XXI Anniversario dell’attentato di via dei Georgofili

Cari amici,

Considero da sempre il 27 maggio una data imprescindibile, uno di quegli appuntamenti con la memoria che non si può mancare, che chiede di essere presenti. Così ormai da molti anni vengo qui a Firenze a celebrare questo anniversario insieme a voi. Questo dovere di condivisione si rinnova in me ogni anno e non è venuto meno quando ho lasciato la toga dopo 43 anni di magistratura e sono stato eletto Presidente del Senato. Oggi è la seconda volta che intervengo in questa veste perché ho posto a guida del mio ruolo istituzionale gli stessi principi etici di sempre: verità, giustizia, democrazia, libertà, dignità umana. Ventuno anni più tardi non si è sopito nei nostri cuori il ricordo della spaventosa esplosione che ha reciso le vite di cinque innocenti e ferito molti altri; che ha colpito la Torre dei Pulci, la Galleria degli Uffizi e diversi altri monumenti e palazzi, distruggendo tre dipinti e danneggiando duecento altre opere. Vi confesso che dopo avere svolto per tanti anni un lavoro che mi ha obbligato a convivere quotidianamente con la sopraffazione, con la morte, anche di tanti colleghi e amici, e con il dolore di chi resta, non riesco mai ad abituarmi, non posso rassegnarmi di fronte alla barbarie dell’uomo che si arroga il diritto di privare un altro uomo del bene più sacro, la vita.

Non mi stanco mai di ripetere che alla lotta alle mafie non basta l’azione della magistratura e delle forze di polizia. Serve una società civile forte e vigile, un impegno quotidiano per affermare nelle azioni e insegnare nelle scuole il dovere collettivo di costruire un Paese dove il rispetto della legge e la promozione dei diritti e del bene comune sono in cima a ogni priorità. Serve una politica che sappia finalmente risalire la china etica del compromesso e del particolarismo cui ci siamo scoperti troppo spesso quasi assuefatti, per tornare a dedicarsi all’interesse dei più deboli, degli ultimi e al futuro delle nuove generazioni.Voglio ringraziare di cuore tutti i cittadini di Firenze che con forza e con determinazione hanno saputo reagire riportando questa città al suo meraviglioso splendore. In questo, l’Associazione dei familiari vittime della strage di via dei Georgofili ha sempre svolto un ruolo esemplare grazie all’impegno e alla dedizione di Giovanna Maggiani Chelli che ha trasformato una battaglia per la verità e la giustizia in un servizio alla collettività. Voglio ringraziare i soccorritori che hanno salvato molte vite e le Autorità locali il cui operato contribuisce a garantire la tutela della memoria e l’affermazione della verità.

Saluto tutti voi, soprattutto i numerosi giovani, con un caloroso abbraccio. La vostra presenza, cari amici, è insieme testimonianza di civiltà e germe di speranza.

Grazie.

 

 

Il dovere della memoria e della ricerca della verità

Strage dei Georgofili, 21 anni dopo 

Signor Presidente, Autorità, Sig.ra Maggiani Chelli, e cari amici,

ancora una volta sono qui, insieme a voi, in occasione di questo anniversario. Sono trascorsi 21 anni dall’attentato: molti di voi quella notte non erano ancora nati, ma anche le nuove generazioni devono conoscere una delle pagine più dolorose della nostra storia recente.

Abbiamo il dovere innanzitutto di ricordare le vittime: Caterina Nencioni era nata da appena 50 giorni. Sua sorella Nadia non aveva ancora compiuto nove anni. Nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993 entrambe furono sepolte sotto montagne di macerie, insieme al padre Fabrizio e alla mamma Angela. Anche il giovane studente di architettura Dario Capolicchio è morto quella notte nel suo appartamento, e molti sono stati feriti a causa dell’esplosione. Ci sono punti fermi ormai acquisiti: i processi penali hanno accertato l’identità e le responsabilità dei mandanti e degli esecutori della strage. E’ stata la mafia. Straordinari servitori dello Stato, come il pubblico ministero Gabriele Chelazzi, che ricordo sempre con grande affetto, hanno lavorato alle indagini con dedizione e competenza. Le sentenze hanno confermato che l’attentato era parte di un programma attuato dalla criminalità organizzata per scuotere dalle fondamenta l’ordine pubblico e sbloccare una situazione politica ritenuta stagnante.

Ritorniamo a quel 1993: era stato da poco arrestato il Capo dei capi, Totò Riina, primo responsabile del folle attacco a quei rappresentanti delle istituzioni che osavano opporsi, ma la stagione stragista di Cosa nostra non si fermò. Eliminati i due nemici più temibili, Falcone e Borsellino – che proprio pochi giorni fa abbiamo ricordato insieme a 20.000 studenti a Palermo – l’intimidazione delle cosche alle istituzioni continuò con l’obiettivo di colpire il patrimonio artistico del Paese. L’obiettivo strategico del ricatto di Cosa nostra era innanzitutto ammorbidire il regime del 41 bis e un miglioramento delle condizioni generali in cui versavano i mafiosi. E in una prima fase, due episodi avrebbero dovuto far riprendere la cosiddetta trattativa: un proiettile di artiglieria lasciato al giardino di Boboli, proprio qui a Firenze, cui seguì una telefonata di intimidazione e di rivendicazione, tuttavia mai percepita come tale; nonché il progetto di attentato nei miei confronti, dapprima rinviato e poi abbandonato per una serie di circostanze fortuite. Tra maggio e luglio vennero attuati gravi attentati: quello di via dei Georgofili, poi Milano e Roma. La finalità era attuare una vera e propria dimostrazione di forza attraverso azioni criminose eclatanti, a carattere eversivo, che avrebbero avuto risalto internazionale. Nel Paese scosso, sul piano politico e istituzionale, dalle indagini su Tangentopoli, quel tentativo di destabilizzare le strutture democratiche era davvero pericoloso.

Pochi anni fa il collaboratore Gaspare Spatuzza, a conferma del messaggio chiaramente terroristico che si doveva diffondere con le stragi, ha riferito di essere stato proprio lui ad avere l’incarico di imbucare a Roma, subito prima degli attentati del 27 luglio 1993, alcune buste dirette ai maggiori quotidiani nazionali contenenti una lettera anonima, del seguente tenore: «Tutto quello che è accaduto è soltanto il prologo, dopo queste ultime bombe, informiamo la Nazione che le prossime a venire verranno collocate soltanto di giorno ed in luoghi pubblici, poiché saranno esclusivamente alla ricerca di vite umane. P.S. Garantiamo che saranno a centinaia». Eppure molti, troppi profili di quell’atroce disegno restano ancora oscuri. Spesso la verità storica e quella giudiziaria non si sovrappongono.  Bisogna tuttavia insistere perché gli eventi siano ricostruiti in tutte le loro implicazioni e sfaccettature. Dobbiamo avere il coraggio di guardare al nostro passato senza paura e senza omissioni, perché un Paese che nasconde e teme la propria storia è un Paese senza futuro.

Dobbiamo sempre tendere alla ricerca della verità. Ancora oggi, dopo tanti anni e nonostante i segnali che possono essere letti come inviti a lasciar perdere, si sono riaperti casi che sembravano chiusi per sempre. Dopo sedici anni, nel 2008, ho avuto il privilegio di raccogliere per primo, dalla viva voce del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, i nuovi elementi che hanno consentito di riaprire le indagini sulle stragi di Falcone e Borsellino e di Firenze, Roma e Milano. Ancora oggi abbiamo fame e sete di giustizia su quegli eccidi e su tutti i misteri non svelati. Ancora oggi ci assalgono e ci tolgono il sonno intuizioni laceranti che attendono di divenire percorsi di verità.

Dopo 43 anni da magistrato e al termine di un percorso professionale tutto legato alla lotta alla mafia, ho pensato che spostarmi in politica potesse essere utile per contribuire a fare quelle riforme legislative che negli anni avevo sempre chiesto e non ottenuto. Per questo da presidente del Senato, sin dal discorso di insediamento, ho chiesto una commissione speciale di inchiesta su tutte le stragi irrisolte del nostro Paese, mafiose e terroristiche insieme, che possa finalmente fare chiarezza sugli aspetti oscuri della nostra Storia e rendere pubblici tutti quei documenti che possono dare ai cittadini elementi di riflessione e di conoscenza. Proprio il magistrato Chelazzi, in una delle sue ultime audizioni in Commissione Antimafia, spiego che “non si può chiedere al giudice al di là di una certa soglia. Al giudice il post factum di un delitto di regola interessa poco: le ricadute di azioni criminali così gravi sulla società civile non possono interessare a un giudice” e invitava proprio la Commissione  ad andare oltre quella soglia. So che anche lei, Sig.ra Maggiani Chelli, ha cambiato idea su questo: se prima non credeva che una Commissione potesse essere utile, un paio di settimane fa ha dichiarato che una commissione “forse serve davvero, e chiediamo di farne parte a pieno titolo, visto il prezzo che le nostre famiglie hanno pagato”. Il mio nuovo ruolo non ha cambiato in nessun modo i principi in cui credo, che sono quelli di legalità, giustizia, ricerca della verità.

Chi, come me, è sopravvissuto a tanti orrori non può dimenticare che le stesse mani macchiate di sangue oggi tessono trame in affari di soldi e di potere, e sente l’obbligo morale, oltre che istituzionale, di cercare la verità fino all’ultimo soffio di vita. Dico spesso che per vincere la mafia non basta contrastare le sue attività criminali. Bisogna rafforzare la democrazia e promuovere la legalità come cultura, in ogni ambito. Questo richiede l’impegno di tutti, sia dei cittadini, sia di coloro che operano nella politica, nelle istituzioni, nei sindacati, nei movimenti, nelle associazioni di categoria. Richiede una reazione forte e decisa da parte della società civile, una coscienza della legalità radicata e diffusa.

In questo, l’Associazione familiari vittime della strage di via dei Georgofili ha sempre svolto un ruolo esemplare – rivendicando i giusti diritti anche in materia di risarcimenti e pensioni che lo Stato deve a tutte le vittime innocenti e ai lori familiari – e di questo sforzo continuo dobbiamo essere grati a Giovanna Maggiani Chelli, per l’impegno e la dedizione con le quali in tutti questi anni ha combattuto per la verità e per la giustizia.  Grazie, grazie di cuore.

A 22 anni dalla stragi di Capaci e via d’Amelio

Cara Maria, gentili Ministri, Autorità, cari insegnanti, ragazze e ragazzi di tutta Italia,

a distanza di 22 anni siamo in quest’Aula, ancora una volta, per ricordare insieme Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Francesca Morvillo e quegli agenti che di solito vengono liquidati nel ricordo con un unico sostantivo, le “scorte”, e che proprio perché portatori dei loro stessi valori voglio nominare singolarmente: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonino Montinaro, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina. A questo elenco, all’elenco dei morti  vanno aggiunti anche tutti coloro che sono vittime morali degli omicidi e delle stragi. Mi riferisco alle mogli, ai figli, agli amici, ma anche a quelli di noi che si sentono ancora oggi privati violentemente dei loro affetti e del futuro che avevamo immaginato di costruire insieme.

Ogni volta che entro in quest’Aula vengo assalito dai ricordi, il sorriso ironico di Giovanni quando mi presentò per la prima volta le 400 mila pagine degli atti del Maxiprocesso che dovevo studiare, l’affettuoso gesto di Paolo che  mi consegnò copia dei suoi utilissimi appunti per districarmi tra quelle carte, mi avvolge l’aria pesante che opprimeva Palermo durante gli anni del Maxiprocesso, i visi dei mafiosi dietro queste sbarre, che oggi sono sostituiti dagli occhi di tanti giovani che brillano di gioia e di speranza. Ma mi avvolge anche il pensiero del sostegno che in quel periodo riscuoteva l’operato di Falcone e Borsellino, e che ancora possiamo ritrovare in questa giornata che riecheggia le catene umane, le lenzuola bianche appese ai balconi, le cooperative di Libera sui terreni confiscati, l’impegno dei ragazzi di Addiopizzo e le migliaia di attività quotidiane che per tutto l’anno impegnano la Fondazione Falcone con le scuole su questi temi.

Non posso comunque dimenticare che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, già dopo le condanne in primo grado del Maxiprocesso, cominciarono ad essere attaccati e delegittimati, sia umanamente che professionalmente. Un susseguirsi di amarezze, di rifiuti, di polemiche, che solo con la loro morte si è interrotto: a quel punto anche coloro che li avevano avversati in vita si sono dichiarati loro fraterni amici e talvolta unici eredi.

Ma l’eredità che ci hanno lasciato è un patrimonio comune che non possiamo disperdere, un patrimonio fatto di conoscenze, di intuizioni, di rigoroso metodo investigativo che ancora oggi, a distanza di tanti anni, deve far parte del bagaglio professionale di ogni magistrato. Mi ha molto colpito vedere il riconoscimento che le figure di Falcone e Borsellino hanno in tutto il mondo: ho visto monumenti dedicati a loro in un parco di Bucarest, mi sono commosso all’Accademia dell’FBI di Quantico, dove c’è il busto di Falcone sopra una colonna spezzata – a simboleggiare il lavoro interrotto, mi hanno spiegato – e mi sono inorgoglito nel Quartier generale dell’Fbi a Washington, dove su un’intera scalinata sono apposte le foto di Giovanni Falcone e le due bandiere, americana e italiana, sovrastano intrecciate. Anche qui, oggi, sono presenti scuole di diversi paesi europei e una proprio di Washington, segno che il loro esempio ha travalicato i nostri confini.

Ora che le mafie sono diventate internazionali dobbiamo fare in modo che gli strumenti legislativi e repressivi del nostro ordinamento, proprio quelli disegnati da loro, diventino siano adottati da tutti gli altri paesi. Fu proprio Giovanni Falcone a intuire per primo la dimensione transnazionale delle organizzazioni criminali e la necessità di approntare risposte condivise a livello globale.: “non è importante qualie forza di polizia arresti un latitante o sequestri dei beni e in quale parte del mondo, è importante che ciò avvenga”, – era solito ripetere Falcone.  I fenomeni di criminalità organizzata rappresentano una minaccia mortale al futuro delle nostre democrazie di fronte alla quale la comunità internazionale, e in special modo l’Unione Europea, non può arretrare, restare indifferente o rassegnata. Penso alla necessità di rafforzare strumenti comuni di cooperazione e di contrasto, a partire dall’aggressione legale ai patrimoni illeciti, attraverso moderne forme di confisca. Penso all’istituzione di una Procura Europea, una struttura che innalzerà il livello dell’azione di contrasto ai delitti contro gli interessi finanziari dell’Unione e garantirà risultati che nessuno Stato da solo potrà mai realizzare. E questo sarà certo uno dei temi che ribadirò con più forza nel corso del prossimo semestre di presidenza italiana.

Alla vigilia delle imminenti elezioni per il Parlamento europeo voglio invitare tutti ad esercitare il proprio diritto di voto: non votare è la scelta  peggiore che possiate prendere. Significa lasciar decidere altri, significa delegare ogni responsabilità, non voler incidere sul futuro. Il silenzio elettorale di domani servirà per riflettere: domenica recatevi alle urne per disegnare il futuro dell’Unione europea con le vostre speranze e le vostre aspirazioni.

Ho dedicato 43 anni di vita professionale alla lotta contro la mafia, alla tutela della legalità, alla difesa dei diritti fondamentali dei cittadini. Oggi come politico, come Presidente del Senato della Repubblica, non ho cambiato obiettivi di legalità, giustizia e ricerca della verità. Il futuro del contrasto alle mafie dipende dall’impegno della politica. Dobbiamo pensare e agire strategicamente e chiudere per sempre la stagione dell’emergenza, della superficialità, dell’approssimazione. Per combattere le mafie dobbiamo colpire qualsiasi tipo di illegalità, dobbiamo occuparci di lavoro nero, di evasione fiscale, di corruzione, di economia criminale: il futuro del Paese dipende dalla capacità che avremo di riavvicinare i cittadini alla politica, soprattutto i più giovani. Perché dovrete essere voi a trasmettere nuova energia alle istituzioni con la cultura della partecipazione, della trasparenza e della responsabilità,  pretendendo l’impegno di tutti i cittadini onesti che, non dimenticatelo mai, sono molti di più dei criminali, sono tanti, e insieme possono essere la vera forza di cambiamento.

Oggi siamo qui tutti insieme per ricordare, ma non basta la memoria, non bastano le celebrazioni, le parole e i discorsi, se non diventano impegno comune, l’impegno di ogni giorno nello studio, nel lavoro, nella vita per saper dire di “no” alla prepotenza, ai favoritismi, al compromesso, alle scorciatoie, con la coscienza pulita, a testa alta e schiena dritta Non potremo mai ringraziare abbastanza i docenti per l’impegno e la passione con cui, aldilà delle tante difficoltà, insegnano alle nuove generazioni i valori fondanti della nostra democrazia. La formazione e la ricerca, come del resto la giustizia, non possono essere considerate solo un costo, una voce passiva di bilancio, ma l’investimento più vantaggioso per un Paese, un investimento che produce opportunità, crescita e sviluppo. Senza che vi abbattiate una cosa posso dirvela ragazzi: andrete incontro a sonore sconfitte, a momenti di sconforto. Non fatevi fermare dagli ostacoli. Andate avanti. Non perdete di vista i vostri ideali, i vostri sogni, i vostri obiettivi, i valori che ci hanno tramandato Falcone e Borsellino.

A tutti i parenti delle vittime innocenti di mafia non potremo certo restituire i loro cari. Possiamo però impegnarci per dare loro il conforto di una società viva e vigile, che non si faccia intimorire e che sappia guardare con speranza al futuro del Paese.

Grazie Giovanni, grazie Paolo.

Nave della legalità 2014

Cari ragazzi,

partiamo insieme anche quest’anno. Il mio, il nostro, è un appuntamento  che ho rispettato ogni anno, perché ne sono fiero e felice. Saranno due giorni intensi, pieni di iniziative, di sorrisi, di grandi emozioni, di ricordi. Per me è un momento importante, credetemi. Il confronto con voi mi arricchisce, mi aiuta a capire, mi aiuta a sognare ancora e sperare ancora. Mi ricarica e mi fa più forte. Siate coscienti di quanto il vostro apporto sia prezioso e necessario. L’antimafia che agisce concretamente contro i crimini, l’antimafia della repressione, ha bisogno dell’antimafia della speranza, del consenso di tutte le altre componenti della società. Ha bisogno dell’aiuto di tutti.

Voi che siete qui avete partecipato a un percorso di legalità che vi ha fatto conoscere molte cose: le organizzazioni criminali e il loro mondo fatto di paura e violenza, ma anche le figure di coloro che la mafia l’hanno combattuta, con coraggio, fino alla fine. Il viaggio che inizia ora ci vedrà insieme nel loro ricordo, ci darà modo di approfondirne la lezione e di vedere quanto i loro insegnamenti siano ancora attuali. Quando domani saremo sotto l’albero Falcone, alla minima brezza sentirete vibrare le foglie come se volessero segnalare la presenza di tutti i caduti. Che forza sarebbe Palermo, l’Italia, se tutti loro fossero vivi!  Trasformiamo quella brezza in un vento che sospinga il viaggio di questa nave, che porti via dubbi e perplessità, indifferenza e rassegnazione, che faccia riemergere il coraggio e l’indignazione, la dignità e la voglia di giustizia.

Agli insegnanti va la mia profonda gratitudine. A voi educatori, che ogni giorno vi prodigate in questo difficilissimo compito che è la formazione, dico grazie. Grazie con tutto il cuore. E voi ragazzi affrontate la scuola con gioia, con curiosità, con impegno: la conoscenza vi aiuterà a diventare cittadini coscienti e responsabili, forti e liberi. Grazie a te Ministro. Grazie a tutto il tuo staff che ogni anno, con lo stesso impegno e con la stessa passione, ci consente di ritrovarci insieme in questo viaggio. Ma il ringraziamento più commosso voglio dedicarlo al Presidente della Repubblica, che più volte ha partecipato in passato a queste celebrazioni, e che con la sua presenza rende questa partenza unica, dando testimonianza, care ragazze e cari ragazzi, che la massima Istituzione, che tutti ci rappresenta, è dalla vostra parte.

Grazie Presidente.

 

Massimo D’Antona, punto di riferimento e coraggioso riformista

Era  il  20 maggio del 1999 quando un commando terrorista ferì mortalmente uno  tra  i  più  stimati  giuslavoristi del nostro Paese. Le nuove brigate rosse  uccisero Massimo D’Antona nel giorno dell’anniversario dello Statuto dei lavoratori, una conquista di civiltà che aveva ridefinito l’assetto dei rapporti  sindacali  e politici nel nostro Paese.

Il  suo impegno di studioso ha segnato i momenti  più  significativi  dell’evoluzione  del  diritto del lavoro degli ultimi vent’anni. Nella sua intensa attività ha sempre avuto un unico punto di riferimento: la tutela del lavoratore inteso come persona, i cui diritti devono essere salvaguardati dentro e fuori i luoghi di lavoro.

A  noi  il  compito  non solo di ricordare  e  di  onorare  la sua memoria, ma di fare dei valori di Massimo D’Antona  un  punto di riferimento, perché  l’insegnamento di questo coraggioso  riformista  ci sostenga nel portare avanti le riforme di cui il nostro Paese ha bisogno. Alla signora Olga e alla figlia Valentina, ai suoi amici, collaboratori e studenti, rivolgo oggi tutto il mio affetto e la mia stima.

Sulla presenza di Primo Greganti in Senato

A  seguito  della  richiesta  del  presidente del Senato, Pietro Grasso, di informazioni  più circostanziate in merito all’asserita presenza del signor Primo Greganti in Senato, il  Procuratore  della  Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, ha risposto oggi specificando che agli atti risulta un’intercettazione del 19 febbraio scorso in cui Greganti riferisce a Cattozzo “adesso ho finito una riunione al Senato”, e che la posizione dell’utenza di Greganti risulta nei pressi di Palazzo Madama.

Viene inoltre precisato nella lettera che nel corso delle indagini “non è mai stato svolto alcun servizio di osservazione di polizia giudiziaria al fine di accertare l’eventuale ingresso o uscita dell’indagato Primo Greganti in Senato ovvero in Palazzi del Senato”.

La legge Severino non ha funzionato ora basta compromessi

Intervista di Marcello Sorgi

Presidente Grasso, si aspettava un attacco così duro da Raffaele Cantone? Il capo dell’Anticorruzione, che come lei viene dalla magistratura, parla di “legislazione spot”, fatta sull’onda dell’emergenza a proposito del disegno di legge che porta il suo nome.

“Nessuno scontro: mi ha subito chiamato e ci siamo chiariti. Raffaele forse non si aspettava una così forte amplificazione mediatica delle sue parole. Gli ho spiegato che la mia proposta ha più di un anno, e che nel corso dei mesi sono stati annessi  altri ddl anticorruzione, e il relatore, dopo la discussione in commissione, ha prodotto un testo unificato come base per gli emendamenti”.

Ma ammetterà che questa accelerazione a pochi giorni dallo scandalo Expo di Milano, dall’arresto dell’ex-ministro Scajola e di quello del deputato Genovese, legittima qualche dubbio sulla scelta dei tempi. A una settimana dal voto delle Europee, questa discussione in Senato non ha anche obiettivi elettorali?

“Sarà discusso dopo le elezioni, fuori dalla campagna elettorale. Che ci sia un’urgenza, legata anche ai fatti recenti, non c’è dubbio. Ma ripeto, il lavoro al Senato su questa materia era cominciato un anno fa. Gli scandali di questi  giorni sono solo gli ultimi di una serie. A vent’anni da Tangentopoli, non solo la corruzione non è finita, ma ha assunto forme nuove che richiedono nuovi strumenti di legge per essere combattute”.

Presidente, ma poco più di  un anno fa non era stata approvata una nuova legge anticorruzione proposta dal ministro di giustizia Severino?

“Infatti. E il giorno stesso in cui fu approvata, io, che ancora facevo il procuratore nazionale antimafia, obiettai che per com’era fatta non sarebbe servita. Non ce l’avevo con la Severino, che aveva fatto un testo di partenza efficace. Ma gli emendamenti frutto di compromessi politici, visti con gli occhi di chi poi le leggi deve applicarle, erano chiaramente al di sotto delle aspettative. D’altra parte, non è che con la nuova legge la corruzione sia diminuita, anzi..”.

Con quel che accade, sembra proprio di no.

“E se il Procuratore generale della Cassazione, in apertura dell’anno giudiziario, ha voluto sottolineare che gran parte dei processi che vanno in prescrizione sono proprio quelli per corruzione, aveva le sue ragioni”

Non salva proprio nulla, della legge Severino?

“Se fosse stata approvata nei termini in cui era stata proposta, non saremmo qui a parlarne. Invece, a colpi di emendamenti, si è finiti con l’indebolire figure di reati e  strumenti che dovrebbero servire ai magistrati per indagare”.

 Può spiegar meglio un giudizio così negativo?

“La legge ha una parte preventiva e una repressiva. La prima non è stata attuata, la seconda non ha funzionato. Si prevedeva di mettere in ogni amministrazione pubblica un responsabile anticorruzione, ma ciò non è avvenuto. E quanto alla concussione e alla corruzione, che sono i reati chiave che bisognava definire e punire con più efficacia, all’atto pratico è accaduto il contrario”.

Ma com’è stata possibile una cosa del genere?

“Glielo spiego, anche se il discorso diventa necessariamente più tecnico. Partiamo da come è cambiata la corruzione dai tempi di Tangentopoli. Il problema non sono più solo le tangenti, ma le consulenze, le intermediazioni, le cricche di amici degli amici che si associano con pezzi di partiti e concorrono insieme all’arricchimento personale e alla lotta politica”.

Ma siamo sicuri che mescolando la corruzione con la lotta delle correnti interne ai partiti, alla fine non si finirà per metter sotto accusa la politica tout-court?

“Conosco questa obiezione, e le rispondo che la buona politica, che non fa interessi di parte e non cerca di favorire gli amici per un proprio tornaconto, non ha nulla da temere a una più puntuale definizione dei meccanismi di corruzione”.

Torniamo alle differenze tra passato e presente.

“Con le vecchie figure di reato, come la precedente concussione, era possibile che la vittima, che pur senza ricevere evidenti minacce era indotta a pagare per poter lavorare, denunciasse i fatti.”

E adesso invece com’è?

“La stessa vittima oggi viene punita con una nuova figura di reato, la corruzione per induzione, con una pena fino a tre anni, il che significa che nessuno denuncia più. Sono solo due esempi. Per farne un altro, pensi che la corruzione tra privati, che all’estero è perseguita severamente, da noi è punibile soltanto a querela di parte, ed il traffico di influenza, cioè l’avvalersi di illecite influenze e pressioni presso funzionari pubblici o politici, è punito come il millantato credito e non consente quindi né  intercettazioni né arresti. Inoltre la mia intenzione era di unificare i reati di riciclaggio e autoriciclaggio, ipotizzando di inserirli nei delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio.”

Presidente Grasso, Cantone sostiene anche che è difficile combattere la corruzione, se l’Autorità che è stato chiamato a guidare non ha i poteri per farlo.

“Ha ragione. Per funzionare dovrebbe avere poteri ispettivi, di controllo, di sostituzione, di punto di riferimento e di raccolta delle informazioni, di coordinamento e impulso alle indagini.

Dice ancora Cantone che con i poteri attuali, a Milano, al massimo potrebbe farsi una gita.

“Se non ha la possibilità di vedere carte, chiedere documenti, interfacciarsi con i magistrati e le forze di polizia che fanno le inchieste, effettivamente, non vedo cosa potrebbe andarci a fare, a Milano come altrove”.

E se li immagina, Presidente Grasso, i suoi ex-colleghi magistrati quando il capo dell’Anticorruzione gli chiederà le carte?

“Non è questo il punto. L’Autorità dovrebbe avere compiti soprattutto preventivi, e solo occasionalmente dovrebbe incrociare chi fa le indagini. Ma se l’obiettivo è chiaro e la collaborazione trasparente, non vedo perché dovrebbero nascere conflitti”.

Per concludere, Presidente: stavolta ce la farà il Parlamento ad approvare una buona legge?

“Me lo auguro. Il tema dell’Anticorruzione è ormai il più delicato nel rapporto tra cittadini elettori e forze politiche. Con quel che è accaduto e continua ad accadere, l’opinione pubblica si aspetta una risposta seria, non un altro compromesso al ribasso. Stavolta non possiamo davvero  permetterci di sbagliare”.

Ddl anticorruzione, occasione per fare presto e bene

Ho presentato il mio DDL più di un anno fa, nel mio unico giorno da senatore, proprio perché, esattamente come Raffaele Cantone, ritengo quello della corruzione e dei reati economici un tema urgente e prioritario ogni giorno, non solo dopo le recenti inchieste legate ad Expo. Concordo anche sulla difficoltà attuale di individuare e prevenire la corruzione, e sotto questo profilo la previsione di attenuanti e benefici per chi collabora potrebbe contribuire all’emersione della corruttela.

La mia proposta sull’autoriciclaggio, che prevedeva una nuova collocazione sistematica qualificandolo non come reato contro il patrimonio ma inserendolo in una nuova tipologia di delitti contro l’ordine economico e finanziario, è completamente diversa, anche nei comportamenti sanzionati, rispetto a quella del testo base, che unifica tutti i Ddl presentati in Senato e che ancora non ho avuto modo di approfondire.

Aldilà della speranza che si legiferi presto e bene sui temi della corruzione, del falso in bilancio, del riciclaggio e dell’autoriciclaggio, non potrò però intervenire in alcun modo, visto il mio ruolo di presidente, sul testo che è ora in discussione in Senato.

Il testo del DDL n. 19 – presentato da Pietro Grasso il 15 marzo 2013 – è consultabile a questo indirizzo: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00699371.pdf

Caso Primo Greganti, lettera al procuratore della Repubblica di Milano

A seguito degli articoli di stampa secondo i quali gli investigatori avrebbero accertato, nel corso di pedinamenti, che il Signor Primo Greganti avrebbe fatto ingresso in più occasioni in Senato, il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha scritto oggi al Procuratore della Repubblica di Milano richiedendo con urgenza informazioni più circostanziate in proposito.

In particolare, si legge nella lettera, il presidente Grasso ha richiesto “ogni utile elemento di dettaglio riguardante le date e gli orari in cui il Signor Greganti sia stato eventualmente osservato fare ingresso o uscire da palazzi del Senato e indicazioni precise di quali specifici palazzi e ingressi si tratti”. Il presidente ha comunque ritenuto utile convocare il Comitato per la Sicurezza del Senato al fine di valutare il sistema di accessi, le sue eventuali criticità e le possibili proposte di miglioramento.

Quintino Sella, le politiche per lo sviluppo e i costi dell’Unità d’Italia

Discorso in occasione della presentazione del libro a cura di Fernando Salsano

Signor Presidente della Repubblica, Gentili ospiti, Cari amici,

Ospito con molto piacere in Senato la presentazione di questo bel volume di Fernando Salsano sulla figura di Quintino Sella. Fu un uomo straordinario, eclettico e modernissimo: statista, deputato e più volte ministro; imprenditore, scienziato, presidente della rinata Accademia dei Lincei nella Roma liberata; alpinista, fondatore e presidente del Club Alpino Italiano. Interprete anche nella vita privata di una moralità austera e rigorosa ma intelligente, si pose subito all’inizio del primo mandato da ministro il tema del conflitto di interessi ed impose al fratello Giuseppe Venanzio che guidava il lanificio di famiglia di astenersi dal sottoscrivere contratti di forniture statali finché egli fosse rimasto deputato.

Fra tanti poliedrici interessi, il suo nome resta indissolubilmente legato alla battaglia per il risanamento della finanza pubblica. Una “quistione di vita o di morte egli la definiva, da cui dipendeva la sopravvivenza stessa del giovane Stato italiano che rischiava un drammatico fallimento a fronte della morsa del debito, delle spese di guerra e del riassetto organizzativo dell’amministrazione. Come ricorda Croce, Sella fu l’eroe che impersonò la lotta per il pareggio” del bilancio. L’Italia dell’epoca, secondo Sella, era paragonabile a un febbricitante che tutti i giorni piglia un po’ di chinino, ma non.. abbastanza per troncare la febbre; l’organismo si indebolisce e si rovina. Da ciò la sua convinzione della necessità di un’azione decisa e rapida, che condusse a costo dell’impopolarità e con l’obiettivo di convincere i ceti rurali e i possidenti che “il tributo alla patria è qualche cosa di sacro, tanto come il sangue che si sparge per essa”.

Quando per la terza volta tornò alla guida del Ministero delle finanze, l’Italia era uscita dalla terza guerra d’indipendenza e il default era alle porte. Occorreva recuperare la fiducia dei mercati, già allora sufficientemente aperti e internazionalizzati: Salsano ricorda che vi era una differenza di rendimento – lo spread entrato ormai nel nostro linguaggio quotidiano – di 600 punti base tra i titoli del debito pubblico italiano e quelli inglesi, allora il riferimento. Sella pose così l’obiettivo del pareggio del bilancio quale strumento per il risanamento, lo sviluppo economico e l’esistenza stessa del Paese.

Ma non fu la sua una politica di cieco rigore. Fu costantemente attento al tema dell’equità, anticipando quel concetto della capacità contributiva che pone oggi l’art. 53 della Costituzione repubblicana, e spostò così il carico tributario dai ceti produttivi alle rendite. Con fermezza e determinazione condusse poi una revisione della spesa – oggi la chiameremmo spending review: una serie di interventi volti a conseguire la riduzione di tutte le spese improduttive. Non già tagli ciechi, ma interventi strettamente funzionali all’obiettivo di razionalizzare la struttura dell’amministrazione: abolizione di alcune prefetture, istituzione di un’unica Corte di Cassazione, riduzione degli uffici giudiziari. La sua attenzione di “keynesiano ante litteram” si soffermò sulle spese produttive e sugli investimenti pubblici. Pur dovendo affrontare una situazione di emergenza ebbe la lucidità strategica di dare impulso ai fattori di sviluppo del Paese: il sistema infrastrutturale, l’industria, l’educazione e la cultura scientifica.

Voglio chiudere ricordando un passaggio di uno degli ultimi discorsi di Sella da ministro delle finanze che scolpisce il pensiero strategico di un uomo che seppe guardare al futuro di lungo periodo con una tensione etica che oggi troppo spesso manca alla politica. Presentando in Parlamento la sua ultima manovra di bilancio, egli disse: “Ogni indugio, me lo perdonino i miei onorevoli amici, è un sistema di illusioni che mi sembra pericoloso. Chi ha tempo non deve aspettare tempo. Rispetto gli apprezzamenti di tutti, ma non posso rinunziare ai miei senza tradire la mia coscienza”.

Grazie.