La mafia si batte aiutando la gente a fidarsi dello stato

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Intervista rilasciata il 6 febbario 2014

Nell’ufficio la foto di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, negli occhi l’emozione quando ricorda il grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei templi contro “la mafia portatrice di morte”. Pietro Grasso, 43 anni in magistratura, sette come procuratore nazionale antimafia, da un anno presidente del Senato, continua a credere che “la legalità, la verità, la giustizia, siano gli obiettivi da perseguire da parte di tutti i cittadini, ma ancor di più quando si decide di scendere in politica”. Di recente tutto il Parlamento gli si è stretto attorno quando, deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia, il pentito Gioacchino La Barbera ha svelato il piano di Cosa nostra contro di lui. L’esplosivo da mettere in un tombino sulla via che a Monreale conduceva alla casa dei suoceri, il furgone modificato, i telecomandi da azionare.

Presidente Grasso, nella sua ultima pubblicazione, Lezioni di mafia, lei comincia parlando delle rivelazioni di Tommaso Buscetta. Era il 1984. A distanza di 30 anni parliamo ancora di mafia. Non è cambiato niente?

“Se parliamo di Cosa nostra, credo che sia cambiato moltissimo. Certo non possiamo dire che non esiste più, ma oggi, ne conosciamo tutti gli aspetti e le evoluzioni che ha affrontato nei vari anni. Buscetta è stato determinante. Come scrivo nel libro, ci ha svelato innanzitutto l’etimologia: mafia è una creazione letteraria, “noi ci chiamiamo Cosa nostra”, ci ha subito detto. E poi ci ha dato le chiavi  per capire tanti aspetti di questa organizzazione. Non solo il lato criminale, ma il rapporto con la società, con la politica, con l’economia. Falcone, commentando le parole di Buscetta, diceva che se fosse stata una organizzazione criminale come tutte le altre sarebbe già stata distrutta, invece la difficoltà è quella di affrontare un fenomeno che ha un supporto, un appoggio sociale, economico e di consenso da parte della popolazione. Per questo è difficile sconfiggerla completamente”.

Una delle Lezioni è dedicata appunto al consenso. In una delle interviste riportate c’è persino chi dice che “è bene che la mafia esista”. Come colpire questo consenso?

“Il problema principale è cercare di risolvere i problemi esistenziali, di sussistenza di buona parte della popolazione. Quando per poter ottenere i propri diritti non si avrà più bisogno di ricorrere a qualcuno, mafioso, politico o amministratore che sia, là comincerà il cambiamento.  Delle strade ci sono per avere il coraggio di uscire da questa area grigia. Non basta la repressione, ci vuole soprattutto il coinvolgimento. In Sicilia vorrei ricordare che importanti frange dell’area grigia si sono staccate grazie a Confindustria che ha applicato un meccanismo per cui vengono espulse le imprese che sottostanno ai ricatti o alle tangenti. Oppure l’esperienza dei ragazzi di Addio pizzo, che, unendosi, fanno forza per resistere alle pressioni. Questo prima non c’era e in altre regioni, penso alla Calabria, dove nonostante buoni segnali il coinvolgimento fa ancora fatica, ma sono strade che stanno funzionando. E poi bisogna sradicare la convinzione che la mafia dia lavoro e protezione. Una cosa difficile quando, come avviene soprattutto nel Sud d’Italia, non c’è uno Stato che riesce a essere, nel welfare, sostitutivo del sistema mafioso. Occorrono più risorse umane e materiali per uscire da questa forma di schiavitù psicologica, ma soprattutto economica per cui è il sistema mafioso che ti dà lavoro, con la microcriminalità (spaccio, contrabbando, contraffazione), ma anche lavoro legale, come, per esempio, nei cantieri edili”.

Lei ha parlato di clientelismo. Bisogna fare qualcosa in più anche per rompere i rapporti politica-mafia che di questo si nutrono?

“Un passo in avanti si potrà fare con la legge sul voto di scambio. Reato già previsto dalla legge, ma perseguito solo quando c’è passaggio di denaro. Abbiamo visto, invece, che le mafie offrono altre utilità: promesse, affari, appalti… È questo che bisogna colpire. E, insieme, dobbiamo evitare che il sistema mafioso inquini quello legale con un meccanismo ‘delle cricche’. Cioè se fai parte di un club ne rispetti le regole e ne godi i benefici, altrimenti sei tagliato fuori. Bisogna dire chiaramente che anche questo è un sistema mafioso”.

Queste Lezioni sono rivolte soprattutto agli studenti. Anche lei è convinto che le mafie saranno sconfitte partendo dalla scuola?

“Lo diceva già lo scrittore Bufalino: ‘la mafia sarà sconfitta da un esercito di maestri’.  Però occorre anche il lavoro, occorrono i servizi. Quando andavo a parlare nelle scuole, i giovani che stavano finendo gli studi mi chiedevano: ‘E adesso chi ci dà una mano? A chi mi rivolgo per trovare un lavoro? Al mafioso? Al politico? Io sono costretto a emigrare ad andare a trovare un lavoro all’estero o nel nord Italia”. Questi giovani che sono formati alla legalità, che sono la linfa necessaria per cambiare questa società, se ne vanno. Tanti di quelli che restano si adeguano al sistema. Il punto vero è che se noi non riusciamo a dare la possibilità a questi giovani di poter restare a lavorare nella loro terra d’origine, di poter essere la nuova classe dirigente che può cambiare il sistema, sarà difficilissimo sconfiggere definitivamente le mafie”.

Diffamazione: tutela della reputazione e libertà di stampa

Cari amici, cari colleghi, gentili ospiti,

è con grande piacere che il Senato ospita, ancora una volta, un convegno sui temi legati alla libertà di stampa, un fattore cruciale di crescita civile e culturale, politica e etica. Si tratta di un’occasione preziosa per riflettere sui confini fra libertà di informazione e diritti della persona, fra diritto di critica e diffamazione. Saluto innanzitutto i relatori che hanno accettato di partecipare a questo confronto e ringrazio gli organizzatori  per l’impegno che hanno dedicato a questa iniziativa.

Come sapete, lo scorso 17 ottobre la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge che modifica la legge dell’8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale e al codice di procedura penale in materia di diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante. Giunto in Senato, il disegno di legge è stato assegnato alla Commissione Giustizia, dove è attualmente in discussione. I colleghi senatori presenti sapranno oggi illustrare gli aspetti essenziali della riforma – che a breve giungerà in Aula per l’approvazione finale – evidenziandone gli aspetti innovativi e gli eventuali elementi di criticità.

Alcune novità introdotte nel testo già approvato dalla Camera dei Deputati, prima fra tutti l’abolizione del carcere per i giornalisti, possono essere salutati con grande soddisfazione. Probabilmente il testo non risponde ancora a tutte le esigenze prospettate dagli addetti ai lavori e dalle istituzioni internazionali, ma sono certo che altri elementi potranno essere introdotti qui in Senato. Un punto centrale è quello che riguarda l’uso delle querele come arma di intimidazione e dissuasione a proseguire nel lavoro di indagine e di approfondimento giornalistico. Credo, ma è solo una posizione personale, che si debba riflettere più attentamente su una sanzione pecuniaria per le azioni temerarie, prevedendo il risarcimento delle spese processuali e una percentuale della cifra richiesta dal querelante da corrispondere al querelato, in modo da indurre a maggiore riflessione prima di intraprendere azioni manifestamente infondate. Altro punto delicato è la corretta applicazione delle norme sulla rettifica. Sono sicuro che il dibattito in Commissione e in Assemblea consentirà di trovare il giusto equilibrio tra diritti della persona e doveri di lealtà e correttezza dell’informazione.

I temi di cui parleremo oggi meritano grande attenzione perché hanno a che fare con il tipo di società e di democrazia nella quale viviamo e vogliamo vivere in futuro.

Da un lato, intimidire un giornalista, e in Italia sono tanti i giornalisti minacciati, è un vulnus per la libertà d’informazione e per il diritto dei cittadini di essere informati. Su questo tema, molte sono le questioni su cui è necessaria una profonda riflessione. Penso, oltre alle querele intimidatorie, alla salvaguardia dei cronisti a rischio – soprattutto quelli con meno garanzie e che scrivono per piccole testate locali o su internet – e alla necessità della trasparenza sull’assetto proprietario delle testate.

Dall’altro, la libertà di informazione, come tutti i diritti, non può mai essere considerata assoluta, ma va ponderata, contestualizzata e bilanciata con gli altri valori costituzionali. Penso in particolare al diritto alla riservatezza, alla reputazione e all’oblio. Fino a che punto è possibile narrare o divulgare fatti concernenti un determinato individuo, chiunque esso sia? Qual è il confine tra diritto di cronaca e vita privata? Sono questi gli interrogativi su cui quotidianamente siamo tutti chiamati a confrontarci, ciascuno per il proprio ruolo nella società.

L’incontro di oggi ci aiuterà a comprendere meglio se i cambiamenti in atto sono idonei a garantire maggiore libertà d’informazione e anche a promuovere questo diritto fondamentale nella rete, con la consapevolezza che all’universo di Internet non è auspicabile applicare le stesse norme che regolano la carta stampata se non alle testate registrate: il mondo della Rete è infatti molto più variegato e complesso di quello editoriale.

Il mio auspicio è che dal dibattito sulle caratteristiche del modello più adatto a governare il Web emergano proposte in grado di garantire al più presto un’efficace e appropriata tutela dei diritti fondamentali, salvaguardando, al tempo stesso, la libertà nell’uso della Rete.

Auspicando un dibattito il più possibile franco e vivace, rivolgo a tutti voi i miei migliori auguri di buon lavoro.

Il Senato si costituisce parte civile

Il presidente del Senato, Pietro Grasso, dopo aver ascoltato i diversi orientamenti espressi dai componenti del Consiglio di presidenza, ha dato incarico all’Avvocatura dello Stato di rappresentare il Senato della Repubblica quale parte civile nel processo sulla c.d. “compravendita di senatori” che inizierà il prossimo 11 febbraio presso il Tribunale di Napoli.

Il presidente ha ritenuto che l’identificazione, prima da parte del Pubblico Ministero poi del Giudice, del Senato della Repubblica italiana quale “persona offesa” di fatti asseritamente avvenuti all’interno del Senato, e comunque relativi alla dignità dell’Istituzione, ponga un ineludibile dovere morale di partecipazione all’accertamento della verità, in base alle regole processuali e seguendo il naturale andamento del dibattimento.

Per frenare i corrotti rivediamo subito la legge Severino

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Intervista di Claudia Fusani 

«Molto preoccupato dal clima di scontro e di violenza» del nostro Parlamento e «dall’immagine che stiamo dando di noi all’estero», il presidente del Senato Pietro Grasso torna in fretta da un viaggio di stato in Marocco. Oggi un appuntamento spinoso in ufficio di Presidenza che dovrà decidere se il Senato dovrà costituirsi parte civile a Napoli nel processo a Berlusconi sulla compravendita dei senatori. Ieri, nel mezzo della visita di stato, raggiunto dal report di Bruxelles sulla lotta alla corruzione che precipita ancora l’Italia in fondo alla classifiche. Corrotti e in rivolta contro le istituzioni: non una bella immagine dell’Italia.

Presidente Grasso, l’Europa ci precipita ancora una volta in fondo alle classifiche sulla lotta alla corruzione.
Purtroppo questo primato non è nuovo: siamo sempre stati in fondo a queste classifiche. Transparency International sulla corruzione percepita ci pone al 72° posto nel mondo. Il dato dei 60 miliardi invece  funziona mediaticamente ma è impossibile da dimostrare. Ma anche se fossero la metà, sarebbe comunque un peso enorme per la nostra economia. E non è solo questo.

A cosa si riferisce?
Oltre ai costi economici vanno considerati i costi indiretti, la mancanza di investimenti dall’estero, la zavorra sulla crescita delle imprese e del Paese, l’alterazione della concorrenza, l’enorme crescita dei costi delle opere pubbliche e spesso la loro scarsa qualità. Viviamo il paradosso che il costo della corruzione per l’impresa è deducibile: viene riversato completamente sulla collettività. Invece il profitto della corruzione viene nascosto all’estero, riciclato e sottratto alla pressione: sempre a discapito dei cittadini.

Un anno di vita della legge Severino contro la corruzione è passato invano?
Il primo presidente della Corte di Cassazione ha sottolineato che un numero rilevante di processi prescritti riguardano la corruzione. È evidente che al momento il nostro sistema giuridico non dispone di tutti gli strumenti necessari a contrastare questo fenomeno. La legge Severino (l.190/2012, ndr) va rivista, è stata il frutto di un necessario compromesso al ribasso.

Siamo carenti anche sulla prevenzione nonostante le novità introdotte dalle legge 190. Il Civit, ad esempio, perché non funziona?                                                                               La prevenzione per essere oggetto di una seria valutazione ha bisogno di tempo. Però l’organismo che dovrebbe controllare i risultati della normativa (Civit) non ha sufficienti poteri. In molte amministrazioni non sono stati nominati nemmeno i responsabili per la prevenzione previsti dalla legge. Per funzionare dovrebbe avere poteri di controllo, di sostituzione, di raccolta delle informazioni, di coordinamento e impulso alle indagini.

Presidente, senza fare magia, lei conosce la ricetta per toglierci questa maglia nera?
La ricetta per me è chiarissima. Non è un caso che il mio primo giorno da senatore, quando mai avrei pensato di diventare Presidente, abbia presentato un ddl che riguardava proprio questi punti in maniera organica. La mia proposta era di inasprire il massimo della pena per corruzione, induzione indebita, abuso di ufficio, traffico di influenze illecite, corruzione fra privati e allo stesso tempo di prevedere uno sconto per chi collabora con la giustizia nel denunciare i casi di corruzione con cui viene in contatto. Questo avrebbe allungato anche i tempi di prescrizione, riequilibrando il sistema. Dobbiamo spezzare il legame che lega il corrotto al corruttore, non rafforzarlo. Il voto di scambio è appena stato votato in Senato ed è tornato alla Camera: spero diventi presto legge.

E sul falso in bilancio e l’autoriciclaggio?
E’ davvero il momento di tornare a una norma più severa sul falso in bilancio, qualificandolo come un reato perseguibile d’ufficio e punibile con pene che consentano le misure cautelari detentive e le intercettazioni telefoniche. L’introduzione del reato di autoriciclaggio invece andrebbe a colmare una lacuna del nostro sistema penale per potenziare e rendere più efficace il contrasto al crimine organizzato, ma anche ai reati di corruzione ed evasione fiscale. La criminalità inquina, condiziona e strozza l’economia sana. È tutto in quel ddl, che nel mio ruolo attuale, se mai dovesse arrivare in aula non potrei nemmeno votare. Fra poco quella mia proposta, del 15 marzo scorso, compirà un anno, ma è ancora in discussione generale.

La Commissione UE “suggerisce” di colmare la grave lacuna della prescrizione.                                                                                                                                                                                        L’istituto della prescrizione andrebbe rivisto completamente, non solo per i reati legati alla corruzione. Per fare una rivoluzione basterebbe una norma a costo zero: il calcolo della prescrizione si blocchi dopo il rinvio a giudizio; tutti i processi iniziati devono essere conclusi in tempi brevi.

Perché non abbiamo ancora una legge che regola l’attività delle lobby?
E’ urgente una regolamentazione ferrea e trasparente. Soprattutto in vista dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti: rischiamo di consegnare le politiche pubbliche agli interessi dei privati.

Questo governo ha la forza per combattere la corruzione?
La corruzione si combatte solo con uno sforzo complessivo e strategico che parta certamente dal governo, ma coinvolga il parlamento, i partiti, la burocrazia e i cittadini. Dopo Tangentopoli è  cambiato il sistema della corruzione, passando dalle mazzette alle consulenze, alle cricche, con una circolarità di favori per cui è sempre più difficile trovare la prova dell’accordo corruttivo. È stato introdotto il traffico di influenza ma con pene  che non prevedono strumenti investigativi efficaci come le intercettazioni o altri utilizzati per la criminalità organizzata. Serve  una rivoluzione etica. So quanto sia difficile.

Da giorni l’attività parlamentare e non solo è ostaggio di insulti e minacce anche fisiche da parte dei Cinque stelle. Preoccupato?
Mi preoccupa il clima di scontro e di violenza degli ultimi giorni, con le più alte cariche dello Stato, il presidente Napolitano e la presidente Boldrini, vittime di insulti e accuse prive di fondamento. Abbiamo dovuto vedere il presidente Napolitano fischiato da un gruppo di europarlamentari italiani e difeso da tutti gli altri, italiani e stranieri. Il dissenso è importante, in democrazia è fondamentale, ma deve essere riportato immediatamente nei confini, almeno, del rispetto istituzionale e di un ordinato dibattito civile. Altrimenti continueremo a perdere giornate che potrebbero essere spese assai meglio occupandoci dei  problemi del Paese.

Diffamazione: tutela della reputazione e libertà di stampa

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“Diffamazione: tutela della reputazione e libertà di stampa”. E’ questo il titolo dell’incontro che sarà aperto dal Presidente del Senato, Pietro Grasso, giovedì 6 febbraio in Sala Zuccari, con la partecipazione di Senatori, Ordine dei Giornalisti, Federazione Nazionale della Stampa, Federazione degli Editori e le Associazioni Articolo 21, Libera Informazione, Ossigeno per l’informazione.

L’incontro avrà inizio alle ore 14,30, sarà diviso in tre sessioni e coordinato dal Direttore dell’Agenzia Ansa, Luigi Contu. Nella prima sessione interverranno il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino, il Presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana (Fnsi) Franco Siddi, il Presidente della Federazione Italiana Editori Giornali

(Fieg) Giulio Anselmi e il Coordinatore dello “Sportello Antiquerele” Santo Della Volpe. Nella seconda sessione prenderanno la parola i componenti della Commissione Giustizia del Senato dove sono in discussione i disegni di legge in materia di diffamazione (ddl 1119 e connessi); in particolare sono previsti gli interventi dei Vicepresidenti della Commissione, Senatori Felice Casson e Maurizio Buccarella, e del Senatore Giacomo Caliendo.

Infine, nella terza sessione, interverranno Vincenzo Vita (Articolo 21), Lorenzo Frigerio (Libera Informazione), Alberto Spampinato (Ossigeno per l’informazione) e Boyco Boev (Article 19).

 

Nota per le redazioni

Le richieste di accredito per giornalisti, fotografi e telecineoperatori devono essere inviate al Senato – Ufficio stampa – al fax 06.6706.2947 o all’indirizzo email accrediti.stampa@senato.it e devono contenere l’indicazione della testata di riferimento, il numero della tessera dell’Ordine per i giornalisti, i dati anagrafici completi e gli estremi del documento di identità per fotografi e operatori.

Marò: incontro con la delegazione di deputati e senatori

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Il  Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi, nel suo ufficio a  Palazzo  Madama, la delegazione di senatori e deputati delle Commissioni Esteri  e  Difesa  dei due rami del Parlamento che si sono recati in India, lunedì  e  martedì  scorso,  per  incontrare  i  due  fucilieri  di Marina, Massimiliano  Latorre  e Salvatore Girone, trattenuti nel Paese asiatico. I parlamentari hanno esposto al Presidente Grasso i dettagli della missione e dell’incontro con i due militari.

 

Repubblica tunisina, felicitazioni per l’adozione della nuova Costituzione

“A nome mio personale e del Senato della Repubblica Italiana, vorrei trasmettere le più vive felicitazioni alle Autorità e al popolo tunisino per l’avvenuta adozione della nuova Costituzione da parte dell’Assemblea Nazionale Costituente”. Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, in un messaggio rivolto al Presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente della Repubblica tunisina Mustapha Ben Jaafar.

“L’approvazione di questo documento rappresenta un passaggio fondamentale per il consolidamento della transizione democratica. La nuova Costituzione non solo contribuirà a rafforzare la legittimazione democratica delle istituzioni, ma offrirà una più solida cornice normativa a garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini e delle cittadine tunisini. Sono questi – prosegue il Presidente Grasso – i risultati per i quali il popolo tunisino si è battuto coraggiosamente, liberandosi dal giogo della dittatura”.

“Questo storico successo testimonia l’impegno che ha contraddistinto l’azione delle forze politiche tunisine che, con encomiabile maturità, non hanno mai abbandonato la via del dialogo e del confronto costruttivo, credendo fino in fondo nella forza nella mediazione”.

“Mi rallegro – conclude il Presidente Grasso – anche per la formazione del nuovo Governo guidato dal Premier Mehdi Jomaa, altra tappa fondamentale del processo di transizione. A questo percorso verso il consolidamento delle istituzioni democratiche l’Italia non ha fatto mancare, e non farà mancare in futuro, il proprio sostegno. Sono certo che il successo del processo di transizione della Tunisia sarà d’esempio e di stimolo anche per gli altri Paesi della regione”.

Intervista a “Che tempo che fa”

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Il 26 gennaio il Presidente Grasso è stato ospite di Fabio Fazio a ‘Che Tempo che fa’.

Si è parlato di legge elettorale e riforme istituzionali; dell’approvazione delle norme sul voto di scambio e di quelle contro la corruzione;  delle minacce di Riina ai magistrati di Palermo e del fallito progetto di attentato nel ’92.

La puntata è disponibile qui.

Elicottero caduto nel viterbese

“È  con profondo dolore che ho appreso la notizia del gravissimo incidente, avvenuto  nella tarda mattinata di oggi nel viterbese nel quale, durante un volo  di  addestramento,  hanno  perso  la  vita  il  Generale di Divisione Giangiacomo  Calligaris,  Comandante  dell’Aviazione  dell’Esercito,  e  il Tenente  Paolo  Lozzi”.  E’  quanto scrive il Presidente del Senato, Pietro Grasso,  nel  messaggio  inviato  all’Amm.  Luigi Binelli Mantelli, Capo di Stato  Maggiore  della  Difesa  con  il  quale  esprime  le sue più sentite condoglianze  e  il  suo  affetto  ai  familiari delle vittime e all’intera Aviazione dell’Esercito.

“L’Italia  –  prosegue  il  Presidente del Senato – perde oggi due valorosi servitori dello Stato. Un uomo di grande esperienza e di profondo coraggio, il  Generale  Calligaris  fino  a settembre 2012 aveva svolto l’incarico di Capo  del  Reparto  Operazioni  presso  il  Comando  Operativo  di  vertice interforze,  distinguendosi  nelle  più importanti operazioni dell’Esercito italiano  in  Libano, Kosovo, Afghanistan e Haiti. Una vita dedicata fin da giovanissimo  a servire il suo Paese con abnegazione e devozione. Insieme a lui  perdiamo  il  Tenente  allievo pilota Paolo Lozzi, un giovane militare all’inizio della sua carriera”.

In ricordo di Claudio Abbado

Lo scorso 20 gennaio è scomparso a ottant’anni, dopo una sofferta malattia, Claudio Abbado, uno dei più grandi e innovativi direttori d’orchestra del ‘900, protagonista al massimo livello della musica, della cultura, della società civile. La sua vita è nel segno dell’arte, intesa non come esercizio e manifestazione elitaria di innato talento, ma come ricerca instancabile del senso dell’esistenza e del senso dell’etica, come dono agli altri, come impegno civile.

«Claudio è con tutti noi. E’ partito per il viaggio misterioso. Stringiamoci alla sua vita fortunata», così i figli Daniele, Alessandra, Sebastian e Misha hanno dato l’annuncio della morte del padre. Anche la sua esistenza terrena è stata un viaggio, per decodificare il mistero della musica e portare ovunque la sua magia.

Un viaggio iniziato da piccolo. Era nato a Milano nel 1933 in una famiglia dove la musica e la cultura erano di casa: suo padre, Michelangelo, era insegnante di violino al prestigioso Conservatorio ‘”Giuseppe Verdi” di Milano dove successivamente sarà vicedirettore; la madre, Maria Carmela Savagnone, era pianista e scrittrice per bambini. Decide di impugnare la bacchetta a sette anni, quando, come si è ricordato più volte in questi giorni, si arrampica fino al loggione per vedere i gesti del direttore d’orchestra Antonio Guarnieri: da lì in poi una vita di studio e impegno per coronare il suo sogno, che lo porterà sul podio delle più prestigiose orchestre del mondo. Divenne nel 1968, a soli 35 anni, direttore musicale del Teatro alla Scala.

In un periodo di profondi cambiamenti culturali seppe interpretare lo spirito del tempo, con grande lungimiranza, rivoluzionando il repertorio scaligero; dirigendo spettacoli indimenticati con le regie di Strehler e Ronconi; portando la musica nelle fabbriche e aprendo la Scala, con la complicità di Paolo Grassi, a studenti ed operai per condividere con quante più persone possibili il suo amore per la musica, che considerava un bene di tutti. Da grande sognatore riuscì a unire l’Europa prima della caduta del Muro di Berlino, fondando nel 1978 l’Orchestra giovanile della Comunità Europea, in cui riuscì a far suonare giovani musicisti delle due germanie, sovietici e italiani, francesi e polacchi.

Il mondo della musica ne ha esaltato lo stile inconfondibile, severo e appassionato allo stesso tempo, ed il suo stile, scaturito dall’immediatezza dell’intuizione e del carattere, è diventato il “metodo Abbado”. Era un perfezionista instancabile, che chiedeva ai suoi orchestrali di ripetere, ancora e ancora, per cercare e trovare non solo il come della musica, ma soprattutto il perché.

La tecnica era in lui un tutt’uno con quella che potremmo definire l’ontologia musicale. Tutto ciò rivelava una spiritualità profonda capace di guardare oltre, lontano, e che non si limita solo ad una professionalità per così dire esecutiva. Proprio in quell’andare lontano si riflette il percorso straordinario del suo viaggio: cercare attraverso la musica l’anima e l’armonia del mondo e , allo stesso tempo, infondere in quel mondo un’anima, un pensiero, una visione.

Claudio Abbado non considerava la musica come proprietà privata, ma come patrimonio di tutti, da consegnare a tutti e da conservare per tutti. La sua era una prospettiva totalizzante: la musica è stata alimento e comprensione della sua esistenza, ma anche strumento di partecipazione alla vita collettiva del suo tempo. «Sono sempre stato convinto che la musica contenga in sé una forza in grado di travalicare i confini. Non c’é solo un valore estetico nel fare musica. La musica è necessaria al vivere civile dell’uomo».

Queste le sue parole, quando nel 2005 diresse l’Orchestra Mozart di Bologna, da Lui fondata, per i detenuti del carcere e gli assistiti della Caritas. Ha portato i concerti nelle fabbriche, nelle scuole e negli ospedali, alla ricerca degli emarginati, degli ultimi.

Nel 2004 promuove nella città di Bologna la nascita dell’Orchestra Mozart; a Caracas ed a L’Avana, nel 2005, Abbado inizia a fare musica con l’Orchestra Simón Bolívar, la cui attività si inserisce nell’iniziativa in cui sono coinvolti migliaia di giovani musicisti, tanti provenienti da contesti poverissimi e degradati, a cui viene data la possibilità di ricevere un’educazione musicale e soprattutto una possibilità di riscatto e di speranza, salvando migliaia di giovani. Lo spirito del “Sistema”, nato in Venezuela con Josè Antonio Abreu, è arrivato grazie a lui anche in Italia e proprio qui in Senato, per il concerto di Natale, abbiamo potuto ascoltare la bravura, l’entusiasmo, l’impegno, la felicità dei suoi musicisti, del coro delle voci bianche e del coro delle mani bianche.

Nel dialogo con i giovani lascia la sua eredità più profonda: «Ascoltarsi l’un l’altro é la chiave. In orchestra come nella vita», queste le sue parole. La sua musica fondata sull’ascoltarsi gli uni con gli altri ci indica la strada di una comunità civile dove il portarsi l’uno con l’altro diventa un’istanza etica irrinunciabile. Nel ricordo che di lui ha scritto il maestro Antonio Pappano c’è la conferma del suo amore per i giovani e di quanto sapeva forgiarne la passione, l’arte, il carattere:

La luce di Claudio Abbado rimarrà. Io li vedo lavorare in orchestra, i musicisti che lui ha formato. Sono sparsi per il mondo. Se osservi bene, li puoi distinguere, portano in faccia e negli occhi il lascito del loro maestro. Sono fieri di essere cresciuti con lui, e questa fierezza, piena di impegno e di serietà, la trasferiscono al loro far musica.”

La nomina a senatore a vita rappresenta il riconoscimento dei suoi altissimi meriti artistici, civili, culturali e umani e, ancor più, il segno di chi ha portato con grazia e con orgoglio l’Italia, nella sua espressione migliore, in Europa e nel mondo. Ora l’arte di Claudio Abbado è un patrimonio di tutti e per tutti: sono allora certo, in questo spirito, di esprimere il sentimento commosso di tutta l’Assemblea nel rivolgere ai famigliari e a tutti coloro che lo hanno conosciuto il sentimento di affettuosa vicinanza e di commossa gratitudine del Senato della Repubblica, nel momento in cui rendiamo omaggio a un grandissimo uomo e ad un immenso artista