Quel cappotto mai più indossato

Articolo de L’Osservatore Romano 

Una stagione travagliata della storia repubblicana dell’Italia è al centro del libro di Pietro Grasso, presidente del Senato, Storie di sangue, amici e fantasmi. Ricordi di mafia (Milano, Feltrinelli 2017, pagine 236, euro 17). Una stagione, da un lato, drammaticamente segnata dalla presenza tentacolare e funesta della mafia, dall’altro, caratterizzata dall’efficace risposta dello Stato, che è riuscito ad assicurare — in particolare con il maxiprocesso di Palermo — una svolta decisiva nella serrata lotta a Cosa nostra e ai suoi capi. «Di quel maxiprocesso — scrive nella prefazione il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella — Grasso è stato giudice a latere, guidandolo con sicurezza». Un processo che si è configurato come un vero e proprio spartiacque: da quel giorno, infatti, l’opinione pubblica ha conosciuto compiutamente volti, nomi, gerarchie, riti, affiliazioni, linguaggi di Cosa nostra. Un processo suggellato da settemila pagine di motivazione della sentenza. Tra i tragici capitoli che scandiscono le tappe dell’esaustiva e illuminante rievocazione di Grasso acquista un particolare rilievo quell’«Epifania di sangue» del 1980, quando fu assassinato il fratello del capo dello Stato, Piersanti. «Quando penso a Piersanti Mattarella — scrive il presidente del Senato — mi rivedo giovane magistrato con un cappotto color cammello, mai più indossato dopo quel giorno, intento a ispezionare l’automobile crivellata di colpi». Quel giorno, sottolinea Grasso, «fu colpito anche un simbolo, un uomo che stava operando una svolta profonda non soltanto nell’amministrazione regionale ma anche nella politica italiana». Il libro si apre e si chiude con il ricordo appassionato di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, due maestri e due testimoni — scrive Sergio Mattarella — che sono diventati, anche per l’intrecciarsi del loro impegno e della loro vicenda umana, «il simbolo di tutti i caduti dello Stato e della società italiana nella guerra alla criminalità organizzata». E Grasso scrive loro due lettere immaginarie, dalle quali emergono «disperazione, rabbia, un dolore lancinante e un senso di perdita irrimediabile».

Mattarella sottolinea poi che il libro di Grasso riesce a far ben comprendere, senza mai farsi irretire dalle suggestioni della retorica, che la mafia non è un fenomeno ineluttabile, connaturato al Meridione e alla sua cultura. Ma è una «grave patologia che, generata da cellule maligne, attacca la parte sana della società». E per quanto sia difficile estirpare del tutto tale nociva patologia, non bisogna mai darsi per vinti, evidenzia Grasso in diversi passaggi del libro. E non a caso il presidente del Senato, all’inizio del volume, fa una mirata citazione da Il buio oltre la siepe di Harper Lee: «Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda. È raro vincere, in questi casi, ma qualche volta succede»