Bus Irpinia. Fare chiarezza sull’accaduto

“Sono profondamente addolorato per la tragedia che la notte scorsa si è verificata lungo l’autostrada A16 in provincia di Avellino. In questo momento di lutto e sofferenza, desidero innanzitutto far giungere ai familiari delle vittime il mio accorato cordoglio, unitamente agli auguri di pronta guarigione per i feriti coinvolti in questa sciagura”.

Così il Presidente del Senato Pietro Grasso. “Lo sgomento per quanto verificatosi – aggiunge il Presidente Grasso – non deve trattenerci dal fare chiarezza sull’accaduto. E’ necessario che le autorità competenti utilizzino tutti i poteri a loro disposizione per accertare le cause dell’incidente, perché vengano verificate le eventuali responsabilità e perché simili eventi non abbiano più a ripetersi”.

“In Italia, gli incidenti stradali continuano a rappresentare una tra le principali cause di morte; abbiamo il dovere morale di intervenire, intensificando i controlli sui conducenti dei veicoli, ed in particolare su coloro che svolgono questa attività a titolo professionale, monitorando con estremo rigore le condizioni dei veicoli, la qualità tecnica dei tracciati stradali e delle barriere di protezione. Un sentito ringraziamento – conclude il Presidente del Senato – a tutti coloro, Vigili del fuoco, Forze dell’ordine, civili, che stanno, tutt’ora, prestando soccorso”.

Anniversario strage via Pipitone. Rocco Chinnici, per noi, fu testimone e maestro

“Nel 30mo anniversario della strage di via Pipitone, desidero rivolgere un pensiero memore, grato e commosso a Giovanni, Elvira e Caterina Chinnici, ai familiari del maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi, del Brigadiere Salvatore Bartolotta e del portiere dello stabile Stefano Li Sacchi, che insieme a Rocco Chinnici furono uccisi quel 29 luglio del 1983”.

Così il Presidente del Senato Pietro Grasso in una nota che prosegue “Uomo di altissime doti umane e morali, Rocco Chinnici è stato un magistrato integerrimo, un punto di riferimento determinante nella formazione mia e di tanti colleghi, tanto da essere soprannominato il giudice papà, perché per noi fu testimone e maestro. La sua profonda capacità di analisi e le sue intuizioni gli avevano permesso di cogliere, quando ancora erano grandemente lacunose le conoscenze sul fenomeno, l’ordinarietà del potere mafioso, quei rapporti tra affari e potere che i processi successivi alla sua morte avrebbero poi svelato”.

“La sua religione – aggiunge il Presidente Grasso – era il suo lavoro, la passione per quello che faceva. Credeva fermamente nella necessità del lavoro di equipe e pose le basi per la nascita di quello che sarebbe stato il pool antimafia. Era ben consapevole dell’altissimo rischio della sua persona, ma questa fredda lucidità non lo fece arrendere mai. Sapeva che con la sua uccisione si sarebbe tentato di eliminare le sue conoscenze, di soffocare la sua volontà di riscatto e per questo non si stancò mai di trasmettere le une e di infondere l’altra. Lo faceva dialogando con tutti, con la gente comune, con gli uomini di potere, con i suoi colleghi, ma soprattutto amava incontrare i giovani per parlare di antimafia, di lotta alla droga, di una Sicilia libera. Prendiamo dunque esempio – conclude il Presidente Grasso – da chi, come Rocco Chinnici, ha immolato la propria vita in nome della giustizia affinché questo sacrificio non sia reso inutile, affinché la storia di questi martiri ci dia la forza per continuare a lottare in nome della verità e della legalità”.

In ricordo di Giuseppe Montana: “Investigatore tenace, diresse operazioni decisive”

“In occasione del ventottesimo anniversario del vile assassinio di Giuseppe Montana, desidero ricordarne il sacrificio e rinnovarne la memoria”. Queste le parole del Presidente del Senato, Pietro Grasso.

“Dirigente della sezione catturandi della squadra mobile di Palermo, investigatore tenace e deciso, amico e stretto collaboratore del vice questore Antonino “Ninni” Cassarà, aveva diretto le operazioni che avevano portato agli arresti di molti boss mafiosi, comprendendo prima di altri che nessuno dei ricercati era lontano dal proprio quartiere, dai propri famigliari. Proprio per una violenta vendetta mafiosa è stato ucciso”, ha poi ricordato il Presidente.

“Beppe Montana era mosso dalla volontà di preservare dalla violenza criminale il nostro futuro, il futuro dei nostri figli. Ma il suo sacrificio, come quello di tanti altri, non è stato vano. Ha arricchito le nostre coscienze ed ha contribuito in maniera decisiva alla diffusione della cultura della giustizia e della lotta al fenomeno mafioso. A tutti noi – ha poi concluso il Presidente Grasso – spetta il compito di investire le nostre migliori energie per proseguire questo cammino comune per la legalità”.

Rocco Chinnici: maestro, padre e fine giurista

Ho conosciuto Rocco Chinnici nell’autunno del 1972 quando giunsi, poco più che ventisettenne, alla Procura di Palermo dalla mia prima destinazione presso la Pretura di Barrafranca. L’assassinio dell’integerrimo procuratore della Repubblica Pietro Scaglione aveva dato l’avvio a un’impressionante serie di omicidi eccellenti che avevano «convinto» molti sostituti a lasciare la Procura. Per noi giovanissimi magistrati si era così aperta l’insperata possibilità di approdare a Palermo. Per la sua grande professionalità ed esperienza e il suo modo di fare bonario, Rocco Chinnici, all’epoca già affermato giudice presso l’ottava sezione dell’Ufficio istruzione, fu subito per noi «matricole» un modello, un punto di riferimento.

Fra di noi alludevamo a lui come «papà Rocco» e lui ci ricambiava con simpatici nomignoli, come «frutti di martorana», riferendosi al tempo stesso ai tradizionali dolcetti siciliani di pasta di mandorle e al procuratore aggiunto Martorana di cui eravamo allievi. Altre volte, per la nostra giovanile energia e voglia di fare, ci chiamava «i plasmoniani», prendendo spunto da uno spot pubblicitario di Carosello, che raffigurava bambini forti e superattivi, nutriti da biscotti Plasmon. Del resto, proprio in questo campo papà Rocco era un fulgido esempio. Era famosa la sua instancabile produttività, tanto che il sostituto della Procura incaricato di seguire le sue indagini lamentava scherzosamente: «Rocco, ma non ce l’hai un hobby?». Rocco era il giudice di tutti, il giudice per tutti. Non si risparmiava e riusciva a trovare il tempo anche per andare nelle scuole ad incontrare i giovani, sia per metterli in guardia dal dilagante fenomeno dell`eroina, sia perché aveva compreso che la lotta alla mafia doveva partire dal ricambio generazionale.

Fu il primo a credere nell’importanza del lavoro di gruppo e del coordinamento delle indagini antimafia, oltre che nella necessità di non disperdere la memoria investigativa attraverso le innovazioni tecnologiche, come le banche dati. Quando, dopo l’omicidio del collega Cesare Terranova, divenne capo dell’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, diede un nuovo impulso all’ufficio dirigendo personalmente tutte le indagini degli omicidi cosiddetti eccellenti (Mattarella, La Torre, dalla Chiesa) e affidando a magistrati di indubbio valore, come Falcone, Borsellino, Dí Lello e Guarnotta, le più delicate indagini di mafia, tra le quali quelle sull’omicidio del capitano Basile, sul costruttore Rosario Spatola e su Michele Greco +161, che costituì l’attività investigativa iniziale del maxiprocesso contro Cosa nostra, che poi mi ritrovai a gestire come giudice «a latere» della Corte di Assise di Palermo.

In tal modo, Chinnici creò i presupposti per quel pool antimafia che sviluppò al massimo la sua azione col suo successore Antonino Caponnetto.
Apprezzai subito l’acutezza del suo pensiero giuridico, il suo efficiente pragmatismo ed il suo intuito investigativo quando ebbi l’occasione di seguire le indagini da lui dirette sull’omicidio del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, che avevo svolto nella fase preliminare in Procura. Insieme, poco prima del suo eccidio, andammo a interrogare in carcere, a Rebibbia, al sorgere della pista che li coinvolgeva, i terroristi Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Per poterlo abbattere, la mafia dovette abbandonare i suoi metodi tradizionali, la lupara o la P38, adeguando le proprie tecniche di uccisione, per la prima volta, all’evoluzione dei tempi e alle misure di sicurezza che erano state adottate nei suoi confronti. Dovette usare un’autobomba imbottita di tritolo e «Palermo come Beirut» titolarono i giornali.

Ancora una volta non si riuscì a evitare una strage annunciata, pur essendo pervenuta, tramite il libanese Bou Chebel Ghassan, la notizia di esplosivo inviato a Palermo per un attentato. Si pensò a Falcone, che però si trovava in Thailandia sulle tracce di un imponente traffico di eroina, o all’Alto commissario antimafia, prefetto De Francesco.
Se è vero, come i successivi processi hanno accertato, che Rocco aveva manifestato l’intenzione di emettere mandati di cattura contro i cugini Salvo, tuttavia non si avevano ancora quelle più approfondite conoscenze, che però lui aveva perfettamente intuito, sulla pericolosità di quel connubio fra mafia, economia e politica che costituiva lo snodo cruciale del potere mafioso nell’isola. L’intuizione, la modernità di Rocco Chinnici è aver misurato la temperatura del suo tempo, la virulenza mafiosa degli anni Ottanta, ìn un contesto di normalità medio-borghese dal quale scaturiva un senso di realismo che legittimava il potere criminale.

Egli ha avuto il merito di non confinare il fenomeno mafioso nell’ambito di rappresentazioni folcloristiche o territori di coppole e lupare. Studiando gli ingranaggi del consenso sociale, era riuscito a spostare l’interesse delle indagini e a tracciare le vere coordinate del potere mafioso. Ma la vera rivoluzione del suo pensiero fu nell’avere compreso che la borghesia mafiosa non sceglie, piuttosto approva senza necessariamente tradurre l’adesione all’agire mafioso in affiliazione, ponendosi come strumentale al potere. Rocco Chinnici, in un mancato appuntamento con l’attualità, ha combattuto l’ordinarietà del potere mafioso, in cui la criminalità è solo uno degli aspetti, anticipando così quel labirinto quotidiano degli affari e del potere che i processi successivi alla sua morte avrebbero svelato. Ed è debito della storia della Giustizia il dover riconoscere la straordinarietà del suo lavoro.

 

20 anni fa le bombe a Roma e Milano. Memoria e legalità sono la base della democrazia

“Era il 27 luglio del 1993 quando tre bombe colpirono Roma, a San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro, e Milano in via Palestro. Alessandro Ferrari, 29 anni, Carlo La Catena, 25 anni, Sergio Pasotto, 34 anni, Stefano Picerno, 36 anni e Moussafir Driss, 44 anni, persero la vita in quel tragico attentato. L’Italia, a soli due mesi dalla strage di via dei Georgofili, viveva nuovamente una della pagine più tristi della sua storia”. Così scrive il Presidente del Senato, Pietro Grasso.

“Oggi – prosegue il Presidente del Senato – in occasione del ventesimo anniversario della loro morte, vogliamo ricordarli, vogliamo onorare la memoria delle tante vittime del terrorismo e della mafia, vogliamo stringerci attorno ai familiari. E’ un pensiero che ci ha accompagnato e ci accompagnerà ogni giorno. Voi mogli, figli, genitori, che siete stati privati degli affetti più cari, non sentitevi soli, dimenticati. La vostra forza, il vostro coraggio sono per tutti noi il punto di partenza per portare avanti con determinazione un’azione quotidiana di contrasto all’illegalità e alla sopraffazione, confortati dalla speranza che si può cambiare, che si può e si deve agire per costruire una società migliore”.

“Sono convinto – conclude il Presidente Grasso – che con la forza di tutti riusciremo a fare molto. Come rappresentante delle Istituzioni intendo battermi affinché la cultura della legalità e della memoria sia alla base della democrazia, dello Stato e delle Istituzioni. Lo dobbiamo a loro, lo dobbiamo a noi e alle generazioni future”.

In ricordo di Rita Atria. Una storia di dolore e di grande coraggio

“Ricorre oggi, 26 luglio, il 21° anniversario della morte di Rita Atria, suicida a soli 18 anni. Oggi la vogliamo ricordare perché la sua è una storia che non si narra, non si racconta ogni giorno, una storia di dolore ma di grande coraggio, di determinazione”.

Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, in una nota, che così prosegue: “Giovanissima, ma solo all’anagrafe, aveva vissuto molte vite. Il dolore per la perdita del padre e del fratello, affiliati di Cosa nostra, uccisi per mano mafiosa quando Rita aveva solo undici anni, il ripudio della madre e dell’ambiente in cui viveva per aver tradito il presunto onore della famiglia, l’assoluta solitudine per la sua scelta di denunciare quel mondo che non le apparteneva nell’animo e nello spirito, non la spaventarono, ma trasformarono la rabbia e il desiderio di vendetta in anelito alla libertà. Rita Atria, la ‘picciridda’, come la chiamava Paolo Borsellino, non riuscì a sopravvivere alla morte del magistrato che per lei aveva rappresentato l’amico, il padre, la famiglia che non aveva mai avuto. Nonostante la sua scelta disperata – conclude il Presidente del Senato – Rita oggi rappresenta una strada da percorrere, un esempio, un messaggio di speranza che si può e si deve cambiare, in nome della legalità, in nome della giustizia, in nome di un futuro migliore”.

Incontro con il sindaco di Monasterace. Non vi mancherà mai il sostegno nella battaglia per la legalità

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Il Presidente del Senato ha incontrato oggi a Palazzo Madama il sindaco di Monasterace, Maria Carmela Lanzetta. All’incontro era presente la Vice presidente Valeria Fedeli.

Il Sindaco ha illustrato le motivazioni della sua scelta di presentare le dimissioni e i problemi che i comuni della Locride si trovano quotidianamente ad affrontare per dare risposte concrete ai bisogni dei loro cittadini e per dare un nuovo impulso di sviluppo e di legalità al territorio.

“Come Sindaci avete dimostrato grande coraggio e determinazione nella vostra battaglia per la legalità e lo sviluppo della Locride, da parte mia vi garantisco che non vi mancherà mai il sostegno delle Istituzioni in questo cammino, che deve proseguire con forza”, ha concluso il Presidente Grasso.

Franco Roberti Procuratore Nazionale Antimafia. Un grande magistrato per un ruolo cruciale

“Ho accolto con grande soddisfazione la notizia della nomina da parte del Consiglio Superiore della Magistratura a Procuratore Nazionale Antimafia di Franco Roberti, un magistrato unanimemente apprezzato per la professionalità e l’impegno nella lotta alla criminalità organizzata, con cui ho avuto spesso modo di collaborare in passato”. Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, in una nota in merito alla nomina di Franco Roberti a Procuratore Nazionale Antimafia.

“Il ruolo di Procuratore Nazionale Antimafia cui il dott. Roberti è stato chiamato – aggiunge il Presidente Grasso – è cruciale non solo nel coordinamento delle indagini antimafia interne ma anche nella prospettiva della cooperazione internazionale, vitale per sconfiggere la criminalità organizzata transnazionale.”

“Auspico un rinnovato e corale impegno di tutte le forze politiche, attraverso interventi legislativi mirati e strategici, al contrasto a un fenomeno che inquina la vita sociale, politica ed economica del nostro Paese. A Roberti – conclude il Presidente del Senato – le mie più sincere congratulazioni e l’augurio di buon lavoro.”

Incontro con una delegazione di docenti inidonei

Il Presidente del Senato ha ricevuto oggi una delegazione dei partecipanti al sit-in organizzato da Cesp e Cobas formata da docenti inidonei, precari amministrativi e tecnici e insegnanti tecnico pratici ex enti locali. All’incontro erano presenti i capigruppo della Commissione Istruzione, i senatori Puglisi (PD), Morra (M5S), Centinaio (Lega), Liuzzi (PdL), Giannini (Scelta Civica), Petraglia (SeL).

La delegazione ha rappresentato al presidente Grasso le istanze relative alla discussione dei disegni di legge per l’abrogazione dell’art 14, commi 13-14-15 della L. 135/12 sul transito forzato dei docenti “inidonei” – insegnanti che per gravi patologie sono utilizzati nelle biblioteche, laboratori didattici o come supporto per l’offerta formativa – e degli insegnanti tecnico pratici sui posti del personale precario amministrativo e tecnico, che rischiano in questo modo di perdere il posto di lavoro.

Il Presidente Grasso ha ascoltato con grande attenzione e partecipazione le ragioni e le proposte della delegazione in merito alla risoluzione delle problematiche esposte e ha raccolto la segnalazione delle conseguenze che una tale scelta comporterebbe.
“Sono sensibile e vicino a questi lavoratori, e mi impegno a un celere iter legislativo delle proposte quando dalla Commissione arriveranno in Aula”, ha concluso il presidente Grasso.

Cerimonia del “Ventaglio”

Incontro con la Stampa Parlamentare

Cari giornalisti, cari colleghi,

desidero porgere il mio personale benvenuto ad Alessandra Sardoni e a tutti i componenti dell’Associazione Stampa Parlamentare.
E’ con viva emozione che oggi partecipo alla tradizionale cerimonia di consegna del ventaglio, che ormai rappresenta un appuntamento fisso tra le istituzioni e la stampa parlamentare e che quest’anno festeggia un compleanno importante.
Sono passati infatti 120 anni da quando, in giorni di particolare afa, l’allora Presidente della Camera, Giuseppe Zanardelli, impegnato in una lunga discussione sulla legge bancaria, ricevette in dono un modesto ventaglietto di carta sul quale tutti i giornalisti presenti nella tribuna stampa avevano apposto le loro firme. Dal 1893 ad oggi, sono cambiate in maniera sostanziale le condizioni politiche, sociali e culturali che accompagnano il ripetersi di questa cerimonia. I contatti tra la politica e la stampa parlamentare sono diventati quotidiani, ogni giorno ci sono occasioni per incontrarsi e confrontarsi sui lavori dell’Aula e delle Commissioni. Questo però non ha intaccato la ratio originaria della cerimonia del ventaglio, che ancora oggi rappresenta un’occasione per fare un bilancio sulle questioni politiche pendenti e per confrontarsi in modo costruttivo sulle sfide dei prossimi mesi.

Il tema della giustizia, come è facile immaginare, è un tema a cui tengo molto. Sono convinto che il nostro Paese abbia bisogno di una riforma globale del “sistema giustizia” e ho spesso indicato nei mesi scorsi, quando ancora il ruolo me lo consentiva, un percorso di riforme a breve, medio e lungo termine per venire incontro all’esigenza dei cittadini di veder riconosciuti i propri diritti in tempi ragionevoli. L’ultima riforma organica della giustizia penale risale al 1989 ma anche per la giustizia civile, nonostante i tentativi, i risultati attesi sono ancora lontani. Mi rendo però conto che in questa fase di profonda crisi economica e delicata a livello politico aprire un dibattito così ampio su un tema certamente delicato come questo non sia prioritario.

Meglio quindi intervenire su ciò che si ritiene più urgente e significativo. Anche per questo ho deciso di assegnare alla Commissione Giustizia in sede deliberante le norme sul voto di scambio politico mafioso, un’iniziativa chiesta da quasi 300 mila cittadini e sostenuta da parlamentari di tutti gli schieramenti. Rammento che in questo modo la Commissione può modificare il testo, migliorandolo, senza dover passare dall’Aula del Senato. Il mio intento è stato solo quello di accelerare l’iter legislativo prescindendo dal merito del provvedimento che come sapete, purtroppo, non rientra fra le mie prerogative. D’altronde vorrei ricordare che proprio nel mio primo giorno da senatore ho depositato un Disegno di Legge che fra l’altro recava una riformulazione del 416 ter che allargava l’applicazione della norma con la sola aggiunta della voce “altra utilità” oltre al denaro tra le ragioni dello scambio, e che ritenevo adeguata alle esigenze. In quella mia unica iniziativa legislativa proponevo anche di intervenire contro quei reati che aggravano la crisi economica quali la corruzione, il falso in bilancio, il riciclaggio e l’autoriciclaggio.

La mia elezione a Presidente del Senato è avvenuta in un momento in cui, a seguito di risultati elettorali di difficile composizione, lo scenario politico era ancora nebuloso. Sono stato eletto, è vero, con i voti di forze politiche che al momento sono sia al governo che all’opposizione, ma dalla sera stessa del 16 marzo scorso ho avuto ben chiare le responsabilità, gli onori e gli oneri della mia carica, prima fra queste la conduzione assolutamente super partes dei lavori dell’Aula e del Senato, in generale la necessaria e doverosa imparzialità nell’esercizio delle mie funzioni.

E’ capitato, nelle scorse settimane, che alcune mie affermazioni fatte fuori dal mio ruolo da Presidente abbiano acceso il dibattito politico, che del resto si accende facilmente. Dovete capirmi: per 43 anni, da magistrato, ho seguito la massima di Calamandrei secondo la quale un magistrato non solo deve essere indipendente nell’esercizio delle sue funzioni ma anche apparire tale, tanto che per alcune ore, dopo la fuga di notizie sulla mia richiesta di aspettativa per motivi elettorali, le successive agenzie non riuscivano ad ipotizzare il partito per il quale mi sarei candidato. Mi sono spostato in politica anche per riacquistare quella libertà di intervento e di parola che il mio lavoro precedente chiedeva di sfumare, ma ho potuto esercitarla solo per il periodo della campagna elettorale, tra l’altro una delle più brevi della nostra storia repubblicana. Ben consapevole del ruolo di garanzia che rivesto sono immediatamente tornato a misurare le parole, ma rivendico la possibilità di poter esprimere, con tutte le cautele del caso, la mia opinione sui temi del dibattito politico senza che nessuno possa temere o ipotizzare una parzialità nell’esercizio delle mie funzioni di Presidente.

In quest’ottica sottolineo che, vista la difficile condizione economica e sociale sulla quale il Governo e il Parlamento cercano di dare risposte concrete ai bisogni dei cittadini, più che di maggioranze variabili spererei di vedere maggioranze allargate, come già successo su alcuni temi in Senato, quali ad esempio lo sblocco dei pagamenti della Pubblica amministrazione alle imprese, ma anche i diritti umani, l’istituzione della Commissione Antimafia e la ratifica della Convenzione di Istanbul. L’eccezionalità del momento ci chiede un impegno eccezionale di condivisione di responsabilità e di scelte urgenti per far ripartire il nostro Paese e riportarlo, anche sullo scacchiere internazionale, al ruolo che gli spetta.

Per questo credo sia opportuno che le forze di maggioranza sostengano con compattezza e unità l’attività del Governo Letta, e che le forze di opposizione lavorino, con animo costruttivo e tenendo fede al mandato ricevuto dai loro elettori, al miglioramento delle proposte legislative. In questa fase la stabilità, che non deve diventare un totem, è però funzionale a porre in essere, senza tentennamenti e inutili scossoni utili solo a quella sorta di campagna elettorale permanente nella quale da troppo tempo siamo immersi, le linee di intervento illustrate dal presidente Letta in Aula presentando il programma del governo.
Stabilità che dovrà essere garantita, e mi sembra che segnali positivi in questo senso siano arrivati, in qualunque modo la Corte di Cassazione dovesse pronunciarsi sull’onorevole Berlusconi. Non dobbiamo sovrapporre le vicende giudiziarie del singolo alle vicende politiche generali.

Sui costi della politica è già in discussione un disegno di legge che prevede di ripensare il finanziamento pubblico ai partiti, e che ieri il Governo ha inteso salvaguardare dai troppi emendamenti in senso opposto. Enrico Letta ha promesso che non si faranno passi indietro, il Ministro Quagliarello che il Governo non intende rinviare ulteriormente una modifica alle norme attuali. Mi sembrano segnali importanti.

Nel mio piccolo ho cercato di dare l’esempio: all’indomani della mia elezione a Presidente ho ridotto della metà il mio compeso e il budget per il gabinetto del presidente, con un risparmio annuo netto di 860 mila euro l’anno. Successivamente siamo intervenuti sul consiglio di presidenza e i presidenti di commissioni, con un risparmio di 4 milioni e 600 mila euro annui, il collegio dei questori ha proceduto sulla strada della dematerializzazione degli atti parlamentari riducendo di tre quarti le stampe e risparmiando altri 2 milioni e 100 mila euro.

Soprattutto abbiamo avviato il confronto su una serie di misure di razionalizzazione e contenimento delle spese, a partire dalla proroga del blocco automatico delle retribuzioni del personale, dal taglio delle indennità di ufficio, dal blocco del turn over, da nuove tabelle retributive per i nuovi assunti e dall’integrazione di alcuni servizi con la Camera dei Deputati. La riduzione dei costi della politica ha un valore economico, senza dubbio, ma soprattutto ha un valore simbolico non più rinviabile. Significa stringere di nuovo un patto con i cittadini, mostrare la consapevolezza della gravità della situazione economica. Non possiamo continuare a chiedere sacrifici ai cittadini e non dare noi per primi l’esempio.

Sempre per il patto da rinnovare con i cittadini continuo a considerare prioritaria la riforma della legge elettorale, senza per questo voler interferire in alcun modo sul programma di riforme costituzionali in corso. Le due strade si possono separare, lasciando alle Camere il compito di preparare un testo condiviso. Come ho già avuto modo di dire occorre andare verso una legge che abbia due caratteristiche fondamentali, anche per superare i pesanti profili di sospetta incostituzionalità della legge attuale cui lei faceva riferimento: garantire una rappresentatività reale dei cittadini e la stabilità dei governi.

In merito all’invito che il presidente di Confindustria Squinzi ha rivolto ai presidenti di Camera, Senato e di tutte le Commissioni dei due rami del Parlamento si è molto favoleggiato. Ho incontrato Squinzi la prima volta a Santa Margherita Ligure quando, rispondendo all’invito dei Giovani Industriali, ho tenuto un intervento al loro convegno. E’ stato un incontro interessante, come interessante è stato il dibattito che si è tenuto nella foresteria di Confindustria durante la famosa cena: si è parlato della difficoltà del sistema imprenditoriale italiano a far fronte a questo momento di crisi dovendo combattere con i ritardi nei pagamenti e una burocrazia soffocante. L’incontro non ha avuto nulla di segreto, molti giornali hanno pubblicato dei resoconti fedeli, e resto dell’idea che il dialogo debba rimanere sempre aperto con tutte le realtà politiche, sindacali, sociali, associative, in contesti formali ed informali. Se non ricordo male la mattina dello stesso giorno in cui ci siamo visti a cena il presidente Squinzi era proprio alla Camera per un’audizione alla Commissione delle politiche dell’Unione Europea: è evidente che una cosa non esclude l’altra. Credo che le occasioni di incontro e di confronto si possano e si debbano aumentare, fa bene a tutti potersi parlare e capire le ragioni degli altri.

Essendo nuovo alla politica e trovandomi subito in questa veste non so rispondere su una ipotetica “nuova interpretazione del ruolo del presidente del Senato”. Posso solo dire che, se anche fosse, non ci vedrei nulla di male.

L’ultima delle molte questioni toccate dal suo intervento riguarda le esternazioni razziste e offensive che, a partire dalle dichiarazioni del senatore Calderoli, si sono poi estese a consiglieri comunali e provinciali di diverse parti d’Italia e di diverse formazioni politiche, alcuni dei quali si sono distinti in negativo aggiungendo tratti di maschilismo e omofobia. Sgombriamo subito il campo da un’equivoco: le dimissioni sono un gesto sulla cui opportunità solo il singolo senatore è chiamato a pronunciarsi, e sappiamo che, nonostante le molte richieste da quasi tutti i gruppi parlamentari, il senatore Calderoli ha deciso di non rassegnarle.

Da parte mia posso dire che non appena ho letto quelle offese ho subito dichiarato che non c’erano giustificazioni possibili, che erano parole inaccettabili e che chi è chiamato a rappresentare le istituzioni ha l’obbligo di dare l’esempio in ogni occasione, anche durante i comizi del proprio partito. Successivamente, dopo le prime scuse che ho ritenuto essere troppo timide, ho chiesto che queste fossero pubbliche e piene, come poi è avvenuto in Aula. Ma l’occasione, di cui avrei volentieri fatto a meno, ha avuto l’effetto collaterale di aver fatto emergere due aspetti interessanti su cui riflettere. Il primo è stato lo sdegno quasi unanime e l’indignazione che ha coinvolto migliaia di cittadini. E’ ormai evidente che il Paese su molti temi che sono ancora considerati divisivi o sensibili è decisamente più moderno, aperto e solidale di quanto il dibattito politico, spesso enfatizzato nei suoi aspetti deteriori proprio dai media, non faccia apparire. E questo è incoraggiante.

Il secondo aspetto, fortunatamente marginale ma da non sottovalutare, è emerso dalla risposta di alcuni esponenti politici locali a quelle parole con dichiarazioni altrettanto offensive e razziste, segno che non possiamo mai abbassare l’attenzione soprattutto sull’educazione al rispetto dell’altro. E su questo sono convinto che voi, come giornalisti, possiate fare molto per sensibilizzare i vostri lettori, a partire dal linguaggio.

L’informazione è una componente fondamentale di ogni democrazia sana, promuove la crescita culturale e di conseguenza il progresso.
Nella realizzazione di questo obiettivo comune, mi auguro che la nostra collaborazione possa continuare con la lealtà e la trasparenza di sempre. Voglio approfittare di questa occasione di incontro con voi anche per far arrivare a nome mio e dell’Istituzione che in questo momento rappresento il sostegno e la solidarietà ai più di duecento giornalisti, reporter e blogger che hanno subito aggressioni, minacce, ritorsioni, furti mirati, querele pretestuose e temerarie. Stare accanto a queste persone, difenderle e diffonderne il lavoro è fondamentale per tutelare quei beni preziosi che sono la libertà d’informazione e il diritto dei cittadini di essere informati. Non posso poi che stringermi intorno alla famiglia di Domenico Quirico e ai suoi colleghi de “La Stampa”: speriamo tutti di poterlo avere presto di nuovo con noi.

Voglio ringraziare ancora una volta l’Associazione stampa parlamentare per la sua presenza costante ed attenta e congratularmi con Iulia Baziaeva, autrice di questo splendido ventaglio, per me il primo, che accetto con grande gioia e con spirito di amicizia.