Occupazione, ricerca e innovazione per una Europa più forte e solidale

Intervento alla riunione dei Presidenti delle Commissioni competenti

Autorità, Cari colleghi,

mi unisco volentieri al saluto e all’augurio di buon lavoro della Presidente Boldrini. Questa riunione, come già la settoriale sui temi dell’agricoltura, dello sviluppo industriale e delle piccole e medie imprese tenutasi in Senato alla fine del mese scorso, intende trattare un ventaglio di questioni di straordinaria urgenza e attualità che il Parlamento e il Governo italiano stanno affrontando con determinazione e credo debbano essere poste al cuore del nostro comune impegno europeo.

Per l’Unione, si tratta di una sfida di sopravvivenza perché il tema dell’occupazione non è solo economico, ma valoriale, e identitario. Il forte crescere delle diseguaglianze anche nei Paesi membri che hanno inizialmente risentito meno della recessione, e la crisi del lavoro stanno consegnando alla disperazione, al risentimento, alla marginalizzazione intere fasce e generazioni della popolazione europea, alimentando nazionalismi, scetticismi e sentimenti di sfiducia di cui abbiamo avuto misura in occasione delle recenti consultazioni elettorali.

Il fenomeno più drammatico è descritto dai dati su coloro, giovani ma non solo, disoccupati e inoccupati, che smettono di cercare di lavoro, che cessano di sperare. La nostra preminente responsabilità è quindi oggi evitare il rischio devastante che queste persone siano escluse dalla cittadinanza attiva e si allontanino dall’idea di comunità e di identità europee, dal riconoscersi in una unica collettività giuridica e sociale. Io credo che il futuro del progetto europeo e il destino di ciascuno dei nostri Paesi dipenda proprio dalla nostra capacità di costruire questo senso di appartenenza e solidarietà umana che deve unirci in una grande comunità di valori e di intenti. E a questo proposito vorrei ricordare che proprio questa mattina il Santo Padre intervenendo alla FAO alla Seconda Conferenza Mondiale sulla Nutrizione ha detto che quanto dobbiamo dare a chi ha bisogno  “non è elemosina, ma dignità”.

I dati che la Commissione ha pubblicato lo scorso 4 novembre delineano un quadro davvero preoccupante, con una revisione al ribasso delle previsioni primaverili, per quanto concerne sia l’area Euro sia l’Unione nel suo complesso.

L’Europa rappresenta l’area economica che cresce di meno al mondo, mentre il PIL dell’Unione, attualmente il 22,9% del PIL mondiale, appare ora destinato a subire una drastica flessione, a causa anche dell’incremento di molte economie emergenti.

I dati sul mercato del lavoro sono ancora più allarmanti: il tasso di disoccupazione nell’Unione si è attestato quasi all’undici per cento; mentre i dati disaggregati per fasce d’età evidenziano punte drammatiche fra i giovani, con una media del 24% nell’area euro e punte di oltre il 40% in alcuni Stati membri, fra cui l’Italia. Sempre più accidentato il processo di ricollocamento di chi abbia perso il posto di lavoro: il tasso di disoccupazione di lunga durata del 6% nell’area euro impone un peso intollerabile sui sistemi di welfare e così incrementa il numero delle persone che raggiungono la soglia della povertà. La crescente flessibilità del mercato del lavoro dovuta alla globalizzazione e alla mobilità geografica di persone e imprese, rischia poi, se non adeguatamente governata, di dare vita a nuovi precariati e alimentare quel senso di incertezza che deriva dall’impossibilità di programmare il proprio futuro.

Di fronte a scenari di questa gravità ciascun Paese, certamente anche il nostro, dovrà con la massima urgenza e determinazione procedere alle riforme strutturali necessarie per rendere le economie e i mercati del lavoro efficienti e competitivi. Ma spetta all’Unione Europea predisporre politiche e strumenti che consentano di rilanciare gli investimenti per generare maggiore occupazione.

Nel quadro delle cinque priorità strategiche adottate dal Consiglio europeo nel mese di giugno, assume così un ruolo centrale il piano da 300 miliardi di euro che il Presidente Juncker ha annunciato e che sarà al centro dell’agenda del Consiglio europeo di dicembre. L’auspicio è che questa cifra sia convogliata in progetti trasparenti e credibili in grado di promuovere competitività e crescita nel medio e lungo termine. Ma non è sufficiente perseguire un migliore utilizzo delle risorse europee: servono strumenti per consentire ai singoli Stati membri di conciliare l’impegno per le  riforme strutturali e il consolidamento fiscale con il rilancio degli investimenti e lo stimolo all’economia.

Spero ad esempio possa farsi strada l’idea di scorporare dal computo del deficit determinate categorie di spesa per investimenti produttivi o la quota di cofinanziamento nazionale per i progetti finanziati con fondi strutturali. E che si possano incentivare le riforme  prevedendo una dilazione dell’obbligo previsto dal “Six-Pack” a partire dal 2015 di ridurre il debito pubblico; oppure calcolando la riduzione non sui difficili anni passati ma sulle aspettative dei prossimi due anni. Dall’intelligenza che avremo nel garantire margini di flessibilità dipenderà la possibilità di realizzare davvero le riforme strutturali nei settori chiave per recuperare competitività: pubblica amministrazione, mercato del lavoro, sistema tributario, giustizia.

Le sessioni di questa intensa giornata saranno incentrate su molti aspetti strumentali al rilancio dell’economia e dell’occupazione: istruzione, formazione professionale; economia digitale e Agenda urbana per l’Unione, potenziamento della ricerca e dell’innovazione. Io sono convinto dell’importanza di un dibattito consapevole e franco fra noi, che quali parlamentari incarniamo l’idea fondante della democrazia rappresentativa e dobbiamo farci interpreti dei bisogni e delle inquietudini dei nostri cittadini.

Vi ringrazio dunque ancora per essere qui e vi auguro buon lavoro. 

Stati Uniti e culture politiche italiane nel 900. Max Ascoli: un caso paradigmatico

Illustri relatori, gentili ospiti,

è per me un grande piacere ospitare in Senato questo importante convegno voluto dal presidente Sergio Zavoli – che voglio ringraziare di cuore per il suo costante e infaticabile impegno come presidente della Commissione per la Biblioteca e l’Archivio storico – e organizzato dall’Archivio storico del Senato, nell’ambito del progetto Archivio on-line, volto a favorire la più larga accessibilità a carte e documenti d’archivio attraverso la digitalizzazione e disponibilità in rete. So che proprio in queste ore saranno messi on-line i documenti relativi a Max Ascoli.

Un convegno durante il quale – nelle due giornate di lavori, con la partecipazione di importanti storici e filosofi italiani – verrà studiata la figura di uno dei più influenti intellettuali italiani del secolo scorso il cui contributo merita di essere approfondito in tutte le possibili sfaccettature.

Nacque a Ferrara il 25 giugno 1898 da una famiglia ebraica, un tratto identitario rilevante che ebbe notevole importanza nel corso della sua esistenza. Ebbe modo di incontrare le più alte intelligenze italiane del suo tempo: dopo la laurea in giurisprudenza con una tesi sulla concezione del diritto nel pensiero di Benedetto Croce, Ascoli si trasferì a Roma per continuare gli studi filosofici sotto la guida di Giovanni Gentile.

Nella sua formazione culturale importante fu il ruolo svolto da Alessandro Levi, relatore della sua tesi di laurea, il quale lo introdusse nell’ambiente del socialismo riformista italiano: qui conobbe alcuni dei suoi più cari amici e “maestri”, Carlo e Nello Rosselli, Carlo Levi, Gaetano Salvemini. Insieme ad essi frequentò i circoli gobettiani e divenne amico dello stesso Piero Gobetti, con il quale non fu mai in completa sintonia, pur fornendo alcuni contributi che furono pubblicati nella “Rivoluzione Liberale”.

La sua carriera accademica in Italia fu fortemente ostacolata a causa di un provvedimento di ammonizione, comminatogli per le sue posizioni antifasciste. L’ammonizione fu successivamente revocata, ma la carriera accademica era ormai compromessa e così decise, nel 1931, di recarsi negli Stati Uniti, con una borsa di studio della Rockefeller Foundation, il cui referente italiano era Luigi Einaudi.

L’esperienza americana sarà assolutamente fortunata e ricca di soddisfazioni. Durante i due anni come borsista, con l’ambizioso obiettivo di sviluppare un progetto di ricerca sulla democrazia americana, visitò varie università (Yale, Columbia, Chicago, North Carolina e Harvard) e entrò stabilmente in contatto con un folto numero di intellettuali ed esponenti del mondo politico statunitense. Soggiornò inoltre per cinque mesi ad Harvard, incontrando vari docenti e stringendo stretti legami in particolare con Felix Frankfurter, giudice della Corte Suprema, consigliere di Roosevelt e docente in quell’Università. Frankfurter contribuì all’inserimento di Ascoli nella New School for Social Research di New York. Ascoli si trovò così proiettato al centro di un network di relazioni scientifiche di eccezionale livello, spostando decisamente l’asse dei suoi interessi verso le discipline politiche ed economiche. Strinse solidi legami con influenti esponenti dell’amministrazione Roosevelt, collaborò con le più importanti testate giornalistiche e svolse un’intensa attività di conferenziere.

Nel 1939 Ascoli fu tra i fondatori, assieme ad altri esuli italiani della Mazzini Society, significativo tentativo messo in atto in terra americana di dare un indirizzo unitario alle attività antifasciste. Proprio in quegli anni elaborò alcuni dei suoi scritti più importanti sui totalitarismi che rappresentano, ancor oggi, un importantissimo contributo su questa materia. Entrò in contatto con il mondo dei liberali americani, dei quali sarebbe divenuto egli stesso, successivamente, uno degli esponenti di riferimento attraverso la rivista da lui fondata e diretta: “The Reporter“.

Ad essa, infatti, collaborarono politici e intellettuali come Henry Kissinger e John F. Kennedy. La rivista si proponeva di costituire un luogo di riflessione sui più importanti temi di attualità politica, interna ed estera, americana e internazionale, arrivando, nel ventennio in cui fu pubblicata, alla eccezionale tiratura di 200.000 copie. Al termine del secondo conflitto mondiale, Ascoli riprese subito i contatti con l’Italia, con il mondo politico italiano e con le istituzioni del nostro Paese. Seguì da “cronista” e da studioso il processo di ricostruzione economica e politica dell’Italia, intensificando i rapporti con i più importanti leader politici e con le neonate istituzioni repubblicane. Ascoli si spese inoltre in innumerevoli attività benefiche a favore degli orfani di guerra e delle persone in difficoltà, sostenendo iniziative culturali e programmi d’intervento per il recupero del patrimonio artistico distrutto dal conflitto.

Con questo mio breve intervento ho voluto ripercorrere soltanto alcune delle principali tappe del percorso umano, culturale e politico di una grande personalità italiana del ‘900. Un uomo al quale dobbiamo molto, che ha saputo coniugare l’impegno politico con quello intellettuale contribuendo in misura significativa al rafforzamento del prestigio dell’Italia nel mondo.

Il suo pensiero è stato ed è ancora assolutamente centrale nel dibattito sull’evoluzione del rapporto tra Stati Uniti e Italia; sono convinto che i relatori che interverranno sapranno restituire appieno l’autorevolezza e il protagonismo di questo grande pensatore che ha costruito, nel corso della sua vita, uno straordinario dialogo tra il mondo politico e culturale statunitense e quello italiano, il cui rapporto non è stato sempre lineare ma che ha anzi spesso subito le contingenze della storia.

Vi ringrazio quindi per aver accettato l’invito del Senato e ringrazio l’Archivio storico, per il grande impegno profuso nell’organizzazione di questo evento ed auguro a tutti voi buon lavoro.

 

 

Incontro con il Re e la Regina di Spagna

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Il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi pomeriggio a Palazzo Giustiniani il Re Felipe VI e la Regina Letizia di Spagna in visita ufficiale in Italia. 

Al  termine del cordiale colloquio, il Presidente Grasso ha accompagnato il Re e la Regina in una breve visita fuori  programma alla Sala della Costituzione,  dove il 27 dicembre 1947 fu firmata la Carta Costituzionale, e in Sala Zuccari che prende il nome dall’artista Federico Zuccari (1539-1609) che ne ha affrescato la volta.

Superare la crisi attraverso la cultura e il patrimonio storico artistico

Il Progetto “Articolo 9 della Costituzione – Cittadinanza attiva per superare la crisi attraverso la cultura e il patrimonio storico artistico“, giunto alla sua terza edizione, unisce due grandi forze del nostro Paese, la cultura e i giovani, chiedendo agli studenti di declinare le proprie idee, aspirazioni, sogni e proposte per trasformare il patrimonio culturale del loro territorio in risorse per la crescita della comunità, sia a livello economico che sociale.

Sono davvero felice che il Senato abbia, ancora una volta, confermato la propria collaborazione a questo progetto che ha il merito di aver costruito un luogo di riflessione e di elaborazione concreta, un laboratorio nel quale non solo si immagina ma si costruisce il futuro, e si guarda alle dinamiche di lungo periodo piuttosto che alle contingenze della quotidianità.

Porre al centro della riflessione l’articolo 9 significa disegnare insieme un orizzonte cui tendere e, allo stesso tempo, indicare una responsabilità che ognuno di noi è chiamato ad assolvere. La promozione della cultura e della ricerca, così come la tutela del nostro patrimonio storico ed artistico, richiede infatti un impegno quotidiano, tanto individuale quanto collettivo, dal quale dipende il futuro del nostro Paese. Educazione, cultura e ricerca sono settori strategici e rappresentano investimenti vantaggiosi in grado di produrre diritti e opportunità.

D’altro canto, troppo spesso guardiamo alle ricchezze altrui, penso ad esempio ai grandi esportatori di risorse energetiche, senza ricordare che il nostro patrimonio storico e artistico può divenire, se valorizzato, il più grande volano della nostra economia. Riflettere su questi temi, confrontarsi con le difficoltà che sta affrontando l’Italia e immaginare soluzioni per risollevarla, a partire proprio dalla cultura, dalla ricerca e dalla tutela del patrimonio artistico, è una sfida affascinante e bellissima. Compito delle Istituzioni, in questo caso, sarà ascoltare, con curiosità e grande attenzione, quanto le giovani studentesse e i giovani studenti avranno da proporci.

 

La tua idea per l’Italia

Care ragazze, cari ragazzi, onorevoli Senatrici e Senatori,

sono molto contento di dare oggi personalmente il benvenuto ai giovani – laureati e laureandi, italiani e stranieri che studiano qui – che partecipano alla cerimonia finale di questa iniziativa, che ogni anno cresce sia nel coinvolgimento che nella qualità delle proposte, anche grazie all’importanza e all’attualità dei temi prescelti.

In particolare in questa edizione avete affrontato la questione della tutela delmade in Italy“, che si è tradotto nella presentazione di un progetto legislativo nazionale e di una proposta di direttiva europea per l’istituzione di un marchio di qualità, volto a valorizzare il prodotto italiano negli scambi commerciali internazionali e a fornire indicazioni più chiare a tutela del consumatore. È un tema centrale per la nostra economia, soprattutto in questa fase storica, e può tradursi in un sostegno alla ripresa economica e quindi ai livelli di occupazione, tanto che anche il Governo ha annunciato la predisposizione di un intervento in materia. D’altra parte non dobbiamo nasconderci che quando, nel recente passato, si è cercato di porre in essere strumenti giuridici volti alla tutela dell’alta qualità del prodotto italiano rispetto alla concorrenza – non solo nel settore agroalimentare ma anche tessile, della moda, eccetera – ci si è scontrati duramente con la visione più estrema del principio della libera circolazione delle merci.

L’idea quindi di collaborare per trovare una proposta, che si spera possa essere risolutiva, che valorizzi la creatività e la produttività italiana pur nel rispetto del libero mercato, ha dimostrato da parte vostra la volontà di misurarvi e di vincere una sfida davvero ardua. Nella fase finale che si svolge qui in Senato avrete modo non solo di vedere concretamente il funzionamento delle Istituzioni dal loro interno, con un approfondimento su come si possa trasformare un’idea in provvedimento di legge, ma di rapportarvi a questa Istituzione con spirito costruttivo e dialettico. Un buon segnale, perché l’Italia ha bisogno del vostro contributo. La politica è un’attività antica e nobile, è l’amministrazione della comunità ai fini del bene comune, è la creazione di uno spazio pubblico al quale tutti i cittadini partecipano. Solo così si riduce il divario tra i cittadini e le istituzioni, si accorciano le distanze tra la società e la politica.

Per queste ragioni non lasciatevi mai convincere che la politica – e con essa lo Stato e le Istituzioni – sia una dimensione lontana dalle vostre vite, dai vostri progetti, dalle vostre speranze. In un momento storico in cui i giovani disertano le elezioni e si allontanano dalla vita pubblica e dalla politica, il vostro impegno è fondamentale per il progresso della nostra società e del nostro Paese. Essere cittadini richiede un impegno intenso e costante, azioni responsabili di ciascuno di noi nella vita quotidiana. È nostro dovere, dovere delle istituzioni dare spazio alla vostra voce, alle vostre istanze, alle vostre esigenze. Spetta a ciascuno di voi impegnarsi giorno per giorno, con energia e convinzione, per essere protagonisti e non spettatori del futuro del nostro Paese.

Buon lavoro.

 

 

Non c’è pace senza giustizia: sfide e opportunità per la Corte Penale Internazionale

Autorità, Gentili Ospiti, Cari colleghi, Cari amici,

con vero piacere vi auguro il benvenuto al Senato della Repubblica per celebrare insieme il ventesimo anniversario di “Non c’è Pace senza Giustizia”, un’organizzazione nata con lo scopo di sostenere la storica campagna del Partito Radicale Transnazionale per l’istituzione di un tribunale penale internazionale permanente e che, proprio in questa sala, nel novembre 1997, organizzò una conferenza su questo tema.

In questi vent’anni lo spettro di azione di “Non c’è Pace senza Giustizia” si è ampliato per comprendere, oltre alla giustizia penale internazionale, programmi sulle mutilazioni genitali femminili, sulla promozione democratica in Medio Oriente e in Nord Africa e la mappatura dei conflitti. Il filo conduttore che ha sempre animato Emma Bonino e Marco Pannella, il Senatore Sergio Stanzani – che ci ha lasciati lo scorso anno e voglio ricordare – insieme a tanti altri, credo sia una sete inestinguibile, che io profondamente condivido, per la giustizia, i diritti e la dignità degli esseri umani, ovunque essi si trovino.

La storia del diritto penale internazionale è densa come la storia dei diritti umani e segue il progressivo maturare nel diritto internazionale, nelle prassi e nelle coscienze dell’idea dell’assoluta supremazia della persona nell’ordinamento giuridico internazionale, tradizionalmente visto come un mondo di Stati, dove le persone non avevano alcuna soggettività giuridica. Stupri, deportazioni, omicidi di civili, feriti e prigionieri di guerra, esecuzioni di massa: ecco le atrocità di fronte alle quali la comunità internazionale ha, con lentezza, elaborato norme e meccanismi giurisdizionali per affermare che certe condotte sono da considerarsi crimini internazionali, che offendono l’intera umanità e non solo la comunità che le subisce, e per giudicare gli individui che ne sono responsabili avendo agito in nome e per conto di uno Stato. Condotte che includono i crimini di guerra, vale a dire le gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, che disciplina lo svolgimento dei conflitti armati; i crimini contro l’umanità, cioè gli atti inumani contro le popolazioni civili, le persecuzioni razziali, politiche o religiose; e quella che è la forma più estrema dei crimini internazionali: il genocidio, caratterizzato dall’intenzione di distruggere un gruppo etnico, razziale o religioso.

Alla base dell’emozionante evoluzione della giustizia internazionale, cui voi oggi presenti avete tanto contribuito, si trova anche l’idea che i diritti delle persone si debbano tutelare anche laddove vengano violati, offesi, calpestati dagli stessi Stati di cui essi sono cittadini. La dottrina dei diritti umani fu definita “eversiva” dal compianto giurista e studioso Antonio Cassese, che del Tribunale Internazionale per l’Ex Jugoslavia fu il primo presidente, perché scardinava la concezione basata sul principio di “non interferenza”, secondo cui il trattamento degli Stati verso i propri cittadini non poteva essere valutato dagli altri Stati, che ne dovevano restare estranei.

Dobbiamo le primissime esperienze di giurisdizioni penali internazionali ai Tribunali di Norimberga e di Tokyo, istituiti dopo il secondo conflitto mondiale per giudicare le inaudite atrocità che durante quel periodo furono commesse. Si è spesso ripetuto che si trattò di una “giustizia dei vincitori” perché si trattava di tribunali istituiti dalle potenze che ebbero la meglio nel conflitto; e purtroppo vi si comminò la pena di morte, che noi respingiamo con fermezza. Ma ebbero un valore morale e giuridico indiscutibile perché per la prima volta si processarono i massimi responsabili statali di crimini internazionali, nel rispetto di fondamentali garanzie processuali e di difesa; e di fronte al mondo intero che così poté sapere cosa era successo. Per la prima volta si tutelarono valori di carattere universale e si riconobbe il principio della responsabilità penale individuale anche di coloro che avevano agito per dare corso a ordini superiori. Abbiamo dovuto attendere ancora a lungo, e assistere alle indimenticabili atrocità del conflitto in Jugoslavia e poi in Ruanda, perché nel 1993 e 1994 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite costituisse i Tribunali ad hoc che hanno realizzato un modello di giustizia internazionale indipendente ed imparziale, nel concorrere di adeguate garanzie processuali e con l’esclusione della pena di morte; anche se si trattò di tribunali istituiti solo dopo la commissione dei crimini da giudicare e con una competenza territoriale e temporale limitata. Il XXI secolo si aprirà con l’istituzionalizzazione del sistema di giustizia penale internazionale. Il 17 luglio 1998, la svolta: 120 Paesi firmano a Roma lo Statuto per stabilire la Corte Penale Internazionale, che entra in vigore l’1 luglio 2002. Oggi ne sono parte ben 122 Stati di ogni regione.

Primo organo giurisdizionale internazionale permanente la Corte Penale Internazionale giudica nel rispetto del principio  di legalità (nullum crimen, nulla poena sine lege) e consente di intervenire, nel concorrere di certe condizioni, a salvaguardia dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario attraverso gli strumenti del diritto penale, per porre fine all’impunità. Un passo storico ed entusiasmante, di vocazione genuinamente universale. Un’istituzione chiave per l’ordine internazionale contemporaneo, una speranza per il futuro dei popoli, per la pace, per i diritti e la giustizia.

Considero questo convegno molto importante per fare il punto sul lavoro e le prospettive della Corte Penale Internazionale. La vita della Corte si trova a un punto di svolta importante. Deve affrontare problemi di carattere politico-diplomatico e giuridico. Mi riferisco alle proposte in materia di immunità dei Capi di Stato che metterebbero radicalmente in discussione uno dei principi fondanti, e l’impianto stesso dello Statuto di Roma; alla necessità di un’azione più forte e determinata dell’Assemblea degli Stati Parte, e in alcuni casi anche del Consiglio di Sicurezza per assicurare l’imprescindibile cooperazione degli Stati per molte attività della Corte (arresto, consegna degli imputati, svolgimento di indagini); all’eccessiva complessità del sistema processuale, che ha determinato la limitata efficienza della Corte per la lunghezza e farraginosità dei procedimenti. Noi oggi dobbiamo impedire che le critiche alle Corte possano in qualsiasi modo inficiare quel modello di moralità, di giustizia e centralità dei diritti nel sistema mondiale che rappresenta e dovrà rappresentare.

Accolgo dunque con favore gli sforzi già in corso, che devono essere intensificati, per rivedere la procedura e accelerare i procedimenti in corso e così garantire la richiesta di giustizia che si leva a gran voce dalle vittime, la cui partecipazione ai processi deve essere assicurata di più anche in vista dei giusti risarcimenti. Sono poi convinto che sia assolutamente cruciale un dialogo costruttivo con l’Unione Africana, con la quale condividiamo principi e valori espressi sia nella Carta dell’Unione sia nello Statuto di Roma. E guardo con molta speranza alla prossima presidenza dell’Assemblea degli Stati membri, formulando sinceri auguri di buon lavoro a chi presto assumerà questo importante onere.

L’Italia crede senza riserve nella Corte ed è aperta ad ascoltare, parlare e trovare soluzioni ai problemi. Sono convinto che la dedizione e la profondissima competenza delle personalità qui riunite oggi, contribuirà in modo significativo al dibattito sul futuro della Corte e della giustizia penale internazionale. Ringrazio coloro che della Corte sono stati promotori e coloro che la fanno procedere con la loro quotidiana fatica. A voi devo la gratitudine non solo di un rappresentante dell’istituzione e del Paese in cui ci troviamo, ma anche di un uomo che con le sole armi del diritto e della tenacia ha dedicato alla giustizia, ai diritti, alla pace e alla ricerca della verità una vita intera di impegno e di speranza.

Grazie.

 

 

Congratulazioni a Alessandro Criscuolo, nuovo presidente Corte Costituzionale

Ho espresso telefonicamente le mie congratulazioni al nuovo presidente della Corte Costituzionale, Alessandro Criscuolo.

Sono certo che il presidente Criscuolo saprà svolgere, con alta professionalità, serietà e competenza l’Alto ruolo a cui è stato chiamato. A nome mio e di tutti i senatori invio al neo Presidente i più cordiali e sinceri auguri di buon lavoro.

Parlamento: luogo dei diritti e della democrazia sostanziale

Intervento alla presentazione del Master Parlamento e Politiche Pubbliche – Luiss Guido Carli

Rettore Egidi, Presidente Manzella, Gentili professori, carissimi studenti,

Con molto piacere mi trovo qui anche quest’anno alla presentazione del Master Parlamento e Politiche Pubbliche, ormai una consuetudine nell’agenda non solo della Luiss Guido Carli, ma anche del Senato. Per voi, cari ragazzi, si tratta per lo più di accostarsi per la prima volta alle istituzioni parlamentari; mentre per noi, che viviamo quotidianamente il Parlamento, questa è un’opportunità preziosa per fermarsi a riflettere sui dilemmi e sulle sfide della rappresentanza, per una sorta di bilancio annuale. Voglio subito dire che la mia breve e molto intensa esperienza parlamentare, caratterizzata dalle gravi difficoltà che vivono le istituzioni e il Paese ha, direi quasi paradossalmente, rafforzato la fiducia che nutrivo già da ragazzo nel metodo democratico e nel ruolo potenziale della politica per il bene comune. E, credetemi, non lo dico da difensore d’ufficio del Parlamento.

I fattori di crisi del Parlamento si sono aggravati. Vi sono in primo luogo i problemi della rappresentanza, sintomo della crisi interna ai partiti che si ripercuote sui gruppi parlamentari, spesso determinando l’instabilità della maggioranza in Aula e nelle Commissioni. Il modo attuale di fare legislazione, che è dovuto alle esigenze pur comprensibili dell’esecutivo di fare fronte con rapidità ed incisività alla gravità della situazione, sacrifica gli spazi di confronto dell’assemblea, alimentando la sensazione di un Parlamento mero ratificatore di decisioni assunte altrove. Mi riferisco ai temi su cui più volte il Capo dello Stato ha fatto sentire il suo richiamo autorevole: i decreti legge “omnibus”, dal contenuto troppo eterogeneo; il ripetuto ricorso alla questione di fiducia, anche su maxi-emendamenti che in un unico o in pochi articoli, suddivisi in centinaia di commi, riassumono l’intero contenuto di leggi complesse ed articolate; la tendenza anche nei procedimenti di delega a ridurre all’essenziale principi e criteri direttivi, ampliando i margini di discrezionalità dell’esecutivo.

Queste tendenze contribuiscono a diffondere, tra gli scranni, una situazione di frustrazione e di rabbia che sfociano a volte in comportamenti esecrabili come quelli che hanno visto protagonista l’Aula del Senato la scorsa settimana per il decreto “Sblocca Italia”, ad ottobre per il “Jobs Act” e in estate durante l’esame della riforma del Senato. Questa situazione nell’emiciclo espone a tensioni il ruolo del Presidente, stretto fra le comprensibili esigenze della maggioranza e le altrettanto legittime richieste di spazi democratici di confronto e dialogo dell’opposizione. Un ruolo estremamente difficile da interpretare anche per chi, come me, ha cercato di portare in questa nuova funzione di “arbitro parlamentare” la stessa passione, e soprattutto la stessa imparzialità ed equilibrio che ho perseguito con tenacia nei miei precedenti incarichi da magistrato.

A queste problematiche dobbiamo saper guardare con realismo, ma anche con incrollabile fiducia nel metodo democratico, riscoprendo anzitutto quel ruolo del Parlamento descritto proprio dal Prof. Manzella come un “porticato” tra la società civile e le altre istituzioni. Le assemblee elettive sono essenziali per dare voce ai bisogni reali dei cittadini, troppo spesso soffocati da politiche che in nome della quadratura dei bilanci hanno sacrificato interventi di respiro più ampio per promuovere crescita e occupazione, sostenere l’imprenditoria e incrementare gli investimenti infrastrutturali. Serve poi, mi capita di ripeterlo spesso, potenziare la dimensione del controllo parlamentare, essenziale per conoscere e per rendere noto ai cittadini lo stato di attuazione delle riforme legislative. In Italia, troppe leggi rimangono inattuate.

Su questo terreno, si aprono rilevanti prospettive di intervento specialmente per le commissioni che, in ogni specifico settore, possono svolgere audizioni, indagini conoscitive, acquisizione di elementi informativi per verificare l’efficacia dell’azione di governo: non solo per farne valere la responsabilità politica, ma per contribuire a una programmazione delle priorità di intervento condivisa e una più razionale valutazione di nuove norme e riforme che si sovrappongano ad altre rimaste incompiute.

Vi è infine lo scenario europeo, nel quale dal Trattato di Lisbona ad oggi sono stati compiuti progressi sul tema della partecipazione democratica dei Parlamenti al procedimento decisionale. Una linea sottolineata dodici anni fa dalla Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo con un importante rapporto di cui era relatore Giorgio Napolitano, dove si segnalava la centralità della relazione fra il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali nell’integrazione europea. Proprio la scorsa settimana si è svolta qui in Senato la Conferenza inter-parlamentare sulla politica comune estera, di sicurezza e di difesa che ha visto un dibattito molto vitale sulle principali sfide esterne con cui l’Unione Europea si confronta.

Tornando allo scenario italiano io sono convinto che le strade da intraprendere siano tre. Per prima cosa, in tempi non sospetti, ormai un anno e mezzo fa, ho avuto modo di sostenere l’assoluta priorità della riforma della legge elettorale per rinnovare il patto con i cittadini, anche prescindendo dal più ampio disegno di revisione costituzionale. Credo che sia anche formalmente necessario che il paese si doti di una legge elettorale. E questo a prescindere dalle prospettive politiche di ciascun dato momento, anche perché io sono convinto che la legislatura dovrà avere il suo normale termine e ho sempre lavorato in questa direzione. La legge elettorale dovrà al tempo stesso garantire la rappresentatività reale dei cittadini e la stabilità dei governi.

In secondo luogo, credo che occorra procedere all’attuazione dell’art. 49 della Costituzione. Per modernizzare e rilanciare la rappresentanza parlamentare e il complessivo sistema di equilibrio costituzionale del Paese si deve partire dalla regolazione dei partiti politici, giacché, per richiamare una parte importante del pensiero giuridico e politologico contemporaneo, da Maurice Duverger a Leopoldo Elia, la considerazione dei sistemi costituzionali senza lo studio del ruolo dei partiti, restituisce un’idea sbagliata dei regimi politici contemporanei.

Si potrà così promuovere, anche attraverso lo strumento delle primarie che è sostenuto da autorevoli studiosi, una selezione democratica della classe dirigente; e rilanciare quell’etica pubblica del fare politica oggi troppo spesso schiacciata dai personalismi e dall’assenza di sistemi di controllo e sanzione interni alla politica. Un processo che servirà anche a ricondurre ogni soggetto intermedio fra i cittadini e lo Stato che aspiri ad esercitare l’attività politica, compresi i movimenti non strutturati in veri partiti, pienamente all’interno della norma costituzionale: “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

Infine resta prioritaria e ineludibile la riforma parallela e ragionata dei regolamenti di Camera e Senato che, anche a prescindere dalla riforma costituzionale in atto, dovrà razionalizzare il procedimento legislativo. Mi ripeto anche qui, perché da molto tempo avverto che è necessario che il Parlamento garantisca al Governo tempi certi di esame dei provvedimenti prioritari per l’attuazione del programma di governo, salvaguardando al contempo spazi di dibattito e di riflessione per le minoranze e soprattutto sui temi più delicati, come quelli etici o che investono la tutela dei diritti fondamentali.

Al tempo stesso sono convinto che dobbiamo ora portare al più presto a compimento una riforma strutturale delle amministrazioni parlamentari, per valorizzare le sinergie e per promuovere economie di scala nella organizzazione delle due Camere, in coerenza con le idee del “ruolo unico dei dipendenti” e del “ruolo unico dei parlamentari” che le Camere hanno accolto come obiettivo da realizzare entro la fine dell’anno. Il Parlamento italiano, ne sono convinto, non ha perso fede nel proprio ruolo e sono certo che le Camere e i singoli parlamentari sapranno cogliere le sfide che investono una “missione” istituzionale che si trova al cuore dei valori e principi su cui poggia la nostra comunità, la nostra storia e il nostro destino.

Concludo rivolgendomi ancora a voi, cari ragazzi. La politica, nel senso più alto del termine, quella che deve tornare ad animare la democrazia parlamentare si occupa di noi, di come perseguire l’interesse generale e come garantire i diritti fondamentali delle persone. Per questo vi invito ad andare avanti con passione e determinazione lungo il cammino che avete scelto di intraprendere. Ringrazio il Rettore Egidi, il Prof. D’Alimonte, il Prof. Manzella, il Prof. Lupo e i docenti del Master per la competenza e l’amore per questa materia che sanno trasmettere. A tutti voi auguro affettuosamente un percorso di studi proficuo con l’auspicio che presto possiate contribuire a fare davvero del Parlamento il luogo dei diritti e della democrazia sostanziale.

Grazie.

Salute mentale, Ospedali psichiatrici giudiziari e diritti umani: una questione di civilità

Cari colleghi, Autorità, gentili Ospiti,

sono lieto di potervi dare il benvenuto nella prestigiosa Sala Zuccari del Senato per un incontro che costituisce un’importante occasione di riflessione e di dibattito su una questione di grande delicatezza sia dal punto di vista istituzionale che da quello sociale e umano, questione che da troppo tempo richiede una soluzione, che si fa, dunque, più urgente ogni giorno che passa.

È già la terza volta che io stesso, qui in Senato, mi trovo ad affrontare questo importante tema, e ogni volta debbo sottolineare con dolore che non siamo arrivati ancora ad un punto di civiltà e rispetto, per quanto passi positivi siano stati fatti.

Già nel luglio 2011 la Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale, con la sua Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari, accertò le condizioni di inaccettabile degrado degli istituti e la carenza generalizzata di quegli interventi di cura che motivano l’internamento. A questo proposito, ricordiamo tutti l’accorato appello «Basta con i luoghi dell’orrore!» che il Presidente della Repubblica lanciò nel suo messaggio di fine d’anno del 2012.

Molti giuristi, psichiatri, politici, opinionisti e cittadini sensibili al tema denunciano l’incostituzionalità della persistenza degli OPG e delle stesse procedure per accedervi. Ancora nel 1982, infatti, la Consulta si pronunciò stabilendo che la pericolosità sociale deve essere vista come una condizione transitoria, non come un attributo naturale di una persona e che, conseguentemente, anche le misure di sicurezza vanno di volta in volta riviste e aggiornate.

Altre due sentenze, nel 2003 e 2004, hanno dichiarato incostituzionale la non applicazione di misure alternative all’internamento in OPG al fine di “assicurare adeguate cure all’infermo di mente e far fronte alla sua pericolosità sociale”.

Vi è, almeno, un dato positivo che riscontriamo ultimamente, e cioè una tendenza alla diminuzione nel numero delle persone detenute oggi negli ospedali psichiatrici giudiziari, circa 1.000, ovvero circa 350 in meno rispetto a tre anni fa. Ma non è ancora abbastanza. La legge 17 febbraio 2012, n. 9, aveva disposto la chiusura definitiva delle strutture per la data del 31 marzo 2013. Il decreto legge 25 marzo 2013, n. 24, ha poi disposto una proroga fino al 1° aprile 2014. Lo stesso 1° aprile, tuttavia, il Presidente della Repubblica ha promulgato “con estremo rammarico” un decreto legge che fissa al 30 aprile 2015 la data entro la quale dovranno essere chiuse le 6 strutture tuttora funzionanti in Italia.

L’eccessivo ritardo delle Regioni nella costruzione delle nuove residenze sanitarie per l’esecuzione della misura di sicurezza non ha consentito di agire altrimenti, ma alcune di esse hanno cominciato ad attivarsi e, attraverso un uso avveduto delle risorse e delle opportunità legislative, si può sfruttare questa dilazione per potenziare i servizi socio-sanitari territoriali, che servono a tutti i cittadini, per aprire presidi sul territorio operativi 24 ore su 24, per rafforzare i dipartimenti di salute mentale e per collaborare tra tutti gli operatori e gli enti coinvolti al fine di evitare il ricorso all’internamento e far sì che le cure psichiatriche possano svolgersi in ambito territoriale privilegiando le misure alternative.

Voglio esprimere a voi, che lavorate ogni giorno con impegno e dedizione per la tutela dei diritti dei malati di mente, il mio plauso per l’opera che quotidianamente svolgete, perché un malato, mentale o no, non cessa di essere una persona, una persona che soffre, un essere umano cui la Costituzione attribuisce dignità e diritti inalienabili.

Vi cedo, dunque, ora, la parola perché possiate confrontarvi, tra voi e con i legislatori, per individuare, insieme, possibili forme per progredire verso la risoluzione di questa complessa e spinosa questione. Esprimo, inoltre, il mio apprezzamento a tutti i colleghi che nella legislatura precedente e in quella in corso si sono impegnati in questa importante attività di inchiesta e di approfondimento ed auguro a tutti buon lavoro.

 

Giustolisi, la sua carriera una bella pagina nella storia del giornalismo italiano

Comunicato per la scomparsa del giornalista Franco Giustolisi

Con Franco Giustolisi avevamo dato vita quest’anno all’iniziativa “70 anni dalle  stragi  nazifasciste”, un incontro pubblico per rinnovare la memoria sulle atrocità commesse dalle  truppe nazifasciste in Italia, con la partecipazione  di  testimoni diretti delle stragi.  L’incontro è stato ospitato, il 24 aprile, nella Sala Koch di Palazzo Madama. Giustolisi era intervenuto come autore del libro “L’armadio  della vergogna” e con la passione  del  cronista  sempre alla ricerca dei fatti, una passione che ha contraddistinto  tutta  la  sua  lunga carriera e che rappresenta una bella pagina nella storia del giornalismo italiano. Lo ricordiamo oggi con grande affetto e riconoscenza. Alla famiglia rivolgo le  mie  più  profonde condoglianze.