dalla dimensione clientelare hanno favorito al massimo la permeabilità del sistema politico-economico-sociale all’infiltrazione mafiosa e, nel contempo, la conquista della dimensione borghese da parte della mafia.

Quando la mafia, come documentato da numerose indagini, interloquisce nella nomina di primari ospedalieri, nelle raccomandazioni per i concorsi all’università, nelle candidature elettorali, nella nomina degli amministratori degli enti locali, nelle variazioni dei piani regolatori, nella realizzazione di centri commerciali e così via, concorre alla pianificazione della vita pubblica e alla formazione della borghesia mafiosa, che costituisce l’interfaccia tra la base militare-predatoria e il blocco sociale-politico-affaristico.
Non v’è dubbio che il mafioso che accumula enormi profitti, che controlla parti rilevanti del territorio, che influenza a suo favore i flussi della spesa pubblica, non potrà non difendere il suo potere tentando di piegare le istituzioni ai suoi interessi, di procurarsi magari una stampa favorevole e una protezione politica.

Il politico influente, l’imprenditore stimato, l’uomo d’onore fanno parte di una rete di amicizie strumentali alla quale si cerca di connettersi, in mancanza di altre reti di rapporti basate su valori diversi (onestà, meriti, capacità professionale, affidabilità eccetera). Per cui, al di là delle grandi dichiarazioni di principi, degli schieramenti politici, degli spazi istituzionali di dibattito e di azione, si strumentalizzano i rapporti interpersonali, «amicali», per prendere le decisioni, per fare affari, per veicolare capitali, conoscenze, persino identità, e questo in particolar modo negli ambienti affaristici. Tale insieme reticolare di relazioni ha una grande vischiosità e inerzia: chi esce da questa «rete» perversa si trova non solo esposto alla minaccia di ritorsioni, ma anche alla perdita dei benefici e dei privilegi che derivano dal compromesso. E di fronte all’alternativa tra una vantaggiosa connivenza e l’isolamento che in alcuni casi può risultare anche mortale (come nel caso di Libero Grassi), purtroppo ancora pochi hanno il coraggio di assumere una posizione «eroica» di rifiuto a questo sistema di potere.

Nel nostro Paese assistiamo a una grave crisi della legalità: è venuto meno il sistema dei valori, il senso etico. Le notizie, i dati, le informazioni riportate dagli organi d’informazione ci parlano di cattivi esempi, che portano a cattive imitazioni. Assistiamo quotidianamente, persino nelle aule parlamentari, alle invettive contro la magistratura inquirente; all’occupazione delle strutture sanitarie; all’interessata intromissione, da parte della politica, nei rapporti economici e negli affari; allo spreco del denaro pubblico investito in opere generosamente finanziate e magari mai finite; all’esplicita ammissione che la politica clientelare costituisce un comportamento normale, che non deve scandalizzare, perché viviamo in una realtà in cui ci si deve dare da fare, con qualsiasi mezzo, per conquistare il potere e gestire il consenso.
Bene! Auspichiamo che tutto ciò non sia frutto di una strategia della nostra politica. Non possiamo accettare una politica che voglia deliberatamente mantenere i cittadini, come sudditi, nel bisogno, per poter continuare a elargire favori ai singoli, senza interpretare e tendere a soddisfare i bisogni della collettività.

Perciò non basta contrastare la mafia. Bisogna ricostruire la democrazia nel Mezzogiorno e rafforzarla nel resto d’Italia, con l’impegno di tutti, sia dei cittadini, sia di coloro che rappresentano gli interessi dei cittadini nei partiti, nella politica, nelle istituzioni, nei sindacati, nei movimenti, nelle associazioni di categoria. L’antimafia diretta alla repressione della criminalità mafiosa deve perciò essere accompagnata dall’antimafia della correttezza della politica e del mercato, dell’efficienza della pubblica amministrazione, del buon funzionamento della scuola.
Le istituzioni e la società civile devono fare un salto di qualità, cioè passare dalle parole alla realizzazione di progetti. Il problema è unire valori a interessi, unire la lotta alla mafia a un progetto di sviluppo economico, rafforzando l’economia legale, e a un progetto di partecipazione democratica.

Concludo con la convinzione che quest’opera ci aiuterà a riconoscere, raccontare ed a contrastare la mafia , i mafiosi ed i loro complici.
Rinnovo quindi i miei sinceri complimenti ai curatori del progetto editoriale, chiedendo loro di proseguire con lo stesso entusiasmo perché quanto prima possiamo veder nascere gli altri volumi dell’opera, che, come il Titano Atlante riusciva a reggere la volta celeste, contribuirà a far conoscere il mondo della mafia.
Grazie.

ItaliaCamp. Rilanciare l’economia con l’innovazione

Autorità,
gentili ospiti,

è un vero piacere per me essere qui con voi, nella splendida cornice della città di Ascoli Piceno, per la seconda assemblea generale di ItaliaCamp.
Per gli obiettivi e per il metodo di lavoro, la vostra Associazione rappresenta una risorsa preziosa per il Paese. Oggi più che mai abbiamo bisogno di innovazione sociale. Abbiamo bisogno di idee e progetti che rispondono alle esigenze della collettività e che favoriscono la cooperazione tra imprese, pubblica amministrazione e università. Idee e progetti per il rinnovamento e la modernizzazione dell’Italia che devono diventare realtà nel più breve tempo possibile.

Il nostro Paese ha uno straordinario patrimonio di capacità e competenze intellettuali e professionali. Siamo all’avanguardia in molti ambiti. Penso al design, alle biotecnologie, al settore agroalimentare e a quello manifatturiero. In alcune delle nostre regioni operano centri di eccellenza di rilevanza mondiale.
Eppure, troppo spesso la mancanza di risorse impedisce di realizzare molti progetti o di svilupparli in modo adeguato. I fondi disponibili sono scarsi e gli investimenti pubblici e privati nell’innovazione e nella ricerca sono del tutto insufficienti. I costi di registrazione dei brevetti, la complessità normativa e gli oneri burocratici ostacolano le iniziative dei ricercatori e delle imprese. I sistemi nazionali e regionali di ricerca e di innovazione seguono spesso indirizzi diversi e non coordinati, causando la dispersione degli sforzi e dei risultati. La mancanza di una rete di cooperazione efficiente tra realtà imprenditoriali, sociali e istituzionali, ma anche barriere generazionali troppo rigide, impediscono preziose sinergie.

Possiamo e dobbiamo ottenere risultati molto migliori. Le sfide della globalizzazione possono essere affrontate solo sfruttando al massimo il nostro enorme potenziale scientifico e innovativo. Bisogna concentrarsi su obiettivi di rilevanza strategica, lavorare per risultati di eccellenza e potenziare gli investimenti necessari a dare una dimensione commerciale alle idee.
In una fase economica di contrazione delle risorse, nella quale gli Stati dell’Unione europea sono impegnati a ripristinare l’equilibrio dei conti pubblici e a cercare di ridurre i disavanzi di bilancio, come si può rilanciare l’economia? La risposta è proprio l’innovazione. Nell’attuale contesto di crisi economica e finanziaria, le idee innovative possono trasformarsi in prodotti e servizi nuovi, in grado di stimolare crescita e occupazione.

Perché ciò sia possibile, è necessario coinvolgere nel ciclo dell’innovazione tutte le parti interessate.
E dunque l’istruzione e la formazione devono essere rafforzate con una maggiore attenzione per le materie scientifiche e per i percorsi di specializzazione. Oggi nel nostro Paese mancano molte figure professionali ed è ancora troppo basso il numero di ragazze che studiano scienze fino a un livello avanzato.

Negli ultimi anni l’Italia ha ridotto in misura significativa gli investimenti per il sistema di istruzione e formazione, collocandosi tra gli ultimi Paese dell’area OCSE per cifre complessive di spesa. Questo è inaccettabile. Anche in una situazione difficile per la finanza pubblica come quella attuale bisogna avere il coraggio di guardare al futuro, perchè la spesa pubblica per l’istruzione è un investimento per il Paese. L’innalzamento del livello delle competenze contribuisce, infatti, alla crescita del PIL e alla riduzione della disoccupazione.
L’Italia deve promuovere la ricerca, offrendo ai giovani carriere competitive a livello internazionale e attirando i migliori talenti dall’estero. Al tempo stesso, le università dovrebbero agire in stretta collaborazione con le imprese, elaborando piani di studi e progetti di ricerca in grado di soddisfare le esigenze dell’industria e di assicurare, così, solide prospettive occupazionali. Questo percorso non deve coinvolgere solo le grandi aziende; sono soprattutto le piccole e medie imprese, così numerose nel nostro territorio nazionale, a dover essere poste al centro del sistema.

Ma le buone idee non bastano. È necessario investire nella loro realizzazione. Oggi le imprese hanno enormi difficoltà di finanziamento. Le risorse private sono insufficienti e il sostegno pubblico inadeguato. Le banche non concedono alle imprese innovative i prestiti necessari ad avviare o espandere la propria attività. Gli scarsi finanziamenti pubblici sono gestiti in modo frammentato e inefficiente. I fondi europei, in particolare quelli disponibili nell’ambito della politica regionale dell’Unione, non sono pienamente utilizzati. Basti pensare che se non saranno presentati progetti entro la fine dell’anno, ben 31 miliardi di euro destinati all’Italia andranno perduti.
Questa situazione non è più accettabile. Bisogna “invertire la tendenza”. Bisogna dare impulso alla competitività delle nostre imprese, elaborando e attuando in tempi rapidi una strategia di sviluppo che porti il nostro Paese fuori dalla crisi.

Mercoledì scorso la Commissione europea ha raccomandato al Consiglio di chiudere la procedura per disavanzo eccessivo nei confronti dell’Italia. Il rapporto tra disavanzo pubblico e prodotto interno lordo, che nel 2009 aveva raggiunto il 5,5% del prodotto interno lordo, è stato progressivamente ridotto entro i parametri fissati dai Trattati fino ad arrivare al 3,0% nel 2012. È un successo importante, ma l’attenzione deve restare alta, così da non vanificare gli sforzi compiuti fino ad oggi.
Ora è il momento di agire per la crescita e per la creazione di nuovi posti di lavoro. Interventi straordinari contro la disoccupazione giovanile saranno discussi a livello di Unione europea già nel mese di giugno, in occasione del prossimo Consiglio europeo. Parallelamente, ogni Stato membro deve continuare il proprio percorso di interventi strutturali per il rilancio dell’economia.
Tra le raccomandazioni indirizzate dal Consiglio all’Italia in relazione al programma nazionale di riforma per l’anno 2013, spiccano la lotta all’evasione fiscale e il potenziamento del quadro giuridico relativo alla repressione della corruzione. In effetti, nessuna crescita è possibile senza la difesa della legalità e senza il contrasto alla criminalità. Si tratta di un tema molto complesso, sul quale mi limiterò a offrire alla vostra riflessione solo alcuni spunti.
Secondo le ultime stime, l’Unione europea perde ogni anno circa 1000 miliardi di euro di entrate a causa delle frodi e dell’evasione fiscale. Questa cifra è pari a sei volte il bilancio annuale dell’Unione. Anche il riciclaggio di denaro ha ormai raggiunto in Europa la soglia di allarme. Ogni anno, su un totale di circa 2000 miliardi di capitali di provenienza illecita, la matrice delittuosa viene occultata per oltre 1500 miliardi. Una decisa azione di contrasto a questi reati consente il recupero di ingenti risorse economiche, che possono essere utilmente destinate ad altre finalità di interesse sociale.

Vi sono poi illeciti che danneggiano gravemente e specificamente l’attività delle imprese, soprattutto quelle più innovative. Penso ai reati contro la proprietà intellettuale, alla contraffazione e alla violazione di marchi e brevetti. Occorre sanzionare in modo severo chi trae profitto dal lavoro altrui, appropriandosi illegittimamente dei risultati di anni di ricerche e di investimenti.
Ma è la corruzione il reato più grave e più nocivo per la crescita. I suoi costi in termini economici e di fiducia dei cittadini sono incalcolabili. Non a caso, la lotta alla corruzione è ormai una priorità anche nelle agende politiche internazionali.
La corruzione, che secondo il codice penale è un reato contro la Pubblica Amministrazione, colpisce in realtà l’intero tessuto economico e sociale del nostro Paese. Danneggia le imprese e i cittadini onesti e capaci. Favorisce la concentrazione della ricchezza in capo a coloro che accettano e beneficiano del mercato corruttivo a scapito di coloro che invece si rifiutano di accettarne le condizioni. Distorce la concorrenza e impone alle aziende costi aggiuntivi non sostenibili nel medio periodo se non con altre condotte illecite.

La lotta alla corruzione è dunque un presupposto fondamentale per la competitività e la credibilità di un Paese e per l’attrazione degli investimenti. Pensiamo al settore dei contratti pubblici. Ogni anno le pubbliche amministrazioni investono in beni, lavori e servizi circa il 19% del prodotto interno lordo dell’Unione europea. Senza trasparenza e senza parità di trattamento tra gli operatori economici che partecipano alle gare di appalto, si abbandona all’illegalità una parte significativa della nostra economia.
Secondo le più recenti stime della Corte dei Conti, in Italia il contrasto alla corruzione consentirebbe di recuperare ogni anno 60 miliardi di euro, liberando risorse preziose per il rilancio dell’economia e la crescita del nostro Paese. È proprio con questa convinzione che nel mio primo giorno da componente del Senato ho depositato, insieme a tanti colleghi che lo hanno sottoscritto, un mio disegno di legge recante “disposizioni in materia di corruzione, voto di scambio, falso in bilancio e riciclaggio“.

Il mio auspicio è che siano adottate al più presto tutte le misure necessarie per uscire dalla crisi più forti e più competitivi di prima. Non mi riferisco solo a una legislazione efficace per la repressione e la prevenzione della corruzione, ma anche agli interventi sul mercato del lavoro, alla revisione del carico fiscale, alla riforma della pubblica amministrazione, alla liberalizzazione dei servizi e alla semplificazione del quadro normativo per i cittadini e per le imprese.
Questi temi devono essere al centro dell’agenda politica e dell’azione di governo. Stiamo lavorando intensamente nella giusta direzione. Come Presidente del Senato, intendo utilizzare tutti gli strumenti a mia disposizione per assicurare un dibattito parlamentare costruttivo e una rapida approvazione delle riforme necessarie.

Grazie.

Lezioni di Costituzione

Presidente della Camera, autorità, care ragazze, cari ragazzi, cari professori,

sono felice di essere qui, felice che voi siate qui, perché é dei giovani la voglia di cambiare il mondo, di combattere le ingiustizie, di reagire alle prepotenze ed ai soprusi, di contrastare le illegalità.

Sono sempre più convinto che per promuovere una consapevole partecipazione delle nuove generazioni alla vita democratica del paese, la Costituzione debba avere pieno diritto di cittadinanza nella scuola.
Sono perciò veramente entusiasta che sui banchi si torni a studiare la nostra Carta Costituzionale: la “mappa” dei nostri valori. Valori fondanti, come la libertà, la pace, il rispetto della dignità umana, della vita, delle differenze, ma anche la solidarietà e il rispetto dell’ambiente; valori sostanziali, come un patrimonio insostituibile di democrazia, da difendere e da rafforzare da parte di tutte quante le componenti sociali.

Stabilire, recuperare, consolidare un rapporto diretto tra la Costituzione e le generazioni che si affacciano al mondo degli adulti è come rafforzare le fondamenta di una casa. Una casa costruita dai nostri padri, cui voi spesso vi riferite come a qualcosa che si legge sui libri di storia ma che è invece un dono vivente, uno strumento indispensabile per la nostra convivenza civile.

Leggere i vostri lavori, che sono tutti preziosi, anche se ne premieremo solo alcuni, ci ha riempito di orgoglio per la conferma della validità di questa iniziativa, che si rinnova ormai da qualche anno. Sapere che tanti di voi hanno studiato e scritto e si sono confrontati con questi temi ci rende felici. I vostri pensieri ci danno il modo di capire meglio cosa sapete della nostra legge fondamentale, come la interpretate, cosa vi aspettate da lei.
Avete discusso di tante cose. Della dignità delle persone senza lavoro e della sicurezza sul lavoro, insieme al tema della responsabilità penale quando l’industria non agisce responsabilmente. Ho appreso che tanti di voi si sono chiesti se riusciremo mai a sconfiggere la mafia e di come la mafia ci uccide anche con l’inquinamento e il degrado, non solo morale. Grazie di tutto questo.

Per me è un momento importante, credetemi. Il confronto con voi mi arricchisce, mi aiuta a capire. Mi fa forte. Non pensate che siano solo gli adulti ad insegnare ai giovani. E’ vero, ma è tanto vero anche il contrario. Siate coscienti di quanto il vostro apporto sia necessario.

Affrontate la scuola con gioia, con curiosità, con impegno e se qualche volta vi annoiate come credo capiti – sono stato studente anche io – prendete anche la noia come un insegnamento, una prova da superare. La conoscenza vi aiuterà a diventare cittadini coscienti, responsabili, forti e liberi.

Regalateci la vostra energia, la vostra spinta poderosa verso la vita, verso l’affermazione del giusto e della bellezza, parola che ricorre molto nei vostri lavori.
Voi siete la migliore testimonianza delle potenzialità e della capacità di reagire a momenti difficili. Come quello attuale.

Credo che essere qui oggi vi possa aiutare a capire che ogni nostro gesto libero e consapevole è possibile solo perché la Costituzione esiste. Studiare, viaggiare, comunicare, anche protestare quando serve, tutto ciò che fate, perfino tutto ciò che sognate, potete farlo e sognarlo perché la Costituzione esiste ed esiste così com’è.

La Costituzione ha molti anni e qualche volta è stata modificata, come è giusto cambiare le leggi quando le cose cambiano; però è molto complicato modificarla, proprio perché i padri costituenti vollero ci si pensasse bene, prima di farlo. La Costituzione è modificabile, certo, ma non nella prima parte. Le norme sulla libertà di manifestazione del pensiero e sugli altri diritti fondamentali sono immutate e devono rimanere immutabili.
Il titolo primo della parte prima della Costituzione disciplina i diritti di libertà, cioè l’insieme delle sfere di autonomia che garantiscono il singolo e i gruppi contro possibili abusi dei pubblici poteri. Sono i diritti “di prima generazione”, quelli che, storicamente, hanno segnato l’affrancamento dell’uomo dall’arbitrio del sovrano assoluto. Per noi tutti oggi l’inviolabilità del corpo e del domicilio, la possibilità di manifestare liberamente, di riunirsi e associarsi con altre persone, la facoltà di agire in giudizio per la tutela dei propri interessi sono prerogative spesso percepite come ovvie.

Ma tali diritti sono il frutto di lotte e sangue, quelle lotte e quel sangue che ancora oggi sono una realtà in quelle aree del mondo dove non esiste un vero e proprio Stato di diritto. Perché, per la loro essenzialità, le libertà personali sono diritti universali, da riconoscersi a tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro residenza e dalla loro cittadinanza. Eppure, in molti Paesi ci sono ancora persone che, per il loro sesso, la loro razza o la loro fede religiosa, sono costretti a vivere la loro quotidianità con delle catene ai piedi. Noi siamo molto più fortunati di loro e dobbiamo esserne consapevoli.

Senza la Costituzione, senza i sacrifici che le generazioni precedenti hanno affrontato, noi non saremmo oggi qua nell’Aula di un Parlamento liberamente eletto. Senza la Costituzione voi non potreste dire quello che pensate. Grazie alla Costituzione noi siamo liberi e uguali. E la Costituzione è il risultato di un lungo lavoro di un’assemblea appositamente costituita dove si discusse, anche aspramente, ma lo si fece per giungere a un risultato: con il dialogo, si arrivò a un accordo. Parlarsi per accordarsi è politica. Ecco, scrivendo la Costituzione si fece politica nel senso più alto della parola.
La politica non gode di positivi apprezzamenti in questi anni e, in parte, a buona ragione. Tuttavia senza la politica, ovvero il libero confronto delle idee per costruire insieme, nulla sarebbe possibile. Neanche pensare a come progettare un futuro migliore.
Oggi vi invito a riflettere su una cosa: non confondete le Istituzioni con gli uomini che le rappresentano. Imparate a rispettarle anche se gli uomini non li ritenete all’altezza. Lo stesso discorso vale anche per i luoghi delle Istituzioni: quest’Aula è meravigliosa non solo, naturalmente, perché tanto solenne e suggestiva. Sarebbe meravigliosa anche fosse disadorna con qualche seggiola rovinata. (Un tempo, sapete, questo spazio era un cortile, dove parcheggiavano le carrozze, quando questo palazzo ospitava le poste pontificie). Oggi quest’Aula rimane comunque meravigliosa perché presidio di libertà e di democrazia.

Realizzare una sostanziale democrazia significa innanzitutto impegnarsi a realizzare e a difendere i diritti sociali, almeno quelli primari (istruzione, lavoro, salute) nella ricerca di valori universali quali una maggiore uguaglianza, libertà, giustizia, il rispetto reciproco, la tolleranza, la pace e in primo luogo la non violenza.
Si é soliti dire che voi siete il nostro futuro, caricandovi di incolpevoli responsabiltà, ma siamo noi adulti che con l’esempio, la pulizia morale e comportamenti trasparenti ci dobbiamo prendere carico di realizzare risultati di efficienza e di benessere sociale, perseguire interessi collettivi, aiutarvi a risolvere i problemi, non farvi sentire abbandonati, come vuoti a perdere, sopraffatti dalla delusione, dalla sfiducia, dall’indifferenza, dalla rassegnazione.
Infatti, se migliaia e migliaia di giovani intravedono nel loro futuro soltanto la negazione dei più elementari diritti, prepotenza, violenza e disoccupazione, saranno fatalmente costretti al clientelismo, alla richiesta del favore, alla fuga dalle responsabilità, al mortale abbraccio della criminalità.
Bisogna fare arrivare con forza a voi giovani il messaggio che per primi noi adulti non riteniamo giustificabile la corruzione, i favoritismi, i compromessi, l’intimidazione, la violenza, il finanziamento illegale della politica, la compravendita degli appalti, l’appropriazione dei finanziamenti pubblici, lo svuotamento delle casse delle aziende pubbliche, il taglieggiamento delle imprese private.

Qual è il futuro di una società che non riesca a trasmettervi valori e fiducia? Appare dunque questa la sfida della società italiana:formarvi per creare una nuova classe dirigente. E chi lo può fare se non un esercito di educatori come quelli che vi hanno seguito in questi lavori?
Lasciati senza idee e senza ideali, c’é il pericolo che diventiate creature spinte da meri impulsi, incapaci di comprendere la storia e di contribuire a scrivere la storia.
Siamo nel terzo millennio, in un periodo denso di crisi per il nostro ed il vostro futuro, ma voi continuate a credere in quegli ideali, che magari gli adulti considerano soltanto utopie, nelle vostre idee, nei vostri sogni, con la ferma speranza che si possano realizzare.

Visita ufficiale Presidente del Consiglio Europeo in Italia

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Il Presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, nell’ambito della sua visita ufficiale in Italia, sarà ricevuto dal Presidente del Senato, Pietro Grasso, per la prima volta nella sede del Senato.

L’incontro avverrà domani, venerdì 31 maggio, alle ore 12 a Palazzo Giustiniani

Voglio la verità sulle stagi impunite

Caro direttore,

nella storia della nostra democrazia è maggio il più crudele dei mesi. Il primo giorno, oltre che per la Festa del lavoro, è ricordato per la prima strage del secondo dopoguerra, quella di Portella della Ginestra, nel 1947. Il  3 maggio del 1982 a Reggio Calabria la ‘ndrangheta fa saltare in aria Gennaro Musella. Il 4 maggio
del 1980 viene assassinato il capitano Emanuele Basile. Il giorno dopo, ma nel 1960, il giornalista Cosimo Cristina. Il 9 maggio 1978 vengono ritrovati, a centinaia di chilometri di distanza e uccisi per mano diversa, i corpi di Aldo Moro e di Peppino Impastato. Il 17 maggio 1972 viene ucciso Luigi Calabresi; il 20 maggio 1999 Massimo D’Antona.

Tutti gli italiani nati prima del 1980 si ricordano i dettagli di dove erano, e con chi, e a far cosa, quando hanno avuto la notizia della Strage di Capaci del 23 maggio 1992. Il 27 maggio 1993 la mafia ha colpito Firenze, i suoi cittadini e i suoi tesori artistici; il 28 maggio 1974 una manifestazione in Piazza della Loggia a Brescia è stata sconvolta dallo scoppio di una bomba. Lo stesso giorno, nel 1980, viene assassinato Walter Tobagi. Un lungo elenco, probabilmente incompleto, sicuramente doloroso. All’elenco dei morti e dei feriti andrebbero aggiunti anche tutti coloro che sono vittime morali degli omicidi e delle stragi mafiose e terroristiche. Mi riferisco ai familiari, alle mogli, ai figli, agli amici, privati violentemente dei loro affetti e del futuro che avevano immaginato e che non hanno potuto vivere. Vittime sono anche le città ferite, le comunità frustrate e spaventate che da decenni invocano una giustizia che spesso non è riuscita a fornire risposte certe e a dare condanne esemplari.

Il tempo passa, e noi abbiamo, tutti insieme, il dovere di far conoscere anche a coloro che a distanza di tanti anni sentono quello che è successo, e quello che è costato, troppo lontano, come una pagina di storia e non una realtà viva e ancora dolente; abbiamo il dovere di dire, di ripetere, di trasmettere la comprensione del dolore, la consapevolezza del morire dentro con l’obbligo di conservare forza per ricostruire. Non dobbiamo dimenticare. In questo sforzo attori instancabili sono proprio i familiari e le associazioni che li riuniscono, che con amore raccontano le storie di vita e di sacrificio proprie e dei loro cari perché si trasformino in memoria collettiva e lezione di vita, nonostante sia un compito difficile, penoso, duro. Il loro sforzo è fondamentale e diventa patrimonio comune. Il ricordo collettivo ha infatti un valore importante. La memoria condivisa ricostruisce l’identità di ciascuno di noi. La comprensione del passato ci permette di capire chi siamo, che cosa vogliamo, ci consente di dare uno spessore diverso alla nostra esistenza. Ci consente di pesare il valore dei giorni di ieri, di valutarne gli intrecci con la nostra storia personale, nella consapevolezza che ciò che è andato perduto ci ha reso più forti. Piùvigili. Più determinati. È necessario per i nostri giovani, perché siano forti in loro lo spirito di unità, il senso dello Stato e la consapevolezza che uniti si vince sempre.

Molto si è lavorato sulla genesi e sulla natura dei fenomeni di stragismo e terrorismo politico, su come siano nati, quali siano state le radici, le ideologie e le strategie di supporto. Ma bisogna andare avanti, illuminare tutti i punti oscuri, non smettere di cercare la verità: giudiziaria se ancora possibile, o storica. Dobbiamo avere il coraggio di guardare al nostro passato senza paura e senza omissioni, perché un Paese che nasconde e teme la propria storia è un Paese senza futuro. Solo la verità può permettere di fare luce sulle nostre pagine buie e di rendere, così, giustizia ai morti e ai sopravvissuti. L’impegno per la ricerca della verità, che ha sempre animato la mia attività di magistrato, non è cambiato. Nella mia nuova veste di presidente del Senato provo un senso di responsabilità forse ancora maggiore nell’affrontare le sfide che la lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo pone quotidianamente. In questa nuova funzione ho più volte detto che sarebbe opportuno allargare i compiti della commissione d’inchiesta antimafia anche alle stragi e al terrorismo per comprendere esattamente convergenze tra organizzazioni di stampo mafioso ed eversivo. Se le forze del male si compattano lo Stato deve poter rispondere con altrettanta compattezza e forza per capire il passato recente e scongiurare ogni rischio di riproduzione di quei fenomeni che tanto sono costati agli italiani.

Anzi, è necessario rafforzare la democrazia e promuovere la cultura della legalità in ogni ambito. Mai come oggi il nostro Paese ci chiede di agire. Bisogna intervenire al più presto, sul piano dello sviluppo, dell’economia legale, della lotta politica, dell’impegno quotidiano. La cultura della legalità deve essere il fulcro di un progetto di cambiamento della società. Deve diventare il motore di una politica di rinnovamento, con forze politiche che ridefiniscano la loro identità in questa direzione e una società civile capace di darsi un progetto e una reale autonomia.

In questi giorni di maggio ho partecipato con grande commozione alle cerimonie di commemorazione tenute a Portella della Ginestra, a Reggio Calabria, al Senato il 9 maggio scorso per la giornata in memoria delle vittime del terrorismo, così fortemente voluta dal presidente della Repubblica, sotto la casa di Massimo D’Antona, a Palermo con le navi della legalità e nell’Aula bunker del maxi-processo, a Firenze e Brescia.
Sono giorni che giro l’Italia parlando di questo, confrontandomi con le persone che erano presenti in quei momenti, con i sopravvissuti e con i familiari, ma soprattutto con i giovani studenti delle scuole di tutta Italia che, grazie al lavoro di centinaia di insegnanti appassionati, hanno dubbi, domande, voglia di capire. Posso dire che parto ogni volta pensando di offrire io parole di coraggio e speranza mentre sono io a riceverne. Il dolore che il nostro Paese ha subito è stato trasformato in impegno civile e in una costante voglia di ricordare e di cercare verità e giustizia, in nome dei tanti martiri civili della nostra storia. È un’aspettativa che non dobbiamo deludere, è un impegno che le istituzioni debbono portare avanti, a qualunque costo.
 

 

 

 

 

 

 

Franca Rame: donna straordinaria e attrice formidabile

“E’ con profondo dolore che ho appreso la notizia della tragica scomparsa di Franca Rame. Il mondo del teatro e l’intero Paese hanno perso una delle figure femminili più importanti della vita artistica e culturale degli ultimi decenni”. Così il Presidente del Senato Pietro Grasso in un messaggio alla famiglia dell’artista, Senatrice nella XV legislatura. “Con umanità e coraggio è riuscita sempre a trasmettere al pubblico, in maniera straordinariamente espressiva, personaggi ed emozioni, fondendo l’arte e la vita. Franca Rame – aggiunge il Presidente del Senato – non è stata solo un’attrice formidabile ma una donna straordinaria, capace di affrontare le dure battaglie della vita con tenacia, fierezza e grandissima dignità. Le sue vicende personali, seppur profondamente dolorose, l’hanno resa più forte e più determinata nella lotta per i diritti delle donne, diventandone una delle figure simbolo”.

“Con un commosso pensiero, – conclude il Presidente Grasso – a nome mio personale e dei colleghi di Palazzo Madama, esprimo il più sentito cordoglio alla famiglia”.

Ricostituire la fiducia dei cittadini con gestione trasparente dei conti pubblici

Messaggio al Presidente della Corte dei Conti, Giampaolino

“La Corte dei Conti rappresenta un punto di riferimento fondamentale per le istituzioni e per la collettività, soprattutto in un momento storico delicatissimo per la finanza pubblica in cui urgono esigenze di impiego oculato delle risorse economiche, anche alla luce delle sempre più pressanti esigenze di governance economica europea.”

Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, nel messaggio inviato al Presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, in occasione della presentazione del Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica, che ha luogo oggi nella sala Zuccari di Palazzo Giustiniani.

“Il momento di difficoltà che il nostro paese sta attraversando – continua il Presidente – richiede innanzitutto di ricostituire la fiducia dei cittadini nella nostra capacità di crescita. Ciò è possibile solo attraverso una gestione dei conti pubblici trasparente, rigorosa, attenta e scrupolosa. Per questo resta prioritario colpire sprechi e abusi incompatibili con un sistema generale dinamico e coerente ma sopratutto equilibrato. Solo garantendo una corretta gestione delle risorse pubbliche ed un effettivo equilibrio finanziario e di bilancio si può parlare di democrazia nel senso più vero del termine. Sono certo che anche quest’anno il Rapporto offrirà utili spunti di riflessione sulla gestione, l’esame e il controllo dei conti pubblici in Italia. Augurando pieno successo all’iniziativa – conclude il Presidente, impossibilitato a partecipare all’incontro in sala Zuccari perché impegnato oggi a Brescia nel 39° anniversario della strage di Piazza della Loggia – invio a lei e a tutti coloro che prenderanno parte all’evento i miei più cordiali saluti”.