Grande Guerra catastrofe primaria del nostro tempo

Discorso alla presentazione del 28° volume degli annali della fondazione Ugo La Malfa 

Gentili ospiti, cari amici,

Sono molto lieto di ospitare in Senato la presentazione di questo denso volume collettaneo edito negli Annali della Fondazione Ugo La Malfa, dedicato a diversi aspetti della società italiana all’epoca della Grande guerra, un momento cruciale della storia nazionale ed europea.

A quel tempo dire Europa significava dire mondo. I domini geopolitici che le potenze europee controllavano avevano una tale estensione e rilievo che il “vecchio continente” era indiscutibilmente il centro culturale, economico e finanziario del pianeta e condizionava fortemente la vita degli altri continenti. La principale eredità della guerra fu proprio la dissoluzione dell’ordine europeo, il suicidio dell’Europa, come venne definito. La Grande guerra significò anche la contemporanea scomparsa di quattro imperi: russo, ottomano, tedesco ed austro-ungarico. Nodi che due conflitti mondiali e una guerra fredda non hanno risolto e che continuano ad essere all’origine di molte delle complesse partite geopolitiche dei nostri giorni. La fine dell’equilibrio europeo che risultò dalla guerra, e insieme la caduta della Federazione Jugoslava e dell’Unione Sovietica hanno lasciato l’Italia permanentemente esposta ai rischi di destabilizzazione provenienti dai Grandi Balcani e dal Grande Medio Oriente.

Attraverso i saggi del libro si possono ripercorre, da una prospettiva non solo italiana, le cause e l’atmosfera di quegli anni, le cui degenerazioni furono le radici dei principi che ispirarono i nostri costituenti e i fondatori dell’Europa. La scelta consacrata nell’articolo 11 della Costituzione di ripudiare la guerra “come strumento di offesa agli altri popoli e di risoluzione delle controversie internazionali”, era allora impensabile. Come descritto nel libro, non solo erano pochi gli intellettuali che accolsero con sgomento l’inizio della Grande Guerra ma era dominante una folle concezione “etica” del conflitto, cui si attribuiva una “funzione rigeneratrice”, quale fine di una lunga attesa e momento di liberazione e speranza. Piuttosto, gli intellettuali delle potenze belligeranti si mobilitarono solo a fini propagandistici per dimostrare l’innocenza del proprio paese e la malvagità dell’aggressore, spesso ridicolizzato e disumanizzato. Solitari rimasero gli appelli di pensatori come Bertrand Russell che “in nome dell’umanità e della civiltà” si opponeva “alla stragrande maggioranza di chi acclama quest’orgia brutale”.

L’inimmaginabile realtà di una guerra “totale” e lunga, la durezza della vita di trincea, l’uso di provvedimenti straordinari, sia sul piano interno, sia sul fronte – il libro ricorda fra l’altro gli episodi raccapriccianti delle decimazioni e delle condanne a morte comminate senza processo – fecero giustizia di molte delle illusioni fatali nelle quali si era cullata la migliore gioventù italiana ed europea. Ma non bastò, il Paese e l’umanità non avevano ancora pagato un contributo sufficiente alla follia. Così non si rovesciò il sentimento complessivo: gli squilibri e i traumi della guerra, lo stato drammatico dell’economia, le tante rivalse e un sordo, diffuso sentimento di ingiustizia impedirono un ritorno alla normalità negli anni del dopoguerra. Il volume ricorda le trasformazioni strutturali prodotte dall’economia di guerra, i mutamenti, le tristi involuzioni anti-liberali intervenute nella struttura stessa delle istituzioni pubbliche, dell’apparato statale. I caratteri dello stato liberale che si erano sviluppati nel primo decennio del secolo, nel corso dell’età giolittiana non si erano in Italia radicati a sufficienza e così insieme al sangue versato, alle patologie fisiche, ai disturbi mentali e alle nevrosi che colpirono militari e civili il Paese pagò un tributo alla guerra drammatico anche in termini di democrazia. Così non vi fu più normalità.

Ringrazio dunque la Fondazione Ugo La Malfa e gli autori del volume per averci offerto questa visione così complessa e completa della società italiana durante la Grande guerra. Il libro contiene preziosi spunti di riflessione, credo indispensabili a tutti, ai più giovani ma non solo, per comprendere il nostro travagliato presente in un’Italia libera e democratica nel quadro di un’Unione Europea cui consacriamo il nostro impegno e affidiamo la nostra speranza. La storia non è sostanza inerte ma materia viva e pulsante e ripensare oggi la prima guerra mondiale, catastrofe primaria del nostro tempo, è un compito che dobbiamo imperativamente affrontare per sopportare “il peso del passato che non passa” e che oggi vediamo riflesso in conflitti, persecuzioni, violazioni della dignità umana in ogni angolo del mondo.

Grazie.

Liberazione di Roma, battaglia di ideali e coraggio

Discorso al convegno “Verso la Liberazione. Roma in guerra tra occupazione, antifascismo e Resistenza armata 1943-44”

Autorità, gentili ospiti,

è con vivo orgoglio che oggi inauguro il convegno “Verso la Liberazione. Roma in guerra tra occupazione, antifascismo e Resistenza armata 1943-44”, promosso in occasione del 70mo anniversario della Liberazione di Roma, e dedicato ad una riflessione sulle esperienze e sui vissuti della Resistenza romana. Le voci e le testimonianze che, nella giornata di oggi e in quella di domani, animeranno questo convegno di studi ci accompagneranno nel ricordo della vita quotidiana di chi abitava nella “città aperta” e ci faranno rievocare – attraverso il vissuto individuale e sociale – la scelta di chi si impegnò nella Resistenza.

Vorrei ringraziare Sergio Zavoli, presidente della Commissione per la Biblioteca e l’Archivio storico del Senato per aver pensato e realizzato questo incontro di studio ed anche per la scelta – per molti versi coraggiosa – di un programma di studio estremamente articolato ed interdisciplinare. Saluto i relatori d’eccezione che ci faranno rivivere la Roma del 1943-1944, ringraziandoli per la loro presenza e per la loro adesione a questa iniziativa. Un file rouge unisce idealmente le cinque sessioni del convegno. E’ la ricerca della Roma nascosta, della Roma vissuta, di quella Roma che, al di là delle lotte interne, della violenze e delle stragi, vive delle scelte e delle esperienze di ogni giorno. Una Roma fatta di tanti volti e di tante voci, animata dalle storie personali degli uomini e delle donne che in prima persona, per convinzioni ideologiche o semplicemente per spirito di autodifesa, si trovarono a combattere una comune battaglia per la libertà.

La Resistenza romana, a differenza dei movimenti radicatisi in altre aree del paese, presenta un carattere di spontaneità e una capillarità per molti versi eccezionali, frutto delle iniziative promosse, ora con spirito solidaristico, ora per intenti di lotta aperta al nemico, da famiglie o addirittura da singoli. Penso alla storia, tragicamente simbolica, di Teresa Gullace che “Madre di cinque figli ed alle soglie di una nuova maternità” – come recitano le motivazioni della Medaglia al valor civile conferitale nel 1977 dal Presidente della Repubblica, Giovanni Leone – “non esitava ad accorrere presso il marito imprigionato dai nazisti, nel nobile intento di portargli conforto e speranza. Mentre invocava con coraggiosa fermezza la liberazione del coniuge, veniva barbaramente uccisa da un soldato tedesco”. Il martirio di Teresa, che Anna Magnani ci ha fatto rivivere con il personaggio di Pina in “Roma città aperta”, non è però caduto invano; in molti, animati tra gli altri anche da Pietro Ingrao, hanno reagito a questa barbarie, ribellandosi all’idea di dover perdere la propria fertilità, di dover rinunciare al futuro della propria terra.

Queste singole storie hanno uno straordinario valore simbolico che le rende oggi più che mai attuali. Ci insegnano che la lotta contro le tante ragioni di sopraffazione e di “occupazione” in senso lato che oggi affannano il nostro quotidiano – penso alla criminalità organizzata, all’illegalità diffusa, alla disoccupazione dilagante, alla disaffezione nei confronti della politica – possono essere combattute solo con un movimento di popolo che nasce dalle coscienze di ognuno di noi. I romani che nel 1943-1944 combatterono la loro lotta per la libertà ci invitano a risvegliarci dal torpore collettivo che, oggi, induce a pensare che la lotta alle mafie, il contrasto dell’evasione fiscale, la resistenza a favoritismi, atteggiamenti clientelari, situazioni di conflitto di interesse e corruzione siano battaglie utopistiche. Forse anche l’antifascismo e la resistenza al nazismo potevano sembrano pura utopia a fronte di una città dilaniata dall’occupazione straniera e dalla guerra civile. Eppure, la fede, la dedizione e l’impegno dei tanti romani e non romani, che in quella battaglia seppero mettere i propri ideali e il proprio coraggio, contribuirono a costituire un esercito civile capace di abbattere il nemico interno.

Mi auguro che questo 70° anniversario ci consenta non solo di rinnovare il valore simbolico della Resistenza romana, ma anche di riscoprire le testimonianze di vita dei tanti martiri e dei tanti eroi civili che ne hanno segnato la storia.In questa prospettiva, è importante che, attraverso la memoria, soprattutto i giovani possano riscoprire quella passione per la dimensione politica, per gli ideali ed i valori che essa porta con sé, che ha animato la vita di molti protagonisti della Resistenza romana. Concludo osservando che questo convegno è stato reso possibile anche grazie ai fondi archivistici appartenenti ad alcuni tra i più noti militanti dei Gruppi di Azione Patriottica – da Franco Calamandrei a Maria Teresa Regard, da Rosario Bentivegna a Carla Capponi – che sono stati donati al Senato.

Tutto il materiale dei cosiddetti fondi dei “Gappisti” – 365 fascicoli di documenti, 127 tra diari, agende e quaderni, 16 interviste audio e video – è stato digitalizzato ed è consultabile in Rete nella sezione “Archivi on-line” dell’Archivio storico del Senato. La scelta di rendere fruibile questa documentazione storica anche attraverso le tecnologie informatiche rappresenta un passaggio di fondamentale di importanza per renderne partecipi anche le nuove generazioni. Sono certo che il Senato saprà cogliere con coraggio – e il convegno di oggi lo conferma – questa sfida culturale, investendo ogni giorno, attraverso il lavoro della Biblioteca e dell’Archivio storico, in quell’attività informativa e documentale che è essenziale per plasmare, attraverso la conoscenza del passato, una società attenta e consapevole.

 

Piersanti Mattarella: da solo contro la mafia

Presentazione del volume di Giovanni Grasso 

Ho accettato con molto piacere di ospitare nella sala Zuccari del Senato la presentazione del bel volume di Giovanni Grasso sulla figura di Piersanti Mattarella. Già nel leggerne le prime pagine sono stato preso da una forte emozione personale e mi sono rivisto, come scrive l’autore, giovane magistrato “con un cappotto color cammello” intento a ispezionare l’automobile crivellata di colpi in quella fatale Epifania di sangue del 1980. Ricordo ancora come fosse ora! Avevo il televisore acceso all’ora di pranzo per seguire il telegiornale delle 13: fu così che seppi che il presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella era stato ucciso a Palermo, mentre si trovava in auto per andare a messa con la famiglia. Essendo io il magistrato di turno in procura, in realtà avrei dovuto essere avvertito di persona di un fatto così grave, ma nella comprensibile confusione che era seguita a quell’assassinio «eccellente» era stato avvisato solo il procuratore Costa. Chiamai subito il medico legale e, senza attendere ulteriori informazioni, raggiunsi il luogo dell’omicidio. Ma quando arrivai sul posto il corpo del Presidente Mattarella era già stato portato in ospedale, in un inutile tentativo di salvataggio. Non mi rimase che effettuare il sopralluogo per ricostruire la dinamica dell’agguato.

Il libro ripercorre la vita politica del grande statista e permette di ricostruire e di rivivere eventi istituzionali e sociali del massimo rilievo nella travagliata storia della mia terra e del Paese. Perché la vicenda di Mattarella fu, come spesso avviene per i fatti siciliani, insieme risultato e anticipazione di complesse dinamiche di carattere nazionale. Quel giorno, con spietata intelligenza, fu colpito anche un simbolo, un uomo che stava operando una svolta profonda non solo nell’amministrazione regionale ma anche nella politica italiana. Mattarella si chiedeva perché – sono le sue parole – “la Sicilia è immodificabile, perché questa realtà è talmente forte da non essere cambiata? Perché non debbono cominciare tutti a credere che questa realtà non è invincibile?” e così seppe farsi interprete di una politica diversa, che con visione strategica elaborata in lunghe riunioni del “Gruppo Politica” da lui fondato, e dopo aver consultato i maggiori esperti di ogni ramo, programmò il cambiamento.

In un’intervista tragicamente pubblicata proprio nel giorno della sua morte, sostenne che bisognava “intervenire per eliminare quanto a livello pubblico, attraverso intermediazioni e parassitismi, ha fatto e fa proliferare la mafia” e che fosse “pure necessario risvegliare doveri individuali e comportamenti dei singoli che finiscono con il consentire il formarsi di un’area dove il fenomeno ha potuto storicamente, allignare e prosperare”. Un’analisi che all’epoca poteva considerarsi visionaria, ma che ancora oggi rimane attualissima. Un testamento politico drammaticamente moderno, che chiamava ad un rilancio della politica e ad un simultaneo risveglio delle coscienze.

In quel sangue sparso in via della Libertà il 6 gennaio del 1980 si infranse ancora una volta il sogno di una Sicilia rinnovata e libera dalle incrostazioni mafiose, che si stava traducendo in concreta azione di governo di una Regione, come diceva Mattarella, “con le carte in regola”. Il suo progetto politico era intrecciato alla svolta di cui fu anima il suo maestro e riferimento politico-morale Aldo Moro, fermato dal piombo terrorista. Mattarella allargò la maggioranza coinvolgendo il PCI nell’area di governo regionale per condurre in porto il suo piano di riforme, isolando gli interessi particolaristici e mafiosi nelle istituzioni siciliane e conducendo al tempo stesso un’azione di rigenerazione della vita interna del suo partito, smantellando correnti personali e oscuri giochi di potere.

Arrivò alla guida della Regione nel 1978 forte di uno straordinario consenso elettorale, espressione della genuina voglia di cambiamento della società civile. Ma con tragica sincronia nel presentare le proprie dichiarazioni programmatiche all’Assemblea regionale si trovò quel 16 marzo ad annunciare il rapimento di Aldo Moro. Visse la terribile sorte di scoprire il tragico epilogo del rapimento vedendo per primo il volto di Moro nel bagagliaio di un’auto in via Caetani. Privato del suo vitale riferimento politico nazionale, rispose con coraggio, da uomo di Stato, con “la consapevolezza che il colpo dato alle nostre Istituzioni è talmente grave che è indispensabile iniziare subito con razionalità a operare per difenderle”  – sono parole sue. Eccolo così assestare colpi micidiali agli interessi costituiti con una serie di cambiamenti radicali nella quotidianità dei palazzi attraverso la riforma del governo siciliano, ispirata a nuovi criteri di nomina dei dirigenti, collegialità, trasparenza, eliminazione di sprechi, favoritismi, parassitismi, con l’intento di rendere la Pubblica amministrazione impermeabile ad infiltrazioni di tipo mafioso e clientelare. Bloccò le baronie e gli illeciti abusi di discrezionalità degli assessori, istituendo e presiedendo il comitato per la programmazione di piani triennali, al di fuori dei quali nessuna opera poteva essere finanziata.

Per porre fine alla speculazione edilizia ridusse gli indici di edificabilità con una legge urbanistica, per la quale aveva ricevuto numerose lettere anonime di minaccia, che io stesso ritrovai nei suoi cassetti (mi impressionò una cartolina che riproduceva un tramonto). Modificò la normativa sugli appalti, cancellando, peraltro, dall’albo degli appaltatori tremila imprese fantasma, create per presentare offerte di comodo. Impose la rotazione nei collaudi con affidamento anche a funzionari non più regionali ma del Genio Civile o del Provveditorato alle opere Pubbliche. Rilanciò i poteri ispettivi mai esercitati dai precedenti Presidenti sugli enti locali attraverso la nomina di commissari ad acta. In tale contesto cercò di bloccare il ritorno sulla scena politico-affaristica di Ciancimino, che dopo l’assassinio del segretario provinciale della DC di Palermo Michele Reina (9 marzo 1979) aveva ripreso a dettar legge nella DC palermitana e soprattutto al Comune di Palermo, diventando il collegamento ed il garante degli interessi mafiosi negli appalti.

Dispose un’ispezione urgente su appalti-concorso di sei scuole, per le quali solo sei imprese avevano presentato progetti, peraltro identici e redatti dallo stesso studio tecnico, ma ognuna di esse per una sola scuola, con evidenti accordi spartitori precostituiti. L’ispettore Mignosi sentì odore di mafia e dirà a Mattarella:” Lei continua a fare il presidente della Regione ed io finisco in un pilastro di cemento”. Ottenendo la risposta:” vada avanti, vorrà dire che finiremo in due pilastri vicini”. Mattarella chiamerà il sindaco Mantione imponendogli di riaprire la gara. Due giorni dopo la sua morte arrivò la risposta del sindaco che secondo l’amministrazione comunale la procedura era regolare. Le successive indagini accertarono che effettivamente tutte le imprese erano riconducibili a famiglie mafiose. Ma vennero fuori altri episodi sconcertanti: Mattarella, a fine ottobre, aveva deciso di incontrare a Roma il ministro dell’ Interno, Virginio Rognoni, per avere con lui un colloquio riservato sulla delicata situazione siciliana. Secondo quanto verrà rivelato ai giudici dal ministro soltanto nel giugno 1981, il presidente aveva fatto allora espliciti riferimenti alle azioni di contrasto alla mafia promosse dal suo governo e alle difficoltà incontrate nel suo stesso partito, dove lo preoccupava in particolare il ritorno di Vito Ciancimino. L’ unica persona informata del viaggio di Mattarella era stata la sua Capo gabinetto, dott.ssa Trizzino,  a cui al rientro da Roma rivolse le seguenti parole: «Se dovesse succedermi qualcosa di molto grave per la mia persona, si ricordi questo incontro con il ministro Rognoni, perché a questo incontro è da collegare quanto di grave mi potrà accadere».

La circostanza inquietante é che le dichiarazioni della dott.ssa Trizzino, su suggerimento di un procuratore generale dell’epoca, informato in via riservata, furono raccolte in via confidenziale dalla squadra mobile e trascritte in una relazione del marzo 1980,  ma non furono conosciute dagli inquirenti per omissioni dei Questori dell’epoca se non agli inizi del 1981, tant’è che il ministro Rognoni fu sentito soltanto nel giugno successivo (v.appendice).

Secondo talune dichiarazioni del pentito Francesco Marino Mannoia – Stefano Bontate e altri «uomini d’ onore» avevano incontrato nell’estate del 1979 in una tenuta di caccia al centro della Sicilia Giulio Andreotti, il segretario Dc siciliano Rosario Nicoletti, Salvo Lima e i cugini Salvo, e in quell’occasione si erano lamentati della linea politica perseguita da Mattarella chiedendo un radicale cambio di rotta. Ma per frenare il suo slancio rinnovatore, da cui non lo distolse neanche la candidatura al Parlamento nazionale, che Zaccagnini gli aveva proposto e che forse lo avrebbe salvato, furono necessarie le sei pallottole che l’ignoto killer gli scaricò addosso proprio alla vigilia dell’appuntamento che lo avrebbe confermato alla Presidenza della Regione della sua Sicilia.

Il capitolo finale del libro è dedicato alle indagini su un omicidio che l’autore considera uno dei misteri irrisolti della storia dell’Italia repubblicana. L’altalena delle prime interpretazioni oscillava tra il delitto di mafia e l’ omicidio di stampo terroristico, anche se nulla sembrava certo. A rendere le acque ancora più torbide concorsero le telefonate fatte, già poche ore dopo l’ omicidio, ad alcuni organi di stampa: le rivendicazioni dei sedicenti “Nuclei Fascisti Rivoluzionari”, di “Prima Linea” e “Brigate Rosse”. Sin dalle prime indagini fu chiaro che il movente dell’ omicidio andava cercato nell’attività politica di Mattarella, specie nei due anni della sua presidenza. Tuttavia restavano e restano, nonostante i 34 anni trascorsi e tre gradi di giudizio, non poche zone d’ ombra, come nel campo degli intrecci mafia-neofascismo armato che avevano portato nel 1989 Giovanni Falcone a spiccare un mandato di cattura nei confronti dei terroristi neri Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, indicati quali esecutori materiali del delitto e in seguito prosciolti dalle accuse.

Tra i numerosi tentativi di depistaggi, oltre a quelli di Pellegriti ed Izzo incriminati dallo stesso giudice Falcone per calunnia, va citato uno strano colloquio tra il Questore Immordino e Ciancimino, il quale intese informare segretamente che il delitto Mattarella era stato opera di un terrorista di sinistra venuto dal Nord. Con la sua eliminazione fisica vennero spazzati via in un sol colpo tanti problemi che sarebbe stato troppo lungo e complicato risolvere con le logiche e con i tempi della politica e del compromesso. L’omicidio, dunque, diventa una soluzione anche delle difficoltà della politica. Questa è la grande specificità della situazione palermitana: nessun altro Paese ha visto tanti vertici istituzionali decapitati. Ma sarebbe riduttivo affermare che ciò è accaduto solo perché quegli uomini si opponevano all’organizzazione mafiosa. Si opponevano sì all’organizzazione, ma come appartenente a un sistema di potere che era qualcosa più della semplice organizzazione criminale.

Per parte mia posso solo ricordare quanto ebbi a dire a Francesco La Licata in un’intervista del 7 gennaio 2011: che le carte processuali riuscirono a fotografare solo una porzione superficiale della storia, quella che riguarda gli ideatori, gli organizzatori del delitto. Nulla sappiamo degli esecutori o di eventuali mandanti esterni di cui pure si scorgono le sagome. Le investigazioni sembrano suggerire una partecipazione mafiosa riservata solo ai “piani alti” e quanto ai depistaggi l’esperienza dimostra che quando arriva la strategia della confusione c’è sempre dietro qualche “puparo” che manovra i fili del vero e del falso. Io ho sempre considerato l’omicidio di Piersanti Mattarella di tipo preventivo e conservativo, inteso quindi non tanto a vendicare la sua retta azione di amministratore e statista ma a mantenere lo status quo, impedendo il rinnovamento politico del compromesso storico e la neutralizzazione della penetrazione mafiosa nella Regione. È lecito supporre che per tale omicidio si sia verificata una deliberata convergenza di interessi, rientranti tra le finalità terroristico-intimidatrici dell’organizzazione, e interessi connessi alla gestione della ‘cosa pubblica’. Tale ultima ipotesi, se esatta, presuppone un intricato intreccio di segreti collegamenti tra i detentori delle rispettive leve del potere politico e mafioso.

Una coincidenza di interessi che non siamo mai riusciti a chiarire e che tuttora mi toglie il sonno insieme ad altre intuizioni laceranti su tante stragi di mafia irrisolte. Anche diversi decenni dopo le indagini non mi sono arreso e da Procuratore Nazionale Antimafia ho messo in atto ogni utile strumento a mia disposizione per cercare la verità su quel delitto e su molti altri che hanno segnato per sempre la vita della mia terra, e del Paese. E ancora oggi, credetemi, anche se chiamato a diverse responsabilità istituzionali, pongo a solido fondamento del mio impegno di uomo dello Stato la ricerca della giustizia e della verità e il rispetto profondo per chi come Piersanti Mattarella ha dato la vita per le nostra libertà.

La figura che da questa biografia emerge nettamente é stata da me sempre vista come modello dell’uomo politico e delle qualità che deve possedere: competenza, passione, senso di responsabilità, lungimiranza strategica e slancio etico. Piersanti Mattarella, infatti, riuscì nella sua azione politica a riassumere queste virtù, consapevole degli effetti che la sua azione avrebbe potuto produrre in una terra difficile come la Sicilia. Ma sarà sempre necessario che per amore della propria terra in Sicilia si debba mettere a rischio anche la vita? La risposta che diede Mattarella, e prima e dopo di lui molti altri, fu un semplice e tragico “sì”. Il “sì” che segna la tragedia di chiunque ami fino in fondo questa Sicilia, sognandola, come la sognava Piersanti Mattarella, libera e felice, fiera di vivere senza mafia, senza violenze e sopraffazioni.

Grazie.

 

Inspensabile gestione dei conti pubblici trasparente, attenta, rigorosa e scrupolosa

Autorità, gentili ospiti,

sono particolarmente lieto di ospitare presso il Senato la presentazione del rapporto 2014 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti. Desidero anzitutto ringraziare il Presidente Raffaele Squitieri e l’intera Magistratura contabile per il fondamentale contributo tecnico che offre, anche con questo appuntamento, al dibattito politico e parlamentare. Ogni ordinamento democratico contempla la presenza di un organo di rilievo costituzionale, autonomo e indipendente rispetto al Parlamento e al Governo, che vigili sulla corretta gestione delle risorse pubbliche, sul rispetto degli equilibri finanziari nonché sulla regolarità, efficacia ed efficienza dell’azione della pubblica Amministrazione.

Questa funzione di supremo controllore, imparziale e terzo, dell’attività pubblica e dell’impiego delle pubbliche risorse è un elemento essenziale per la democrazia, perché ha l’obiettivo di accrescere la trasparenza e l’efficienza dell’Amministrazione – in modo da assicurare la miglior qualità dei servizi resi ai cittadini – nonché di esercitare in modo puntuale e rigoroso la giurisdizione di responsabilità. Ho sempre ritenuto che l’etica della responsabilità sia fondamentale per una democrazia: ciascun amministratore, ciascun politico, deve essere consapevole che le sue decisioni e le sue azioni hanno ricadute, positive e negative, su tutti i cittadini, attuali e futuri. Oggi più che in passato – anche in considerazione del quadro degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea – è necessaria la massima accortezza nell’impiego delle risorse economiche, la massima severità nei casi in cui la Corte accerti il danno erariale, la massima sollecitudine per il recupero delle somme  alle casse dello Stato: è indispensabile una gestione dei conti pubblici trasparente, attenta, rigorosa e scrupolosa.

Mi ha fatto davvero piacere vedere quest’anno la Corte dei Conti, insieme alle scuole di tutta Italia, sulla nave della legalità, e che abbia colto questa occasione per la premiazione di un concorso fatto in collaborazione con il Miur e rivolto agli studenti. Il tema scelto è stato lo “spreco”: ai ragazzi è stato chiesto di fare una mappatura delle opere pubbliche incompiute. Lasciatemi dire che questa iniziativa ha davvero un valore importante, non solo a livello di impegno e contenuti per gli studenti ma anche a livello simbolico: le giovani generazioni ci consegnano una “mappa della vergogna” che deve essere di monito per tutte le istituzioni.

Nella fase negativa del ciclo economico, che stiamo ancora attraversando, e in un momento in cui sono ancora molte le incertezze sulla forza della ripresa che pur si va configurando, è essenziale ricreare un clima di fiducia nelle Istituzioni e nella loro capacità di operare al servizio e nell’interesse esclusivo della collettività. Solo così è possibile ricostruire la fiducia dei cittadini nella nostra capacità di crescita. Poi, una volta entrati nella fase espansiva del ciclo economico sarà dovere dei decisori pubblici cogliere le opportunità di risanamento della finanza pubblica. Opportunità che altri Paesi hanno saputo cogliere – dimostrando una lungimiranza maggiore della nostra – nel precedente ciclo espansivo, da cui è conseguita la possibilità di attutire gli effetti negativi della attuale crisi.

Solo garantendo una corretta gestione delle risorse pubbliche ed un effettivo equilibrio finanziario e di bilancio è possibile assicurare ai cittadini i diritti garantiti dalla nostra carta costituzionale e, di conseguenza, parlare di democrazia nel senso più compiuto del termine. Ringrazio pertanto il Presidente Squitieri e tutti i relatori: sono certo che anche quest’anno il rapporto offrirà spunti di riflessione particolarmente interessanti ed utili in questa fase di dibattito sulla gestione e il controllo dei conti pubblici.

Grazie

 

Presentazione del rapporto 2014 della Corte dei Conti

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Sarà il saluto del Presidente del Senato, Pietro Grasso, ad aprire i lavori di  presentazione  del  ‘Rapporto  2014  sul  coordinamento  della  finanza pubblica della Corte dei Conti’. Il  convegno  si  terrà domani, mercoledì 4 giugno, alle ore 11, nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. Presiederà e concluderà i lavori Raffaele Squitieri, Presidente della Corte dei Conti.E’  prevista  l’introduzione di Enrica Laterza, Presidente di coordinamento delle  Sezioni  riunite  in  sede  di  controllo. Presenterà il Rapporto il Consigliere  Enrico Flaccadoro.

Sono previsti gli interventi di Pier Carlo Padoan, Ministro dell’Economia e Finanze;  di Graziano Delrio, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei  Ministri;  Gaetano  Quagliariello,  Coordinatore  Nazionale  del Nuovo Centro Destra; Debora Serracchiani, Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia;  Enrico  Rossi,  Presidente della Regione Toscana; Attilio Fontana, Sindaco di Varese.

Cittadini in Senato il 2 Giugno

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Sarà il Presidente del Senato, Pietro Grasso, a salutare i cittadini presso il  Centro  inform@zione  e  a guidare i visitatori nel percorso di Palazzo Madama  e  di  Palazzo  Giustiniani.  Appuntamento alle ore 11,30 a Palazzo Madama.

A  Palazzo  Madama  (ingresso  da  Piazza Madama 1), i visitatori, lungo il percorso,   dal  Cortile d’onore, alle Sale Maccari, Garibaldi e Postergali passando  per la Sala dello Struzzo, troveranno postazioni multimediali che illustreranno,  i  luoghi,  la storia e le attività svolte per il pubblico, soprattutto  per  le  scuole  e  gli  studenti,  e  gli  strumenti  messi a disposizione dei cittadini per conoscere i lavori parlamentari. Durante la visita sarà anche possibile assistere all’esibizione musicale di un gruppo di studenti del Liceo scientifico ad indirizzo musicale Farnesina di  Roma  come  testimonianza  delle  numerose  attività  di  accoglienza e formazione che il Senato rivolge al mondo della scuola. Inoltre,  in  occasione  dei  90  anni dell’Istituto CinecittàLuce, saranno istallati dei ‘Punti Luce’ con la proiezione di filmati d’epoca riguardanti la storia di questo ramo del Parlamento.

A  Palazzo  Giustiniani  (ingresso  da Via della Dogana Vecchia 29) saranno aperti  al  pubblico la Sala Zuccari, la Sala della Costituzione dove venne firmata la Carta Costituzionale della Repubblica Italiana e il Salone degli Specchi. Il Centro in-forma@zione (via della Maddalena 27), come di consueto resterà aperto  e trasmetterà sui propri schermi le manifestazioni del 2 giugno e i filmati  sui  Palazzi del Senato. Ai visitatori sarà donata una copia della Costituzione  italiana, nel testo vigente e nella forma di copia anastatica dell’originale del 1947.

Le visite non prenotabili sono curate da personale del Senato.

Lezioni di Costituzione. Giovani energia alla democrazia

Intervento a conclusione dell’iniziativa Lezioni di Costituzione

Un sentito ringraziamento alla Presidente Boldrini, che ci ospita in quest’Aula, alla Ministra per l’istruzione, l’università e la ricerca, Stefania Giannini, e a tutti coloro che si sono adoperati per la realizzazione di questo progetto.

 Care ragazze e ragazzi, docenti tutti,

Sono davvero felice che voi siate qui, che abbiate passato due giorni all’interno del Senato e della Camera, che ormai potete considerare davvero casa vostra, e voglio farvi arrivare forte e chiaro il mio messaggio di plauso ed i miei più sinceri complimenti  per il serio e impegnativo percorso di approfondimento, svolto sulla legge fondamentale della nostra comunità nazionale: la Costituzione.

Avete affrontato temi di grande interesse – dalla tutela del patrimonio artisticoambientale al diritto al lavoro, dall’accoglienza allo straniero alla lotta contro la violenza di genere – con la vostra creatività, con i mezzi più diversi, dandoci idee che solo voi, animati dal vostro entusiasmo, potevate avere. Ma vi è un’idea che anch’io voglio contribuire a richiamare alla vostra attenzione: la legalità.

Cultura della legalità è qualcosa di più della semplice osservanza delle leggi, delle regole; è un sistema di principi, di idee, di comportamenti, che deve tendere alla realizzazione dei valori della persona, della dignità dell’uomo, dei diritti umani, dei principi di libertà, eguaglianza, democrazia, mirabilmente enunciati nella Costituzione, che devono però trovare costante attuazione come metodo di convivenza civile, come un patrimonio insostituibile da difendere e da rafforzare da parte di tutte quante le componenti sociali e da voi in particolare.

Eppure oggi dilagano facilmente passioni tristi: la frenesia di arricchirsi a qualunque costo, la passione degli affari e del lucro, la ricerca del benessere e dei godimenti materiali, la rassegnata attesa dell’eroe, del leader, che risolva d’un sol colpo i nostri problemi, la cura esclusiva del proprio interesse particolare da parte dei cittadini e talvolta, ahimè, anche da parte delle istituzioni, realizzando il paradosso di “società democratiche ma non libere”. Il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, con un immagine fascinosa, raffigura la democrazia come un compito mai finito, un processo in continuo svolgimento: non un abito esteriore di regole, ma un atteggiamento interiore che dà corpo alle istituzioni. Non c’è democrazia, afferma, senza un ethos conforme e diffuso; la più democratica delle costituzioni è destinata a morire, se non è animata dall’energia che è compito dei cittadini trasmetterle.

Dovrete essere voi a dare nuova energia alla nostra democrazia e alle istituzioni con la cultura della partecipazione, della trasparenza e della responsabilità, riavvicinandovi alla politica, facendola vostra, portando dentro i partiti, dentro i movimenti, i giornali, le imprese, il vostro entusiasmo e i vostri valori, e pretendendo l’impegno di tutti i cittadini onesti che, non dimenticatelo mai, sono molti di più dei criminali, sono tanti, e insieme possono essere la vera forza di cambiamento.

L’impegno quotidiano di ciascuno di noi, nelle aule scolastiche così come nelle aule parlamentari, serve a garantire alle future generazioni la possibilità di vivere in un Paese con questi stessi ideali e valori. L’educazione è l’investimento più vantaggioso per un Paese, un investimento che produce diritti e opportunità. Per questo auguro a voi, ragazze e ragazzi, di avere il coraggio di creare e difendere, ogni giorno e in ogni occasione, un orizzonte culturale che ponga al centro i valori della carta costituzionale. Nello stesso tempo vi auguro di saper riconoscere e cogliere ogni opportunità che la vita vi darà, perché, se la lascerete sfuggire, ci vorrà molto tempo prima che si possa ripresentare. Mi viene in mente la preghiera di Tommaso Moro: “Signore dammi la forza di cambiare le cose che posso modificare, la pazienza di accettare quelle che non posso cambiare e la saggezza per distinguere la differenza tra le une e le altre.”

Un adulto come me, d’altro verso, può imparare tanto da ragazzi come voi: a gioire e a stupirsi di cose semplici, a vivere l’entusiasmo e a chiedersi tanti perché, a reagire alle prepotenze e ad indignarsi di fronte alle ingiustizie, a credere nelle proprie idee e soprattutto a coltivare la speranza di cambiare il mondo e di veder realizzati i propri desideri, i propri sogni. Senza che vi abbattiate una cosa posso dirvela: andrete incontro a sonore sconfitte, a momenti di sconforto, di delusione. Cancellate dal quaderno della vostra vita le parole: ansia, insicurezza, menzogna. E scrivete, al loro posto, una sola parola: coraggio. Non fatevi fermare dagli ostacoli. Andate avanti. Non perdete di vista i vostri obiettivi. Siate come l’acqua! L’acqua di un fiume fragile e zampillante alla sorgente che fluisce tra gli ostacoli che incontra, che accetta, senza lagnarsi, che le pietre traccino il suo cammino, che si crea le sue, talvolta dolorose, anse, ma che acquista a

poco a poco la forza degli altri fiumi che incontra, che può anche scomparire, diventando un fiume carsico sotterraneo, per poi riemergere, ma senza perdere mai di vista il proprio obiettivo: il mare. Se ci guardiamo indietro tanti obiettivi sono stati raggiunti e tanti muri, tante barriere, tanti pregiudizi sono stati superati. Venivamo da venti anni di dittatura quando ragazze e ragazzi poco più grandi di voi, con idee tra loro anche molto diverse, scelsero di dare vita alla lotta partigiana: da lì nacque la nostra Costituzione.

Pochi anni più tardi su un autobus, negli Stati Uniti, una donna di colore, stanca dopo una dura giornata di lavoro, decise di non alzarsi e di non lasciare il suo posto ad un bianco. Pensate: Rosa Parks venne arrestata per questo. Quello che non si arrestò però fu il movimento dei diritti civili che nacque quel giorno e che portò dopo pochi mesi a dichiarare incostituzionale la segregazione razziale. Quel movimento era guidato da un pastore protestante, Martin Luther King, l’uomo che scolpì nella storia una frase: Io ho un sogno. Il suo sogno era racchiuso in poche parole: tutti gli uomini sono uguali. Esattamente quello che è scritto nell’articolo 3 della nostra Costituzione.

Dom Helder Cãmara, chiamato “il vescovo delle favelas” o anche “il vescovo rosso”, una volta disse: “Se uno coltiva dentro un sogno che non condivide con gli altri, il suo resta “solo un sogno”. Ma se molti hanno lo stesso sogno, allora lì comincia a nascere qualcosa di concreto, di vero, di reale”.

Per questo vi chiedo di sognare in grande, e di sognare insieme: solo così, con la forza della vostra onestà e delle vostre idee, potremo sperare di rendere migliore questo nostro, straordinario Paese.

 

Grazie

Adesione a Italia Paradiso

Messaggio ai promotori del Manifesto “Italia Paradiso” e delle iniziative “Sardegna chi_ama”

“Gentili  Direttori,  vi  ringrazio  per  l’invito  ad aderire al Manifesto ‘Italia  Paradiso’  per la tutela e la promozione del territorio italiano”.

E’  quanto  si  legge  nel  messaggio  che il presidente del Senato, Pietro Grasso,  ha  inviato  a  Paolo Fresu e Alessandro Delpiano, rispettivamente direttore  artistico e direttore scientifico del progetto “Sardegna chi_ama –  Musica  e cultura per ri_costruire il futuro”, in occasione degli eventi previsti  a  Cagliari il 30 e 31 maggio in favore delle popolazioni colpite dall’alluvione dello scorso novembre.

“La  frase  del  grande  scrittore  e poeta argentino Jorge Luis Borges ‘La terra  è  un  paradiso  e l’inferno è non accorgersene’, da cui è tratto il titolo  del  Manifesto,  nasconde  una  saggezza  profonda.  Ci fa capire – aggiunge il presidente Grasso –  cosa dobbiamo e possiamo fare, istante per istante,  dovunque  ci  troviamo.  Ciascuno  di  noi,  secondo  le  proprie possibilità,  capacità  e competenze, si deve impegnare quotidianamente per promuovere,  riqualificare, tutelare e valorizzare la meravigliosa bellezza del  nostro  paesaggio e delle nostre città: troppo spesso sembra quasi non sia  compito  nostro tutelare la nostra terra, tra abusi edilizi e dissesto idrogeologico,  mentre  averne cura significa soprattutto difenderla. Anche alla luce dei recenti e tragici eventi catastrofici che hanno colpito molte zone del nostro straordinario Paese, il mio auspicio è che le politiche per il  governo  del  territorio  possano  diventare  una  priorità  assoluta e imprescindibile  per  uno sviluppo sostenibile, perché da questo dipende il destino dell’uomo”.

“Certo  che  il  convegno  ‘Riflessioni  e  politiche  per  il  governo del territorio’  e  il  concerto  in  favore  delle  popolazioni  sarde colpite dall’alluvione,  che  si  terranno a Cagliari rispettivamente il 30 e il 31 maggio  prossimi,  otterranno il meritato successo – conclude il Presidente del  Senato  – colgo l’occasione per porgere a tutti gli intervenuti i miei più cordiali saluti”.

40esimo anniversario della strage di piazza della Loggia

Messaggio al sindaco di Brescia, Del Bono

Caro Sindaco, nel quarantesimo anniversario della strage di Piazza della Loggia mi preme rivolgere un sincero e commosso pensiero per le otto vittime e le centinaia di feriti di questa buia pagina della storia del nostro paese, per le loro famiglie e per tutta la comunità bresciana. La vostra città è stata ferita e ancora aspetta la verità, storica se non giudiziaria. Ma, nonostante il passaggio inesorabile del tempo, non deve mai venire meno la fiducia nella ricerca della verità, né deve interrompersi la battaglia civile per ottenerla, come quella che continuano a portare avanti i familiari delle vittime. Tenere vivo il ricordo collettivo di questa data è fondamentale, specialmente per i giovani, perché consente di continuare con più forza, tutti insieme, la lotta contro ogni manifestazione di violenza e contro l’oblio. Con questa convinzione, rivolgo un cordiale saluto a lei, all’associazione dei familiari delle vittime e a tutta la cittadinanza bresciana.

Ipotesi di lavoro, l’audiolibro dedicato a Giorgio La Pira

Cari amici,

è con vivo piacere che partecipo, oggi, alla presentazione dell’audiolibro “Ipotesi di lavoro” dedicato a Giorgio La Pira. Ringrazio la Caritas  e la Rete Europea Risorse Umane per l’invito ad essere oggi qui con voi e per l’impegno dedicato a questo importante progetto. Giorgio La Pira spicca, per statura culturale e morale, tra le figure più significative del secolo scorso. Il convinto impegno antifascista, la testimonianza in favore della pace tra i popoli, la fede cattolica e l’insostituibile apporto in sede di assemblea costituente sono solo alcuni degli aspetti della sua straordinaria esperienza umana, spirituale e politica.

Giovanni Paolo II lo ha definito una “figura esemplare di laico cristiano”, indicandolo come modello per tutti i sindaci d’Italia. Con il suo impegno di amministratore, come Sindaco di Firenze, ha dimostrato la possibilità di attuare gli ideali più alti e nobili nella dimensione concreta della vita dei cittadini. La profonda religiosità che lo animava ha sostenuto la sua azione sociale e politica, ispirata agli ideali di pace, dialogo e solidarietà. Ha difeso con energia i più deboli, i senza tetto, i disoccupati. Sempre fedele a se stesso e ai suoi ideali, nei suoi scritti rivela tutta la forza e l’attualità di un contributo, umano e civile, che continua ad essere un punto di riferimento per tutti noi.

Ieri sono stati eletti decine di nuovi sindaci, altri li andremo a eleggere fra pochi giorni al ballottaggio. Ecco, sarebbe davvero bello se questi neo eletti vedessero in Giorgio La Pira il loro modello. Voglio leggere alcuni estratti da quegli appunti che costituiscono la quintessenza del modello di amministratore che era La Pira:

“Signori, io dico a voi, chiunque voi siate: se voi foste sfrattati? Se l’ufficiale giudiziario buttasse sulla strada voi, la vostra sposa, i vostri figli,   i vostri mobili, voi che fareste?È possibile che un Sindaco, di qualunque parte sia, se ne resti indifferente davanti a tanta cruda sofferenza? Non si sbaglia mai quando si sbaglia per eccesso di generosità e di amore: si sbaglia sempre, invece, quando si sbaglia per difetto di comprensione e di amore! Ebbene, io ve lo dichiaro con fermezza fraterna ma decisa: voi avete nei miei confronti un solo diritto: quello di negarmi la fiducia! Ma non avete il diritto di dirmi: signor Sindaco non si interessi delle creature senza lavoro (licenziati o disoccupati), senza casa (sfrattati), senza assistenza (vecchi, malati, bambini, ecc.). È il mio dovere fondamentale questo: se c’è uno che soffre io ho un dovere preciso: intervenire in tutti i modi con tutti gli accorgimenti che l’amore suggerisce e che la legge fornisce, perché quella sofferenza sia o diminuita o lenita. Altra norma di condotta per un Sindaco in genere e per un Sindaco cristiano in ispecie non c’è!” 

Potete immaginare che sarebbe il nostro Paese se questo spirito fosse pienamente condiviso da ciascun amministratore, funzionario pubblico, politico, cittadino. Mi sento di dire che vivremmo in un Paese completamente diverso. Quando ho letto il copione dell’audiolibro, vi confesso, ho avuto alcuni momenti di forte emozione, cogliendo come un’eco di miei pensieri e riflessioni che spesso ho voluto condividere, soprattutto di fronte a platee di giovani. Due soprattutto: l’idea che le nuove generazioni siano portatrici di utopie, anzi, per usare le parole di La Pira, dell’ “epoca storica cioè nella quale l’«utopia» viene, in certo modo, trascritta nella storia;[…] esse (ovvero le generazioni nuove) si muovono verso il continente storico nuovo della speranza, dell’unità, della giustizia, della bellezza, della grazia e della pace”.

Ne sono, forse ingenuamente, pienamente convinto. Ricordo quanto mi diceva un mio vecchio professore di storia e filosofia: la qualità più importante che possiedono i giovani oltre all’entusiasmo è l’ingenuità. Alla mia richiesta di chiarimenti, mi spiegò: vedi i giovani, non ancora dotati del tipico scetticismo degli anziani, credono, nella loro ingenuità, che i loro sogni, le loro utopie siano realizzabili e ciò costituisce l’unica speranza che riescano a realizzare quelle cose che per il resto dell’umanità appaiono impossibili. L’altra immagine che mi ha colpito per risonanza è quella del fiume: io la uso per spiegare ai ragazzi che il percorso della vita è imprevedibile, che ci sono momenti di difficoltà, momenti in cui siamo costretti a cambiare percorso – La Pira dice “attraverso frequenti e spesso dolorose anse” -, momenti in cui il fiume sembra sparire, si fa carsico, ma non perde mai il proprio obiettivo: il mare. Lui usa la stessa immagine allargando i confini della metafora fino a renderli quelli più vasti della storia dei popoli.

L’ultimo passo che voglio ripercorrere qui con voi è forse quello che mi ha toccato di più. Giorgio La Pira, un uomo di grande cultura e di grandi esperienze, dice di se stesso:

“Ho attraversato varie volte con vario affanno i sotterranei del pensiero: ho bussato a molte porte, come un povero mendicante, per avere pane di sapere, ho rifatto mille strade, mille mondi, ho amato mille cose” 

Quanta umiltà in queste parole: “ ho bussato a molte porte, come un povero mendicante, per avere pane di sapere”! Noi invece viviamo in un’epoca in cui la frase che sentiamo più di frequente, soprattutto nei dibattiti pubblici, è “non accetto lezioni”: esattamente l’opposto. Eppure quanto avremmo bisogno di lezioni, di maestri, di testimoni, di confronto, di scambio e di apertura verso gli altri. Quanto sarebbe utile se tutti fossimo più disposti a confrontarci, a mettere in discussione i nostri pregiudizi, ad allargare i nostri orizzonti. Credo che grazie a questa opera, che ci ricorda Giorgio La Pira nella sua dimensione pubblica e istituzionale, ma anche in quella più intima e spirituale, potremo comprendere meglio la sua straordinaria figura di politico e cattolico, e forse questo ci aiuterà a capire meglio noi stessi. L’audiolibro ci offre un intenso ed emozionante viaggio nel suo pensiero e nelle sue opere. Ascoltare le parole di Giorgio La Pira, lette da attrici e attori di straordinario talento, ci aiuterà a coltivare i valori che hanno ispirato la sua vita e a mantenere vivi i suoi preziosi insegnamenti.