Orfani speciali. Chi sono, dove sono, con chi sono. Conseguenze psico-sociali sui figli e figlie del femminicidio

Autorità, colleghi, gentili ospiti,

ho accolto con molto piacere l’opportunità di ospitare in Senato la presentazione del nuovo volume della professoressa Anna Costanza Baldry. Voglio complimentarmi con l’autrice, l’editore e tutti coloro che hanno dato vita   a questo importante progetto sugli orfani speciali, vittime collaterali e innocenti del femminicidio. Si tratta di un reato gravissimo di particolare riprovazione e disvalore sociale: una efferata violenza che nasce spesso tra le mura domestiche, in famiglie apparentemente serene ma dilaniate da rapporti interpersonali distruttivi. Nella prima parte del libro viene analizzato il femminicidio nelle sue dinamiche psico-sociali. Appare chiaro che bisogna realizzare interventi strutturati e non emergenziali, in grado di combatterlo in tutte le sue forme: dalle offese, alle minacce, agli atti di violenza fisica e psicologica. Cittadini ed Istituzioni devono poi dare il proprio contributo per abbattere la sub-cultura dell’indifferenza e dell’omertà attraverso la denuncia e l’accertamento delle specifiche responsabilità; d’altro canto è fondamentale sostenere al meglio chi è vittima di maltrattamenti.

Purtroppo – e credo questo sia un argomento che merita un serio approfondimento – sono ancora troppi i casi di chi, per paura, vergogna, mancanza di mezzi o una pericolosa sottovalutazione, nasconde le violenze subite. Gli interventi di carattere legislativo sono senza dubbio necessari, ma l’arma vincente non può che scaturire da un cambiamento culturale. Occorre promuovere, a partire dai contesti familiari e scolastici, i valori del rispetto e dell’uguaglianza di genere per eliminare all’origine pregiudizi, abitudini e stereotipi che possono dar vita a comportamenti che in alcun modo possono essere tollerati o giustificati.

Ad essere vittime di femminicidio non sono solo le donne, “ree di aver incontrato un uomo sbagliato e incapace di amarle” ma anche i figli, vittime silenziose della cosiddetta “violenza assistita”. I minori si trovano ad affrontare un doppio trauma che, inevitabilmente, ne mina la crescita, la serenità, il futuro. Nella seconda parte del volume che oggi presentiamo sono riportati i dati quantitativi emersi dal progetto Switch-off: è doloroso constatare che, in due casi su tre, i bambini sono testimoni oculari della violenza o dell’omicidio della madre da parte del padre.

Su questa tipologia di orfani non esistono dati ufficiali, le notizie a disposizioni sono poche. Proprio per colmare questo vuoto e per avviare un’ampia riflessione, il Dipartimento di Psicologia della Seconda Università degli Studi di Napoli, con la partnership dell’Associazione nazionale Dire, dell’Università di Cipro e della Lituania, ha dato vita al progetto europeo “Switch-off“, nato con l’intento di monitorare i casi degli “orfani speciali”. Il progetto offre agli esperti del settore e alle Istituzioni chiavi di lettura significative: oltre a riportare i dati statistici sull’entità del fenomeno, analizza le problematiche relative alla cura degli orfani speciali e identifica la necessità di mettere a punto efficaci politiche di sostegno. Oltre ai provvedimenti di natura legislativa è fondamentale anche potenziare le azioni di prevenzione: penso si debbano concentrare risorse e forze su programmi di assistenza psicologica alle donne, alle coppie e ai minori coinvolti, al fine di consentire loro di uscire da quel muro di paura, vergogna, silenzio, in cui troppo spesso si isolano.

La Camera dei Deputati ha approvato, lo scorso 1 marzo, un disegno di legge recante disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici che è ora all’esame, in sede deliberante, della Commissione Giustizia del Senato.

Sono convinto che il Parlamento debba al più presto concludere l’iter di questo DDL che introdurrebbe alcune misure – penso ad esempio alla previsione di un’adeguata assistenza medico-psicologica e alla creazione di borse di studio – che rappresenterebbero un importante passo in avanti. Sono sicuro che gli autorevoli relatori che interverranno sapranno, da prospettive diverse, aumentare la nostra consapevolezza e la conoscenza di questo tema.

Auguro a tutti voi buon lavoro.

Grazie.

Consegna del “Magna Grecia Awards”

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi a Palazzo Madama una delegazione del Premio “Magna Grecia Awards”, composta dal Presidente Fabio Salvatore, dal Presidente del Comitato scientifico prof. Angelo Romeo e dal giornalista Paolo Borrometi, da oggi ufficialmente Presidente Onorario del Magna Grecia Awards.

La delegazione ha consegnato il “Premio Eccellenza Franco Salvatore” al Presidente Grasso “per l’impegno profuso nello sviluppo della cultura della legalità e della corresponsabilità, prima come magistrato nella lotta alla mafia e alle ingiustizie ed ora come punto di riferimento nelle Istituzioni”. Il Premio “Magna Grecia Awards” è giunto quest’anno alla ventesima edizione.

L’Italia, l’Europa ed Helmut Kohl

Ringrazio il Presidente Casini per aver voluto organizzare in Senato questo ricordo del Cancelliere Kohl. Ci troviamo oggi qui, nella sala Zuccari dove lo stesso Kohl, invitato dal Presidente di allora Marcello Pera nell’ottobre del 2003 a chiusura dei lavori della Convenzione europea, venne a spiegare la sua idea d’Europa.

Volle allora esordire ricordando una celebre frase di Alcide De Gasperi: “per unificare l’Europa più che costruire occorrerà probabilmente distruggere un mondo di pregiudizi, di pusillanimità e di rancori“. Helmut Kohl nella sua lunga carriera politica, iniziata giovanissimo nella Germania postbellica, è riuscito a costruire l’inimmaginabile, proprio superando pregiudizi e rancori, senza paura, con capacità di visione, ma nello stesso tempo con realismo. Nato nel 1930 nella Renania cattolica, visse da bambino l’epoca del nazismo. Ricordava spesso “la grazia dell’esser nato tardi” parlando di sé e della sua generazione, libera dal senso di colpa per i crimini del regime, ma allo stesso tempo costretta a sperimentare direttamente l’orrore della guerra. Guerra che privò Kohl dell’amato fratello. Sulla scia di Adenauer, di cui fu il vero erede, percorse tutte le tappe di una carriera politica che lo portò da deputato a Presidente del suo Land all’età di 39 anni nel 1969, capo dell’opposizione e infine Cancelliere a 52 anni, nel 1982, battendo un altro gigante della storia europea come Helmut Schmidt, nell’unico voto di sfiducia costruttiva svoltosi con successo nella storia tedesca. Resterà cancelliere per 16 anni, durante i quali segnerà la storia del suo paese e dell’Europa: Cancelliere dell’unità tedesca, da lui voluta e realizzata con forza visionaria, coraggio, perseveranza e grande capacità di negoziare; ma allo stesso tempo Cancelliere dell’idea di un’Europa unita, senza frontiere, in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Un’utopia un tempo, che è diventata una realtà giuridica col Trattato di Maastricht di cui Kohl, insieme a Mitterrand, Delors e Andreotti, fu il vero artefice.

Un Trattato che nelle ambizioni del Cancelliere sarebbe dovuto essere la pietra angolare di un nuovo ordine europeo. L’euro, una scelta cui con profonda capacità di vero leader condusse il popolo tedesco, non era infatti per Kohl solo una moneta, ma un patto politico poiché, come amava ripetere, “non vogliamo un’Europa tedesca ma una Germania europea“. Proprio qui sta la grandezza della lezione di Kohl: avere realizzato l’unificazione tedesca evitando il rischio di trasformarla in un fattore di destabilizzazione del vecchio continente, ma inquadrandola subito all’interno del processo di unificazione europea. Kohl seppe così trasformare i timori che pure vi erano negli altri paesi europei, e nella Francia in primo luogo, dinanzi alla possibilità della rinascita al centro dell’Europa di una grande Germania, in un fattore invece propulsivo, di accelerazione del progetto europeo, riscoprendo l’ambizione politica dei padri fondatori. L’uomo che, mano nella mano con François Mitterrand nel 1984 a Verdun, seppe dare la rappresentazione visibile e forte del superamento di un’antica divisione, fu capace meglio degli altri leader di capire che con la caduta del muro di Berlino, in quella notte di novembre del 1989, non solo finiva la Guerra Fredda, ma iniziava una nuova epoca nella storia europea e mondiale. Rientrò di corsa da Varsavia e in pochi giorni presentò un piano in dieci punti per la riunificazione delle due Germanie. Tutti gli consigliavano prudenza, ma Kohl seguì il suo istinto politico. Di fronte alle urgenze della storia avrebbe potuto optare per una diversa dinamica del processo di integrazione tedesca ed europea, che non ponesse subito in discussione l’autonomia della moneta, del marco e della Banca centrale tedesca facendo giocare un ruolo preminente alla Germania nel processo di allargamento a est. Ma Kohl in modo solitario scelse invece la visione più aperta ed europea. Aver guidato la riunificazione tedesca in questo quadro ampio e in senso pienamente europeo ha evitato di riproporre quelle pulsioni nazionalistiche che così tragicamente avevano segnato la storia tedesca.

In Senato, in questa Sala nel 2003 Helmut Kohl ricordava che “il Cancelliere tedesco non deve ricordare a tutti di essere il Cancelliere della Germania, altrimenti è un governante che non fa bene il suo lavoro. Non deve sottolineare che i tedeschi sono 80 milioni e non deve ricordare la forza economica della Germania. Deve semplicemente avere rispetto“. Il rispetto per le identità nazionali, per l’individuo, è stato una caratteristica fondante di questo grande statista, e gli ha permesso di costruire ponti e seminare fiducia. Per questo gli elettori lo hanno premiato nelle elezioni dal 1982 al 1994 e soprattutto si sono affidati a lui quando hanno deciso di rinunciare al marco tedesco. In nome di un obiettivo più alto e con un senso profondo della storia Kohl ebbe il coraggio qualche anno prima di imporre la parità di conversione tra il marco dell’est e quello dell’ovest, una volta di più superando lo scetticismo della Banca centrale e le tante contrarietà degli economisti.

Kohl vedeva lontano e fu anche in quell’occasione inflessibile. Sono state tutte decisioni lungimiranti assunte in solitudine ma profondamente meditate. Come ha ricordato il suo amico Romano Prodi nei giorni scorsi: “Kohl approfondiva progressivamente i problemi, eliminando gli aspetti marginali fino ad arrivare alla semplice alternativa fra il si e il no”. Una lezione straordinaria e per noi oggi attualissima. Il popolo tedesco deve a questo grande leader la sua ritrovata unità, noi tutti gli dobbiamo un salto di qualità nel processo di integrazione europea. Non smise mai di combattere per un’Europa politica, in particolare per dotare l’Europa di una vera politica estera comune. “L’Europa deve parlare con una sola voce” affermò sempre qui, in Sala Zuccari. Kohl era il primo ad ammettere che in quel momento, nel 2003, una simile affermazione poteva sembrare “ridicola“. Ma era quello per lui un imperativo storico.

Oggi forse la storia ci dà una nuova opportunità per portare a compimento il progetto di Adenauer, di De Gasperi e di Helmut Kohl. Che la sua memoria ci sia di stimolo e di guida, sulla via di un rinnovato impegno per la nostra comune Patria europea.

Premio Franco Giustolisi “Giustizia e verità” a Boves

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Il Comune di Boves ospiterà quest’anno la terza edizione del Premio per il giornalismo d’inchiesta “Giustizia e verità” intitolato al giornalista Franco Giustolisi, scomparso il 10 novembre 2014. Dopo Sant’Anna di Stazzema nel 2015 e Marzabotto nel 2016, il Premio Giustolisi continua così il proprio itinerario attraverso le comunità che, massacrate dalla barbarie nazifascista, per decenni hanno poi tentato di fare emergere la verità e ottenere giustizia, spesso senza alcuna risposta. La città di Boves, Medaglia d’Oro al valor civile e militare, è stata vittima delle rappresaglie tedesche a ridosso dell’Armistizio dell’8 settembre, contando 68 caduti tra civili e partigiani e centinaia di case date alle fiamme. Nel 1983 a Boves è nata la “Scuola di Pace”, istituzione comunale finalizzata alla formazione di “operatori di pace”. Per partecipare al Premio Giustolisi occorre presentare, entro il 31 agosto 2017, inchieste giornalistiche realizzate “all’insegna della verità, della giustizia e della pace”, pubblicate tra il 1° settembre 2016 e il 31 agosto di quest’anno. La procedura è indicata nel sito www.premiogiustolisi.it. La proclamazione dei vincitori avverrà il 10 novembre 2017, anniversario della scomparsa di Giustolisi; in concomitanza sarà comunicata la data della premiazione presso la città di Boves. Quest’anno, per la prima volta, è prevista una sezione dedicata alle scuole. Gli alunni sono invitati a lavorare in gruppo su tematiche care al giornalista autore, tra l’altro, del libro “L’Armadio della Vergogna” (la Seconda guerra mondiale, la Resistenza, le sofferenze delle popolazioni).  “Portare nelle scuole i temi del Premio Giustolisi è un impegno di grande valore che conferisce particolare importanza all’edizione del 2017”, ha dichiarato il Presidente del Senato, Pietro Grasso, sempre presente negli scorsi anni alle iniziative e agli incontri del Premio Giustolisi, alcuni dei quali ospitati a Palazzo Madama. “È davvero un buon segno – aggiunge il Presidente Grasso – se la ricerca di giustizia e verità, anche a distanza di tanti anni dai fatti della Seconda Guerra Mondiale, riesce tuttora ad appassionare giornalisti e studenti. Per questo motivo desidero assicurare anche quest’anno il mio convinto sostegno al Premio Giustolisi”.

“La nostra città – ha dichiarato il Sindaco di Boves, Maurizio Paoletti – è onorata di organizzare la terza edizione di questo prestigioso Premio giornalistico che ci ricorda un uomo con la schiena diritta, un uomo capace di guardare in faccia la realtà, con il coraggio di raccontarla alla gente. L’auspicio è che il suo esempio etico, morale e professionale, di uomo e di giornalista sia faro per tanti.

La presenza del Presidente del Senato, a novembre, per la premiazione ci riempie di gioia e si unisce alle visite dei tanti rappresentanti dei vertici istituzionali della Repubblica che dal dopoguerra ad oggi hanno reso omaggio alla storia di questa piccola città del Piemonte, prima città martire del Nord Italia”.

“Boves rappresenta la prima strage nazifascista ai danni della popolazione civile, subito dopo l’armistizio dell’8 settembre, una delle pagine più tragiche della lotta per la Liberazione – ha dichiarato Roberto Martinelli, presidente della Giuria del Premio Giustolisi – ed è un approdo naturale per il nostro premio itinerante, che si propone, in nome di Franco Giustolisi, il giornalista che svelò la più grave delle ingiustizie seguite alle stragi, di rinnovare la memoria di queste tragiche pagine della nostra storia”. La Giuria del Premio è composta dai giornalisti Roberto Martinelli (presidente), Daniele Biacchessi, Livia Giustolisi, Bruno Manfellotto, Marcello Masi, Enrico Mentana, Virginia Piccolillo, Marcello Sorgi, Luigi Vicinanza, Lucia Visca.

Ustica, 37 anni dopo

Messaggio a Daria Bonfietti

E’ con profonda e sincera vicinanza umana e istituzionale che le scrivo nel giorno del trentasettesimo anniversario del disastro aereo che provocò a Ustica la morte di ottantuno persone. All’indescrivibile dolore provocato da una così grande tragedia si sono aggiunte rabbia e frustrazione, sentimenti condivisi da tutto il nostro popolo. Le innegabili opacità di questi anni hanno infatti finora impedito una ricostruzione complessiva degli eventi di quella notte. Non per questo possiamo abbandonare l’impegno perché sia fatta giustizia: dobbiamo anzi, proprio in questo triste giorno, ribadire la nostra volontà di non cedere alla rassegnazione. La vostra Associazione si è fatta carico del pesante fardello di ricordare alla coscienza del nostro Paese – e purtroppo anche alle sue Istituzioni – che mai potremo dirci soddisfatti fino a quando non avremo riscattato, attraverso la forza della verità e del diritto, la dignità di chi perse la vita e di quanti, da allora, soffrono la mancanza incolmabile dei propri cari.

Pirandello Oggi

Magnifici Rettori, Autorità, docenti e studenti,

è con grande piacere che porto il mio saluto e quello del Senato al convegno “Pirandello oggi”, tre giorni di studi e approfondimenti su uno dei più illustri e amati scrittori di tutti i tempi. E’ significativo che il centocinquantenario della nascita di Luigi Pirandello trovi nelle tre grandi università pubbliche romane un grande momento di confronto sulla sua opera e il suo pensiero. Consentitemi un poco di campanilismo: Pirandello è nato in Sicilia ed è stato, per tutta la vita, indissolubilmente legato alla sua terra d’origine. La nostra isola ha dato i natali a grandi figure che hanno ottenuto riconoscimenti in tutto il mondo; noi siciliani siamo molto orgogliosi di questi nostri conterranei perché, con la loro azione, hanno saputo raccontare il volto più nobile e profondo di una realtà che ha infinite sfumature, e che per molti anni è stata ridotta ad una sola di esse, la più deteriore. Con orgoglio possiamo dire che non è più così, e ne è uno splendido esempio la scelta di Palermo come capitale della cultura nel 2018.

Nel 1968, un altro grandissimo intellettuale siciliano, Leonardo Sciascia, volle consegnarci “una breve e quasi assolutamente personale memoria di un soggiorno nell’opera pirandelliana che quasi coincide con quello che lo stesso Pirandello chiamava «l’involontario soggiorno sulla terra», il mio involontario soggiorno sulla terra. Sui libri di Pirandello io ho passato molte ore della mia vita; e moltissime a ripensarli, a riviverli. Lo scarto tra i suoi libri e la vita è stato per me sempre minimo: e direi quasi soltanto per il fatto che i libri sono materialmente, fisicamente libri. È un paradosso, lo so: e forse nessuna poetica, nessuna estetica, potrebbe accoglierlo; ma è il miglior grado di approssimazione per esprimere quello che sento rispetto a questo mio strettamente conterraneo scrittore. Tutto quello che ho tentato di dire, tutto quello che ho detto, è stato sempre, per me, anche un discorso su Pirandello: scontrosamente, e magari con un certo rancore, prima; cordialmente e serenamente poi.”

Aveva senza dubbio ragione Sciascia, Pirandello ha avuto, e ha, un ruolo essenziale nella cultura del ‘900. Non ha smesso di essere letto e amato da un pubblico sempre più ampio, nelle aule scolastiche e in quelle universitarie, nei grandi teatri come nei piccoli. Lettori e spettatori di ogni età sono conquistati dagli innumerevoli casi, “strani e diversi”, della sua narrativa, fatta di novelle e romanzi, come dalla lucida passione espressa attraverso i suoi straordinari personaggi teatrali. La diffusione delle sue opere dimostra che è fra gli autori più letti, tradotti e rappresentati in tutto il mondo. Come pochi altri autori – penso a William Shakespeare per citarne uno – lo scrittore agrigentino ha prodotto opere in grado di sfidare il tempo e di parlare in ogni epoca a tutti gli uomini.

Inquieto e tenace, al giovane Pirandello la Sicilia sarà presto stretta e si farà strada nella sua mente la forza di un ritornello che tante, troppe volte –  io stesso da ragazzo – abbiamo sentito: “cu nesci, arrinesci”. E’ del 1887 il salto verso Roma, dove si ferma appena un anno, spinto dall’ansia di conoscenza e di ultimare la tesi di laurea nell’Università di Bonn; solo più avanti vi farà ritorno, come docente, proprio qui alla Sapienza. I colori, i suoni, le leggende e la storia della Sicilia però non lo abbandonano mai, in un rapporto per certi versi imperscrutabile che pervade e torna in moltissime opere. È nelle trame delle centinaia di situazioni inverosimili e di altrettanti personaggi struggenti che si afferma uno straordinario affresco della complessità del rapporto che lega i siciliani alla propria terra, una eterna tensione tra il desiderio di riscatto e la tentazione dell’addio. Palermo è la città della sua adolescenza e dei primi anni universitari, ricchi di incontri, legami e amicizie che dureranno tutta la vita e dove egli scoprirà la sua vocazione letteraria e teatrale; Agrigento il luogo dove tutto ha avuto inizio e dove necessariamente fare ritorno.

Pirandello percorre idealmente e fisicamente il tragitto che connette la sua città natale alla Capitale per lunghissimi anni, dal 1891 al 1915, insieme alla moglie, Antonietta Portulano e i loro tre figli, Stefano, Andrea, Lietta. La carriera dello scrittore corre parallela a quella della docenza universitaria: Pirandello non smette mai di lavorare, leggere, scrivere senza stancarsi mai, senza perdere un colpo, sempre più oppresso da problemi economici ma dominato dall’amore per l’arte, cui in realtà sacrifica tutto. In un quarto di secolo – dall’uscita del suo primo libro di poesie, stampato a Palermo, Mal giocondo nel 1889 – all’esplosione del suo teatro in concomitanza con la Grande Guerra, Pirandello è ormai un caso nazionale e, ben presto, la sua fama travalicherà i confini italiani. Nel 1921 i Sei personaggi in cerca d’autore, giungeranno infatti a Londra, New York, Parigi, Berlino e le sue opere saranno richieste e recitate nei palcoscenici europei, americani e sudamericani. Pirandello impara l’inglese, si trasforma da scrittore e drammaturgo in capocomico e dirige l’amatissimo Teatro d’Arte. La sua inimitabile carriera termina nel 1936. Singolari le parole che egli scelse per descrivere le sue ultime volontà terrene: lo scrittore di fama mondiale, che era stato addirittura insignito del Premio Nobel, volle essere trasportato, senza alcuna cerimonia ufficiale, su un carretto dei poveri, e poi bruciato. Sempre Sciascia racconta:

“E il suo ultimo destino di personaggio si chiude con un ultimo giuoco tra apparenza e realtà: per le strade della sua città, le ceneri di Pirandello passano chiuse dentro una cassa che dà l’impressione che la cremazione non sia avvenuta, che il corpo sia dentro la bara. Pare che così abbiano voluto le autorità ecclesiastiche: e senza saperlo venivano a dare l’ultimo tocco “pirandelliano” all’involontario soggiorno sulla terra di Luigi Pirandello”.

Le sue ceneri dovevano essere disperse nel mare su cui affaccia la contrada di Porto Empedocle chiamata Caos, per ritornare, scrive, al caos da cui era nato. In quel breve e denso testamento c’è un aspetto intimo e affascinante dell’uomo partito dalla piccola Agrigento a conquistare il mondo con la sua arte e che, come ultimo gesto, desiderava ricongiungersi con la sua terra. Lascio la parola agli autorevoli relatori che interverranno dopo di me, sicuro che sapranno restituire appieno la bellezza, l’unicità e l’attualità dell’opera di questo nostro grande scrittore che ha reso grande la Sicilia e l’Italia intera.

Buon lavoro a tutti. Grazie.

Colloquio con il Sindaco di Palermo, Orlando

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Questa mattina a Palermo il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha avuto un lungo colloquio col Sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, in merito alla proposta giunta dagli organismi regionali e nazionali del Partito Democratico di candidarsi a Presidente della Regione Sicilia alle prossime elezioni regionali.
Nel corso del colloquio sono state affrontate tutte le implicazioni politiche e istituzionali di tale scelta, soprattutto in relazione al delicato momento della Legislatura e ai prossimi impegni del Senato della Repubblica su temi importanti per il Paese quali ad esempio la Legge elettorale e la Legge di Bilancio.
Dopo una lunga riflessione il presidente Grasso e il sindaco Orlando hanno quindi convenuto, stante le condizioni attuali, sulla impossibilità di proseguire sull’ipotesi di candidatura proposta dal Pd. “Il mio impegno e il mio amore per la Sicilia non smetterà di esprimersi in ogni forma e in ogni sede anche nazionale, ma i miei doveri istituzionali attuali mi impongono di svolgere, finché necessario, il mio ruolo di presidente del Senato”, così Grasso al termine del colloquio.

Quali limitate riforme dei regolamenti sono ancora possibili in questa legislatura?

Dopo vari tentativi di riforma della Costituzione e in particolare del bicameralismo, è quanto mai opportuno chiedersi se vi sia una strada più immediata e condivisa per razionalizzare la dinamica dei rapporti tra Parlamento e Governo, da un lato, e i meccanismi di interazione tra i due rami del Parlamento, dall’altro.  Fin dall’Assemblea Costituente l’avverbio “collettivamente” – di cui all’articolo 70 della Costituzione – riferito all’esercizio della funzione legislativa tra Senato e Camera, più che chiudere dentro una procedura rigida le modalità di approvazione delle leggi, ha lasciato aperta la strada per poter calibrare l’esperienza costituzionale secondo un approccio pragmatico. Invece, la risposta data dai Regolamenti parlamentari di entrambi i rami del Parlamento è andata nel senso di una “navette” serrata, laddove la prospettiva lasciata “aperta” dal legislatore costituente per l’approvazione delle leggi era invece connotata da grande flessibilità e ragionevolezza.

Nei primi anni ’80, due studiosi di primissimo rilievo individuavano punti di straordinaria convergenza sulla possibile interpretazione del bicameralismo italiano a Costituzione vigente. E tra loro c’era una sorta di citazione incrociata. Sergio Mattarella in modo lucido, addirittura “aritmetico”, dimostrava come il bicameralismo inteso in modo razionale ed ordinato potesse rappresentare non tanto un fattore di rallentamento nell’iter di approvazione delle leggi, quanto un fattore di sorprendente accelerazione, se solo si fosse impostata la programmazione dei lavori parlamentari in modo coordinato tra i due rami del Parlamento. Leopoldo Elia, in modo altrettanto chiaro, proponeva una riflessione sul significato da attribuire all’articolo 70 della Costituzione, che il dibattito pubblico successivo ha prontamente recepito e sintetizzato, seppure con alcune semplificazioni riduttive, nella notissima “teoria della culla”, per la quale a fronte di un esame in seconda lettura differente tra i due rami, sarebbe dovuto essere il ramo del Parlamento che già si era pronunciato in prima lettura a deliberare definitivamente sul disegno di legge.

La sfida innanzitutto culturale lanciata in sede scientifica era quella di provocare una riflessione non tanto sulle modifiche da apportare alla Costituzione, quanto piuttosto sui meccanismi che ne avrebbero potuto dare una più matura e coerente attuazione all’interno delle procedure parlamentari. Nei decenni successivi tale sfida non è stata raccolta. Le riforme regolamentari del 1988 si sono concentrate su altri istituti, lasciando impregiudicata la navette, anzi addirittura specializzandola con riguardo alla sessione di bilancio. Semmai, si è ritenuto – da parte di schieramenti politici differenti – di concentrare lo sforzo innovatore sulla riforma della Costituzione, piuttosto che sulla riforma dei Regolamenti.

Quella sfida originaria della riforma delle procedure parlamentari appare quindi oggi non più solo una possibilità, ma una necessità, resa però concretamente perseguibile se si riconoscono i principi di rappresentanza, di governabilità, di leale collaborazione tra i poteri dello Stato, di cooperazione, come comune terreno di condivisione tra maggioranze, opposizioni e minoranze. Un lavoro congiunto tra i due rami del Parlamento può innanzi tutto individuare e approfondire diverse opzioni per la semplificazione della navette, a partire dalla teoria della culla. Altri aspetti, non meno importanti ai fini della fluidità del procedimento, possono essere facilmente approfonditi recependo le migliori prassi dei due rami del Parlamento in termini di funzionalità e tempestività delle procedure.

Alcuni esempi:

1) Uniformare il criterio di computo degli astenuti secondo quanto previsto per la Camera dei deputati – dove gli astenuti non influiscono sulla maggioranza, mentre al Senato valgono come voto contrario. Ciò eviterebbe, ad esempio nelle votazioni sulla fiducia, per manifestare l’astensione nel voto, quella non partecipazione al voto che potrebbe creare problemi sul mantenimento del numero legale. Su questo aspetto peraltro è utile ricordare che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 78 del 1984 ha legittimato le diverse interpretazioni sul computo della maggioranza in virtù dell’autonomia regolamentare di ciascuna camera garantita dall’articolo 64 della Costituzione.

2) Escludere, quale misura antiostruzionistica, la possibilità, al Senato, della previa verifica del numero legale, peraltro per prassi garantito dalla maggioranza, per l’approvazione ad inizio di seduta del processo verbale della seduta precedente.

3) Chiarire se per la programmazione dei lavori, il calendario risponda ad un criterio di maggioranza – escludendo un ruolo di eventuale mediazione da parte del Presidente dell’Assemblea – ovvero optare per la soluzione prevista dal Regolamento della Camera dove in assenza della maggioranza qualificata è proprio il Presidente a formare il programma e il calendario.

4) Verificare se la posizione della questione di fiducia possa travolgere sia gli emendamenti sia gli ordini del giorno ed assorbire altresì il voto finale del disegno di legge, come previsto in Senato, ovvero mantenere i limiti di tempo (24 ore) e procedura (doppio voto) indicati dal Regolamento della Camera.

5) Consentire il contingentamento dei tempi anche per l’esame dei decreti legge, come previsto al Senato, e fissare un unico momento per la discussione su eventuali pregiudiziali sia con riferimento al contenuto di merito sia relativamente ai presupposti di necessità ed urgenza, secondo il Regolamento della Camera.

6) In termini generali, rafforzare il ruolo della Presidenza per il vaglio di ammissibilità degli emendamenti ovvero, in alternativa, nel caso di posizione della questione di fiducia, riconoscere all’Esecutivo una responsabilità propria e incomprimibile anche per i profili di omogeneità e coerenza che possono successivamente essere oggetto di valutazione da parte del Presidente della Repubblica o della Corte Costituzionale.

7) Riconoscere espressamente ai Presidenti di Assemblea in ragione del numero complessivo di proposte emendative presentate la possibilità di ordinare le votazioni secondo criteri di razionalità e secondo logiche stringenti come il cosiddetto “canguro” oppure riconoscere alla Conferenza dei Capigruppo il potere di “contingentamento” degli emendamenti, così come avviene per i tempi.

8) Riservare al lavoro delle Commissioni tempi certi e introdurre la possibilità di fissare sia in Commissione sia in Assemblea il momento finale di approvazione del testo con l’effetto di decadenza di ogni altra proposta o ordine del giorno contrari.

9) Prevedere, anche in ragione di prassi ormai convergenti tra i due rami del Parlamento, il carattere eccezionale del voto segreto e un’interpretazione restrittiva comune tra i due Regolamenti.

10) Razionalizzare i tempi di intervento escludendo nella fase di votazione degli emendamenti la possibilità di dichiarazioni di voto, di continua riapertura della discussione.

11) Per la composizione dei Gruppi fissare il principio di corrispondenza tra Gruppo parlamentare e Partito/Movimento Politico/Aggregazione di Partiti che abbiano presentato alle elezioni propri candidati eletti con lo stesso contrassegno., Per contrastare il trasfughismo individuale, pertanto, escludere la costituzione di Gruppi in deroga e del Gruppo Misto come avviene per il Bundestag tedesco, in modo da evitare anche certe anomalie, come quella registrata in Senato in questa legislatura, in conseguenza della proliferazione di numerosi gruppi di opposizione, che, dovendo necessariamente avere rappresentanza nella Giunta per il Regolamento, hanno determinato una maggioranza diversa da quella iniziale di governo ed inevitabili problemi di rappresentatività e di funzionamento.

Molte di queste previsioni sono contenute nei progetti di revisione dei Regolamenti avviati al Senato e alla Camera all’inizio della corrente legislatura, interrotti in concomitanza con la discussione della riforma costituzionale, che oggi potrebbero essere ripresi ed approvati all’unanimità, stante la loro auspicabile condivisione necessità ed urgenza. In conclusione, il bicameralismo può essere profondamente trasformato attraverso l’innovazione delle procedure parlamentari se viene interpretato non in termini competitivi o conflittuali, bensì di collaborazione, specializzazione, integrazione. Un primo segnale verso questa direzione si può cogliere a livello delle Amministrazioni parlamentari che hanno costituito il ruolo unico del personale dipendente delle due Camere e avviato l’integrazione funzionale delle attività. E’ quindi possibile, anzi necessario, considerare le riforme dei regolamenti e delle prassi (in quest’ultimo caso è sufficiente un atto congiunto dei Presidenti di Senato e Camera, avvalorato da una pronuncia delle rispettive Giunte per il Regolamento) come tappa obbligata per un raccordo efficiente tra i due rami del Parlamento e per un corretto svolgimento del rapporto tra Governo e Parlamento nel suo complesso. Si tratta di riannodare quel filo spezzato di ragionamento che la saggezza della dottrina degli anni ’80 aveva cominciato a snodare nel solco di una piena e matura consapevolezza della Costituzione, non come elemento di blocco, ma come esperienza viva, da interpretare e attuare.

Incontro con il Ministro degli Esteri di Cuba

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Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi a Palazzo Giustiniani il Ministro delle Relazioni Estere della Repubblica di Cuba, Bruno Rodriguez Parrilla.

L’incontro si è svolto in un clima di reciproca cordialità; al centro del colloquio i solidi legami e il sentimento di amicizia fra Italia e Cuba, con le prospettive di un ulteriore rafforzamento di rapporti economici e commerciali e della cooperazione in campo culturale e scientifico.

Alla ricerca di un commercio libero e giusto

“Gli accordi commerciali possono avere – e hanno spesso avuto in passato – un impatto di grande rilievo sull’ambiente e sull’economia dei Paesi coinvolti. Un impatto che riguarda la vita quotidiana di tutti i cittadini. Trovo quindi comprensibile l’appello ad un esame attento e scrupoloso delle norme all’attenzione delle aule parlamentari e sono sicuro che esso non resterà inascoltato”.

Lo ha dichiarato il Presidente del Senato, Pietro Grasso, dopo aver ricevuto oggi a Palazzo Madama i rappresentanti di associazioni sindacali, ambientaliste e dei consumatori, che avevano chiesto l’incontro per illustrare la propria posizione in merito al processo di ratifica dell’accordo economico e commerciale tra Unione Europea e Canada (CETA – Comprehensive Economic and Trade Agreement). Erano presenti: il Segretario Generale della Cgil Susanna Camusso, il Presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo, la Presidente di Legambiente Rossella Muroni, il Presidente di Adusbef Elio Lannutti, il Presidente del Movimento Consumatori Alessandro Mostaccio, la Vice Presidente di Fairwatch Monica Di Sisto e Federica Ferrario di Greenpeace.  Al Presidente del Senato è stato consegnato il documento “Alla ricerca di un commercio libero e giusto (free and fair)” firmato da 11 associazioni, già inviato ai Senatori impegnati nell’esame del disegno di legge di ratifica (ddl 2849) del trattato di libero scambio tra Ue e Canada, attualmente all’attenzione della Commissione Esteri del Senato in sede referente.