Cordoglio per la scomparsa di Emilio Colombo

“La scomparsa di Emilio Colombo, punto di riferimento della nostra storia politica, ci addolora profondamente. Alle mie condoglianze più sentite si uniscono quelle dell’intero Senato”. Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso in un telegramma alla famiglia del Senatore a vita scomparso ieri. “Emilio Colombo si è sempre speso per la nostra Repubblica e ha offerto il suo prezioso contributo alla comunità nazionale, fin dagli anni esaltanti dell’Assemblea Costituente, vero e proprio laboratorio di democrazia, nella quale portò la sua voce di giovanissimo cattolico democratico. Emilio Colombo – aggiunge il Presidente Grasso – ha rappresentato l’immagine concreta di chi sa e vuole promuovere la modernizzazione civile ed economica del Paese: sempre pronto a rispondere ai bisogni di giustizia, vigile custode degli equilibri di bilancio, sensibile a quanto di nuovo emergeva nel panorama internazionale. Lo ricordo con affetto come Senatore a vita, partecipe e attento ai lavori della nostra Assemblea, capace di trasmettere a tutti noi senso di responsabilità ed entusiasmo”.

“L’attenzione ai destini della Patria, l’Europa, la pace – conclude il Presidente del Senato – sono stati i fari del suo impegno, i punti chiave di una sensibilità umana e civile cui ciascuno di noi ha sempre guardato con grande deferenza e sincera ammirazione. Ha presieduto il Senato con inesauribile energia all’avvio della Legislatura, e sarà sempre nel mio pensiero l’emozione provata nell’essere proclamato da lui Presidente di questa Assemblea”.

Rapporto Ocse sulla promozione dell’efficienza della giustizia civile

Autorità, gentili ospiti,

è per me un grande piacere ospitare in Senato la presentazione del rapporto OCSE dedicato alla promozione dell’efficienza della giustizia civile.

Quella di oggi è un’occasione preziosa per riflettere su un tema di straordinaria importanza e attualità per i Paesi OCSE e in particolare per il nostro Paese. Le criticità che affliggono il nostro sistema giudiziario sono ben note. Ormai da molti anni l’Italia detiene il triste primato della durata dei procedimenti civili: i tempi del primo grado di giudizio e quelli per la definizione delle controversie nei tre gradi sono quasi il doppio rispetto alla media dei Paesi OCSE. La giustizia è poi ulteriormente rallentata dal contenzioso civile arretrato, con circa quattro milioni di pendenze nei vari gradi di giudizio.
Dobbiamo affrontare con urgenza questa situazione perché la lunghezza dei tempi di risoluzione delle controversie non serva da scudo per comportamenti opportunistici e disonesti. Non è accettabile che i processi siano percepiti come un girone dantesco e che sia “fammi causa” la minaccia più frequente e più efficace per opporsi alle rivendicazioni dei diritti.

L’eccessiva e irragionevole durata dei procedimenti giurisdizionali costituisce un vero e proprio diniego di giustizia, che genera sfiducia nel sistema giudiziario, indebolisce la credibilità dello Stato e mina i rapporti tra i cittadini e le istituzioni.

Sono molti i fattori che concorrono a determinare il malfunzionamento della giustizia civile nel nostro Paese. Conoscere le ragioni di un problema è un presupposto essenziale per poterlo risolvere. In proposito, c’è un preciso dato che oggi vorrei segnalare alla vostra attenzione. Con un numero di magistrati inferiore alla media europea, l’Italia si trova a dover gestire un livello di nuove controversie civili pari al doppio della media degli altri Stati membri dell’Unione.

L’ipertrofia del contenzioso deriva dunque anche da un tasso di litigiosità estremamente spiccato, che ingolfa la macchina della giustizia con il proliferare di cause di minimo valore, quali quelle in materia condominiale. Fin quando sarà conveniente proporre azioni pretestuose o resistere in giudizio pur avendo torto, fin quando si continuerà a ricorrere al giudice per decidere controversie che potrebbero essere facilmente risolte in altra sede, non sarà possibile ridurre il contenzioso né rendere più efficiente la giustizia civile.
La giustizia è un servizio essenziale che lo Stato deve assicurare ai cittadini e alle imprese.

Il diritto degli individui di disporre di rimedi giurisdizionali effettivi per la tutela dei propri interessi giuridici è tra i più antichi e consolidati negli ordinamenti democratici; trova le proprie origini nel diritto romano ed è riconosciuto come diritto fondamentale anche dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Peraltro, l’efficienza della giustizia non attiene solo all’effettività della tutela dei diritti, ma è anche un’esigenza prioritaria per le imprese e per gli investitori. Le riforme necessarie a sostenere la crescita, l’occupazione e la competitività non possono prescindere dall’adozione di misure che incrementino l’efficienza del sistema giurisdizionale.
Per questi motivi, anche l’Unione europea sta adottando misure per promuovere l’efficacia dei sistemi giudiziari nazionali. Il miglioramento della qualità, dell’indipendenza e dell’efficienza della giustizia nei 27 Stati membri è stato, infatti, inserito nell’ambito del semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche, così da rafforzare le strategie di crescita nei singoli Paesi e nell’intera Unione europea.

Da questo punto di vista, la crisi economica e finanziaria che stiamo attraversando offre una straordinaria opportunità. La crisi è il catalizzatore di profonde trasformazioni. Il rilancio dell’economia richiede l’adozione di interventi strutturali in vari settori. L’urgenza di intervenire con misure incisive di stimolo alla crescita può e deve essere il motore di riforme indispensabili per il nostro Paese e da troppo tempo rinviate.
Bisogna dunque approvare al più presto ogni misura utile a migliorare l’efficienza della giustizia civile e ad assicurare una ragionevole durata dei procedimenti. Sono certo che il Rapporto OCSE potrà offrire molti utili spunti in questa direzione.
Come Presidente del Senato, non spetta a me intervenire sul merito dei provvedimenti necessari a risolvere questa vera e propria emergenza, sia in termini di incremento dell’efficienza della giustizia, che richiede l’adozione di misure specifiche quali la costituzione dell’ufficio del giudice e il rafforzamento delle strutture amministrative, come anche di deflazione del contenzioso.
Mi impegno, però, ad utilizzare tutti gli strumenti a mia disposizione per assicurare un dibattito parlamentare costruttivo e una rapida approvazione delle misure che saranno proposte.

Le sconfitte non contano

Presentazione del volume di Marcello Sorgi

Cari amici, gentili ospiti,

è un grande piacere essere qui oggi con voi ed è un onore ospitare in Senato, nella bellissima Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, la presentazione del libro “Le sconfitte non contano” di Marcello Sorgi. Un libro intenso, incalzante e appassionato, un dialogo profondo tra l’autore e il protagonista, suo padre, Nino Sorgi. Ed è proprio attraverso la vicenda umana di Nino Sorgi, la sua attività professionale di avvocato, il suo impegno politico, che affiorano cinquanta anni di storia siciliana e italiana, dall’armistizio dell’8 settembre 1943 alla strage di Capaci del 23 maggio 1992. L’insegnamento di un padre, la storia di una famiglia e al tempo stesso la storia tormentata, tra miseria e illusione, del dopoguerra italiano, in terra di Sicilia. Un’epoca segnata dalla povertà e dalla guerra contro i feudi dei capimafia, dalla giustizia a volte “ingiusta” e dalla grande passione politica e civile di una generazione che ha cercato di consegnare un mondo migliore ai propri figli. Una storia forte e insieme delicata di grande pregnanza etica e di attualità.

É un viaggio in Italia a ritroso del soldato Nino Sorgi, dalla Toscana alla Sicilia, che passa attraverso le macerie e i bombardamenti, i dolori e le fratellanze per arrivare laggiù, oltre lo stretto di Messina, in Sicilia, la sua terra, la terra di suo figlio, un pezzo di Italia e di storia nazionale. Giunto in Sicilia, Nino inizia la sua carriera di giovane avvocato che sceglie di stare dalla parte dei più deboli, incoraggiandoli verso un futuro migliore. Come descritto sapientemente nella pagina iniziale del libro Nino era infatti “il difensore dei deboli: dei contadini che occupavano le terre, degli operai che facevano a botte, dei famigliari delle vittime di mafia, dei giornalisti processati per le verità scomode, degli artisti, dei teatranti, dei poeti”.
Vivere stando dalla parte giusta, anche se scomoda e talvolta ingrata, non era una condizione comune a molti nella Sicilia dell’interminabile dopoguerra. E non lo è tuttora, si potrebbe aggiungere, sebbene da allora le condizioni dell’isola siano profondamente mutate. Nino Sorgi ha speso quasi tutto l’arco della sua esistenza a condurre quella che, se altrove potrebbe apparire come un’esperienza normale di vita, nella società siciliana aveva, e ha, il sapore di una sfida.

Attraverso la storia del padre, Marcello Sorgi ci presenta un grande affresco storico che è anche storia di mafia e di grandi processi, di mafia che distrugge e della voglia di giustizia, che perde ma qualche volta vince pure; in una sorta di tensione emotiva fino all’ultima tragica pagina di quel 23 maggio 1992 quando, nell’apprendere la terribile notizia, Nino Sorgi esclamò: “non ci posso credere…non ci voglio credere…”.

La realtà che traspare dal libro di Marcello Sorgi ci racconta una Sicilia che è stata scossa da un lungo e sanguinoso conflitto interno, vicino ad assumere le caratteristiche di una guerra civile, la cui posta in gioco era il nuovo assetto di potere che negli anni a venire avrebbe governato non soltanto l’isola, ma il paese intero. Da un lato un’instancabile lotta alla mafia e le dure battaglie intellettuali e artistiche che ebbero come protagonisti magistrati, uomini di Stato e intellettuali, da Danilo Dolci a Piero Calamandrei, da Leonardo Sciascia a Enzo Sellerio, da Francesco Rosi, qui presente, a Luchino Visconti, da Sandro Pertini a Mauro De Mauro – solo per citarne alcuni – fino ad arrivare all’uomo simbolo della lotta alla mafia, Giovanni Falcone. Dall’altro, la Mafia, il banditismo, i settori infedeli degli apparati dello Stato che diedero vita a una scandalosa commistione d’interessi la cui prima vittima sarebbe stata la verità su quella guerra. In un primo momento, a pagare il prezzo più alto e più amaro di quella guerra furono le centinaia di migliaia di contadini che avevano visto nella riforma agraria la speranza di riscattarsi da una condizione di povertà. Sono gli anni di Girolamo Li Causi, che sfidò in un comizio il boss don Calogero Vizzini; della strage di Portella della Ginestra e dell’uccisione del bandito Salvatore Giuliano; dell’assassinio dei sindacalisti Li Puma, Rizzotto, Cangelosi prima e poi di Turiddu Carnevale. Fu questo il processo in cui Nino Sorgi affiancò Sandro Pertini nella difesa di parte civile di Francesca Serio, madre del sindacalista ucciso a colpi di lupara sul sentiero di casa il 16 maggio 1955. Per la prima volta una donna, una madre, accusò apertamente gli assassini del proprio figlio. Carlo Levi la rese famosa scrivendone nel libro Le parole sono pietre. In quelle fasi era evidente che la lotta contro la mafia coincideva con lo scontro di classe e si legava a un progetto complessivo di riforma sociale e di conquista dei mezzi di sussistenza fino al raggiungimento del potere, a partire dalle amministrazioni locali. Si stava consumando una lunga strage pur di fermare il movimento contadino che si batteva per la libertà, la democrazia e la riforma agraria.

Una strage di persone comuni che diventano eroi ogni qualvolta ci si ricorda di loro e noi non dobbiamo mai smettere di ricordare. Ecco l’importanza della memoria, che la premessa per l’impegno.
Ed è propria questa l’eredità che Nino lascia a suo figlio e all’Italia intera. L’impegno a cambiare le cose, nonostante tutto. Nelle ultime pagine del libro, infatti, Marcello conclude affermando che «le sconfitte non contano, anzi servono ugualmente a cambiare le cose, come le idee segnano sempre il solco della storia». Non contano perché non sono sconfitte, ma vittorie mascherate. Oltre le apparenze. “Riconoscerlo è una prova d’intelligenza, non il segno di una resa”. “Era questa” – commenta l’autore – “la lezione di una vita”. L’eredità che suo padre gli consegnava, di un uomo che ha combattuto per cambiare le cose nel tentativo di lasciare un mondo migliore.
Le sconfitte vanno affrontate senza rassegnarsi e il popolo, siciliano e italiano, ha perso molte battaglie senza mai smettere di lottare, con il coraggio di chi crede in un mondo migliore e per questo si spende, a costo di sacrificare la propria stessa vita. E’ la storia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e dei molti uomini e donne che prima e dopo di loro hanno lottato per la legalità, che è qualcosa di più della semplice osservanza delle leggi e delle regole; è un sistema di principi, di idee, di comportamenti, che deve tendere alla realizzazione dei valori della persona, della dignità dell’uomo, dei diritti umani, dei principi di libertà, eguaglianza, democrazia, verità e giustizia come metodo di convivenza civile.

Taglio dei parcheggi del Senato

Su indicazione del Presidente del Senato il Collegio dei Questori ha deliberato oggi un primo intervento di razionalizzazione dei parcheggi adiacenti i palazzi del Senato per venire incontro alle richieste dei cittadini e garantire maggior decoro e sicurezza all’area.
Al di fuori degli orari di funzionamento del Senato la delibera prevede la totale liberazione dei parcheggi in corrispondenza di Via della Dogana Vecchia, Piazza Sant’Eustachio e Piazza San Luigi dei Francesi.
Nei giorni in cui si svolgono le attività è stata vietata la sosta lungo il lato di Palazzo Madama in corrispondenza dell’ingresso di Piazza Sant’Eustachio. Inoltre viene limitata alle sole auto di scorta e servizio, con autista a bordo, la sosta sul lato adiacente Palazzo Madama in Via della Dogana Vecchia.
Tali novità si accompagneranno a una rapida riqualificazione urbana dell’area, anche in accordo con il Comune di Roma.

Felice dell’unanimità per la Convenzione di Istanbul

“Sono felice che il Senato abbia approvato all’unanimità la ratifica della Convenzione di Istanbul in materia di prevenzione e contrasto della violenza sulle donne”. Così il Presidente Pietro Grasso in una dichiarazione.

“Tutte le forze politiche – aggiunge il Presidente del Senato – hanno riconosciuto l’urgenza di questo primo passo per garantire una maggior tutela e sicurezza delle donne e per dare avvio a un cambiamento culturale nel nostro Paese”.

Parte la riforma dei Regolamenti del Senato

Durante la riunione odierna della Giunta per il Regolamento del Senato il presidente Grasso ha nominato tre relatori che lavorino a un progetto di riforma organica del Regolamento, da redigere con la collaborazione di tutte le forze politiche e in raccordo con l’analoga iniziativa dell’altro ramo del Parlamento.
L’obiettivo è pervenire in tempi brevi a un testo di riforma per incidere sull’efficienza e la velocità del procedimento legislativo, intervenire sui criteri di formazione e funzionamento degli organi del Senato, garantire gli idonei strumenti di attuazione dell’indirizzo del Governo e al contempo dare maggiore spazio e visibilità alle iniziative delle opposizioni parlamentari.

Facciamo giustizia. Istruzioni per l’uso del sistema giudiziario

Presentazione del volume di Michele Vietti

Cari colleghi, Autorità, gentili ospiti,

è per me un grande piacere potere accogliere in Senato la presentazione dell’ultimo libro di Michele Vietti “Facciamo Giustizia. Istruzioni per l’uso del sistema giudiziario”.
Il tema al quale il volume è dedicato – il ‘fare giustizia’ – corrisponde infatti ad una dimensione vitale per il corretto funzionamento del sistema democratico. Senza una giustizia efficace viene meno il valore precettivo della legge, e lo stesso Parlamento – come istituzione chiamata a dettare le regole fondamentali della vita sociale – vede compromessa la piena realizzazione del proprio mandato rappresentativo. Il sistema giudiziario permea di sé la vita dello Stato e prima ancora dei suoi cittadini: i rapporti civili, sociali ed economici guardano infatti alla giustizia come alla loro più autentica forma di garanzia. E di converso il funzionamento della macchina giudiziaria condiziona il modo di vivere i predetti rapporti.
Per questo, ritengo di fondamentale importanza che il Parlamento, nelle aule, ma anche in occasioni di confronto come quella odierna torni ad occuparsi in modo strutturale e sereno dei temi della giustizia.

Ringrazio quindi l’amico Michele Vietti per averci offerto l’opportunità di questo dibattito e più in generale per aver voluto condividere con tutti noi l’esperienza che ha maturato nella professione forense e nelle sedi istituzionali che l’hanno visto protagonista fino al suo ruolo attuale di vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura.
Con il suo precedente libro “La fatica dei giusti”, Michele Vietti ci aveva invitato a riflettere sul ruolo dei magistrati, sulle difficoltà che quotidianamente ne accompagnano l’operato, con l’intento di smentire la tradizionale vulgata del giudice burocrate inefficiente o potente intoccabile.
La ragione di fondo di questo nuovo volume mi pare nella ricerca di un contemperamento, di un equilibrio tra giustizia ed efficienza, tra equità e buon funzionamento del sistema. La tensione tra questi valori è il filtro con cui l’Autore guarda alle tensioni e alle problematiche della macchina giudiziaria. Una macchina, scrive il presidente Vietti, in cui micro e macro giustizia – il giudizio equo sulla singola controversia e l’efficienza nella gestione della massa dei processi – sono tra loro intrinsecamente legati: “garantire tutto significa, in un sistema complesso, non garantire bene nulla”.

Non vi è il tempo ovviamente in questa sede per ripercorrere le molte stimolanti suggestioni contenute nel volume. Mi limito quindi ad alcune notazioni sparse.
Partendo dai problemi del sistema penale, condivido l’accento posto dal Presidente Vietti sull’esigenza di garantire effettiva economia procedurale valorizzando gli esiti del giudizio di primo grado come momento di accertamento dei fatti e limitando la possibilità che l’appello si trasformi in una riconsiderazione del merito della decisione. Altrettanto prioritaria l’esigenza di rimodulare le dinamiche della prescrizione per evitare come si dice nel volume che finisca di essere uno strumento per “vincere facile”.

La questione della funzione della pena e della ricerca di forme sanzionatorie alternative al carcere che si intreccia con il drammatico problema del sovraffollamento dei carceri, è intrinsecamente legato al tema delle procedure e all’efficienza della macchina giudiziaria. L’esigenza di ottemperare alla sentenza emessa lo scorso 8 gennaio dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ci imporrà non solo di intervenire sull’assetto detentivo, ma di ripensare nel suo complesso il sistema delle pene, individualizzando la sanzione ed adeguandola al bene violato, nonché agli interessi della società.

Quanto alla giustizia civile: l’impressionante mole del contenzioso e la rigidità delle procedure non è stata scalfita dalle molte – forse troppe – riforme succedutesi negli ultimi vent’anni. Ripensare le procedure e i tempi della giustizia civile rappresenta una autentica priorità per il nostro paese, specialmente nell’attuale contesto di crisi economica in cui l’esistenza di una giustizia inefficiente rappresenta un disincentivo agli investimenti e all’attrazione di capitali, anche dall’estero. I nostri imprenditori ci chiedono certezza sui tempi dei processi; chiedono semplicità e linearità nelle procedure.
Il volume di Michele Vietti non manca infine i temi dell’attualità giudiziaria, come la corruzione e le intercettazioni. Ho particolarmente apprezzato la scelta di adottare un approccio ampio alla corruzione che affronti i profili etici, ma anche per i risvolti economici, senza limitarsi alla ‘parte emersa’ del fenomeno, bensì considerando anche i temi della trasparenza dei bilanci come strettamente connessi. Proprio con questo spirito che, al mio primo giorno da senatore, ho scelto di depositare una proposta di legge in materia di corruzione, voto di scambio, falso in bilancio e riciclaggio – attualmente in discussione presso la II Commissione del Senato – il cui obiettivo primario è proporre una strategia di azione integrata alla corruzione, capace di operare contestualmente sul piano della prevenzione e della repressione.

Vorrei concludere con una nota personale sul mio individuale rapporto con il ‘fare giustizia’. Come sapete, ho speso 43 anni della mia vita professionale al servizio della magistratura e della giustizia. Quando ho scelto di lasciare questa attività per dedicarmi alla politica l’ho fatto pensando che, come esperto del settore, avrei potuto continuare ad occuparmi di giustizia da un’altra prospettiva. Invece il ruolo di garanzia che mi compete quale presidente del Senato mi impedisce di entrare nel vivo del procedimento di formazione della legge; ma vi assicuro che questo non mi farà perdere di vista i problemi della giustizia. Come Presidente del Senato della Repubblica intendo utilizzare appieno gli strumenti a mia disposizione perché a questi temi si dedichi un dibattito parlamentare costruttivo e che il confronto possa offrire al Paese regole e procedure più moderne ed adeguate ai bisogni della nostra società.

Sicurezza e processo di integrazione europea. Le lezioni della storia, le prospettive del futuro

Lectio magistralis al King’s College London

Gentili ospiti, Signore e Signori,

desidero per prima cosa ringraziare il King’s College per avermi invitato ad essere oggi qui con voi, in una delle università più prestigiose in Europa e nel mondo. Questo incontro è un’occasione preziosa per riflettere su un tema che mi è molto caro da oltre quattro decenni,la sicurezza nel contesto del processo di integrazione europea.
È stata proprio l’esigenza di costruire sicurezza a ispirare la costruzione europea. La tragica esperienza delle guerre che hanno devastato il Continente ha spinto gli Stati a mettere in comune quelle risorse che storicamente erano state motivo di discordia. E dunque: dapprima, il carbone e l’acciaio; quindi l’agricoltura, il commercio, i mercati; infine la moneta e soprattutto i beni più preziosi: i diritti individuali, la dignità umana.
Con l’impegno a risolvere le controversie in modo pacifico e a cooperare attraverso istituzioni comuni, gli Stati europei hanno profondamente trasformato le loro relazioni e la vita dei cittadini. Regimi autoritari sono diventati democrazie consolidate; i diritti fondamentali il patrimonio condiviso più prezioso dell’Unione. L’Europa ha conosciuto un periodo di pace, di equilibrio e crescita senza precedenti nella storia ed ha svolto una funzione di stabilizzazione e progresso nel Continente e oltre.

Sono consapevole dei limiti e delle debolezze dell’Unione Europea nella sua attuale configurazione. Eppure, credo fermamente che l’Unione europea sia la più grande conquista dei popoli d’Europa. Non possiamo, non dobbiamo dimenticare che la pace, la stabilità, i diritti che oggi diamo per scontati hanno avuto un costo altissimo. Ogni volta che leggo di diritti, libertà, pace, eguaglianza, solidarietà nei Trattati, nelle norme, nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione, nelle sentenze europee, mi fermo un attimo a riflettere, ad “ascoltare”. Mi sembra di sentire la voce dolente di coloro che sono stati uccisi, violati, perseguitati dai propri stessi Stati, delle donne e degli uomini che hanno dato la vita per consentirci oggi di essere qui a dibattere liberamente e in pace.

L’Europa sognata da uomini straordinari come Winston Churchill, Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli è diventata realtà. Un lungo cammino, che ha raggiunto il suo punto più alto lo scorso anno, con l’attribuzione all’Unione Europea del premio Nobel per la pace.
Ma non basta. Dobbiamo andare avanti perché l’Unione europea abbia una voce forte e unitaria nella comunità internazionale e offra al mondo un modello di riconciliazione,democrazia e libertà.
Ci troviamo ad affrontare sfide e minacce sempre più complesse. I tradizionali domini della sicurezza interna ed esterna si confondono continuamente. Il terrorismo ha origine alternativamente in luoghi remoti o nelle nostre stesse società, nelle complesse crisi internazionali o nell’emarginazione e nell’esclusione sociale delle nostre periferie. La criminalità organizzata transnazionale è divenuta fenomeno geopolitico: influenza i rapporti fra Stati e la politica internazionale, corrode in profondità le democrazie, inquina l’economia, inietta risorse economiche illecite nelle imprese e nelle banche in crisi, altera e danneggia la competizione. Le infrastrutture critiche – i trasporti, le comunicazioni, l’energia – sono più vulnerabili.
E mentre si moltiplicano queste forme di relazioni internazionali in cui “nessuno è al comando, nessuno detiene il controllo”, per difendere le nostre democrazie e i nostri popoli la risposta non può che essere il pensiero strategico condiviso. L’approccio frazionato tradizionale, rigidamente ancorato al dogma della sovranità nazionale è destinato a fallire.Nessuno è o può sentirsi al sicuro. Chi pretende di fare da solo è destinato a non varcare i confini della storia. Serve più cooperazione. Più Europa. Un’Europa più forte, più unita, più visibile nel mondo.

Oggi vorrei concentrarmi particolarmente sul tema della sicurezza interna in Unione Europea che mi permette di porre al servizio del mio ruolo istituzionale di Presidente del Senato della Repubblica la mia esperienza di 43 anni da magistrato.
La creazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia rappresenta un’evoluzione “rivoluzionaria” che ancora oggi mi entusiasma e che non può che appassionare tutti i giuristi e tutti coloro che credono nella democrazia, nello Stato di Diritto e nei diritti fondamentali. Fermiamoci a riflettere. Significa che in un’area che copre quasi tutto il Continente europeo 500 milioni di persone sono parte di un’unica grande “comunità dei diritti”, all’interno della quale possono circolare liberamente ricevendo una egualeprotezione giuridica e godendo di condizioni di sicurezza e di garanzie omogenee.
Come sapete il Trattato di Lisbona ha modificato e reso più efficiente, più trasparente e democratico il processo decisionale in materia di libertà, sicurezza e giustizia. Nel nuovo assetto istituzionale gli atti legislativi devono essere approvati secondo la procedura ordinaria, con il riconoscimento al Parlamento europeo del ruolo di co-legislatore e con il voto del Consiglio a maggioranza qualificata e non più all’unanimità. Nel sistema multi-livello che risulta all’interno degli ordinamenti giuridici nazionali, la Corte di Giustizia dell’Unione assicura l’interpretazione uniforme delle norme attraverso il rinvio pregiudiziale, mentre la Commissione europea garantisce la corretta attuazione della legislazione avviando procedure d’infrazione nei confronti degli Stati membri.
L’ampliamento delle competenze e dei poteri dell’Unione in un’area così sensibile per la sovranità nazionale ha richiesto cautele specifiche. Secondo la norma transitoria contenuta nel Protocollo 36, per cinque anni dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona gli atti in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria penale adottati nel quadro del precedente trattato restano invariati e non può essere proposto ricorso per inadempimento davanti alla Corte di giustizia.
La fine del periodo transitorio, fissata per il 2014, è ormai prossima.

In base a una clausola speciale, sei mesi prima di questa scadenza il Regno Unito può decidere di non accettare le nuove competenze dell’Unione. Questa scelta implicherebbe due conseguenze immediate. Da un lato, il Paese si sottrarrebbe al nuovo processo decisionale europeo, e dunque all’applicazione delle misure che in futuro l’Unione europea adotterà in questo ambito. Dall’altro, a partire dal 1 dicembre 2014 nel Regno Unito non avrebbero più effetto tutte le norme di cooperazione di polizia e giudiziaria penale attualmente vigenti.
Vorrei riflettere con voi sulle conseguenze che questa scelta comporterebbe nel medio e nel lungo periodo.
Per sua stessa natura, l’ordinamento dell’Unione europea implica la coesistenza di una pluralità di sistemi giuridici nazionali. Conseguenza fisiologica di questo assetto è la possibilità di scegliere l’ordinamento applicabile. Tuttavia, la ricerca della norma più favorevole spesso innesca meccanismi di forum shopping e di concorrenza tra gli ordinamenti. Ora, se le questioni in gioco sono lo stabilimento delle imprese e l’attrazione degli investimenti, la concorrenza tra ordinamenti giuridici può presentare aspetti positiviperché può facilitare l’emersione delle soluzioni regolatorie più idonee a soddisfare le esigenze degli operatori economici.
Ma in tema di sicurezza la concorrenza tra ordinamenti europei non è accettabile e può produrre conseguenze devastanti, favorire le organizzazioni criminali ed indebolire la sicurezza dei cittadini e la stessa sopravvivenza delle nostre democrazie.
Per taluni l’adesione allo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia mette in crisi ilpotere statale in materia di sicurezza e giustizia penale, tradizionalmente geloso monopolio della sovranità nazionale. Così è proseguito con grande fatica l’impegno per armonizzare e avvicinare le legislazioni e si è optato per perseguire invece il principio del mutuo riconoscimento in base al quale talune decisioni giudiziarie adottate in uno Stato membroordini di arresto, hanno efficacia anche in tutti gli altri a seguito di uno snello procedimento di attuazione. Si tratta di misure normative che costituiscono la “cassetta degli attrezzi” di ogni magistrato e funzionario di polizia e che permettono di svolgere le indagini sui delitti di criminalità organizzata di carattere transnazionale e di assicurare che nessuno possa impunemente trovare rifugio dalla giustizia in un paese europeo. L’effettività dell’Unione Europea si gioca anche su questo piano.

Non solo ogni passo indietro sarebbe drammatico. Quanto è stato fatto finora non basta.Permettetemi una rapida “wish-list”, una lista dei desideri. I sistemi penali europei devono essere resi più compatibili e più omogenee le garanzie processuali per gli imputati; più semplice e rapido sequestrare e confiscare i proventi dei delitti e i patrimoni mafiosi in qualsiasi paese si trovino e restituirli alla fruizione dei cittadini; si deve rafforzare la cooperazione fra le forze di polizia e le autorità giudiziarie, anche attraverso Europol edEurojust; istituire una Procura Europea; consentire attraverso un ordine europeo di indagine che le prove possano essere raccolte in ogni paese dell’Unione sulla sola base di un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria competente; dare finalmente volto normativo comune al reato di associazione per delinquere; includere fra i crimini “europei” i reati cosiddetti emergenti: il traffico di rifiuti pericolosi, la contraffazione, il traffico di beni culturali. Occorre poi dichiarare guerra all’economia illegale, al riciclaggio, ai delitti societari, al segreto bancario, ai “paradisi bancari e fiscali”. Il Parlamento Europeo proprio questa settimana ha espresso in una risoluzione la determinazione ad intensificare la lotta contro la criminalità mafiosa nell’Unione, anche attraverso un programma europeo di protezione dei testimoni e collaboratori di giustizia, l’abolizione del segreto bancario e misure di esclusione dagli appalti pubblici europei e di incandidabilità per coloro che sono stati condannati per reati gravi contro l’interesse pubblico.
Le analisi della Banca d’Italia, della Commissione Europea, delle Nazioni Unite, del Fondo Monetario Internazionale e di altri organismi segnalano che il reddito globale delle attività criminali ammonta ad una cifra fra 600 e 1500 miliardi di dollari, ovvero tra il 3 e il 5% delPil mondiale. Sono naturalmente stime di carattere orientativo, ma danno una misura della latitudine della minaccia mortale che incombe sull’Europa e sulle nostre democrazie. Per converso, dobbiamo riconoscere che il valore complessivo dei beni confiscati nell’Unione europea è molto esiguo rispetto alle ricchezze delle mafie.

La recessione economica sta aggravando il fenomeno. La crisi rappresenta per le mafie una straordinaria occasione di consolidamento e arricchimento. L’ampia disponibilità di liquidità nell’aggravarsi della stretta creditizia per imprese e famiglie determina un incremento esponenziale degli investimenti mafiosi nell’economia legale. Si accentua la penetrazione criminale nel tessuto economico dei paesi europei, si incrementa la dipendenza e la lealtà alle mafie dei territori più fragili, si legittima l’ingresso nei circuiti legali e il riciclaggio deicapitali illeciti che drogano il sistema finanziario. E in un infernale meccanismo autoalimentato, l’impresa mafiosa produce altra crisi danneggiando la competitività, i mercati e il lavoro regolare attraverso la concorrenza sleale con le imprese legittime.L’impresa mafiosa o che comunque usa fondi di ignota origine, può permettersi di condurre l’attività anche sottocosto o in perdita; non ha bisogno di ricorrere al sistema creditizio ufficiale e beneficia di artificiali oligopoli e monopoli a livello locale.
Il paradosso è che mentre la criminalità organizzata transnazionale si evolve in forma di una rete di multinazionali economico-criminali, l’Europa invece di unirsi, rischia di dividersi.
In questo ambito, credo che l’esperienza maturata in Italia nella lotta al crimine organizzatosia fonte di indicazioni preziose. Il mio collega e amico fraterno Giovanni Falcone trenta anni fa ebbe l’intuizione allora del tutto rivoluzionaria, quasi “eretica”, della dimensione transnazionale della Mafia e del riciclaggio. Cominciammo allora a viaggiare instancabilmente fra la Thailandia, la Svizzera, gli Stati Uniti, il Canada per svolgere indagini, creare connessioni, aprire canali di collaborazione con le autorità giudiziaria e di polizia di tutto il mondo. Egli usava dire che “non importa quale polizia arresti un criminale o quale magistratura sequestri il suo patrimonio: conta solo che qualcuno lo faccia”. Una lezione che non ho mai dimenticato.

Andando al tema che immagino vi interessi di più, il futuro del Regno Unito in Europa, non posso prendere posizione su un dibattito così delicato. Desidero, però, condividere con voi alcune considerazioni personali.
Ho avuto modo di leggere i rilievi critici sulla possibile decisione del Regno Unito di recedere dalla cooperazione di polizia e giudiziaria penale che hanno espresso i miei colleghi della importante Commissione per gli Affari Europei della House of Lords. Li condivido integralmente. Ma vorrei aggiungere qualcosa d’altro.
Oggi l’Europa si trova davanti a scelte cruciali, dalle quali dipendono il suo avvenire e la sua credibilità internazionale. Il cammino dell’Unione verso il futuro è ostacolato dal permanere di diffidenze storiche, aggravate dall’attuale crisi economica e finanziaria. Lo ripeto: nessuno è e può considerarsi al sicuro. Nessuno può fare da solo. I capitali illeciti producono ricchezza effimera, ricchezza malata, macchiata di sangue. Quando sono inoculati nel corpo del tessuto sociale ed economico finiscono invariabilmente con l’avvelenarlo e ucciderlo, come le droghe con un essere umano.

Solo con la solidarietà, rafforzando il processo di integrazione, gli Stati d’Europa potranno uscire dalla crisi, difendersi dalle minacce interne ed esterne e avere un ruolo da protagonisti sulla scena internazionale. Perché ciò sia possibile, è necessario restare uniti. Senza l’Unione europea, siamo tutti più deboli e vulnerabili. L’Unione europea ha bisognodi una democrazia antica come il Regno Unito. La sua partecipazione al processo di integrazione europea è irrinunciabile. Senza il Regno Unito, l’Europa intera sarebbe un luogo meno giusto e meno sicuro.
Per concludere voglio confidarvi perché ho scelto questo tema per questo incontro che mi onora molto. Sulla bara di Giovanni Falcone ho giurato che avrei fatto vivere le sue idee con tutte le mie forze e avrei colpito le mafie, le ricchezze mafiose, l’illegalità, la corruzione ovunque esse fossero nel mondo. E da Procuratore Nazionale Antimafia ho viaggiato per il globo per dare seguito al mio giuramento. Oggi, nelle alte funzioni di garanzia che mi sono rimesse come Presidente del Senato intendo continuare questo impegno in forma diversa ma con la stessa forza, convinto come sono che la questione mafiosa sia anzitutto questione politica e questione etica. Il futuro dell’Europa e quello della politica dipende dalla capacitàche avremo di sanare un vuoto triplice e profondo di cui la politica soffre in tutta Europaverso i propri cittadini: di rappresentatività, di legittimazione etica e di comprensione.Questo il mio impegno, questa la mia speranza.

I rapporti tra Camere alte e Camere basse

15^ riunione dell’Associazione dei Senati d’Europa

Lord Speaker, Onorevoli colleghi,

permettetemi innanzitutto di ringraziare la House of Lords e la nostra ospite, Baronessa D’Souza, per avere organizzato la 15a riunione dell’Associazione Senati d’Europa e per avere predisposto per questo nostro incontro un’agenda di assoluto interesse e attualità.

In Italia il rapporto tra i due rami del Parlamento presenta alcuni profili di specificità. Per l’ampiezza delle sue prerogative, il Senato della Repubblica si distingue tra le assemblee legislative europee come una delle camere alte a maggior concentrazione di poteri.

Quello delineato dalla nostra Costituzione nel 1948 è un modello di bicameralismo perfetto. Il Governo deve avere la fiducia di entrambe le Camere e la funzione legislativa viene esercitata con l’approvazione di un medesimo testo da parte di entrambi i rami del Parlamento. Qualora una delle due Camere modifichi un disegno di legge già approvato dall’altra, quest’ultima sarà chiamata a pronunciarsi nuovamente sul testo emendato.

Le ragioni di questa scelta vanno ricercate nella volontà di privilegiare la discussione e la condivisione delle scelte rispetto alla rapidità del processo decisionale. Il Senato è, dunque, essenzialmente una camera di garanzia. La previsione di requisiti anagrafici più elevati per l’elettorato attivo e passivo qualifica il Senato anche come camera di ponderazione, una camera più saggia, in grado di arricchire l’attività parlamentare con ulteriori e autonomi contributi di riflessione e di promuovere il bicameralismo cooperativo. Con la Camera dei deputati esiste una collaborazione eccezionale per armonizzare i nostri calendari, per rendere omogenei i Regolamenti, per rendere comuni alcuni Servizi.

La somiglianza di funzioni tra Camera e Senato non significa, dunque, duplicazione delle attività, perché il Senato ha un’identità propria e molto forte. Tra i profili di specificità che lo contraddistinguono, va ricordata la sua dimensione regionale. La Costituzione prevede, infatti, l’elezione del Senato su base regionale, con un riparto dei seggi proporzionale alla popolazione di ciascuna Regione.

La legge elettorale ha accentuato questo aspetto, prevedendo per il Senato un premio di maggioranza su base regionale; per la Camera dei deputati, invece, il premio è accordato al partito o alla coalizione che abbia conseguito il maggior numero di voti a livello nazionale. Questo meccanismo implica una differenziazione nella composizione politica tra le due camere, che può rendere più difficile la formazione di una maggioranza stabile in entrambi i rami del Parlamento, ostacolando, così, l’azione di governo. Peraltro, la Corte costituzionale sta attualmente valutando la ragionevolezza dell’attribuzione del premio sulla base della semplice maggioranza relativa, a prescindere dal raggiungimento di una soglia minima di voti.

Già da tempo le riforme istituzionali necessarie a garantire l’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza sono oggetto in Italia di un vivace dibattito. A ciò si aggiunge l’esigenza di adeguare il processo decisionale interno agli sviluppi del processo di integrazione europea e alle sfide della globalizzazione.

Per questi motivi, e grazie all’ampia maggioranza parlamentare di cui è espressione, il Governo in carica ha avviato un processo di revisione costituzionale. Tale revisione include anche una riforma del bicameralismo perfetto, con una possibile riconfigurazione delle funzioni del Senato, una diminuzione del numero dei parlamentari, una nuova legge elettorale.

Come Presidente del Senato, non spetta certamente a me intervenire nel merito di questo delicato percorso, esprimendo preferenze per un determinato modello di bicameralismo ovvero opponendo resistenze alle modifiche proposte.

Desidero, però, sottolineare un’esigenza, che è quella di dotare il nostro Paese di un processo decisionale rapido ed efficace, ma anche solidamente democratico. Tali riforme saranno essenziali, perché è indispensabile dare garanzia di stabilità all’azione di governo.

Non dobbiamo però dimenticare che il Parlamento è la sede istituzionale nella quale si esprime la volontà popolare e che il sistema rappresentativo resta il cuore di un ordinamento democratico e pluralista. Il Parlamento non deve semplificare il pluralismo, ma rappresentarlo. Occorre dunque rafforzare le istituzioni politiche rappresentative e la loro legittimazione, perché l’indirizzo politico possa tener conto delle istanze di tutti i cittadini, e non solo di una parte di essi.

Sono certo che il mio Paese saprà essere all’altezza di questa sfida e che il Senato della Repubblica continuerà a svolgere efficacemente la propria funzione di rafforzamento della democraticità del processo decisionale.

Grazie.

Il potere della cultura per il dialogo, la cooperazione internazionale e la pace

Autorità,
Signore e Signori,

è per me un grande piacere e un onore ospitare nella prestigiosa Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani la giornata inaugurale del I Simposio internazionale sulla Diplomazia culturale e ringrazio sentitamente Francesco Rutelli, la società Dante Alighieri e l’Institute for cultural diplomacy per aver promosso questa iniziativa.
Un tema non facile quello da voi scelto per questo Simposio, che per troppo tempo è rimasto confinato nelle aule accademiche e tra gli addetti ai lavori e che invece voi avete scelto di portare all’attenzione del mondo politico ed istituzionale e più in generale di tutti coloro che, nei diversi ambiti e settori di attività, alimentano e quotidianamente vivono la cultura. È l’incontro tra due diversi dimensioni, quella formale della diplomazia, che vive di regole e procedure codificate, e quella – per definizione libera – della cultura, la cui naturale vocazione al dialogo e al confronto internazionale tende a svolgersi al di fuori di qualsiasi schema predefinito.
La diplomazia culturale rappresenta un tentativo di fare incontrare queste due dimensioni, creando una rete strutturale di rapporti tra le Nazioni che possa tutelare il patrimonio culturale ed artistico di ciascun Paese e promuoverne la circolazione internazionale. È una prospettiva di intervento destinata a rivelarsi tanto più strategica se consideriamo che in un sistema globalizzato, nel rapporto tra la cultura occidentale e le identità di ciascun paese, il dialogo assume un ruolo primario per lo sviluppo di un comune senso di appartenenza all’Europa e al mondo.

L’importanza della cultura è stata sempre riconosciuta sul piano diplomatico, tanto da essere utilizzata dai vari Paesi come strumento di politica estera, con finalità diverse a seconda delle priorità interne e delle epoche storiche. La diplomazia culturale nasce, infatti, come attività governativa finalizzata a proiettare un’immagine favorevole della Nazione agli occhi dei propri cittadini e dei cittadini degli altri Paesi, allo scopo anche di promuoverne la vita culturale attraverso l’internazionalizzazione. La diplomazia culturale quindi come dialogo, come ricomposizione dei rapporti con altri contesti culturali.
L’Italia è un Paese straordinariamente ricco di storia e di cultura; la stessa nozione di “patrimonio culturale” è considerata il fulcro della nostra identità. E noi, cittadini italiani, siamo talmente abituati a respirare storia in qualunque parte del nostro Paese, dal piccolo borgo alla grande città, che a volte non ce ne rendiamo conto.
Per questo, ritengo che la reale presa di coscienza della nostra identità culturale rappresenti una sfida prioritaria per tutti noi, che di questo immenso patrimonio dobbiamo imparare ad essere i primi, ma non i soli, fruitori. Dobbiamo imparare a considerare la cultura come una vera e propria risorsa economica, un bene che, se correttamente gestito, può produrre ricchezza, offrire posti di lavoro, dare opportunità di crescita a tante aree del mondo. E, attraverso il confronto culturale, sarà certamente più facile superare quelle differenze che nella rete di relazioni sociali, politiche ed economiche, sono talvolta causa di incomprensioni. La diplomazia culturale va intesa quindi anche come strumento di aggregazione tra i popoli.

Perché la cultura rappresenti un fattore sano di crescita per l’economia mondiale, è però necessario attivarsi per contrastare in maniera forte e determinata il traffico illecito dell’arte. E l’Italia, immenso museo a cielo aperto, è esposta ad una costante aggressione ai beni culturali da parte della criminalità organizzata. Il traffico illecito di opere d’arte, insieme a quello della droga e della armi, è oggi uno dei più lucrativi al mondo. Furti su commissione, esportazioni illecite, falsificazioni ed altre forme delinquenziali caratterizzano l’interesse della criminalità, che si avvale dell’arte per la riconversione di proventi da altre attività delittuose e per il successivo reinvestimento in attività legali. La difesa delle testimonianze culturali richiede un impegno globale.
Organizzando le nostre forze in perfetta intesa, potremmo sconfiggere questa minaccia. La partecipazione di tutti i paesi costituisce un punto di partenza fondamentale per una sinergica attività operativa internazionale.

Noi italiani, che abbiamo alle spalle una cultura e una civiltà plurimillenaria, abbiamo il dovere di contribuire alla piena attuazione di queste prospettive di cooperazione. Sono prospettive che ci consentiranno non solo di valorizzare al massimo il nostro patrimonio, ma anche di farci sempre più parte attiva nella promozione di solide condizioni di pace e di sicurezza per tutti i popoli.