Dopo vari tentativi di riforma della Costituzione e in particolare del bicameralismo, è quanto mai opportuno chiedersi se vi sia una strada più immediata e condivisa per razionalizzare la dinamica dei rapporti tra Parlamento e Governo, da un lato, e i meccanismi di interazione tra i due rami del Parlamento, dall’altro. Fin dall’Assemblea Costituente l’avverbio “collettivamente” – di cui all’articolo 70 della Costituzione – riferito all’esercizio della funzione legislativa tra Senato e Camera, più che chiudere dentro una procedura rigida le modalità di approvazione delle leggi, ha lasciato aperta la strada per poter calibrare l’esperienza costituzionale secondo un approccio pragmatico. Invece, la risposta data dai Regolamenti parlamentari di entrambi i rami del Parlamento è andata nel senso di una “navette” serrata, laddove la prospettiva lasciata “aperta” dal legislatore costituente per l’approvazione delle leggi era invece connotata da grande flessibilità e ragionevolezza.
Nei primi anni ’80, due studiosi di primissimo rilievo individuavano punti di straordinaria convergenza sulla possibile interpretazione del bicameralismo italiano a Costituzione vigente. E tra loro c’era una sorta di citazione incrociata. Sergio Mattarella in modo lucido, addirittura “aritmetico”, dimostrava come il bicameralismo inteso in modo razionale ed ordinato potesse rappresentare non tanto un fattore di rallentamento nell’iter di approvazione delle leggi, quanto un fattore di sorprendente accelerazione, se solo si fosse impostata la programmazione dei lavori parlamentari in modo coordinato tra i due rami del Parlamento. Leopoldo Elia, in modo altrettanto chiaro, proponeva una riflessione sul significato da attribuire all’articolo 70 della Costituzione, che il dibattito pubblico successivo ha prontamente recepito e sintetizzato, seppure con alcune semplificazioni riduttive, nella notissima “teoria della culla”, per la quale a fronte di un esame in seconda lettura differente tra i due rami, sarebbe dovuto essere il ramo del Parlamento che già si era pronunciato in prima lettura a deliberare definitivamente sul disegno di legge.
La sfida innanzitutto culturale lanciata in sede scientifica era quella di provocare una riflessione non tanto sulle modifiche da apportare alla Costituzione, quanto piuttosto sui meccanismi che ne avrebbero potuto dare una più matura e coerente attuazione all’interno delle procedure parlamentari. Nei decenni successivi tale sfida non è stata raccolta. Le riforme regolamentari del 1988 si sono concentrate su altri istituti, lasciando impregiudicata la navette, anzi addirittura specializzandola con riguardo alla sessione di bilancio. Semmai, si è ritenuto – da parte di schieramenti politici differenti – di concentrare lo sforzo innovatore sulla riforma della Costituzione, piuttosto che sulla riforma dei Regolamenti.
Quella sfida originaria della riforma delle procedure parlamentari appare quindi oggi non più solo una possibilità, ma una necessità, resa però concretamente perseguibile se si riconoscono i principi di rappresentanza, di governabilità, di leale collaborazione tra i poteri dello Stato, di cooperazione, come comune terreno di condivisione tra maggioranze, opposizioni e minoranze. Un lavoro congiunto tra i due rami del Parlamento può innanzi tutto individuare e approfondire diverse opzioni per la semplificazione della navette, a partire dalla teoria della culla. Altri aspetti, non meno importanti ai fini della fluidità del procedimento, possono essere facilmente approfonditi recependo le migliori prassi dei due rami del Parlamento in termini di funzionalità e tempestività delle procedure.
Alcuni esempi:
1) Uniformare il criterio di computo degli astenuti secondo quanto previsto per la Camera dei deputati – dove gli astenuti non influiscono sulla maggioranza, mentre al Senato valgono come voto contrario. Ciò eviterebbe, ad esempio nelle votazioni sulla fiducia, per manifestare l’astensione nel voto, quella non partecipazione al voto che potrebbe creare problemi sul mantenimento del numero legale. Su questo aspetto peraltro è utile ricordare che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 78 del 1984 ha legittimato le diverse interpretazioni sul computo della maggioranza in virtù dell’autonomia regolamentare di ciascuna camera garantita dall’articolo 64 della Costituzione.
2) Escludere, quale misura antiostruzionistica, la possibilità, al Senato, della previa verifica del numero legale, peraltro per prassi garantito dalla maggioranza, per l’approvazione ad inizio di seduta del processo verbale della seduta precedente.
3) Chiarire se per la programmazione dei lavori, il calendario risponda ad un criterio di maggioranza – escludendo un ruolo di eventuale mediazione da parte del Presidente dell’Assemblea – ovvero optare per la soluzione prevista dal Regolamento della Camera dove in assenza della maggioranza qualificata è proprio il Presidente a formare il programma e il calendario.
4) Verificare se la posizione della questione di fiducia possa travolgere sia gli emendamenti sia gli ordini del giorno ed assorbire altresì il voto finale del disegno di legge, come previsto in Senato, ovvero mantenere i limiti di tempo (24 ore) e procedura (doppio voto) indicati dal Regolamento della Camera.
5) Consentire il contingentamento dei tempi anche per l’esame dei decreti legge, come previsto al Senato, e fissare un unico momento per la discussione su eventuali pregiudiziali sia con riferimento al contenuto di merito sia relativamente ai presupposti di necessità ed urgenza, secondo il Regolamento della Camera.
6) In termini generali, rafforzare il ruolo della Presidenza per il vaglio di ammissibilità degli emendamenti ovvero, in alternativa, nel caso di posizione della questione di fiducia, riconoscere all’Esecutivo una responsabilità propria e incomprimibile anche per i profili di omogeneità e coerenza che possono successivamente essere oggetto di valutazione da parte del Presidente della Repubblica o della Corte Costituzionale.
7) Riconoscere espressamente ai Presidenti di Assemblea in ragione del numero complessivo di proposte emendative presentate la possibilità di ordinare le votazioni secondo criteri di razionalità e secondo logiche stringenti come il cosiddetto “canguro” oppure riconoscere alla Conferenza dei Capigruppo il potere di “contingentamento” degli emendamenti, così come avviene per i tempi.
8) Riservare al lavoro delle Commissioni tempi certi e introdurre la possibilità di fissare sia in Commissione sia in Assemblea il momento finale di approvazione del testo con l’effetto di decadenza di ogni altra proposta o ordine del giorno contrari.
9) Prevedere, anche in ragione di prassi ormai convergenti tra i due rami del Parlamento, il carattere eccezionale del voto segreto e un’interpretazione restrittiva comune tra i due Regolamenti.
10) Razionalizzare i tempi di intervento escludendo nella fase di votazione degli emendamenti la possibilità di dichiarazioni di voto, di continua riapertura della discussione.
11) Per la composizione dei Gruppi fissare il principio di corrispondenza tra Gruppo parlamentare e Partito/Movimento Politico/Aggregazione di Partiti che abbiano presentato alle elezioni propri candidati eletti con lo stesso contrassegno., Per contrastare il trasfughismo individuale, pertanto, escludere la costituzione di Gruppi in deroga e del Gruppo Misto come avviene per il Bundestag tedesco, in modo da evitare anche certe anomalie, come quella registrata in Senato in questa legislatura, in conseguenza della proliferazione di numerosi gruppi di opposizione, che, dovendo necessariamente avere rappresentanza nella Giunta per il Regolamento, hanno determinato una maggioranza diversa da quella iniziale di governo ed inevitabili problemi di rappresentatività e di funzionamento.
Molte di queste previsioni sono contenute nei progetti di revisione dei Regolamenti avviati al Senato e alla Camera all’inizio della corrente legislatura, interrotti in concomitanza con la discussione della riforma costituzionale, che oggi potrebbero essere ripresi ed approvati all’unanimità, stante la loro auspicabile condivisione necessità ed urgenza. In conclusione, il bicameralismo può essere profondamente trasformato attraverso l’innovazione delle procedure parlamentari se viene interpretato non in termini competitivi o conflittuali, bensì di collaborazione, specializzazione, integrazione. Un primo segnale verso questa direzione si può cogliere a livello delle Amministrazioni parlamentari che hanno costituito il ruolo unico del personale dipendente delle due Camere e avviato l’integrazione funzionale delle attività. E’ quindi possibile, anzi necessario, considerare le riforme dei regolamenti e delle prassi (in quest’ultimo caso è sufficiente un atto congiunto dei Presidenti di Senato e Camera, avvalorato da una pronuncia delle rispettive Giunte per il Regolamento) come tappa obbligata per un raccordo efficiente tra i due rami del Parlamento e per un corretto svolgimento del rapporto tra Governo e Parlamento nel suo complesso. Si tratta di riannodare quel filo spezzato di ragionamento che la saggezza della dottrina degli anni ’80 aveva cominciato a snodare nel solco di una piena e matura consapevolezza della Costituzione, non come elemento di blocco, ma come esperienza viva, da interpretare e attuare.