Spezzare l’accordo tra corrotti e corruttori

Intervista di Francesco La Licata per La Stampa

Cì risiamo, dott. Pietro Grasso? Ancora Tangentopoli?

«Non amo cercare similitudini e suggestioni. Spesso la realtà è più dura, anche senza ricorrere al confronto con avvenimenti del passato. E il presente ci dice che siamo di fronte ad un diffusissimo sistema di corruzione, del resto abbondantemente confermato da autorevoli istituzioni che quantificano in 50/60 miliardi l`anno il danno subito dai cittadini che, invece, pagano le tasse e vivono onestamente».

Ma non erano state messe in cantiere poderose leggi per arginare il fenomeno?

«Per la verità mi è capitato, durante la permanenza alla Procura nazionale, di fare il giro delle sette chiese tra aule parlamentare e commissioni, alla ricerca di un cenno responsabile da parte del mondo della politica. Ma le nostre proposte non hanno trovato accoglienza, basti pensare all`inadeguatezza acclarata della legge anticorruzione, troppo blanda per poter attaccare un sistema fondato sul tacito accordo fra corrotto e corruttore per i quali vengono addirittura previste le stesse pene».

Come si può incrinare, allora, questo tacito accordo?

«Penso a cosa accadrebbe se si introduessero, per esempio, norme premiali per chi consente di far emergere episodi di corruzione. Questo tipo di “incentivazione” potrebbe essere estesa ai funzionari della pubblica amministrazione che spesso sono pedine importanti della corruzione e sarebbero in grado di offrire elementi di prova fondamentali, se protetti adeguatamente dalla pressione dei loro superiori».

Va in controtendenza, dottor Grasso. C`è chi sostiene che le tangenti sono importanti per il buon andamento dell`economia e che all`estero vengono pagate alla luce del sole.

«Non si può paragonare ciò che accade in Italia con la prassi lobbista di altri Paesi, dove i grandi avvocati d`affari sono regolarmente iscritti ad un albo, fatturano gli onorari e pagano le tasse. E tutto si svolge in modo trasparente».

E cosa dice sulle cosiddette inchieste ad orologeria?

«Abbiamo più volte spiegato che non esiste magistrato in grado di stabilire a tavolino e pianificare l`iter di un processo. Spesso i giudici sono condizionati dai termini di prescrizione che si sono visibilmente accorciati grazie alle varie leggi ad personam varate dal precedente Parlamento, per non dire del momento della custodia cautelare dove il giudice non può assolutamente scegliere i tempi».

Come si fa, allora, a ipotizzare una riforma per rendere efficiente l`amministrazione della giustizia?

«Bisognerà ricorrere, col più ampio dei consensi, ad una sorta di Costituente. Penso alla realizzazione di un blog dove possano confluire i contributi di specialisti del Diritto che hanno a cuore le sorti del paese. Immagino che si debba procedere per priorità, partendo dalla caccia ai soldi dei grandi poteri criminali, passando poi per la corruzione e introducendo nuovi strumenti di aggressione, dalla reintroduzione del falso in bilancio, all`autoriciclaggio, alla frode fiscale con un tetto più basso in modo che si possa indagare su un maggior numero di episodi».

E l`inappellabilità del pm in caso di assoluzione in primo grado?

«La proposta è già stata cestinata perché palesemente anticostituzionale. Semmai penserei all`abolizione completa del secondo grado, che ci consentirebbe di accelerare i processi (riuscendo forse a restare nel termine dei 6 anni imposto dalla Ue) e recuperare giudici e personale da impiegare in altri uffici del primo grado».

Per concludere, una risposta sull`emergenza carcere.

«Abbiamo 20 mila detenuti in più di quanti ne possa reggere il sistema: ci vuole una riforma strutturale che passi per una saggia depenalizzazione e incida sulle norme che determinano i flussi carcerari. Ci sono strumenti validi: la legge che consente il lavoro fuori dal carcere, o la possibilità di curare i detenuti tossicodipendenti nei centri di recupero. E` un tema ampio e importante, ne riparleremo».

Fonte: La Stampa