Previdenza, risparmio e TFR. Garantire adeguati sistemi di protezione sociale

Intervento al convegno “Previdenza, risparmio e TFR nel dibattito di politica economica: politiche anticicliche, assetti strutturali e riforme necessarie”

Autorità, Cari colleghi, Gentili ospiti,

con molto piacere apro questo convegno sui temi della previdenza, del risparmio e del TFR nell’ambito del dibattito di politica economica, organizzato dal Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, e dal gruppo PD del Senato, in particolare dal Sen. Claudio Micheloni. In questo difficile momento storico i temi economici sono al cuore del dibattito in Italia e Europa a causa dell’ulteriore contrazione del Prodotto Interno Lordo, della deflazione, del calo dell’occupazione e del crescere delle diseguaglianze.

Nell’ambito delle diverse riforme strutturali su cui Parlamento e Governo sono fortemente impegnati, hanno un rilievo importante i temi che vi apprestate a trattare, del risparmio previdenziale e del sistema pensionistico, per conciliare la crescita economica con l’occupazione, soprattutto giovanile, e la ripartizione della ricchezza, garantendo adeguati sistemi di protezione sociale. Sono certo che la riflessione tecnico-scientifica in questo complesso ambito sia fondamentale per sostenere le scelte della politica e per questo vi ringrazio per il contributo che vorrete dare nei dibattiti di quest’oggi.

Auguro a tutti voi i miei migliori auguri di buon lavoro. Grazie.

Incontro con la delegazione dei “Patronati d’Italia”

Il  presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi a Palazzo Madama una  delegazione  di  “Patronati  d’Italia”,  organizzazione che riunisce e rappresenta alcuni tra i principali Patronati del nostro Paese: Inas, Inca, Italuil Patronati  Acli.

La delegazione ha consegnato al Presidente del Senato  il  primo  milione di firme raccolte in calce alla petizione “No ai tagli ai Patronati”, che chiede di rivedere le norme sul settore contenute nella  Legge di Stabilità.  Il  presidente Grasso ha assicurato che trasmetterà  il testo della petizione alla Quinta Commissione, impegnata in queste ore nella discussione dei documenti di bilancio.

Arma Carabinieri simbolo dell’identià nazionale

Discorso all’inaugurazione del monumento del bicentenario dei Carabinieri a Vasto

Autorità, cittadini e cittadine di Vasto,

è per me un grande onore essere stato invitato oggi all’inaugurazione del Monumento in onore dell’Arma dei Carabinieri nel bicentenario dalla loro costituzione.

Voglio esprimere il mio sentito apprezzamento per questa iniziativa, che include anche la decisione di dedicare l’intera zona di via Alborato  a Carabinieri caduti nell’adempimento del proprio dovere, tutti legati – con l’unica eccezione del napoletano Salvo D’Acquisto – alla provincia di Chieti. Avete voluto in questo modo lasciare nella memoria dei giovani e dei cittadini un’eterna traccia del sacrificio, oltre che del vice brigadiere Salvo D’Acquisto, anche del capitano Chiarredo Bergia, del brigadiere Sebastiano Preta, del vice brigadiere Camillo D’Onofrio, dei carabinieri Giustino Fusco e Silvino Michetti, che hanno perso la vita per garantire e tutelare i valori di libertà, giustizia e legalità che stanno alla base della nostra democrazia.

È un grande impegno quello che è stato profuso dalla cittadinanza di Vasto per far sentire la propria vicinanza ai Carabinieri, ai nostri servitori dello Stato che ogni giorno, con la loro costante, capillare e discreta presenza, con la loro serietà e, soprattutto, con la dedizione che è loro universalmente riconosciuta, tutelano la collettività.

L’Arma dei Carabinieri esisteva già, sin dal 1814, quando l’Italia ancora non era uno Stato unitario. Quando il loro motto era “usi ad obbedir tacendo e tacendo morir“, che mai come oggi appare assolutamente aderente alle storie dei militari che commemoriamo. Nel primo centenario della nascita il motto fu cambiato in quello attuale “NEI SECOLI FEDELE” e appare inciso a lettere maiuscole nello stemma araldico.  Quello della fedeltà alla Patria rimane, del resto, la caratteristica insopprimibile dell’Arma, che a conferma di ciò ha intitolato la marcia d’ordinanza “La fedelisssima” e ha scelto come patrona la “Virgo Fidelis“, la cui ricorrenza cade nel giorno della Presentazione della beata Vergine Maria e coincide con la celebrazione della battaglia di Culqualber (Etiopia), per la quale la bandiera di guerra fu insignita della seconda medaglia d’oro al valor militare.   L’Arma è rimasta sempre un costante punto di riferimento, radicandosi sul territorio sino a divenire parte integrante delle comunità locali, sin nei posti più sperduti e lontani. Rimane uno dei simboli che meglio rappresentano la nostra identità nazionale, costituendo un importante modello comportamentale, che gode del rispetto e dell’affetto di tutti i cittadini. Non per nulla é soprannominata la “Benemerita” e nell’ultimo rapporto dell’Eurispes é indicata come l’istituzione più amata dagli Italiani.

Io l’ho conosciuta sin da bambino, avendo uno zio maresciallo comandante di una caserma a Trapani ad un passo dal mare, che andavo a trovare d’estate, ma ho imparato ad apprezzarla sempre meglio nella mia lunga, ultraquarantennale, attività di magistrato, godendo della sempre alta collaborazione e dell’efficiente professionalità dei carabinieri sia nelle indagini di polizia giudiziaria che nella sicurezza della collettività, garantita attraverso le varie specialità istituite contro il terrorismo(GIS), la criminalità organizzata (ROS), le sofisticazioni (NAS), le frodi agroalimentari e comunitarie, la falsificazione del danaro, e le altre dedite alla tutela del patrimonio artistico, dell’ambiente, del lavoro e così via. Ma i nostri ragazzi dell’Arma, guidati con perizia e competenza dai loro superiori, nella duplicità di funzioni di forza armata, autonoma dal 2000, e di corpo di pubblica sicurezza, non operano solo sul territorio nazionale. Sono presenti anche all’estero, ove, assicurando la protezione delle rappresentanze diplomatiche e consolari e contribuendo alle missioni di cooperazione internazionale e di mantenimento della pace, sono divenuti vero e proprio punto di riferimento nelle aree di crisi, alla cui ricostruzione contribuiscono attivamente, guadagnandosi il meritato e, direi quasi affettuoso, apprezzamento delle popolazioni locali, sentimento di cui ho avuto tangibile prova nei miei viaggi all’estero.

Sono felice, dunque, di trovarmi in questo momento qui con tutti voi per rendere questo doveroso tributo a chi è motivo di orgoglio nazionale in Patria e all’estero.

Viva l’Arma dei Carabinieri! Viva la Repubblica!

Buon compleanno al Senatore Ciampi

Telegramma inviato al  Senatore di diritto e a vita Carlo Azeglio Ciampi, Presidente emerito della Repubblica

Caro  Presidente,  desidero  inviarti,  nella  lieta  occasione  del  tuo compleanno, anche a nome dei colleghi Senatori, i miei più sinceri auguri.

Il  tuo  costante  impegno  civile,  politico e istituzionale a tutela dei valori  fondanti  della  Repubblica  e  a  presidio  delle  sue istituzioni democratiche ha costituito e  costituirà  sempre  un esempio prezioso per il nostro lavoro quotidiano. Con affetto e gratitudine.

“A mano disarmata”: primo forum internazionale dell’ informazione contro le mafie

Quando circa un anno fa l’Associazione stampa romana mi ha presentato l’idea di questo Forum annuale sul rapporto tra criminalità organizzata e informazione in Italia e nei diversi Paesi del mondo, ho subito aderito con grande entusiasmo. Per 43 anni, da magistrato, ho avuto modo di vedere i modi subdoli e violenti con cui le mafie del nostro Paese cercano di zittire l’informazione: la criminalità, che ricerca il consenso di fasce sociali sempre più estese, teme gli attacchi sul terreno della comunicazione e dell’azione sociale almeno quanto quelli dell’azione repressiva. Lo dimostrano le intimidazioni che ancora oggi, ogni giorno, non più solo nel mezzogiorno ma in tutta Italia, colpiscono gli operatori dell’informazione.

Voglio citare qui l’ultimo caso noto che ha colpito Pino Maniaci, il direttore di una piccola emittente palermitana con sede a Partinico, Telejato: due settimane fa la sua vecchia auto è stata bruciata, l’altro ieri lui stesso ha trovato i suoi due cani impiccati: un avvertimento feroce, crudele, ed è solo l’ultimo di una serie di intimidazioni che va avanti da anni.

E’ una storia che si ripete, in forme e modi diversi: lo scorso 11 novembre durante Ballarò, nella parte della trasmissione dedicata a Roberto Saviano e alla sentenza sulle minacce dei boss casalesi a lui e Rosaria Capacchione, è stato mandato in onda un interessante servizio televisivo sulla criminalità organizzata romana, firmato da Francesca Fagnani e incentrato su un’intervista al giornalista dell’Espresso Lirio Abbate. Una mezz’ora di buona televisione, in cui si è parlato di informazione e criminalità. La stessa sera la macchina di Lirio Abbate è stata speronata, e in questa occasione sono emerse anche altre pesanti minacce di cui, per ragioni di sicurezza, non era stata data comunicazione. Ben tre dei giornalisti citati vivono da anni sotto scorta per le loro inchieste e anche Francesca Fagnani, come emerge da articoli dei giorni scorsi, è stata oggetto di minacce e intimidazioni.

In quel servizio si parlava di Roma, del suo essere infestata da una criminalità mafiosa di tipo diverso rispetto a quella che siamo abituati a conoscere e a rappresentare, ma che, aldilà delle connessioni – che pure ci sono – con le 4 mafie storiche che conosciamo, ha un’identità di “metodo” con le mafie tradizionali. Questo perché ormai il sistema mafioso costituisce un modello di riferimento che viene replicato in contesti diversi da quello siciliano, calabrese o campano, un modello che della mafia ha tutte le caratteristiche sostanziali tralasciando quelle rituali, quelle folcloristiche come ad esempio l’iniziazione mediante “punciuta” o giuramento. Non per questo però dobbiamo correre il rischio di vedere questi fenomeni solo come criminalità comune o corruzione.

Anzi, questa circostanza deve farci riflettere perché suggerisce non solo che il Paese non ha sufficienti anticorpi per reagire al malaffare, ma che ha interiorizzato, assimilato i meccanismi della corruttela, del perseguimento del profitto ad ogni costo, del disprezzo per la cosa pubblica e per l’interesse generale.

Quella che una volta veniva definita l’ “area grigia” della mafia, quella sorta di  «camera di compensazione» dove gli anelli più vicini alla società civile e alle professioni entravano in relazione diretta con la mafia – politici, imprenditori, professionisti – quell’area intermedia fra la legalità e l’illegalità, si è resa autonoma senza dimenticare la lezione di Salvo Lima che, nel “sacco di Palermo”, aveva coinvolto tutte le forze politiche con un malinteso senso di democrazia e rappresentanza al motto di ““nun si cala ‘a pasta si nun ci sunnu tutti i cucchiara”, ovvero: non si inizia a mangiare se i commensali non sono tutti a tavola, perché se nessuno è scontento, nessuno fa problemi e nessuno denuncia. E’ quello che è stato definito dagli stessi protagonisti “il mondo di mezzo” dove, cito, “anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno.” Una rivisitazione in chiave romanzesca, ma documentata, di questo “mondo di mezzo” la troviamo nel libro “Suburra”, del giornalista Carlo Bonini e dello scrittore e magistrato Giancarlo De Cataldo, uscito nel settembre 2013. Era proprio su Massimo Carminati che si concentrava l’inchiesta di Lirio Abbate di ben due anni fa, dicembre 2012, poi quella dello scorso settembre, infine l’intervista a Ballarò.

Gli stessi nomi fatti da Abbate li ritroviamo tutti nell’operazione della Procura di Roma che ha terremotato il mondo politico, istituzionale, imprenditoriale e criminale della Capitale. Il giornalismo d’inchiesta, quando è serio e professionale, riesce a far emergere queste realtà, indipendentemente dalle indagini. Ho un bellissimo ricordo di un giornalista incontrato quando ero procuratore a Palermo: mi segnalò che, spulciando a Roma le carte processuali sull’arresto di Riina, su uno degli appunti ritrovatigli in tasca e sequestrati aveva notato il nome dell’imprenditore di Bagheria Michele Aiello, circostanza che fece fare alle indagini un notevole salto di qualità.

In Italia dall’inizio del 2014 l’associazione “Ossigeno per l’informazione” ha documentato minacce a 366 giornalisti: ad ogni minaccia corrisponde una storia di professionalità e di coraggio. Vale la pena scorrere quel lungo elenco perché, oltre ai nomi citati e ad altri ben conosciuti dal grande pubblico, si incontrano decine di giornalisti locali che con fermezza si oppongono ai piccoli e grandi criminali del loro territorio, ricevendo in cambio  pallottole per posta, vetri delle finestre di casa frantumati, lettere minatorie, copertoni tagliati, automobili date alle fiamme, insulti, pestaggi e così via. Tutto questo ha a che fare con il tipo di società e di democrazia nella quale viviamo e non vorremmo più vivere in futuro. Intimidire un giornalista è un vulnus per la libertà d’informazione e per il diritto dei cittadini di essere informati. A questo va aggiunto il tema dell’utilizzo a scopo intimidatorio delle querele, della salvaguardia dei cronisti a rischio, soprattutto quelli con meno garanzie e che scrivono per piccoli giornali locali o su internet. Non va trascurata infine la necessità della trasparenza sull’assetto proprietario delle testate, perché spesso i criminali l’informazione provano anche a corromperla o comprarla.

Un’informazione libera è il presupposto della conoscenza e della formazione di un’opinione e, dunque, una condizione essenziale per vivere in democrazia. Nutre il dibattito e la formulazione delle idee, è l’anima del vivere civile. Solo un cittadino informato può compiere scelte consapevoli, esercitare i propri diritti e partecipare al processo decisionale. Scriveva nel 1981 sul Giornale del Sud Giuseppe Fava: “Un giornalismo fatto di verità impone ai politici il buon governo. Un giornalista incapace della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato in grado di combattere”.

Attendo con molto interesse di vedere il video-reportage di Attilio Bolzoni e di Massimo Cappello sulle strade del narcotraffico fra Messico e Italia e ascoltare i racconti dei giornalisti e degli altri protagonisti di queste storie. Da Procuratore Nazionale Antimafia ho avuto modo di viaggiare molto in Messico, in Centro e in Sud America, per firmare accordi di cooperazione – io la definisco una specie di “diplomazia penale” – o per fare conoscere la nostra esperienza con le mafie e il metodo con cui la abbiamo affrontata, a partire da Giovanni Falcone. Paesi quelli di quest’area del mondo dove il potere della cocaina e dei soldi sporchi hanno innescato vere e proprie guerre fra i cartelli della droga e le forze delle istituzioni, con migliaia di vittime, fra cui tanti giornalisti che sentivano il dovere di reagire e di raccontare. Ma il volto violento e brutale della criminalità organizzata, il più visibile e impressionante perché offende il nostro rispetto per la vita umana, non è il più grave pericolo. E’ il volto oscuro delle mafie a doverci spaventare, quello che scava dentro la società, dentro le istituzioni, dentro l’economia; che controlla territori, che inquina le anime e impedisce lo sviluppo e la democrazia. Noi abbiamo imparato nella nostra lunga e dolorosa esperienza che per proteggere la società occorre porre attenzione alla struttura dei soggetti criminali e alla loro capacità di radicarsi, espandersi e sopravvivere nel tempo; e alle relazioni che intrattengono con il potere sociale, economico, politico e istituzionale. Per questa ragione per lottare contro le mafie e le organizzazioni criminali non basta un approccio di tipo militare, di controllo del territorio, che spesso ha incrementato la spirale della violenza. Servono sistemi investigativi e giudiziari indipendenti ed efficienti in grado di disarticolare le organizzazioni criminali, svelando le complicità istituzionali e privandole dei capitali illeciti, attraverso la confisca. Ed è prioritario intervenire sui territori più deboli sostenendo progetti economici, sociali e di istruzione indirizzati ai più giovani soprattutto per sottrarre la popolazione dal bisogno e per sconfiggere la sottocultura del successo e del guadagno facile, della sopraffazione e della violenza.

La criminalità pretende il silenzio e cerca di fermare i giornalisti scomodi. Anche la cattiva politica, a volte. Dobbiamo invece stringerci tutti attorno a queste persone, far sentire loro e a chiunque si impegni per la verità e la giustizia – come ai magistrati, alle forze dell’ordine, alla parte sana della società civile che si espone, con coraggio e determinazione, contro la criminalità – la nostra solidarietà, la nostra vicinanza, il nostro affetto, la nostra riconoscenza.

Grazie.

 

Incontro con la presidente del Senato del Belgio

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Il  presidente  del  Senato,  Pietro  Grasso, ha ricevuto questa mattina la presidente  del  Senato  del  Belgio,  Christine  Defraigne, oggi a Palazzo Madama  per partecipare alla 52ma riunione plenaria della Cosac, Conferenza degli  organi  parlamentari  specializzati  negli  affari Ue dei Parlamenti dell’Unione. La  cooperazione interparlamentare e i temi della riunione Cosac sono stati al  centro del cordiale colloquio.

Incontro con il segretario generale del Consiglio per i diritti umani dell’Iran

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Il  presidente  del  Senato,  Pietro  Grasso, ha ricevuto oggi pomeriggio a Palazzo  Madama  il  segretario  generale del Consiglio per i diritti umani della Repubblica Islamica dell’Iran, Mohammad Javad A. Larijani. L’alto  magistrato iraniano era accompagnato dall’ambasciatore di Teheran a Roma,  Jahanbakhsh  Mozaffari,  e  dal giudice della Corte suprema iraniana Hossein Babaei.

 

L’Unione Europea o cambia, o non è

Intervento alla 52° Conferenza degli Organi parlamentari specializzati negli Affari dell’Unione dei Parlamenti dell’Unione Europea

Autorità, cari colleghi,

Con grande piacere vi auguro il benvenuto al Senato della Repubblica per la cinquantaduesima riunione plenaria della COSAC, che segna la chiusura del programma della dimensione parlamentare del semestre di presidenza italiana. La Conferenza degli organi parlamentari specializzati negli affari dell’Unione è l’unico organismo di cooperazione interparlamentare espressamente previsto dai Trattati, il più antico (compie venticinque anni) e consolidato. L’evoluzione nel tempo della Conferenza, in particolare dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la rende il luogo più appropriato per dibattere i grandi temi europei e il crescente ruolo dei parlamenti nel processo di integrazione. Sono convinto che in considerazione della ricchezza del programma, della qualità dei relatori e della delicatezza della fase istituzionale e politica che viviamo, questa riunione darà rilevanti contributi alla soluzione delle questioni che stanno a cuore a noi tutti, e ai cittadini europei.

Quello che si avvia a conclusione è stato un semestre complesso, segnato dal primo processo di rinnovo delle istituzioni europee dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, con le elezioni del Parlamento e con l’insediamento della nuova Commissione Europea e dell’Alto rappresentante per la politica estera e di difesa, lo scorso 1° novembre. Per la prima volta, l’Unione ha un presidente della Commissione eletto dal Parlamento europeo, sulla base di una delibera del Consiglio europeo adottata tenendo conto dell’esito elettorale: un bel passo avanti sulla via del rafforzamento della legittimità democratica dell’Unione che è al centro del processo di riforma dei Trattati, attraverso il consolidamento del ruolo di co-legislatore del Parlamento europeo e il coinvolgimento diretto dei parlamenti nazionali nelle procedure pre-legislative e legislative.

Ritengo centrale e decisivo il dibattito che si svolgerà nella prima sessione sul futuro della democrazia sovranazionale a cinque anni dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e sul ruolo delle istituzioni parlamentari nel processo di integrazione. Il dialogo politico fra parlamenti dei Paesi membri e Commissione e l’intensa attività di controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà nelle proposte legislative dell’Unione sono state esperienze positive e qualificanti, da consolidare ulteriormente, che hanno rafforzato la consapevolezza europea nei nostri parlamenti. Molte proposte emerse dal dibattito degli ultimi due anni meriterebbero approfondimenti, per prima quella che auspica la partecipazione più intensa e strutturata dei parlamenti alla fase pre-legislativa e alle varie procedure di consultazione lanciate attraverso comunicazioni, libri bianchi e verdi. Il Parlamento italiano ha sempre inteso promuovere un’interpretazione costruttiva delle nuove procedure di controllo sui principi di sussidiarietà e proporzionalità, come strumenti che non si devono risolvere in mere forme di freno o di ostacolo al processo decisionale europeo ma devono tendere a garantire una migliore qualità della normativa nell’interesse dei cittadini e, più in generale, come prevede il Trattato, “un miglior funzionamento dell’Unione”.

Il processo di revisione della Strategia Europa 2020, che verrà affrontato nella seconda sessione, con riguardo a crescita, occupazione e competitività, è stato al cuore dell’azione della Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione. Io credo, e mi capita di ripeterlo molto spesso, che sulla nostra capacità strategica nel dare risposte ai cittadini europei, preoccupati, disorientati e disillusi, dipenderà il nostro comune destino.

Il Consiglio europeo di dicembre, atto conclusivo del semestre italiano, sarà chiamato ad assumere decisioni importanti: prima fra tutte, l’approvazione del piano Juncker. L’auspicio è che questa sia una prova di maturazione politica dell’Unione, che per dare rilievo (com’era necessario) alla disciplina finanziaria ha guardato quasi esclusivamente al presente e al breve periodo, senza alcun orientamento strategico della politica economica di ampio respiro in termini di espansione della capacità produttiva.

Naturalmente ci sono diversi aspetti da approfondire nel piano Juncker, a partire dall’effettiva incidenza che potrà avere per la sua formulazione, ma mi pare importante che si riconosca che l’Europa ha investito davvero troppo poco e che questa è la via per uscire dalla crisi.

Auspico che l’indicazione della Commissione, che intenderebbe considerare i contributi al Fondo europeo come neutrali rispetto al patto di stabilità e crescita, possa finalmente aprire la via ad una riflessione che noi sollecitiamo da tempo, sulla differenza fra spesa pubblica corrente e spesa pubblica per investimenti. Nel senso che non considerare nel computo del rapporto deficit pil  gli investimenti pubblici non è in contraddizione con una politica di bilancio sana e rigorosa.

Riguardo al ruolo dell’Unione Europea all’esterno, credo sia necessario partire dalla precisa consapevolezza che l’Unione non ha finora espresso il potenziale politico, umano ed economico che deriva dalle nostre dimensioni, dalla nostra storia e dai nostri doveri nei confronti della comunità internazionale. Nelle due aree della nostra politica di vicinato, il Grande Mediterraneo e i confini orientali, dovremo sapere rispondere con processi politici strategici pragmatici e attenti al nostro interesse, superando per sempre l’epoca dell’attendismo e conferendo forza e sostegno, in ogni tema e quadrante, all’azione politica della nuova Alta Rappresentante e del Servizio di azione esterna. In caso contrario, il prezzo da pagare sarebbe una condanna all’irrilevanza geopolitica.

Cari colleghi, l’Unione Europea o cambia, o non è. Per questo noi, che crediamo fermamente nel grande sogno europeo, non vogliamo celebrare rituali formali ma contribuire attivamente alle scelte politiche dell’Unione e dei nostri Governi, interpretando le richieste che si levano a gran voce dai cittadini. Perseguendo più efficienza e democraticità dei processi decisionali, promuovendo davvero la crescita e il lavoro, dando forza ai diritti individuali e una voce più autorevole all’Unione Europea nel mondo. Insieme vogliamo restituire al disegno europeo un’identità condivisa; una vera, profonda anima comune che ci faccia sentire parte di una grandiosa collettività, plurale e coesa. Insieme vogliamo cambiare l’Europa.

A tutti voi auguro buon lavoro. Grazie.

 

Riunione delle Commissioni specializzate negli affari dell’Unione

Il  presidente del Senato, Pietro Grasso, aprirà lunedì 1° dicembre la 52ma riunione  plenaria  della  COSAC,  Conferenza  degli  organi  parlamentari specializzati  negli affari dell’Unione dei Parlamenti dell’Unione europea. La riunione si terrà nell’Aula del Senato, a partire dalle ore 9.

La   Conferenza  è  l’unica  sede  di  cooperazione  interparlamentare espressamente   prevista  dai  Trattati  Ue  ed è dotata di un proprio Regolamento interno;  il  suo  compito  è  quello di garantire un regolare scambio  di  informazioni,  buone prassi e opinioni sulle materie attinenti all’Unione europea tra le Commissioni per gli Affari europei dei Parlamenti nazionali e il Parlamento europeo.

Si tratta del settimo incontro che si svolge a Roma – il quarto ospitato in Senato   –  nell’ambito  della  dimensione  parlamentare  del  semestre  di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea.

Lunedì  mattina,  dopo  l’indirizzo  di  saluto  del presidente del Senato, prenderanno  la  parola  i  presidenti  delle  Commissioni Politiche Ue del Senato,  Vannino  Chiti,  e  della Camera, Michele Bordo. Subito dopo, sono previsti  gli interventi del sottosegretario con delega agli affari europei Sandro  Gozi  e di Frans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione europea.

Nel  pomeriggio,  a partire dalle ore 15, avrà luogo un dibattito sul  tema “La revisione della Strategia Europa 2020: crescita, occupazione, competitività”,  nel  corso  del quale è previsto l’intervento del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Martedì mattina, a partire dalle ore 9,30, si parlerà del ruolo dell’Unione europea  nello  scenario  globale e del controllo democratico sulle Agenzie europee.  Sono previsti gli interventi, tra gli altri, del senatore Claudio Martini e del sottosegretario Gozi. La   Conferenza  si  concluderà  con  l’adozione  delle  Conclusioni  e del Contributo  della  LII  COSAC.

Il Contributo sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea. I lavori saranno trasmessi in diretta dal canale satellitare, dalla webtv e dal   canale   YouTube   del  Senato.  Il  programma  dettagliato  e  altre informazioni sono disponibili nel sito ue2014.parlamento.it

Periferie. Riqualificazione urbana innesca meccanismi di partecipazione, socialità e crescita

Intervento alla Presentazione del primo rapporto annuale “Periferie” realizzato dal Gruppo G124 del senatore a vita Renzo Piano

Autorità, caro Senatore Piano, gentili ospiti,

è per me un grande piacere poter accogliere in Senato questo importante incontro per la presentazione del primo rapporto annuale del Gruppo di lavoro G124 del collega Senatore Renzo Piano. Come sapete la Costituzione prevede che il Presidente della Repubblica nomini senatori a vita “cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Fedele interprete e custode della nostra Carta costituzionale, il presidente Napolitano ha chiamato un anno fa a questo incarico grandi personalità del nostro Paese, che stanno interpretando nella maniera più nobile questa funzione con un contributo di assoluto valore culturale, etico e politico. In questa occasione desidero anche ricordare un grande amico del senatore Piano, il Maestro Claudio Abbado, scomparso purtroppo all’inizio di quest’anno.

Il progetto G-124, che prende il nome dalla numerazione di una stanza a pochi passi da qui, nasce proprio dall’intenzione del senatore Piano di trasferire il suo sapere e la sua esperienza a dei giovani talenti, con i quali elaborare idee e concrete prospettive di intervento e di cambiamento nell’assetto urbanistico delle nostre città. Confesso che quando ho visitato la stanza G-124 ho avvertito la sensazione di avere davanti a me il seme di un futuro possibile. I sei giovani architetti, artefici dei lavori che oggi verranno presentati, hanno innanzitutto, trasformato una di queste sale dal sapore antico in un luogo di innovazione, un laboratorio capace di sprigionare un’energia straordinaria, coperta di pannelli di compensato con sopra foto, appunti, progetti: una moderna “bottega” in cui condividere sfide e soluzioni che ricorda quelle dei grandi artisti ed artigiani dei secoli passati. E’ un progetto che mette insieme il sapere dell’esperienza e la creatività dei giovani, e ha l’ambizione di cambiare la realtà con una forte spinta utopistica: la voglia concreta di riscattare le periferie fisiche e ideali della nostra società.

L’occasione offerta da questo incontro mi da la possibilità di riflettere sui fatti di cronaca recente che hanno visto protagoniste proprio le periferie, fatti che non ho voluto commentare prima per non aggiungere ulteriore confusione a quella generata dal chiasso mediatico.

Italo Calvino, nel suo volume “Le città invisibili” scrisse che “d’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda“. I disordini di Tor Sapienza ci hanno costretto invece a porci domande ancora senza risposta. I disagi esplosi in queste settimane, prima che si estendano ad altre periferie di altre città, ci devono portare a riflettere criticamente sulle risposte che il nostro Paese ha dato finora alle crescenti difficoltà di tanta parte della popolazione.

Realtà come Tor Sapienza sono state vissute per troppo tempo come marginali, luoghi nei quali l’attenzione pubblica appare con grande enfasi e scompare con altrettanta rapidità. I problemi di quei quartieri però sono gli stessi problemi del Paese, solo elevati all’ennesima potenza: disoccupazione, precarietà, dispersione scolastica, assenza di servizi. Sono quartieri abitati da persone che hanno conosciuto il benessere negli anni passati, lo hanno sfiorato, ma lo hanno perso nelle pieghe di questa crisi che da economica sta diventando sociale, esistenziale ed etica. Per questo voglio credere che quelle proteste, per quanto violente ed esibite – che non possiamo liquidare solo come razzismo, sarebbe un grave errore di valutazione – quelle proteste siano una richiesta di aiuto e d’attenzione. Il grido di chi si sente frustrato perché non vede prospettive davanti a se e si sente abbandonato dalle istituzioni.

Lo stato, oltre a rivedere le politiche dell’accoglienza per fare in modo che l’integrazione sia davvero possibile, e non un semplice incastro di ghetti dentro altri ghetti, deve tornare in questi territori – perché è qui che vive la stragrande maggioranza dei cittadini italiani – deve essere presente con i suoi servizi, con i trasporti, con le forze dell’ordine, ma soprattutto con scuole, centri giovanili, sportivi, centri per l’impiego, luoghi di cultura, spazi per far nascere associazioni, parchi pubblici ben curati. Perché la mia sensazione è che il disagio della periferia si stia estendendo e stia inglobando tutto, trasformando le nostre città in una unica “periferia esistenziale”, per usare le parole di Papa Francesco che non ha caso, da subito, ha detto che la Chiesa deve essere un ospedale da campo in trincea e tornare nelle periferie e tra la gente.

Viene in mente quella splendida pagina di Calvino, sempre dallo stesso libro prima citato, in cui descrive Pentesilea, una città fatta solo di periferie:

Se Pentesilea è solo periferia di se stessa e ha il suo centro in ogni luogo, hai rinunciato a capirlo. La domanda che adesso comincia a rodere nella tua testa è più angosciosa: fuori da Pentesilea esiste un fuori?”

Dobbiamo impegnarci per far uscire le nostre periferie da Pentesilea. Davanti a noi si pongono tre sfide, che il progetto G-124 ha ambiziosamente raccolto: una strettamente urbanistica, una di carattere sociale e, infine, una di tipo economico. Elaborare proposte per ripensare gli spazi e le funzioni delle zone periferiche delle città, significa, innanzitutto, tentare di rimediare a enormi errori del passato. Negli scorsi decenni abbiamo infatti assistito ad un ipertrofico e rapace, sia in termini economici che ecologici, ingrandimento delle città, non accompagnato però da una visione strategica e funzionale. Non abbiamo bisogno di nuove costruzioni ma di valorizzare al massimo tutte quelle opere colpevolmente incompiute che sono diventate, nel tempo, barriere che dividono realtà che invece dovrebbero essere unite. La maggior parte della popolazione vive in quartieri-dormitorio, confinata fisicamente e idealmente in una realtà distante da quella del centro-città e, dunque, privata della possibilità di esserne parte integrante. Sotto il profilo urbanistico è quindi fondamentale “rammendare”, per usare la felice espressione di Piano, le parti più fragili del tessuto urbano, connetterle alle aree limitrofe e conferire loro la vitalità dalla quale si può sprigionare un nuovo vigore, trasformare in energia quel che ora è risorsa inespressa e nascosta.

Iniziare a percorrere questa strada significaandare oltre l’esercizio di stile e avere il coraggio e l’ambizione di cambiare il paradigma che ha portato sia la politica che l’amministrazione a non cogliere in tempo i disagi di Tor Sapienza, così come di tante altre realtà, e a non essere in grado non dico di dare le risposte ma di comprendere le domande che da questi territori arrivano. Come è noto il termine “politica” trae la sua origine dalla parola greca “polis”, città: è innegabile la forte relazione che esiste tra la gestione della cosa pubblica e la sua dimensione territoriale. Le città, e con loro i cittadini, devono appropriarsi e riappropriarsi di luoghi dove si possa esercitare la socialità, dove si possa praticare il dialogo, fondere culture, abitudini, idee e prospettive diverse, luoghi, in breve, in grado di stemperare le naturali tensioni sociali che si verificano quando la politica abbandona la propria funzione.  La riqualificazione urbana può e deve innescare nuovi meccanismi di partecipazione: questo progetto è una testimonianza diretta e vincente di questa possibilità che attende di essere colta da amministratori locali e  decisori pubblici. Penso alle decine di associazioni che sono state coinvolte, alle quali è stato chiesto di prendere parte alla riconquista dei propri quartieri; penso ad altri giovani architetti che hanno contaminato con la propria fantasia il progetto iniziale e che si sono lasciati a loro volta ispirare e conquistare dal lavoro del G-124; a tante micro aziende che in questo lavoro di rammendo possono trovare occasioni di impiego e che hanno bisogno di piccoli capitali per innescare un processo di crescita virtuosa; penso infine a tutti quei cittadini che hanno potuto riscoprire la loro periferia e hanno iniziato a riempire i vuoti urbani con nuovi significati.

Abbiamo il compito di immaginare e costruire un futuro sostenibile ed eco-compatibile, di valorizzare sia in termini economici che sociali questa parte di Italia, nascosta in ogni regione e in ogni città, che troppo spesso viene sottovalutata o dimenticata. Perchè questo è un problema di tutti, e come ebbe a dire don Milani: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne da soli è avarizia. Sortirne tutti insieme è politica.”