In ricordo di Emilio Colombo

Autorità, cari ospiti,

voglio innanzitutto ringraziare la Commissione Affari esteri del Senato, in particolare il suo Presidente Pierferdinando Casini, per avere promosso questa cerimonia, che segue il ricordo commosso che gli ha tributato quell’Aula che egli ha presieduto per l’ultima volta in occasione della mia elezione. Ringrazio il Ministro Bonino, nonché gli altri relatori ed ospiti che, in nome della loro precedente esperienza come Ministri degli esteri, hanno accettato l’invito a condividere questo importante momento di ricordo e di riflessione sulle sfide comuni della politica estera, ed in particolare della politica estera europea. Ai familiari del senatore Colombo qui presenti, ed in particolare alla signora Anna, rivolgo il mio più affettuoso saluto.

Quando nel 2011 a Losanna venne insignito della medaglia d’oro Jean Monnet, Emilio Colombo chiuse il suo discorso con una frase che oltre a riassumere la sua visione sulle prospettive di crescita dell’Italia, nel contesto di un’Europa sempre più integrata e coesa, risuona attualissima in queste ore drammatiche a livello politico ed istituzionale:
“pur nel difficile momento che sta vivendo, l’Italia si sente ancora in Europa. Appare ancora forte la memoria dei principi ispiratori del progetto europeo, principi dettati da De Gasperi. Io ho profonda fiducia che l’Italia possa ancora contribuire al superamento dell’attuale crisi e allo sviluppo di quell’Europa che è stata la stella polare della mia vita politica”.

Questa è la fiducia che dobbiamo sforzarci di avere anche noi, oggi, di fronte alla crisi sociale, politica, istituzionale ed economica che si è andata acuendo negli ultimi giorni. Gli eventi sembrano sfuggire di mano anche ai loro artefici, creando una situazione di incertezza che già stamattina abbiamo visto produrre danni sui mercati e sull’economia, tanto da spingere sia il presidente di Confindustria che i segretari di Cgil, Cisl e Uil a lanciare un allarme. Non possono essere gli italiani le vittime di un panorama politico in continuo divenire, in cui l’unica cosa stabile è l’instabilità. Il presidente Letta ha chiesto un chiarimento alle Camere, che spero sia positivo e duraturo soprattutto in vista di appuntamenti importanti quali la legge di stabilità e le riforme avviate.

Pochi giorni fa ero a Bruxelles, dove ho incontrato il presidente della Commissione Europea, Jose Manuel Barroso, il presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, e il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz e tutti mi hanno ripetuto la stessa frase: l’Italia è uno dei Paesi del G8, una tra le economie più importanti a livello internazionale, la stabilità dell’Italia è la stabilita dell’Europa, l’instabilità dell’Italia è l’instabilità dell’Europa, e in questa situazione non possiamo permettercela.

Proprio in quei corridoi di Bruxelles ho visto i ritratti di alcuni italiani che tanto si sono spesi nella loro vita per il comune sogno europeo, e tra questi spiccava quello di Emilio Colombo.

L’eccezionale carriera di questo straordinario statista è stata contrassegnata da incarichi di grande rilievo, dalla partecipazione all’Assemblea costituente alla Presidenza del Parlamento europeo proprio nel passaggio epocale che portò all’elezione diretta dell’organo. Il suo contributo è stato determinante in alcuni momenti cruciali della politica estera italiana: penso al superamento della crisi della ‘sedia vuota’ inaugurata da De Gaulle nel 1966 e all’impegno nei negoziati che condussero all’adesione del Regno Unito alla Comunità economica europea. Pur se europeista e atlantista convinto, mai rinunciò a quello spirito critico che, come nella ‘guerra dell’acciaio’, gli ha consentito di definire con autonomia ed indipendenza la posizione italiana.

Ricordare la figura di Emilio Colombo significa cogliere la straordinaria attualità del suo pensiero politico. Le sue lettere e i suoi discorsi sono fonte preziosa per chi voglia comprendere la politica estera europea, specialmente oggi, nel contesto di crisi economica e finanziaria che sempre più rischia di trasformarsi in una crisi di identità dell’Unione europea.

Emilio Colombo era solito osservare che i tentativi di rilancio dell’integrazione europea hanno spesso coinciso con periodi di crisi, che idealmente offrono l’opportunità di un serio ripensamento dell’esistente. Pensiamo, ad esempio, alle crisi ‘politiche’, come quella che ha segnato il fallimento della Comunità europea di difesa a seguito del voto contrario della Francia sul Trattato stipulato a Parigi nel 1952. Un grave momento di disorientamento che però pose le premesse per quel processo di integrazione economica successivamente realizzato dai Trattati di Roma del 1957.

Ma l’integrazione europea ha sofferto anche crisi economiche. A questo riguardo, non possiamo dimenticare il monito di Colombo sul legame inscindibile tra l’elemento politico e quello economico. Il pensiero di Emilio Colombo, straordinariamente attuale per l’Europa di oggi, ci invita ad affrontare la crisi economica non già alimentando le fratture tra gli Stati membri, bensì proseguendo con determinazione e coraggio nell’idea di un’Europa politicamente sempre più unita, pur nel rispetto delle diversità e delle identità nazionali. L’Euro ha rappresentato uno straordinario strumento di integrazione economica e monetaria dell’Unione, ma tale risposta è incompleta, rischia di non reggere i contraccolpi della globalizzazione finanziaria. Per essere forte, l’Euro deve poter contare su un governo forte dell’economia, fondato sulla crescita e sullo sviluppo, su politiche di rilancio dei fattori strategici della produzione europea. E bisogna anche saper agire sui fattori politici della crisi.

La lezione di Emilio Colombo insegna che per portare l’Europa ad una fase di piena maturità politica bisogna operare su più fronti. Vi è innanzitutto il piano istituzionale, che richiede rafforzamento dei poteri del governo sovranazionale e potenziamento dei circuiti di controllo politico fondati sul ruolo dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo.

Vi è poi la sfida connessa alla piena realizzazione di un’Europa dei diritti, che non può essere garantita solo sulla carta. L’insoddisfazione di Emilio Colombo sui risultati raggiunti su questo terreno a Nizza ci conferma che molto può e deve essere fatto per promuovere quelle prospettive di coesione sociale e solidarietà tra i popoli che, attraverso gli insegnamenti di De Gasperi e Spinelli, hanno segnato il pensiero democratico europeo.
Realizzare questa prospettiva di integrazione presuppone innanzitutto spirito pragmatico. In quest’ottica, dobbiamo considerare prioritaria una politica di bilancio europeo incentrata sull’individuazione di risorse proprie e su un incremento del volume complessivo delle entrate.

Vi è infine la scommessa legata alla costruzione di uno spazio di difesa e sicurezza comune, fondamentale per realizzare la prospettiva di un’Europa che preservi la pace e lo sviluppo tra i popoli. Pochi anni dopo la caduta del muro di Berlino, Emilio Colombo aveva sottolineato come la costruzione dell’Identità Europea di Sicurezza e Difesa costituisse ormai uno dei cardini fondamentali delle strategie geopolitiche dell’Alleanza atlantica. Una premessa necessaria per costruire una nuova architettura di sicurezza fondata sulla cooperazione tra istituzioni indipendenti che riuniscano i Paesi d’Europa e quelli dell’America settentrionale, capace di prevenire e gestire i fattori di instabilità emergenti.

Un filo rosso sembra idealmente accompagnare le azioni e le parole di Emilio Colombo sulla politica estera europea. Questo filo rosso dimostra che costruire un’Europa unita è non solo un ideale, ma un progetto politico, che richiede concretezza e progressività di azione. E’ l’idea dell’Europa che “non cade dal cielo”, ma si costruisce nel tempo, con la pazienza che ci porta ad affrontare le difficoltà quotidiane. Ma anche con quella componente di utopia ed ambizione che io credo debba genuinamente guidare ogni progetto politico. Solo in nome di questo slancio ideale, che ha sempre contraddistinto la visione politica di Emilio Colombo, potremo infatti superare le differenze e gli egoismi nazionali per costruire nel nome dell’appartenenza ad una comune civiltà sovrastatuale una”nuova” Europa Unita. Grazie.

25° anniversario dell’assassinio di Mauro Rostagno

“Nel venticinquesimo anniversario dell’assassinio di Mauro Rostagno desidero rinnovare ai familiari e agli amici la mia partecipe vicinanza”.

E’ quanto si legge in un messaggio del Presidente del Senato, Pietro Grasso, che così prosegue: “Lo ricorderemo per sempre, giornalista impavido nell’aperta denuncia di malaffari e soprusi, coraggioso come pochi nell’esporsi sempre in prima persona apparendo sugli schermi televisivi delle case dei siciliani. ‘Più trapanese di voi trapanesi’, come si definiva, perché aveva scelto di esserlo, lui torinese di nascita. Sempre impegnato anche nell’aiuto delle persone in difficoltà e dei tossicodipendenti in particolare. Pagò con la vita il suo impegno civile e la denuncia delle collusioni tra mafia, politica e massoneria”.

“Sulla sua morte, il 26 settembre 1988, non è stata ancora fatta piena luce. Ucciso, come tante altre vittime innocenti della mafia, perché personaggio “scomodo”. Il suo invito agli onesti a ribellarsi alla mafia – conclude il Presidente Grasso – è un esempio e uno sprone a continuare senza sosta la lotta contro il crimine organizzato”.

Il rilancio dell’unità politica dell’Europa per superare la crisi economica

Intervento in occasione del Terzo Colloquio annuale delle Fondazioni Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer

Signor Presidente della Repubblica,
Autorità,
Gentili ospiti,

è per me motivo di vivo piacere ospitare in Senato il terzo colloquio delle Fondazioni Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer.

L’incontro di oggi avviene in una fase particolarmente delicata del processo di integrazione europea. Il tema dell’unità politica dell’Europa si impone con forza alla nostra riflessione. La crisi economica e finanziaria ha svelato le fragilità dell’Unione europea. La mancanza di strumenti di controllo sui deficit e sui debiti pubblici e di meccanismi efficaci di coordinamento delle politiche economiche nazionali ha messo in pericolo l’unione economica e monetaria. Gli squilibri macroeconomici e le misure di contenimento della spesa pubblica non adeguatamente bilanciate da misure di crescita rischiano di creare un profondo divario tra gli Stati membri e di alimentare la disaffezione e l’ostilità dei cittadini nei confronti del progetto europeo.

Sono convinto che nonostante le difficoltà l’opinione pubblica resti in prevalenza schierata a sostegno del progetto europeo. Un segnale incoraggiante in questa direzione proviene anche dalle recenti elezioni politiche in Germania, dalle quali è risultato un consenso elettorale piuttosto limitato per i movimenti euroscettici.

Le iniziative di contrasto alla crisi finora adottate dall’Unione europea si sono giustamente indirizzate al rafforzamento dell’integrazione tra gli Stati membri. Le regole adottate negli ultimi tre anni hanno posto le basi per un più stretto coordinamento delle politiche economiche nazionali. Penso al “Fiscal Compact”, che ha attribuito rango costituzionale al principio del pareggio di bilancio, al “Six-Pack”, il pacchetto di sei regolamenti che prevedono un controllo più ampio sui bilanci nazionali da parte della Commissione europea; e al “Two-Pack”, appena entrato in vigore, in base al quale gli Stati entro il 15 ottobre di ogni anno sono tenuti a trasmettere alla Commissione i bilanci prima della loro approvazione, e la Commissione può presentare osservazioni puntuali.

Dobbiamo proseguire in questa direzione. Soprattutto per gli Stati che hanno adottato la moneta unica, è impossibile ottenere una ripresa economica stabile senza un governo europeo dell’economia. L’unione monetaria deve essere sostenuta da un’unione bancaria, economica e di bilancio. E da un’unione politica. Dobbiamo dare corpo al sogno europeo, con un’Unione europea che dia ai suoi cittadini una sola voce nel mondo, che parli di diritti, democrazia, giustizia, pace, dignità umana.

Le potenzialità dell’Europa rispetto alla crescita economica e all’occupazione sono straordinarie. Un’Unione dotata di un bilancio consistente basato su risorse proprie può investire nei settori dell’energia, della difesa, delle infrastrutture e della ricerca, realizzando economie di scala e significativi risparmi di spesa. Un piano europeo per la crescita e per la lotta alla disoccupazione, soprattutto giovanile, può risultare ben più efficace di iniziative autonome dei singoli Stati membri.

Per delineare le fasi e le forme di una più compiuta integrazione europea credo che il Parlamento, la sede della democrazia, debba essere attore di un’iniziativa politica per rilanciare la crescita e promuovere la competitività dell’Unione nel contesto internazionale, con una proposta che si ispiri alle dichiarazioni Genscher-Colombo del 1982 e Amato-Schröder del 2000.

La fiducia dell’opinione pubblica nel progetto europeo si nutre di risultati concreti. Misure rapide e incisive per risolvere il dramma devastante di milioni di persone, e soprattutto giovani, che sono esclusi dal mondo del lavoro e così marginalizzati nella società; per rafforzare una politica industriale europea, una politica comune in materia di controllo delle frontiere e dell’immigrazione, una politica estera e di difesa genuinamente comuni. Queste sono le azioni di cui i cittadini europei hanno bisogno e che chiedono all’Unione e che presuppongono un’Europa più forte e più unita.

In un momento così decisivo per il processo di integrazione europea, l’Italia può e deve svolgere un ruolo chiave per rilanciare il processo costituente europeo. Nel secondo semestre del 2014, subito dopo il rinnovo delle istituzioni europee, l’Italia sarà chiamata a ricoprire la Presidenza di turno del Consiglio dell’Unione. Il Senato, insieme alla Camera e in stretto raccordo con il Governo, si sta preparando a questo appuntamento con molta serietà. Sono certo che in questa posizione di grande responsabilità il Paese saprà essere fedele al suo ruolo di fondatore, cardine e motore del progetto europeo, consapevole, come ebbe a dire già nel 1929 Aristide Briand, che per gli Stati europei l’alternativa è “unirsi o perire”. Grazie.

In ricordo del magistrato Terranova. Lotta alla mafia stella polare della sua attività

“Ricorre oggi il 34mo anniversario dell’assassinio di Cesare Terranova e Lenin Mancuso, esemplari servitori dello Stato che hanno dato la propria vita per la lotta contro la mafia”.

Così il Presidente del Senato Pietro Grasso in un messaggio.

“La lotta alla criminalità organizzata, continua il Presidente del Senato, è stata per Cesare Terranova la stella polare della sua attività di magistrato – comprendendo la complessità e la natura verticistica del fenomeno mafioso e operando con tenacia in un’epoca in cui non esistevano ancora adeguati strumenti legislativi per svolgere una simile lotta – e del suo impegno come deputato, dal 1972 al 1979.

Membro della Commissione Antimafia nella VI legislatura ha redatto, insieme a Pio La Torre ed altri, la relazione di minoranza che accusava duramente Giovanni Gioia, Vito Ciancimino, Salvo Lima e altri uomini politici di avere rapporti con la mafia. E’ sempre vivo – conclude il Presidente Grasso – il ricordo di uomini che rappresentano per tutti noi esempi di assoluta devozione allo Stato e ai valori della nostra Carta costituzionale”.

In ricordo del giudice Antonino Saetta. Sempre animato dal senso del dovere

“Nel giorno del 25mo anniversario della morte del giudice Antonino Saetta, barbaramente ucciso insieme al figlio Stefano il 25 settembre del 1988, desidero rinnovare a tutti i familiari il mio commosso pensiero e sentimento di vicinanza. Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, in un messaggio.

“Uomo estremamente discreto, consapevole del suo ruolo e delle sue funzioni che ha esercitato con orgoglio e fermezza – prosegue il Presidente del Senato – Antonino Saetta ha svolto il suo lavoro sempre animato e sostenuto da un fortissimo, eppure mai ostentato, senso del dovere. Ha pagato con la vita, insieme al figlio Stefano, innocente tra gli innocenti, il rifiuto di piegarsi alle pressioni mafiose. Facciamo tesoro dell’eredità lasciataci da quest’uomo e di quanti come lui sono morti – conclude il Presidente Grasso – per aver creduto nella giustizia e nella legalità con l’impegno, giorno dopo giorno, a costruire un futuro migliore per noi e per i nostri figli”.

Giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra religioni e culture diverse

Eccellenze, Autorità, Signore e Signori,

è per me motivo di grande orgoglio che il Senato ospiti un incontro in occasione delle celebrazioni francescane. Un incontro dedicato alla giornata del 4 ottobre, a Francesco d’Assisi,il “più italiano dei santi”, come lo definì Pio XII il 18 giugno del 1939 proclamandolo Patrono d’Italia insieme a Santa Caterina da Siena.
Il nostro Parlamento, come sapete, con legge n. 132 del 1958, ha riconosciuto il 4 ottobre “solennità civile e giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse, in onore dei Santi Patroni speciali d’Italia San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena”.

Quest’anno le celebrazioni francescane assumono un significato davvero straordinario. Assisi e la cristianità si apprestano a vivere un momento storico: per la prima volta nella storia della Chiesa un Papa di nome Francesco sarà nella città serafica, proprio nel giorno della festa del Santo.

Il prossimo 4 ottobre, sarà un’emozione fortissima per i fedeli di tutto il mondo, e anche per me che sarò tra loro, partecipare alla solenne celebrazione della Santa Messa presieduta da Sua Santità Papa Francesco, giunto nell’acropoli assisana per abbracciare idealmente il Santo da cui ha voluto prendere il nome, ripercorrendone simbolicamente i luoghi più rilevanti del cammino umano e spirituale.

Una giornata, quella del 4 ottobre, che costituisce un’occasione preziosa per approfondire i temi delle relazioni all’interno dell’odierna comunità civile italiana, decisamente avviata verso il pluralismo interreligioso e interculturale, a partire dall’esempio di San Francesco, Patrono d’Italia.

Francesco d’Assisi è uno dei padri fondatori riconosciuti della identità nazionale. Egli ha incarnato e proposto uno stile e un modello di relazione tuttora attuale, per la costituzione di una civile e pacifica convivenza tra persone della stessa società, con i vicini e i lontani, con persone di cultura e religione diversa.

Francesco si è fatto pellegrino e forestiero per essere concittadino, anzi fratello di tutti, ricordando la provvisorietà e precarietà dell’esistenza terrena. Amato dai credenti di ogni confessione e dai “non credenti”, ci indica le vie di questo dialogo attorno alla fede: il grido dei poveri, il grido della pace e della non-violenza, la sfida del dialogo interreligioso e interculturale, il grido della bellezza.

Emblema del dialogo, dell’incontro, dell’amicizia, figura universale anche dopo ottocento anni dalla sua morte, Francesco d’Assisi si fece povero per divenire portatore di una ricchezza nuova. Domandarsi oggi dove porti il suo messaggio significa ancora una volta interrogarsi sulle ragioni della convivenza; sulla necessità quotidiana di coniugare il cambiamento con il richiamo ai valori irrinunciabili della dignità personale e – al tempo stesso – del vivere civile.

È un linguaggio che parla a tutte le culture e tutte le religioni. Un orizzonte valido per chiunque, anche per i non credenti, che si riconoscono nella costruzione di un ordine sociale e di un umanesimo civile fondato sulla cultura del rispetto.
Nella Costituzione, nella cultura, nella storia e nelle tradizioni dell’Italia sono presenti i principi in base ai quali si può costruire una rispettosa e pacifica convivenza con uomini e donne provenienti da altre culture e appartenenti a religioni diverse.
Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di reciproco ascolto e comprensione, di dialogo, di avvicinamento e unità nella diversità. Abbiamo bisogno cioè dello “spirito di Assisi”, che è cultura di rispetto, conoscenza, amicizia, dialogo, confronto tra persone di mondi, culture, tradizioni e identità diverse.

Spero che la testimonianza di Francesco e il suo insegnamento possano essere anche per noi segno di speranza per l’avvenire dell’Italia. Un avvenire che si può e si deve costruire insieme. Il mio auspicio è che la ricerca di dialogo e lo spirito di pace che anima il francescanesimo possano affermarsi come esempio positivo per le istituzioni e per l’intera società civile del nostro Paese, che orgogliosamente ha in Francesco il suo patrono.

Violenza contro le donne. Servono strumenti di prevenzione e repressione

Intervento al convegno “Convenzione di Istanbul e Media”

Cari amici,
è per me un grande piacere ospitare nella Sala Zuccari del Senato il convegno “Convenzione di Istanbul e Media”. Vorrei innanzitutto ringraziare la collega e Vice Presidente del Senato, Valeria Fedeli, che ha organizzato e reso possibile questo incontro, i relatori e tutti i presenti. Un saluto particolare lo voglio indirizzare all’amica e collega Laura Boldrini, che in questi giorni sta affrontando un’ondata di offese e attacchi senza precedenti.

Quella di oggi è un’occasione preziosa per riflettere su un fenomeno che ha ormai assunto la dimensione di una vera e propria emergenza sociale: la violenza di genere, che non è una collezione di fatti privati ma una tragedia che parla a tutti, che parla di tutti. Sono pienamente consapevole e preoccupato della portata di un fenomeno che va combattuto in tutte le sue forme: dalle offese, alle minacce, agli atti di violenza fisica e psicologica.

Dobbiamo affrontare questa emergenza non solo in via repressiva ma anche, e prioritariamente, in via preventiva, utilizzando tutti i mezzi a nostra disposizione per garantire la sicurezza delle donne nelle strade, nei luoghi pubblici, all’interno delle pareti domestiche. Queste ultime sono il luogo dove è certamente più difficile intervenire perché è necessaria la collaborazione della vittima, che in molti casi non denuncia per sfiducia nelle istituzioni, per paura, per mancanza di mezzi. Non dobbiamo dimenticare che vi sono anche casi, invece, in cui le donne, pur avendo denunciato, continuano a subire violenza fino a trovare la morte. E questo è intollerabile. Poche ore fa abbiamo avuto l’insopportabile notizia di altre due ragazze, giovanissime, uccise: Ilaria Pagliarulo, di soli 20 anni, ferita a copi di pistola una settimana fa, e Marta Deligia, strangolata a 24 anni dal suo ex.

La Convenzione di Istanbul è il primo strumento giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza. Dopo il voto del Senato a luglio, pochi giorni fa il disegno di legge di ratifica è stato approvato alla Camera dei deputati all’unanimità: un segnale forte che ci accomuna tutti nella lotta alla violenza di genere.

Gli interventi di carattere legislativo sono necessari, ma l’arma vincente è rappresentata dal cambiamento culturale. Sappiamo infatti che non sarà certamente uno strumento giuridico, una convenzione, una Nuova Carta dei diritti, a fermare la strage delle donne. Anche le migliori leggi da sole non bastano, soprattutto se a queste non si affiancano le risorse per renderle efficaci, come il finanziamento dei numeri d’emergenza e delle strutture di accoglienza.

La parità tra i generi è una meta di civiltà rispetto alla quale il Paese non può abdicare. Deve essere il frutto di una progressiva ed inesorabile azione di maturazione delle coscienze di tutti coloro che vivono in Italia: cittadini italiani, responsabili della cosa pubblica, migranti che hanno scelto di integrarsi nelle nostre comunità.
Da uomo delle istituzioni e da servitore dello Stato suona quasi come una sfida dire che la parità tra i generi deve essere conseguita andando “oltre le regole”, oltre quel concetto di quote di genere previsto dalla legge. La realizzazione della parità non si costruisce per legge, a nulla serve sforzarsi di trovare delle donne da indicare per ricoprire un certo ruolo solo perché è una norma a prevederlo! E’ uno sforzo vano che non premia, non fa crescere, e rischia anzi di mortificare colei che viene scelta solo perché è la legge a prevederlo. Anche perché sappiamo che dove si viene nominati le percentuali premiano gli uomini, mentre dove si accede per regolare concorso sono le donne a prevalere.

Andare “oltre” le regole non significa andare contro le regole. Tutt’altro. E’ il modo per renderle realmente sentite, metabolizzate, frutto di un processo di maturazione ampio che deve interessare tutti gli strati della popolazione, un processo che deve coinvolgere tutti gli ambienti, tutti i luoghi rilevanti della vita e del confronto pubblico, a partire dalla politica, che spesso da una cattiva immagine di se, e soprattutto dalle scuole, sin da quelle primarie. Per questo ho letto con piacere stamattina la notizia dei corsi di “educazione alla differenza” e “nuovi occhi per i media” lanciati a Torino.

Occorre esplorare i mezzi utilizzati dai giovani, e non solo da essi, per svolgere riflessioni, condividere informazioni, maturare identità e sensibilità. Oggi i ragazzi e le ragazze sono alla ricerca di regole e di valori. Penso, ad esempio, alla funzione, sempre più radicata, che i social media svolgono, creando luoghi di scambio di idee e di veicolazione di messaggi. Anche in ragione della loro diffusione, questi nuovi media rappresentano il contenitore dove nascono, si formano e si sviluppano le coscienze dei giovani, dove può e deve maturare una sensibilità diffusa e profonda sul tema della violenza di genere. Vengono spesso additati come il luogo del male, dove le violenze psicologiche si consumano e diventano pubbliche, dove le vittime vengono umiliate. Possono però diventare anche i luoghi dove tutto questo viene analizzato e soprattutto superato dalle giovani generazioni. Ci sono stati già esempi positivi, seppure tardivi e riparatori, ma sono certo che se sapremo accompagnare alla diffusione di questi strumenti una buona educazione all’uso, alla lettura e all’influenza dei social media nella vita dei giovani, potremo avere buoni risultati senza dover passare da anatemi inutili e lamentazioni sterili.

Gli stereotipi veicolati dai mezzi di comunicazione (televisione, giornali, riviste, pubblicità, internet) hanno prodotto modelli del femminile e del maschile estremi sotto il profilo della differenza di genere. Questi stereotipi devono essere modificati per giungere ad una nuova definizione del femminile.
E qui voglio provare ad entrare nello specifico del tema di oggi e lanciare qualche spunto agli ospiti che interverranno dopo di me.
Partiamo dalla televisione anche se all’inizio del mio mandato, da Grasso a Grasso, Aldo, il mio omonimo critico televisivo, mi ha caldamente sconsigliato di intervenire in tv e sulla tv. Oggi dovrò fare una piccola eccezione a quella regola che finora ho cercato di seguire.

C’è una frase di un critico cinematografico francese, Serge Daney, che descrive bene quello che ormai è accettato come evidente: “La televisione rappresenta l’inconscio a cielo aperto della nostra società”. Se è così, l’inconscio del nostro Paese ha bisogno di un’analisi seria, approfondita e radicale. Occorre chiamare in causa chi è chiamato a decidere, scegliere, scrivere e produrre televisione in Italia e chiedergli di fare qualche sforzo in più di immaginazione, di creatività e di rispetto. Non mi riferisco solo al noto discorso sul “corpo delle donne”, che altri e meglio di me hanno già affrontato e discusso in moltissime sedi. Parlo di andare oltre stereotipi e pregiudizi, sia positivi che negativi, che bloccano l’immaginario del nostro sistema mediatico, e quindi il nostro, a parecchi decenni fa.

Il ruolo importante che il sistema televisivo dovrebbe assumersi è quello di restituirci, in forma artistica o comunque mediata, la complessità del reale, con tutte le sue sfide, i suoi problemi, le sue soluzioni. Proprio Aldo Grasso, nel suo libro sulla “buona maestra” televisione, cita una frase dello scrittore Gabriele Romagnoli che dice: “Eravamo così impegnati a parlare male della televisione che non ci siamo accorti di quanto fosse (almeno in parte) diventata bella. La “meglio tv” è rappresentata dalle lunghe serialità americane. Più del cinema, a volte perfino più della letteratura contemporanea, sanno raccontare la realtà, ne colgono le novità, divertono e, al tempo stesso, affrontano temi alti che nessun talk show affollato di esperti discuterebbe per paura dell’audience. Invece, catturano pure quella, perfino in Italia”.

Quello che è successo è che da qualche anno il compito di darci una visione critica e complessa della nostra società si è spostato dalla letteratura alle serie tv, alcune delle quali interrogano davvero in profondità il rapporto con l’etica, la morale, le difficili scelte quotidiane di ciascuno. Potremmo passare ore a disquisire se questo sia un bene o un male, ma oggi diamolo per assodato e chiediamoci: la nostra tv ha saputo affrontare questa sfida o ha rinunciato a questo confronto diretto con la modernità, mostrandoci un mondo di buoni e cattivi senza sfumature, di divisione manichee, di ruoli stereotipati che replicano e rafforzano ruoli e funzioni, anche tra uomini e donne, che invece andrebbero discussi e, magari, superati? Nel mondo delle nostre fiction abbiamo soprattuto agiografie, poliziotti buoni, avvocati integerrimi, preti detective, storie rassicuranti e a lieto fine.

Ma i maggiori successi, quelli che hanno appassionato e stanno appassionando le nuove generazioni in tutto il mondo, parlano di altro, hanno protagonisti sfaccettati e complessi (medici misantropi e arroganti, professori repressi che di fronte alla notizia di una malattia terminale diventano criminali, mafiosi in analisi, pubblicitari misogini, poliziotti corrotti, militari passati al nemico, politici che sacrificano ogni ideale alla carriera..): queste trame spesso esagerate sono però il pretesto per discutere di temi universali, interrogare il confine tra il giusto e l’ingiusto, tra la giustizia e la vendetta, tra il bene personale e quello collettivo. Soprattutto ci restituiscono l’immagine di donne e uomini a tre dimensioni, immersi nella vita, di fronte a scelte e azioni difficili, assolutamente sullo stesso piano, come nella nostra quotidianità. E’ questo secondo me il piano su cui è utile intervenire, quello dell’immaginario, della narrazione, più di quello del dibattito, perché è lì che le ragazze e i ragazzi costruiscono il loro sistema di credenze e di valori.

Sull’informazione il discorso è altrettanto complesso, e non posso non riconoscere l’impegno e la costanza con cui i diversi media stanno affrontando da mesi il tema delicato del rispetto delle donne e della prevenzione dei comportamenti violenti e criminali messi in atto contro di loro dagli uomini. In questa sede mi limiterò a suggerire una maggiore attenzione a quei riflessi automatici che a volte rischiano di vanificare la profondità e l’analisi che, dalle stesse testate, è stata dedicata a questo tema con l’obiettivo di costruire un diverso sentire comune. Faccio solo un esempio: nelle ultime settimane una ragazzina di venti anni, ex star della Disney, ha deciso di conquistare l’attenzione dei media con un balletto e un video molto provocatori e ad alto contenuto erotico.

In ogni sito di informazione del mondo abbiamo avuto video e gallerie fotografiche, nell’ordine: del balletto, delle imitazioni, delle parodie, delle reazioni e delle curiosità, ognuna di queste corredata da immagini esplicite di adolescenti seminude. Se posso esprimere un parere, suggerirei alle testate maggiormente impegnate sul tema che affrontiamo oggi di fuggire dalla tentazione di qualche contatto in più, e di declinare l’invito implicito a partecipare ad una campagna di marketing così ben costruita. Per non parlare delle gallerie delle “tifose più belle”, le “atlete più sexy” e quant’altro. Addirittura nel 2011 abbiamo avuto “Miss Camera”!

Non possiamo infine trascurare l’importanza della formazione di figure professionali che sappiano affrontare la questione della violenza in un’ottica corretta. Formazione per le forze dell’ordine con specialisti che abbiano una particolare sensibilità e una preparazione per il sostegno alle donne vittime di violenza e alle loro famiglie. Soltanto se ciascuna di loro inizia a credere di poter reagire e agire, sapendo di non essere sola, un giorno le cose cambieranno. Il silenzio non aiuta, le parole si. La dignità delle donne è la dignità di un Paese: questo deve essere il nostro punto di partenza e, insieme, il nostro punto di arrivo.

Buon compleanno Sergio Zavoli, maestro di giornalismo

Discorso in Senato del 24 settembre 2013 

Lo scorso 21 settembre il senatore Sergio Zavoli ha festeggiato il suo 90º compleanno.

Maestro di giornalismo, scrittore, poeta, parlamentare alla sua IV legislatura, la sua figura autorevole incarna alla perfezione il ruolo che in molte istituzioni si usa attribuire al decano, alla persona cioè che, in virtù dell’età e dell’esperienza, costituisce un modello al quale guardare e dalle cui parole trarre conforto nel momento della scelta e della difficoltà.

Le parole di Sergio Zavoli sono sempre storia e racconto, trama di una narrazione elegante, dove la complessità è accessibile anche al grande pubblico, ma mai banalizzata, dove pensiero e discernimento diventano coscienza e consapevolezza della propria identità.
La sua straordinaria esperienza professionale, che ha fatto la storia del giornalismo televisivo italiano, ha infatti il suo cuore pulsante nell’obiettivo di non offrire verità precostituite all’ascoltatore, ma di suscitare in lui la riflessione e il pensiero critico che sono le basi di una vera e piena informazione.

In colloqui offerti anche in modo spontaneo, il senatore Zavoli è solito ricordare che una delle fragilità maggiori del nostro tempo e` confondere il pluralismo con la sommatoria delle faziosità. In tale critica emerge la forza della sua esperienza di voce e narratore del nostro tempo. Voce libera e sapiente, per la quale l’informazione e` sempre radicata nella ricerca della verita`, nel rispetto del proprio interlocutore, nella intrinseca mocraticita` del pluralismo che impone una reciprocita` non convenzionale, ma disposta al cambiamento dei propri stessi e piu` profondi convincimenti. Esiste pertanto un diritto d’informare, ma parallelamente anche un diritto ad essere informati, per il quale s’impone il dovere – in capo ai singoli come in capo ai pubblici poteri – di vivere la socialita` della comunicazione come dimensione irrinunciabile della vita.

Questo e` il senso profondo delle parole del senatore Zavoli: «I fatti figliano fatti, i pensieri pensieri, le passioni figliano passioni». Racconto e allo stesso tempo appello contro ogni «cecita` sociale», contro il «mutismo morale». Informare e comunicare sono prospettive irrinunciabili della convivenza civile, del riscatto contro il pregiudizio, la privazione della dignita`, l’affievolimento della liberta` confusa con l’arbitrio, l’opinabile, il fazioso. La sua scrittura e la sua parola sono riuscite ad andare oltre la cronaca creando e diffondendo cultura e componendo in decine di straordinarie sfide giornalistiche ed editoriali termini a lungo considerati contrapposti come conoscenza e comunicazione, narrazione e mistero, laicita` e fede.

I capolavori della sua carriera di giornalista, da «Nascita di una dittatura» a «La notte della Repubblica», da «Viaggio intorno all’uomo» al suo primo libro «Socialista di Dio», hanno raccontato con rigore e maestria gli snodi piu` difficili e controversi della nostra storia nazionale, rendendo Sergio Zavoli quasi il simbolo della radiotelevisione italiana e della sua missione culturale. Missione pervicacemente perseguita nei sei anni trascorsi al vertice della RAI, dal 1980 al 1986. In un contesto di grande trasformazione di quel servizio pubblico, segnata dall’apertura del mercato alla concorrenza privata, la Presidenza Zavoli richiama alla modernizzazione dello strumento televisivo, senza mai perdere di vista l’obiettivo di contribuire a cambiare il mondo.

La tutela dei beni culturali, la promozione della cultura in tutte le sue forme, la salvaguardia della memoria storica, la valorizzazione professionale dei talenti giovanili sono alcuni dei filoni ideali dell’illustre biografia di Sergio Zavoli, che, a partire dal 2001, continuano ad ispirare la sua attivita` di parlamentare in quest’Aula, nella 7ª Commissione permanente e nella Commissione per la biblioteca e per l’archivio storico, alla cui Presidenza e` stato da pochi giorni nuovamente eletto.

Il suo ingegno politico si colloca perfettamente lungo il suo percorso professionale e di vita, anzi ne rappresenta il coerente completamento, perche´ per il senatore Zavoli informazione e comunicazione sono innanzitutto cultura e la cultura non e` mai un’avventura del singolo, ma sempre una strada comune da percorrere. Cultura e politica alimentano e forgiano la comunita`. La politica, come scriveva don Milani, «e` uscirne insieme». Con una citazione di Benedetto Croce, molto cara al senatore Zavoli, possiamo dire che «siamo cio` che sappiamo e possiamo».

La vita istituzionale di Sergio Zavoli, come anche la sua vita di giornalista ed uomo di cultura, trae linfa primaria da una profonda fascinazione verso il mistero che e` in ogni uomo. E` questo profondo umanesimo, venato di inquietudine spirituale, a manifestarsi in ogni passo della sua azione, e costituisce la sua piu` preziosa testimonianza verso tutti noi. Il suo radicato umanesimo e` espressione di realismo, non e´ mai fuga dalla realta`, viceversa e` storia di un mondo e coscienza critica di un tempo. Cito le sue parole: «Non siamo solo persone, ma anche cittadini, e nelle nostre debolezze singole e comuni, private e pubbliche, vanno cercate le origini dei nostri atti e, non di rado, dei nostri guai».

Il tratto distintivo, lo stile di presenza e di parola del senatore Zavoli ricordano il famoso scritto di Vittorio Emanuele Orlando, «Il parlare in Parlamento», che rispetto all’istituzione parlamentare affermava: «Non possiamo non sentirci inferiori, tutti, alla nobilta` di esso. Tutti dobbiamo sentire che non ne siamo abbastanza degni. Ma a questa inferiorita` possiamo in parte riparare con un amore intenso ed una devozione assoluta». Amore e devozione che Sergio Zavoli ha sempre rivolto al nostro Paese, alle sue istituzioni, alla sua storia, al suo destino di nazione europea, con la cristallina coerenza del testimone più fedele. Sono certo di esprimere il sentimento di tutta l’Assemblea nel rinnovarle, senatore Zavoli, gli auguri affettuosi del Senato della Repubblica.

In ricordo di Giancarlo Siani. Esempio di passione e coraggio

“Nel 28mo anniversario della morte di Giancarlo Siani, desidero esprimere un commosso e affettuoso pensiero ai familiari e a quanti lo hanno amato ed apprezzato”. Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, in una dichiarazione.

“Ogni giorno – aggiunge il Presidente Grasso – Siani urlava contro la camorra, denunciandone gli intrecci con la politica e i rapporti con la mafia siciliana. Cercava e diceva la verità il giovane Siani. La camorra lo ha ucciso, ma egli, al pari di altri giornalisti vittime della violenza mafiosa ha vinto, diventando un eroe e un esempio per tutti. Un esempio – conclude il Presidente del Senato – della passione e del coraggio che tanti giornalisti quotidianamente pongono nel loro lavoro, e che ha bisogno del sostegno dei cittadini e delle istituzioni, perché solo in un Paese dove la libertà di stampa è garantita, si può parlare di piena affermazione della democrazia”.

In ricordo di Rosario Livatino. Ha pagato con la vita l’amore per la verità

“Il 21 settembre 1990 veniva assassinato Rosario Livatino. Nel ventitreesimo anniversario di quel drammatico giorno desidero ricordarne il sacrificio e rinnovarne la memoria.”

Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, in una dichiarazione.

“Rosario Livatino è stato barbaramente ucciso per difendere i nostri valori più importanti e punire il suo impegno per la giustizia e contro la criminalità organizzata. Egli ha pagato con la vita l’amore per la verità, il rispetto per l’etica professionale, il rifiuto della corruzione e la resistenza alle pressioni ambientali. Il ricordo suo e del grande lavoro svolto nella sua pur così breve vita sono ancora oggi da esempio e sprone non solo per i colleghi magistrati e le forze dell’ordine, ma anche per tutti i cittadini onesti.”