Il Ddl Pillon va ritirato

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Intervento durante la conferenza stampa del 26 febbraio 2019 “Ddl Pillon: un pericoloso attacco ai diritti di bambini e donne. A che punto siamo e perché va ritirato”

Care amiche, cari amici,
ringrazio davvero di cuore le colleghe Emma Bonino e Valeria Fedeli per avermi invitato oggi a questo incontro sul Ddl Pillon e per aver voluto mettere insieme esponenti di diversi gruppi parlamentari, uniti però da un pensiero comune: quel testo è inemendabile, va ritirato perché è pericoloso sotto il profilo culturale prima che sotto quello normativo.
Io capisco e apprezzo le iniziative che favoriscono la possibilità per ciascun genitore di contribuire in maniera positiva all’educazione e alla crescita dei propri figli. Diventa difficile farlo quando si umiliano le donne e i minori: questa riforma alimenterà le disuguaglianze e le discriminazioni di genere, ridefinendo i rapporti familiari totalmente a favore degli uomini; sottrarrà alla prudente ed insostituibile valutazione del giudice una materia complessa e delicata come quella del diritto di famiglia; cancellerà gli assegni di mantenimento e “premierà” il coniuge economicamente più forte, con buona pace della realtà. Si nega infatti il gap che c’è (e che dobbiamo combattere) tra i salari delle donne e quelli degli uomini, oltre che delle difficoltà che una donna deve affrontare nel mercato del lavoro, soprattutto quando diventa madre.

Con l’introduzione del mantenimento diretto si fa passare poi l’idea che il genitore economicamente più debole utilizzi il contributo economico al mantenimento del minore corrisposto dall’altro genitore per finalità personali. Si dà liceità giuridica ad una serie di stereotipi e pregiudizi come quello per cui una donna accusa falsamente di violenza il partner per avere benefici nelle cause civili di separazione e divorzio e che, quindi, usi i propri figli come “strumenti di ricatto” nei confronti degli ex compagni. Immaginate come cambierebbe rapidamente l’approccio nei numerosissimi casi di violenza domestica e di genere che riempiono le cronache del nostro Paese!

Anche l’approccio al minore è totalmente rivoluzionato: obbligo di dividere il loro tempo a metà con ciascun genitore a prescindere e il doppio domicilio lo trasformano da soggetto centrale in mero oggetto da dover dividere equamente tra i genitori.

Il Ddl Pillon è un orribile tassello di una regressione più vasta, in parte consapevole in parte, ed è persino peggio, inconscia. Si stanno muovendo, ormai da tempo, le peggiori spinte reazionarie e maschiliste, insieme a quelle razziste e omofobe.

L’attacco ai diritti delle donne viene infatti da più parti: si è arrivati anche a mettere in discussione la Legge 194, e tra i critici figurano il nuovo presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, e l’attuale ministro della Famiglia Fontana – quello per cui le famiglie arcobaleno non esistono.

Hanno provato a sbandierare come una conquista per le donne una maggiore flessibilità del congedo di maternità, senza considerare quanto spesso più flessibilità significhi più spazio per i ricatti sul posto di lavoro; stanno conducendo una battaglia contro la fantomatica “ideologia gender”, nome evocativo, quasi uno spauracchio con il quale si è voluto ammantare di pericolo quella che è una necessaria educazione alle differenze e al rispetto reciproco; con le più diverse scuse, poi, molte amministrazioni, a partire da quella romana, stanno rendendo impossibile la vita alle Case delle donne, punti di ritrovo e di rifugio per tutte coloro che subiscono violenza di genere. D’altro canto non stanno facendo nulla per prevenire i femminicidi e le violenze in generale, a meno che non si voglia dare armi ogni ragazza e ogni donna con la scusa della “legittima difesa” dicendo: vedetevela da sole.

Per me, l’ho ripetuto molte volte, ogni condotta che mira ad annientare una donna nella sua identità e libertà – non soltanto fisicamente, ma anche nella sua dimensione psicologica, sociale e lavorativa – è una violenza di genere. Lo ripeto ogni volta perché sia chiaro di cosa stiamo parlando. E’ una battaglia lunga, difficile, che dobbiamo fare insieme, uomini e donne, ogni giorno: nelle piazze, in famiglia, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, ovunque; anche in Parlamento dove combatteremo questa proposta per altro assegnata in sede redigente. Chiederemo la referente perché un provvedimento così non può non essere approfondito ed emendato radicalmente anche in Aula.

Il clima, già pesante, sta peggiorando. Per usare le parole dell’ancella Difred, in quel meraviglioso racconto che da distopia rischia di essere profezia, “in una vasca che si scalda poco a poco, finiremo bolliti senza accorgercene”. E l’acqua inizia a scottare.

Attivisti 5 Stelle, fatevi sentire!

Cari attivisti 5 Stelle, stanno cercando di scaricare su di voi la responsabilità di rinnegare i valori del Movimento e salvare un ministro da un processo.
Non si tratta di decidere se Salvini sia innocente o colpevole, ma solo se debba essere processato, come tutti i cittadini, o salvato in quanto Ministro. Ma non eravamo tutti uguali davanti alla legge? Uno non vale più uno?

Pur di salvare le poltrone si sono inventati il “Lodo Giarrusso”, non vi ricorda qualcosa del passato contro cui vi siete battuti?
Su Rousseau vi hanno raccontato una favoletta, parlano di “ritardo” e non di “sequestro”, hanno scritto un quesito al contrario tanto che anche Beppe Grillo lo ha criticato: stanno cercando di decidere per voi, quando potevano tranquillamente decidere da soli. Anzi: dovevano, perché solo loro possono davvero leggere le carte!

Il punto in questo caso non è la linea politica, ovvero il contrasto all’immigrazione, ma i mezzi che Salvini ha utilizzato.
Votando contro l’autorizzazione a procedere si crea un grave e pericoloso precedente, che mina nel profondo il senso stesso della nostra democrazia, che va contro i valori della Costituzione, contro i diritti inviolabili della persona.

Pensateci bene. Oggi vale per i naufraghi sulla nave Diciotti, e domani? Un futuro ministro dell’Interno, per un presunto fine politico di sicurezza nazionale, potrà con lo stesso principio chiudere dentro una scuola, una caserma o uno stadio, cittadini italiani e stranieri.
Col diritto e coi diritti fondamentali non si scherza.
Vi stanno prendendo in giro, fatevi sentire!!!

Intervento sulla crisi in Venezuela

Presidente, Ministro Moavero, Colleghi,

la ringrazio per aver informato quest’Aula sui propositi del Governo rispetto alla crisi venezuelana. Abbiamo ascoltato con grande attenzione le sue parole e vogliamo credere che esse rappresentino davvero la posizione del Governo. Nei giorni scorsi, come spesso accade, diversi esponenti della maggioranza hanno espresso, infatti, posizioni diverse, in certi casi contraddittorie. La politica estera dell’Italia merita un comportamento più serio, maggior prudenza nelle dichiarazioni e una linea condivisa almeno a livello di Governo. Per non parlare delle quasi dichiarazioni di guerra a Germania, Francia e Olanda ma soprattutto di quelle sull’impegno dei nostri militari, che non possono e non devono essere esposti a maggiori rischi per le beghe di una maggioranza traballante. Voglio approfittare di questa occasione per far giungere al presidente Conte la mia sincera solidarietà: piuttosto che governare il Paese il presidente del Consiglio sembra costretto a passare la maggior parte del suo tempo a riconciliare le litigiose fazioni della sua maggioranza o a proporsi come scudo per responsabilità altrui.

Seguiamo con apprensione l’evoluzione di una situazione di grande tensione. L’aggravarsi del braccio di ferro tra Nicolas Maduro e Juan Guaidò sta portando il Paese nel caos, mentre il popolo venezuelano è già profondamente sfiancato da condizioni economiche e sociali davvero drammatiche, con carenze di cibo, medicine e acqua e decine di morti a seguito delle proteste.

Noi riteniamo che l’Italia, di concerto con i Paesi dell’Unione Europea e in conformità con il diritto internazionale, debba a questo punto promuovere ogni iniziativa diplomatica utile ad evitare che su questa crisi si consumi uno scontro di natura geopolitica e geoeconomica che nulla a che fare con la vera urgenza di queste ore: evitare una guerra civile, scongiurare spargimenti di sangue, nel supremo interesse di tutti i cittadini venezuelani, tra cui molti di origine italiana.

Bisogna ricondurre lo scontro dentro i limiti della legittimità democratica, lavorare affinchè siano i cittadini, mediante nuove elezioni, a scegliere autonomamente il futuro del proprio Paese.

Noi crediamo che la comunità internazionale debba accompagnare questa fase attraverso osservatori internazionali che vigilino sul corretto svolgimento di nuove elezioni da convocare il prima possibile, attraverso il negoziato e la diplomazia, evitando che gli ultimatum si risolvano in occasioni di violenza fratricida. Come opposizione sosterremo lealmente il Governo Italiano su questa prospettiva; chiediamo contestualmente a lei, Ministro Moavero, di riferire tempestivamente al Parlamento le iniziative che ella vorrà intraprendere per tutelare la comunità italiana che vive in Venezuela.
Grazie.

Con Calenda e i vari orticelli la sinistra sparirà

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Intervento pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 26 gennaio 2019

Il pregio del Manifesto di Calenda è aver aperto un dibattito; il difetto averlo impostato su presupposti confusi e discutibili. Un fronte indistinto – che lui definisce liberal-democratico – in una competizione proporzionale sarà facile bersaglio della propaganda gialloverde, facendo loro il regalo di trasformare le elezioni europee in un referendum sull’Europa.

Da giorni ripete “no a quelli Leu”, eppure tra i promotori c’è Enrico Rossi, fondatore di Mdp, che con altri ha dato vita a LeU. Sostiene poi che debba essere escluso chi cerca alleanze nazionali con Lega o M5S. LeU non ha questa intenzione, ma ritengo sia stato un errore politico grave non avviare dopo le elezioni un dialogo col M5S: per vedere le carte di un possibile bluff e per non consegnare larga parte di elettorato grillino alla Lega, come è avvenuto (stessa posizione di Martina, altro entusiasta firmatario).

Vista la stima che nutro per Calenda voglio rassicurarlo: non aderirò al suo manifesto.

Nella carta dei valori di Liberi e Uguali c’è un concetto a me caro: cambiare il mondo, non aggiustarlo. È indubbio che il centrosinistra, in Italia come in Europa, abbia adottato ricette neoliberiste: in una spirale perversa la politica è stata sopraffatta dall’economia e questa, a sua volta, dalla finanza. Il risultato ci mostra cittadini indifesi di fronte alla ricchezza e al potere di pochi. Calenda denuncia le diseguaglianze e invoca nuove politiche per la crescita e lo sviluppo, ma avendo avuto ruoli importanti negli anni, dal sostegno all’agenda Monti ai successivi incarichi, l’autocritica non basta ad assegnare patenti di novità, eventualmente di trasformismo. Bastano gli esempi dell’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio, l’acquiescenza ai diktat tecnocratici sull’austerità e il Jobs Act. Puntare poi, come si afferma nel manifesto, sugli Stati Uniti d’Europa significa puntare su un’Europa degli Stati nazionali.

La mia critica all’attuale assetto dell’eurozona parte da qui, da qui l’impegno per una radicale trasformazione dell’Unione, a partire dal modello intergovernativo e dalla revisione dei Trattati. Il primo obiettivo è un welfare comunitario: abbiamo la stessa moneta, regole e istituzioni comuni, dovremmo quindi prenderci cura insieme di chi rimane indietro, per affrontare le diseguaglianze ma soprattutto per redistribuire una ricchezza che tutti concorrono a produrre e di cui pochi godono. Occorre mettere in discussione anche l’assetto attuale delle famiglie europee, essere lievito in ciascuna di esse e coltivare l’ambizione di costruire un’unica sinistra, in Italia e in Europa.

Tra le sinistre c’è chi, da anni, si è uniformato alle ricette liberiste e alle politiche economiche di destra, e chi è rimasto legato alla sola testimonianza, con un impegno encomiabile sul piano personale ma non efficace su quello collettivo.

Come noto, nonostante il deludente risultato, continuo a credere che LeU debba trasformarsi in partito: una forza, indipendentemente dal nome, che abbia consapevolezza della complessità dei problemi e dirigenti non compromessi col passato. E’ fondamentale organizzare esperienze politiche e civili che mettono al centro della loro azione libertà e uguaglianza, ma tutto si ferma per tentazioni dirigistiche, personalismi, e tatticismi.

Si diceva “ognuno guarda il proprio orticello”: ora molti si affannano a curare solo la piantina sul proprio balcone. Penso onestamente che la “nuova forza rosso verde” (il cui ideologo ha già firmato con Calenda) sia velleitaria; non di meno dubito che la sinistra possa risorgere grazie a un nuovo cartello elettorale affidato alla visibilità di singoli individui. Non c’è alcun progetto di lungo respiro, nessuna prospettiva che vada oltre le urne.

Nessuno dei dirigenti attuali, me compreso, è all’altezza di questo compito: non servono i più giovani di una vecchia generazione ma – indipendentemente dall’età – una nuova classe dirigente. Servono parole d’ordine chiare sulle quali fondare non solo un partito ma una comunità e la prospettiva di un Paese migliore per cui battersi: istruzione gratuita fino alla laurea; patrimoniale sui grandi redditi; riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario; investimenti pubblici per creare lavoro e trasformare in senso sostenibile il nostro modello economico; difesa dei diritti; salvare le persone: non accettare la politica degli accordi coi torturatori libici, garantire accoglienza e integrazione in Europa.

Non vedo altro orizzonte possibile: con meno di questo la sinistra nel nostro Paese è destinata a scomparire, avendo lavorato alacremente alla propria estinzione.

Come lo Stato tutela testimoni e collaboratori di giustizia?

Question Time del 17 gennaio 2019

Nella notte tra il 25 e il 26 dicembre 2018 a Pesaro è andato in scena un agguato mafioso. Vittima Marcello Bruzzese, fratello del pentito di ‘ndrangheta Girolamo, inserito nel programma speciale di tutela dei collaboratori di giustizia. Un fatto gravissimo, mai accaduto prima, di cui il Senatore Grasso ha chiesto spiegazioni durante il question time del 17 gennaio 2019.

Oltre all’omicidio a Pesaro, anche altri recenti espisodi (gli agguati in Calabria, le bombe ad Afragola, l’esplosione della pizzeria Sorbillo, la latitanza di Matteo Messina Denaro), ricordano che le mafie – ancora tragicamente attive – non si cancellano con le promesse. E che i collaboratori e i testimoni di giustizia rimangono uno strumento irrinunciabile per il contrasto alla criminalità organizzata. Lo Stato dovrebbe tutelare chi decide di stare dalla parte della giustizia, e invece destina sempre meno risorse ai programmi di protezione, e non attiva il cambio di generalità del protetto e dei suoi familiari.

Come si tutelano, dunque, testimoni e collaboratori di giustizia? Questa la domanda rivolta al Ministro dell’Interno Matteo Salvini.

[su_accordion][su_spoiler title=”INTERROGAZIONE DEL SENATORE PIETRO GRASSO” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]

Il 25 dicembre nel centro di Pesaro si è consumato un agguato in puro stile mafioso che ha causato la morte di Marcello Bruzzese, sottoposto a speciale programma di protezione in quanto fratello di Girolamo Bruzzese, il quale nel 2003, dopo aver tentate di uccidere il capo della ndrangheta di Rizziconi Teodoro Crea, si costituì iniziando a collaborare con la giustizia e fornendo alla DDA di Reggio Calabria informazioni circa gli affari della cosca di Rizziconi, i suoi legami con l’imprenditoria e la politica locale, che portarono all’arresto di importanti esponenti del clan e allo scioglimento del consiglio comunale.
Dopo l’inizio di tale collaborazione vennero uccisi il suocero e uno zio del collaboratore: il fratello Marcello, già oggetto di un attentato nel 1995, era stato sottoposto sin dal 2003 ad un programma speciale di protezione e viveva a Pesaro con la sua famiglia in domicilio protetto procurato dal ministero dell’Interno. Dalle modalità dell’esecuzione risulta evidente che i sicari lo hanno aspettato mentre rientrava nell’abitazione, in teoria segreta, e lo hanno ucciso.
Sappiamo che le mafie non dimenticano, e che le vendette e le faide non hanno scadenza.

Quello che è accaduto a Pesaro è un fatto gravissimo e, per quel che risulta, senza precedenti. Sorprende il fatto che recentemente siano stati adottati provvedimenti di revoca di misure di protezione come per esempio aver tolto la scorta al Capitano Ultimo, provvedimento bloccato dal Tar, e all’imprenditore palermitano Vincenzo Conticello proprio quando i condannati da lui accusati hanno finito di scontare la pena e sono tornati in libertà.
Le chiedo Ministro come spiega che tutto ciò sia potuto accadere; se sia stata presa in considerazione l’attualità del pericolo di vendette trasversali a seguito delle dure condanne del 2017 al clan Crea; se ritiene adeguate le risorse umane e materiali per il Servizio centrale di protezione a fronte di un aumento della popolazione protetta del 26% rispetto al 2010; se erano stati disposti il cambio di generalità dei congiunti del collaboratore di giustizia, se erano stati forniti documenti di copertura o predisposto un polo di residenza fittizio per la posta e le notifiche;
quali iniziative il Ministro intenda adottare per garantire la massima protezione a quanti, siano essi collaboratori di giustizia, testimoni di giustizia, giornalisti, magistrati, esponenti politici, siano sotto la tutela dello Stato.

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[su_spoiler title=”RISPOSTA DEL MINISTRO MATTEO SALVINI” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]Ringrazio il Senatore Grasso per la domanda.
Al 31 dicembre 2018 risultano sottoposte speciali misure di protezione nel nostro Paese complessivamente 6.031 persone tra collaboratori di giustizia testimoni giustizia e loro familiari. Le relative attività come intuibile rivestono particolare delicatezza complessità e riservatezza la responsabilità in sede locale in ordine ai profili di tutela dei collaboratori di testimone di giustizia è affidata agli organi di polizia territorialmente competenti mentre i nuclei operativi protezioni articolazioni periferiche del servizio centrale di protezione sono preposte alla cura degli aspetti di assistenza e attualmente in corso una procedura di riorganizzazione del servizio centrale di protezione, come previsto dalla conversione del Decreto Sicurezza Immigrazione approvato lo scorso primo dicembre.
Al fine di assicurare al migliore razionalizzazione delle attività e la gestione separata dei testimoni e dei collaboratori di giustizia conto di riferire a quest’Aula il prima possibile appena tecnicamente parlando, gli uffici della polizia di Stato avranno concluso questo percorso.
Quanto l’omicidio di Marcello Bruzzese si informa che lo stesso era stato ammesso nel 2003 al piano provvisorio di protezione si era trasferito nel suo primo domicilio protetto una provincia di Pesaro Urbino nel 2008 e nell’ultimo dell’omicidio protetto è stato trasferito nel 2014. In merito a quanto accaduto esprimo ovviamente il mio personale rammarico e confido che le indagini in corso possano fare piena chiarezza e ne o discreta certezza. Sono molteplici le attività poste in essere ai fini della tutela e comunque sempre necessari alla ferma volontà da parte dei destinatari del programma di protezione di assumere tutte quelle forme di mimetizzazione nel contesto ove vivono che non consentano al loro disvelamento. In tal senso gli stessi protetti sottoscrivono apposito atto con cui si obbligano al rispetto delle norme comportamentali previste dalla legge di più ovviamente non possiamo imporre ai protetti. Nè Marcello Bruzzese nè il fratello hanno mai fatto richiesta di cambiamento delle generalità. Per quanto concerne i documenti di copertura Marcello Bruzzese li ha utilizzati fino al 2009 rinunciandovi poi per sua espressa volontà, mentre il fratello non ha mai proprio chiesto di usufruirne. Dal momento del trasferimento del predetto dei suoi familiari nella provincia di Pesaro Urbino non sono mai stati segnalati episodi e situazioni particolari dalle quali si potesse desumere un innalzamento dell’esposizione a rischio
L’attività investigativa successiva l’omicida è svolta dal comando provinciale dell’arma dei carabinieri Pesaro Urbino ed è tuttora in corso e coperta dal segreto.
Mi permetto di ricordare che la volontà di combattere ogni tipo di mafia presenta in Italia penso che riguardi tutta questa Aula e nel decreto sicurezza è previsto il raddoppio degli uomini dei mezzi delle risorse dei poteri a disposizione dell’agenzia nazionale per i beni confiscati e sequestrati ai mafiosi perché questo governo e penso tutto questo parlamento della lotta alla mafia fanno una loro priorità.
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[su_spoiler title=”REPLICA DEL SENATORE PIETRO GRASSO” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]

Le sue parole, signor Ministro, non possono essere considerate soddisfacenti.
(dopo la segnalazione della procura di Reggio Calabria del pericolo di vendette trasversali – testimone di Pasquale Inziteri, testimone e vittima di un tentato omicidio dopo pochi mesi dalla sentenza), due dovevano essere le possibili alternative: o cambiare il domicilio protetto del Bruzzese, o allertare l’autorità locale di sicurezza per adeguate misure di vigilanza nei confronti suoi e della sua famiglia)
Il rigoroso rispetto della regola dell’omertà – la legge del silenzio – è sempre stato fondamentale per garantire la segretezza dell’associazione, l’impunità dei suoi capi, degli affiliati e dei soggetti esterni collegati, e quindi la stessa sopravvivenza dell’intera struttura criminale.
Per questo i collaboratori e i testimoni di giustizia rimangono uno strumento irrinunciabile per il contrasto alle mafie: le loro rivelazioni hanno fatto naufragare piani di omicidio, salvato vite umane, fatto identificare beni da confiscare, gli autori di un numero impressionante di traffici illegali, di crimini gravissimi, tra cui le stragi in cui persero la vita Falcone, sua moglie, Borsellino, gli agenti delle scorte, le persone coinvolte nelle stragi di Firenze, Roma, Milano.

Un episodio come quello di Pesaro costituisce un vulnus difficilmente recuperabile nel sistema di protezione che può generare anche uno stallo nelle collaborazioni a tutto vantaggio delle mafie.
Solo l’impegno degli operatori del Servizio di protezione è riuscito a colmare le carenze degli organici, dei mezzi e delle strutture – ancora fermi al 2010 – in relazione ad un aumento esponenziale di circa il 26% delle persone protette. Le lentezze di una gestione burocratica, l’impossibilità di assicurare una efficace protezione possono provocare il fallimento del contrasto alla criminalità organizzata,
Le incaute affermazioni, me lo lasci dire signor Ministro, secondo cui le mafie saranno cancellate tra qualche mese o anno, contrastano con la realtà dei fatti, con l’episodio di Pesaro, con gli agguati in Calabria, con le bombe ad Afragola, con l’esplosione della pizzeria Sorbillo, con la latitanza di Matteo Messina Denaro, tutti segnali della loro funerea presenza e pericolosità.

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[su_spoiler title=”VIDEO” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]

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Se ci sono le possibilità bene dialogo con M5S

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Il video integrale del Forum Ansa

Manovra, se taglio 5mld è su servizi, danno per cittadini

Prese di posizione individuali non aiutano unità sinistra

Riforma processo penale, vogliono fare in 10 mesi quello che Vassali ha fatto in 10 anni

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Intervista rilasciata a Il Dubbio il 14 dicembre 2018

Per il ministro Bonafede il Dl Anticorruzione è un messaggio importante per i cittadini onesti, lei invece non sembra altrettanto entusiasta, avrebbe preferito che il testo fosse inserito in un contesto molto più ampio di riforma del processo penale. Cosa non la convince?

«Il problema è la prescrizione. Lo stesso disegno di legge, del resto, riconosce la necessità di una riforma organica del processo penale, visto che la sospensione della prescrizione dovrebbe entrare in vigore a partire dal primo gennaio del 2020, all’indomani di una fantomatica riforma del processo. Dico fantomatica perché nutro forti dubbi che questa maggioranza possa fare in 10 mesi quello che un insigne giurista come Vassalli ha fatto in 10 anni, anche se spero che ci si riesca».

Come andrebbe riformato il processo?

«Il nostro processo ha mantenuto tutte le garanzie del processo inquisitorio sommate a quelle dell’accusatorio. La verità è che oggi esistono due tipi di processo: uno documentale e garantito, in cui si può chiedere anche il rito abbreviato, nella prima fase delle indagini, e un altro, in dibattimento, in cui è tutto da rifare e il tempo viene scandito dai tempi della prosa orale e con tutte le garanzie previste. A partire dai tre gradi di giudizio di merito, perché anche la Cassazione giudica sulla motivazione e in pratica si trasforma in un terzo giudizio di merito. Mentre negli altri paesi il giudizio di merito è solo uno: al primo grado. Noi dunque dobbiamo fare una scelta epocale, non possiamo introdurre un limite di sei anni per la ragionevole durata, come prevede la legge Pinto, se per fare un processo se ne impiegano mediamente sette. Secondo i dati del ministero della Giustizia, un processo su dieci non arriva a termine e la metà di questi non arriva nemmeno al primo grado per prescrizione».

Col voto di fiducia lei non ha potuto presentare i suoi emendamenti. Cosa aveva proposto?

«Intanto un pacchetto di proposte per diminuire i tempi dei processi da subito. Poi, dato che molti reati, specialmente quelli legati alla corruzione, vengono scoperti molto tempo dopo essere stati commessi, avevo proposto di far decorrere la prescrizione a partire dalla scoperta del reato e con l’inizio delle indagini. Perché alcuni tipi di reato non esistono finché non vengono scoperti, a differenza di altri, come il furto, che presuppongono la denuncia delle parti lese».

Perché la maggioranza ha avuto fretta di approvare il Dl?

«C’è stato un dl sicurezza, serviva compensarlo con quello corruzione. Il governo non funziona in base a delle intese programmatiche, ma a un accordo contrattuale in cui ognuno si gestisce la parte di propria competenza. Quindi le misure contro l’immigrazione servono alla Lega, quelle sulla corruzione al Movimento 5 Stelle».

Rispetto agli equilibri di governo, lei si è chiesto quanto durerà ancora ancora il gioco delle parti tra «finti giustizialisti da una parte e veri inquisiti dall’altra?». Ha trovato una risposta?

«Tempi certi non ne so prevedere, posso solo dire che non durerà a lungo, perché se si comincia con le fiducie significa che già non c’è certezza sui numeri, inizia a traballare qualcosa. Oggi (ieri, ndr) il governo ha chiesto per ben due volte la fiducia: una alla Montecitorio e una a Palazzo Madama. Io sono stato presidente del Senato nella scorsa legislatura e ricordo benissimo le contestazioni feroci che subivo in occasione di ogni fiducia richiesta dal precedente governo. Vedere oggi quelle stesse persone chiedere il voto di fiducia così tante volte fa un certo effetto. È segno di una mancanza di fiducia tra alleati».

È una delle incoerenze del Movimento 5 Stelle che segnalerà sulla piattaforma Rousseau, come ha detto provocatoriamente in Aula?

«Dubito mi facciano entrare su quella piattaforma, ma lo segnalo pubblicamente attraverso voi. Stanno tutti tradendo i principi iniziali di quel Movimento».

Gli stessi principi che convinsero una parte del gruppo parlamentare grillino a votare Piero Grasso Presidente del senato nella scorsa legislatura?

«Questo non lo so, lo dice lei. Certo, qualche voto in più di quelli che mi aspettavo è arrivato».

Mentre Lega e M5S occupano tutti gli spazio politici, però, l’opposizione sembra inesistente. Perché la sinistra continua a essere così frammentata?

«È il momento più difficile per la sinistra in questo paese. L’opposizione c’è ma non ha voce. Io faccio opposizione ogni giorno in Parlamento. Le ragioni che ci hanno portato a far nascere Liberi e uguali restano ancora valide. Mdp, invece, ha scelto di far nascere una nuova forza basandosi su due scommesse esterne: la spaccatura del Pd e quella del Movimento 5 Stelle. A me non piace scommettere, tanto meno su quanto succede in casa d’altri. Per questo non mi appassiono al dibattito interno al Pd. Voglio andare avanti con lo stesso spirito di un anno fa, nella speranza di far nascere un partito politico autonomo e certamente alternativo al Pd, perché non vedo grosse novità provenire da quel confronto congressuale. Mi auguro solo che quel partito posso cambiare».

Ma cosa è rimasto di Liberi e Uguali oggi?

«È rimasta l’idea di di offrire un punto di riferimento per le idee e i valori della sinistra: solidarietà, tutela dei diritti, eguaglianza tra i cittadini. Pensiamo si possa continuare a percorrere quella strada, anche se viviamo una fase di grandi cambiamenti».

Anticorruzione, passi avanti ma mai fiducia a questo governo

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Intervista rilasciata a Il Manifesto il 14 dicembre 2018

Al senatore di Leu, Pietro Grasso, ex magistrato, non dispiace affatto il ddl Anticorruzione sul quale il governo ha posto ieri la fiducia e che è stato approvato in Senato con 162 voti a favore, 119 contrari (Pd, Forza Italia, FdI, Leu) e un astenuto. E non è il solo, perché anche il Consiglio d’Europa ha espresso un giudizio in parte positivo sul provvedimento. Prima della fine dell’anno, con un ultimo passaggio alla Camera in terza lettura, il ddl dovrebbe diventare legge».

Senatore, il suo è un no con rammarico. Cosa le piace di questo testo?
«Due punti in particolare: il primo è la causa di non punibilità per chi denuncia un atto di corruzione. Anche se ci sono dei termini troppo brevi, 104 mesi dalla commissione del fatto, e la denuncia deve essere fatta prima dell’avvio delle indagini. Però è molto importante, perché rompe l’omertà, quella sicurezza che c’è tra corrotto e corruttore che si basa sul fatto che nessuno dei due può denunciare l’altro senza autoaccusarsi. Non credo che la norma farà scoprire chissà quali corruzioni però può avere una deterrenza preventiva. Il secondo strumento che trovo utilissimo è l’agente sotto copertura per i reati di corruzione. Figura già prevista nel nostro ordinamento per altro tipo di reati: contraffazione di marchi, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, traffico di rifiuti…»

E ha funzionato?
«Certo, si è voluto far passare questa norma come l’introduzione di un agente provocatore, ma non è così. Nel nostro ordinamento non è consentito, mentre la norma prevede dei limiti ben precisi nell’applicazione: il reato non può essere provocato e deve esserci già un accordo concluso tra le parti, l’indagine deve essere già avviata, e l’operazione autorizzata da magistratura e vertici di polizia. In sostanza serve solo per fornire prove sempre molto difficili da trovare in questi casi. Se le regole non fossero rispettato, le prove sarebbero inutilizzabili, e chi ha sbagliato o non ha controllato può subire conseguenze anche penali».

Dunque anche la legge sul whistleblowing del 2017, ossia la segnalazione di attività illecite da parte di un dipendente, è stata utile?
«Occorre tempo per cambiare la cultura, la mentalità all’interno delle pubbliche amministrazioni. Il caso del 27enne che si trova in prova in un ufficio in cui tutti sono corrotti è emblematico: o trova il coraggio di andare contro tutti o si adegua. Bisogna cominciare a creare deterrenti laddove l’onesta e l’eticità dei funzionari pubblici nel nostro Paese non è molto elevata, secondo quanto rilevato da Trasparency international. Perché si tratta di un fenomeno diffusivo, endemico e sistemico. Eppure l’Italia finora è stata inadempiente con la Convenzione Onu di Merida del 2005 ratificata nel 2009».

Ma allora perché ha votato contro il ddl?
«Ho votato contro il governo, perché non condivido le politiche su tutti gli altri temi.

Per una questione di metodo, la fiducia?
«No, proprio perché sono contro il governo. Anche se la fiducia ha impedito la discussione e il miglioramento del testo».

Lei era d’accordo anche con l’interruzione dei termini di prescrizione dopo il primo grado di giudizio. Un provvedimento considerato letale per il sistema giustizia dagli avvocati penalisti. Anche il Csm ieri ha detto che la riforma da sola non cambia nulla…
«Lo credo anche io. Sarebbe stato meglio se fosse stata inserita in una riforma organica di tutto il sistema, perché il nostro processo penale è una sommatoria di garanzie del processo inquisitorio e di novità del processo accusatorio anglosassone inserito col nuovo codice. Una prima parte, dove si producono prove documentali attraverso le indagini, e una seconda parte dove le prove devono essere riprodotte attraverso l’oralità del dibattimento. Insomma, si è ottenuto così un processo iper garantista e che allunga enormemente i tempi. Poi si è introdotto in Costituzione l’articolo 111 che impone la ragionevole durata del processo. Prendendo i parametri europei, da Paesi dove la legislazione è molto diversa dalla nostra, si calcola in sei anni il tempo ragionevole di durata del processo, cosa che da noi è impossibile con tre gradi di giudizio di merito (perchè tali li considero)».

Ma la maggior parte del tempo di prescrizione si consuma, nella gran parte dei reati, prima che inizi il processo.
«Secondo i dati del Ministero nel 2017 sono andati in prescrizione 125.564 processi, quindi circa un processo su dieci. Di questi, 66.904 sono quelli non arrivati al primo grado. Ma il problema è che la prescrizione comincia a decorrere da quando è commesso il reato, e non da quando è stato scoperto. Pensi ai reati di corruzione o di frode fiscale, che viene segnalato dopo anni, l’indagine inizia già morta…»

E allora perché non cambiare queste leggi e altre, come l’obbligatorietà dell’azione penale, anziché eliminare un diritto?
«Infatti la riforma parte dal 2020, ci sarebbe anche tempo per rimettere mano al processo penale. Ma so che non lo faranno… Se si adotta il rito anglosassone allora facciamolo completamente: si preveda un solo grado di giudizio: solo il processo per direttissima. Eliminiamo gli altri. Da noi si occupano dello stesso fatto circa 33/35 giudici, dalle indagini preliminari fino alla Cassazione».

Insomma, è ancora in sintonia con il popolo a 5 Stelle. Spera ancora di riportarlo nella «casa» della sinistra?
«Guardi, oggi sono state poste due questioni di fiducia, alla Camera e al Senato. Vuol dire che hanno perso la fiducia al loro interno. Vuol dire che il contratto vacilla. Certo, io spero ancora che coloro che nel M5S hanno valori e idee di sinistra possano rinsavire. Non rinsavinire, rinsavire».

Ddl Anticorruzione: una occasione sprecata

Dichiarazione di voto sul Ddl Anticorruzione, del 13 dicembre 2018

Presidente, Colleghi,

come noto la corruzione è un reato senza testimoni, senza vittime se non la collettività, e senza denunce, con un comune interesse degli autori al silenzio. La corruzione mina l’economia dal profondo, togliendo trasparenza alle transazioni, agli appalti, privilegiando e favorendo i corruttori a danno degli onesti e dei più capaci. La corruzione disperde risorse, rallenta lo sviluppo, è tra le cause della mancata crescita economica. Senza contare i suoi costi indiretti, difficili da quantificare ma ugualmente rilevanti. Un terreno di coltura ideale perché la corruzione si diffonda e si trasformi in qualcosa di ancora più grave: l’accettazione che non vi siano alternative, la resa delle coscienze.

Da Procuratore Nazionale Antimafia chiedevo al legislatore l’inserimento del reato di corruzione in quelli di competenza delle direzioni distrettuali antimafia: in questo modo si sarebbero potuti usare tutti gli strumenti di contrasto previsti per il crimine organizzato.

Avevo già da allora chiara la situazione sistemica e di stretta connessione, in certe regioni italiane, tra organizzazioni criminali, potere politico, pubblica amministrazione e settori dell’economia. Si potrebbe dire – in sintesi – che ai mafiosi oggi convenga molto di più corrompere che sparare, e le evidenze investigative lo dimostrano in maniera evidente. Dobbiamo tenerne conto.

Un passo importante è stato compiuto nella scorsa Legislatura con l’introduzione delle norme a difesa dei whistleblower, cioè chi segnala un’irregolarità sul posto di lavoro. Con questo provvedimento si fanno due passi avanti: la previsione di una causa speciale di non punibilità per chi denuncia, è la prima.

Ho ben chiaro che il miglior risultato plausibile di questa norma sarà quello di insinuare un fattore di insicurezza che diminuisca la forza dell’accordo tra corruttore e corrotto: nessuna delle parti potrà più fare affidamento certo su un comune interesse a tacere e si determinerebbe quindi una sorta di deterrenza preventiva, un elemento che dissuada dall’entrare in patti di carattere corruttivo.

Il secondo è l’estensione ai reati contro la pubblica amministrazione della disciplina delle operazioni sotto copertura, di cui ho ampiamente parlato.

Ricordo che nel nostro ordinamento giuridico le operazioni sotto copertura sono già previste per molti delitti: dall’estorsione al sequestro di persona, dall’usura al riciclaggio, dai delitti contro la libertà sessuale al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, dal traffico di stupefacenti al traffico di rifiuti fino alla contraffazione di marchi e brevetti. Non credo che la corruzione sia meno grave della contraffazione dei marchi!

La riforma della prescrizione, ripeto, andava inserita in un progetto più organico di riforma del processo penale. Ora promettete di farlo in pochi mesi: ricordo a tutti noi che per riformare il processo un insigne giurista come Giuliano Vassalli ci lavorò per dieci anni: che ora voi ci mettiate dieci mesi, per una riforma come dite voi “a 370 gradi”, mi sembra, onestamente, difficile.

Con rammarico, avendo voi messo la fiducia, non è stato nemmeno possibile e discutere gli emendamenti che ho proposto come “pacchetto tempi giustizia”. Del resto a voi non interessa risolvere i problemi, ma avere medaglie di latta da esibire sui social e soprattutto prevenire ogni possibile dissenso, che già forte serpeggia nei vostri gruppi, amici della maggioranza.

A proposito di fiducia, ho letto che sulla vostra piattaforma è stata inauguarata una pagina per le denunce e le delazioni contro quelli che tra voi tradiscono i principi del movimento. Complimenti per l’idea di democrazia che state dimostrando. Lasciatemi fare la prima delazione, qui, pubblicamente: tutti voi, sia al governo che in Parlamento, state tradendo quanto avete predicato per anni. Nessuno escluso: né chi sta zitto e obbedisce, né chi rilascia dichiarazioni e interviste e poi si adegua, né chi critica sempre a tempo scaduto, quando le decisioni sono state prese.

Sta diventando un’abitudine, quella della fiducia. Quando si inizia, è già successo ai vostri predecessori, è difficile smettere: in fondo è molto più semplice costringere che convincere. Chiedetevi però: quanto tempo potete durare se già dopo pochi mesi ogni voto segreto vi terrorizza? Quanto a lungo pensate possano ancora funzionare le vostre finte liti sui giornali? Mi sembra in realtà che siate piuttosto uniti quando si tratta di occupare qualche poltrona. Quanto pensate che il gioco delle parti potrà durare? Finti giustizialisti da un lato e veri inquisiti dall’altro. Urlavate in piazza “onestà e trasparenza” e ora vi limitate a chiedere di non minimizzare indagini su milioni di euro.

Vale lo stesso per i colleghi leghisti: oggi io, che sono a favore della sospensione della prescrizione, sarò obbligato a votare contro la fiducia al Governo, perché delle politiche di questo Governo non condivido praticamente nulla a parte questo.

Voi invece, per contratto, voterete a favore. Non sentite l’ironia della cosa? Se non ricordo male un vostro esponente, il ministro Castelli, ricopriva l’incarico che oggi ricopre Bonafede quando il gruppo Lega votò compattamente la Legge Ex Cirielli, che andava esattamente nella direzione opposta!

Questo significa votare la fiducia, per voi: coprire con un obbligo ipocrita qualsiasi contorsione politica rispetto agli ideali che avete sempre difeso e sostenuto.
Su questi temi io non cambio idea, a differenza vostra.

Avrei voluto discutere nel merito, avrei voluto aiutarvi a migliorare il testo, alla fine, come avevo dichiarato ieri su un quotidiano, avrei anche votato a favore. Con la fiducia, con l’impossibilità di intervenire, lo avete reso impossibile. Un’altra occasione sprecata, a causa della vostra debolezza al Governo, nel Parlamento e, presto, credetemi, nel Paese.
Per questi motivi, con dispiacere, annuncio il voto contrario di Liberi e Uguali alla fiducia.

Grazie.

Ddl Anticorruzione, si poteva fare di più

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Intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano il 12 dicembre 2018

“Mi pare ci sia un certo allentamento, come dire, nel rigore etico del Movimento 5 Stelle sul tema della Giustizia, a loro così caro”. Pietro Grasso ha presentato un pacchetto di emendamenti per rendere più rigoroso, a suo dire, il decreto anticorruzione firmato Bonafede. In commissione queste norme sono state bocciate, oggi l’ex presidente del Senato le riporta in aula. Intanto osserva, con un sorriso sornione: “Sull’anticorruzione mi pare che i grillini facciano lo stretto indispensabile. Ma capisco: Cinque Stelle e Lega hanno questo contratto da onorare”…»

La riforma non la convince?
«E’ sicuramente un passo in avanti e ne condivido lo spirito complessivo. Voterò il testo finale, in coerenza con il mio passato, le mie battaglie e 43 anni in magistratura. Il decreto fornisce strumenti utili per far emergere la corruzione, come la non punibilità se si denuncia il reato prima dell’inizio delle indagini, entro 4 mesi da quando viene commesso. Oppure la previsione dell’agente speciale sotto copertura, come ci chiede la convenzione Onu di Merida . O la norma che blocca la prescrizione dopo la sentenza di primo grado».

Però?
«Però si poteva fare di più e di meglio, visto anche che il nostro processo è tra i più garantiti del mondo».

Che cosa si può migliorare?
«La norma sulla prescrizione, ad esempio. Il 66% dei reati – dati del ministero della Giustizia – si prescrive prima dell’inizio del dibattimento. Significa che nella maggior parte dei casi il reato viene scoperto tardi. Io ho proposto, con un emendamento, di far iniziare il  calcolo della prescrizione dalla data dell’inizio delle indagini e non dalla data in cui viene commesso il reato».

Bocciato.
«Come gli altri emendamenti sulla prescrizione. Vorrei equiparare la corruzione ai reati di criminalità organizzata. Questo permetterebbe di bloccare il calcolo della prescrizione ogni volta che c’è un’interruzione del processo».

Non si rischiano processi infiniti?
«Ho presentato emendamenti anche per accorciare i tempi dei processi. Per esempio: perché nei procedimenti civili le notificazioni possono arrivare tramite posta elettronica certificata e nei procedimenti penali no? Basterebbe poco… Oppure: nel dibattimento si perde tantissimo tempo per rileggere gli atti di polizia giudiziaria. Si potrebbero dare per letti, e permettere di approfondirli solo in determinate circostanze. O ancora: cosa ci impedisce, con gli strumenti a disposizione, di permettere l’audizione a distanza di testimoni o periti?»

E’ più grillino dei grillini…
«Questo lo lascio giudicare a lei (ride). Però mi trovo in un certo senso solo a difendere le mie idee su questi temi. Questa maggioranza alla Camera ha cancellato pure alcune buone norme che erano nel testo uscito dalla commissione, come quella che prevedeva l’arresto obbligatorio in flagranza di reato corruttivo. Ho provato – e proverò – a ripristinarla al Senato».

Dal testo è rimasto fuori anche il carcere per gli evasori.
«L’evasione fiscale non può non essere una priorità politica del governo. Sarei stato assolutamente favorevole a un provvedimento di quella natura».

Su tutta questa cautela, influisce forse il fatto che per la Lega non sia un periodo felice sul fronte giudiziario?
«Non so, leggo che ci sono diverse indagini aperte…»

Nemmeno per la sinistra italiana è un periodo felice.
«Io resto convinto che le ragioni che ci avevano convinto a lanciare Liberi e Uguali oggi siano ancora più valide. Certo le divisioni non aiutano. Articolo Uno ha scelto di far nascere una nuova forza… rossoverde mi pare… non so. Ma loro si basano sulla doppia ipotesi che si scindano Cinque Stelle e Pd. Scommettere in politica non fa bene. Io credo serva ancora un partito di sinistra, autonomo, alternativo al Pd. Quello per cui mi avevano chiamato un anno fa».

Gli stessi che ora tornano verso il Pd…
«Anche questo lo dice lei».