Migranti. Manifesto delle seconde generazioni ottimo strumento per tutta la società

“Ho  apprezzato profondamente il Manifesto redatto dalle Associazioni della rete ‘Filo diretto con le seconde generazioni’ coordinate dal Ministero del Lavoro.  È pieno  di  idee  e  buone  pratiche utili non solo per la loro integrazione  ma  per  tutta  la  società italiana. Sono quasi un milione i giovani  di  seconda  generazione che frequentano le nostre scuole e che si sentono  e  sono a tutti gli effetti parte della nostra comunità nazionale. Le  loro  proposte  puntano  a  una  piena  integrazione nel rispetto delle culture  d’origine, e sono in grado di creare valore e ricchezza, culturale ed  economica,  per il futuro del nostro Paese”.

È quanto ha dichiarato il Presidente  del  Senato,  Pietro  Grasso,  al termine dell’incontro con una delegazione  della rete “Filo diretto con le seconde generazioni”, ricevuta oggi a Palazzo Madama. La  delegazione  ha consegnato al Presidente del Senato il “Manifesto delle seconde  generazioni”,  elaborato  da oltre trenta associazioni di giovani, attive su tutto il territorio nazionale. L’iniziativa  “Filo  diretto  con  le seconde generazioni” è promossa dalla Direzione  generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con l’obiettivo di favorire il  dialogo  tra  la  Pubblica  Amministrazione  e  i  giovani  di  seconda generazione.

Il  Manifesto affronta i temi della scuola, del lavoro, della cultura, dello sport, della partecipazione e della cittadinanza attiva. Tradotto   in   dieci  lingue,  il  documento  è  disponibile  nel  Portale Integrazione Migranti (www.integrazionemigranti.gov.it).

 

Incontro con il Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg

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Il  Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi a Palazzo Madama il Segretario Generale della Nato, Jens Stoltenberg.

Al  centro  del  colloquio:  la  lotta  al  terrorismo,  la  situazione nel Mediterraneo con particolare riguardo alla Libia e il conflitto in Ucraina.

Conferenza per l’armonizzazione delle legislazioni contro il terrorismo

Seminario ONU/PAM per i Parlamentari della Regione del Maghreb

Con grande piacere vi auguro il benvenuto al Senato della Repubblica per questo seminario su un tema così attuale ed importante, e ringrazio per averlo promosso l’Assemblea Parlamentare del Mediterraneo, particolarmente il Senatore Francesco Amoruso che ne è Presidente onorario; l’UNODC, Ufficio delle Nazioni Unite sulle Droghe e il Crimine; e la Commissione Anti-terrorismo delle Nazioni Unite. Mi sia consentito un saluto particolare ai colleghi parlamentari dei Paesi del Maghreb che accogliamo con spirito di amicizia e l’auspicio che il difficile momento che viviamo sia l’occasione per rafforzare la mutua conoscenza e comprensione come base per un intenso lavoro comune dei nostri Paesi, dei Parlamenti e dei parlamentari, che mai è stato così vitale come oggi. Sono infatti convinto che nel momento di forte emozione e di smarrimento che i nostri cittadini vivono di fronte al crescere della barbarie terroristica e fondamentalista che i media diffondono, sia necessario più che mai non cadere nelle provocazioni di chi persegue la politica della morte e del terrore, richiamandosi alla vuota retorica dello scontro di civiltà, per innescare ancora altro odio e giustificare compressioni delle libertà individuali. Si impone al contrario la riflessione e la ponderazione delle politiche pubbliche comuni ai nostri Paesi per difendere insieme le nostre civiltà, i diritti delle persone, la democrazia. E sono proprio i parlamenti, dove noi sediamo in rappresentanza dei cittadini, il luogo primario dove queste riflessioni, pacate e serie, devono svilupparsi.

Le prospettive da considerare sono diverse e strettamente intrecciate. La prima è normativa. La minaccia terroristica impone un rafforzamento delle capacità degli organi preposti alla sicurezza e degli strumenti giuridici per prevenire e reprimere questi fenomeni. Io credo fermamente che questo possa e debba avvenire sempre nel pieno rispetto dei principi generali, dei diritti e dei valori che ispirano le nostre Costituzioni e che sono fissate nel patrimonio condiviso della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale. L’Italia, che ha vissuto un’epoca dolorosa a causa del terrorismo interno, è riuscita a sconfiggere la violenza e la barbarie sempre e solo con le armi del diritto e della democrazia, con i processi e le regole, senza leggi “eccezionali” e senza comprimere i diritti fondamentali dei singoli. Abbiamo risposto alle bombe e alle armi con i codici e le leggi. In questo senso, è proprio ai parlamenti che spetta il compito di trovare il giusto equilibrio fra sicurezza e libertà. Negli scorsi giorni il Governo italiano ha emanato un decreto, sottoposto all’attenzione della Camera dei Deputati in questo momento, per perfezionare gli strumenti di prevenzione e di contrasto del terrorismo: rivedendo le fattispecie di reato anche per colpire il più recente fenomeno dei foreign fighters; prevedendo dei meccanismi giudiziali e amministrativi di prevenzione personale; rafforzando gli strumenti a disposizione degli apparati di sicurezza; estendendo i poteri di coordinamento nazionale della Procura Nazionale Antimafia anche ai fatti di terrorismo. Naturalmente non posso entrare nel merito del provvedimento, che presto dovrà essere esaminato dal Senato; ma posso dire che questo intervento mi sembra collocarsi saldamente nell’alveo della nostra tradizione di rispetto e promozione dei diritti e delle libertà.

La seconda prospettiva è quella del controllo da parte dei parlamenti dell’operato delle forze di sicurezza e dei servizi segreti. In Italia, il Governo è spesso chiamato a riferire in Parlamento a proposito del suo operato su questi fenomeni; ed esiste un Comitato bicamerale parlamentare per la Sicurezza della Repubblica. A questo organo (COPASIR) sono affidati compiti importantissimi di verifica sistematica e continuativa dell’operato delle Agenzie per la sicurezza interna ed esterna, affinché siano rispettate la Costituzione e le leggi e sia sempre perseguito esclusivamente l’interesse e la difesa della Repubblica. Il COPASIR ha poteri conoscitivi e sente in audizione regolarmente il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Sottosegretario preposto al settore, e i capi delle Agenzie di Sicurezza; può ottenere dall’autorità giudiziaria e dagli altri organi inquirenti copia degli atti relativi a procedimenti ed inchieste; può effettuare accessi e sopralluoghi negli uffici delle Agenzie; riceve una serie di relazioni periodiche e comunicazioni obbligatorie; ha infine poteri di conferma del segreto di stato.

La terza prospettiva è geopolitica. Lo Stato Islamico e gli altri gruppi terroristici riempiono vuoti determinati anche dalla debolezza e dalla disunione delle nostre politiche comuni. Lo Stato Islamico, in particolare, ha i caratteri di una creazione a vocazione universale ma anche radicata territorialmente, dotata di forza militare e comunicativa. Noi dobbiamo reagire non solo garantendo la sicurezza territoriale con mezzi militari ma soprattutto favorendo l’emersione e il consolidamento di istituzioni e di luoghi della politica, nel rispetto delle tradizioni locali e senza la pretesa di imporre la nostra concezione della democrazia, che è il portato di lunghi e complessi processi non ancora del tutto maturi. In ciò sarà sempre più necessaria e strategica un’azione condivisa fra l’Europa e i Paesi che sono qui oggi rappresentati.

Chiudo con la quarta prospettiva, che è quella sociale. Prevenire il terrorismo e le radicalizzazioni, nel Maghreb e qui, in Europa, richiede anche che si sottraggano all’emarginazione e all’esclusione delle periferie coloro che sono vittime delle più gravi diseguaglianze, nei cui confronti le ideologie del male hanno un’attrattiva perversa. Ricondurre alla cittadinanza attiva chi si trova spinto ai margini della società è una priorità assoluta, come è importante – penso al mio Paese – che si rivedano le regole troppo restrittive sull’attribuzione della cittadinanza e dei diritti politici agli immigrati, particolarmente quelli di seconda generazione, che devono tutti sentirsi parte di una collettività plurale, unitaria e coesa. Allargando ancora la visuale, credo che sia dovere di noi politici comprendere che il futuro delle nostre società richiede un progresso culturale, in entrambe le sponde del Mediterraneo, che passa in primo luogo per un profondo rispetto di ogni credo religioso, che non deve mai essere motivo di odio e di discriminazione. Un progresso che impone il riconoscimento che la nostra identità, ciò in cui ci identifichiamo e ci riconosciamo, è fatta anche di alterità, di diversità e di preziosa contaminazione. Un cammino duro perché è difficile liberarsi dei pregiudizi e del peso della storia, ma ineludibile. Un cammino che vi invito a percorrere insieme.

A tutti voi auguro buon lavoro. Grazie.

 

Premiazione concorso “Immagini per la Terra”

Sarà  il  Presidente del Senato, Pietro Grasso, a consegnare il premio agli studenti vincitori del concorso nazionale “Immagini per la Terra”, alle ore 11 di venerdì 27 febbraio, nell’Aula di Palazzo Madama. L’iniziativa – promossa dall’Ong “Green Cross Italia”, con l’Alto Patronato del  Presidente  della  Repubblica  e  in  collaborazione  con il Ministero dell’Istruzione – è  aperta  a  studenti  e  insegnanti  di tutte le scuole italiane, di ogni ordine   e   grado.

I  partecipanti  approfondiscono  uno  specifico  tema ambientale  e seguono un percorso formativo e didattico che si conclude con la realizzazione di un’opera. La  ventiduesima  edizione  di  “Immagini  per  la  Terra”  – dedicata alla strategia  “zero  rifiuti”,  con  il  titolo “da cosa (ri)nasce cosa” –  ha coinvolto  più  di  32  mila  studenti  di  oltre  1.300  scuole, nell’anno scolastico 2013/2014. Le opere vincitrici saranno esposte e illustrate venerdì mattina nella Sala Garibaldi, a Palazzo Madama. In  Aula,  alle  11,  oltre  300  studenti  e  insegnanti  incontreranno il Presidente   Grasso,   i   Ministri  dell’Istruzione  Stefania  Giannini  e dell’Ambiente  Gian  Luca  Galletti,  e il Presidente di Green Cross Italia Elio Pacilio.

L’incontro sarà presentato dalla conduttrice Camila Raznovich in  compagnia dell’attrice Geppi Cucciari. In apertura il Coro del Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II eseguirà l’Inno “Fratelli d’Italia” .

Il cammino e le sfide di Papa Francesco

E’ per me davvero un piacere poter partecipare, anche se solo per un saluto iniziale, a questo incontro dal titolo “Il cammino e le sfide di Papa Francesco”, e di questo ringrazio l’Università Lumsa e il presidente dell’associazione “Buonacultura”. Colgo l’occasione per svolgere alcune considerazioni che certamente saranno meglio argomentate dagli illustri relatori che seguiranno.

Il tema del “cammino” è un tema che nei discorsi e soprattutto nelle omelie di Papa Francesco ritorna con grandissima frequenza.  Sin dalla sua prima omelia, quella del 14 marzo 2013 durante la Messa con i cardinali, a poche ore dalla sua elezione, dice “Camminare: la nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo, la cosa non va”. E di strada, in questi due anni, molta ne ha fatta Papa Francesco e molta la sta facendo fare alla Chiesa. Non so dire se il suo cammino abbia una meta prefissata, ma sicuramente la direzione è chiara: un alto e profondo disegno riformatore della Chiesa, un cambiamento radicale, politico e spirituale, di cui la comunicazione è un fondamentale e indispensabile sostegno.

Mi limiterò ad occuparmi di tre delle tante sfide che il Papa ha posto al mondo dopo la sua elezione: quella sulla comunicazione, quella contro la corruzione e quella della speranza.

Nell’innovazione del linguaggio impressa da Papa Francesco troviamo molte componenti: la sua origine sudamericana, la sua formazione gesuitica, un carattere aperto, il bisogno del contatto con la comunità, l’accurata scelta di temi di urgente attualità, la capacità di farsi comprendere da tutti attraverso immagini semplici ma di grande potenza simbolica, il tutto unito a un’istintiva capacità di utilizzare le forme e gli strumenti della comunicazione per arrivare al cuore della gente. Il Papa ama le frasi coordinate, incisive, essenziali. Ricorre raramente nelle occasioni pubbliche alle subordinate, alla complessità e all’oscurità del linguaggio, perché sente l’urgenza di comunicare, di essere capito, di scuotere il suo uditorio. La semplicità del linguaggio non è mai però semplicità di ragionamento: arriva sempre al cuore delle questioni, in profondità, ma porta ciò che è profondo in superficie e lo porge a chiunque abbia la voglia di ascoltare le sue parole, recuperando la modalità del linguaggio di Gesù, le parabole, e creando con parole semplici delle immagini di una incredibile potenza simbolica. Per fare qualche esempio: la Chiesa vista come “un ospedale da campo dopo una battaglia”, “le periferie esistenziali” – cui il Papa fa riferimento nell’omelia del 16 maggio 2013, quando contrappone il fervore di San Paolo ai “cristiani da salotto”, altra immagine fortissima.

Ai sacerdoti della sua diocesi, nella messa del giovedì Santo, ha chiesto invece di essere “pastori con l’odore delle pecore, pastori in mezzo al proprio gregge”. Anche nella scelta dei temi si ha un cambiamento: chiaramente il Papa parla della fede, di Dio, del Vangelo ma lui, sin da subito, ha puntato in modo chiaro e netto su alcuni temi di grande attualità: bellezza, bontà e verità, giustizia.

E’ proprio nella selezione dei temi che si verifica una sorta di sfida alla politica: il Papa parla dei temi che toccano la vita quotidiana delle persone, temi di cui la gente ha bisogno di sentir parlare. Anche il politico sa quali siano questi temi, ma spesso parla d’altro, di alchimie parlamentari e di governo che nulla hanno a che fare con i problemi quotidiani dei cittadini, con le loro difficoltà e soprattutto con le loro speranze. Quando poi il discorso si centra su questi temi, nella migliore delle ipotesi i politici offrono ottime analisi, con statistiche e dati, ma senza affrontarli con la drammaticità di chi vive l’esperienza, senza mettersi dal punto di vista di chi ascolta: in poche parole, anzi per usare le parole di Francesco, si dimostra di non conoscere l’odore e la scomodità della frontiera, ma solo l’asetticità del laboratorio.

Nella sfida al potere e ai potenti si inserisce anche il suo tornare continuamente sul tema della corruzione. Non credo sia un caso che sia stata al centro anche dell’omelia del 27 marzo scorso, durante la messa con i parlamentari italiani. “I peccatori pentiti saranno perdonati. I corrotti no: una volta scelta questa opzione non torneranno indietro e diventeranno irredimibili, simili a sepolcri imbiancati, una putredine verniciata: questa è la vita del corrotto.” Un’omelia forte, tagliente, nella quale ha bollato l’ipocrisia, il fariseismo, la corruzione, la distanza tra il popolo e le classi dirigenti, chiuse entro anguste logiche di fazione, di ideologie, di interessi. Del resto non poteva parlare di misericordia. Non aveva davanti i poveri, gli ultimi, non aveva senso mostrarsi dolce, accarezzare e abbracciare. Stupisce che qualcuno si sia stupito. Le parole che Papa Francesco ha utilizzato quella mattina per commentare il passo di Geremia previsto dalla liturgia io le conoscevo, perché erano il cuore del libro “Guarire dalla corruzione”- che raccoglie le riflessioni dell’allora cardinale Bergoglio a Buenos Aires – di cui ho avuto l’onore e il privilegio di scrivere la post fazione. Il testo di Bergoglio è un’analisi accurata e soprattutto spietata del fenomeno della corruzione: una condanna senza appello e quasi senza redenzione. La descrive non solo come una somma “quantitativa” di peccati ma come una mala pianta che minaccia le fondamenta su cui sono costruiti gli Stati democratici e la Chiesa stessa. E su questo tema Papa Francesco è tornato davvero molto spesso in questi mesi, dicendo ad esempio che i corrotti danno da mangiare ai loro figli “pane sporco”, e successivamente, con una sintesi economicamente e politicamente, oltre che spiritualmente, impeccabile, Papa Francesco si chiede: “Chi paga la corruzione? La paga il povero. Pagano gli ospedali senza medicine, gli ammalati che non hanno cura, i bambini senza educazione”.

L’ultima sfida di Bergoglio di cui voglio parlare è quella della speranza, il cuore della sua visione della missione pastorale della Chiesa nella società e nel mondo. Un impegno talmente innovativo, rivoluzionario, che in breve tempo ha fatto di Francesco il papa della speranza, una guida spirituale che parla a tutti indistintamente, non solo ai fedeli, ma all’umanità. Una sfida che si declina in varie forme. Anzitutto nella spinta impressa alla Chiesa per attenuarne il carattere troppo istituzionale e per indirizzarla verso quella che definisce l'”uscita missionaria”. Per riportarla in strada, attraverso una marcia che non parte dal centro, dal Vaticano, ma dalle periferie, dalle strade dimenticate, decentrate, isolate, calpestate dagli ultimi. Un cammino coerente con la vocazione personale e la storia umana e pastorale di Francesco, che indirizza la Chiesa verso due direttrici nuove: dal centro alla periferia e dal settentrione al meridione, il Sud del mondo. Come Gesù, la cui missione ebbe origine non a Gerusalemme ma in Galilea, periferia infestata di stranieri e disprezzata dai Giudei, così anche nel recente concistoro Bergoglio sceglie la maggior parte dei nuovi cardinali proprio nelle periferie del pianeta, individuando gli elettori del pontefice che lo sostituirà nel calvario della vita. C’è poi l’anelito alla pace del Papa: intenso, passionale, profondo. E avverte, visionario, quasi un anno fa: “Siamo nella Terza guerra mondiale. Ma fatta a pezzi, a capitoli. Il mondo è in guerra dappertutto. E l’umanità è spaventata da due problemi: la crudeltà e la tortura, un peccato mortale”. E ancora: “Si deve pregare. La pace è un dono, e va meritata anche con il nostro lavoro”. Così Francesco si è messo al lavoro e ha scritto a Raul Castro e a Barack Obama perché si chiudesse un conflitto vecchio di decenni, e si avvicini il sogno di un continente, quello americano, il suo, unito dalla fede del Signore.

Il Papa ha quindi rimesso al centro del discorso l’uomo, con le sue debolezze e i suoi punti di forza, nel rapporto con Dio. Il suo messaggio è chiaro e forte: non lasciamo che i principi e i valori religiosi restino solo nella preghiera e nella contemplazione, facciamone uno stile di vita quotidiano basato sull’accoglienza, sulla fiducia, sulla speranza, sulla solidarietà. Papa Francesco sente l’urgenza del cambiamento: “I tempi stringono, non abbiamo diritto a continuare ad accarezzarci l’anima, a restare chiusi nelle nostre cosucce. Non abbiamo diritto a restare tranquilli”. Ci pone continuamente sfide sempre nuove e sempre più difficili, ci vuole in movimento.

Chiudo citando un dialogo immaginario raccontato dal Papa nell’omelia “I cristiani costruiscano ponti, non muri, la verità è un incontro” dell’8 maggio 2013: “Ma, Padre, noi possiamo sbagliarci”. “Avanti, se ti sbagli, ti alzi e avanti: quello è il cammino. Quelli che non camminano per non sbagliarsi, fanno uno sbaglio più grave”. Tutti noi siamo chiamati a non fare questo grave errore. Buon cammino.

Riformabilità o irriformabilità del capitalismo?

Messaggio alla Fondazione Basso

Purtroppo imprevisti e inderogabili impegni personali non mi consentono di essere con voi, come avrei voluto, per aprire il seminario internazionale che affronta un tema di grande attualità, il capitalismo, da sempre terreno di opinioni contrastanti tra fautori, oppositori e critici. Non è mia intenzione intervenire nel merito della questione, sulla quale autorevoli relatori si confronteranno oggi e domani, ma desidero ringraziare la Fondazione Lelio e Lisli Basso Issoco per l’organizzazione di questa iniziativa – realizzata con l’importante contributo della Fondazione Friedrich Ebert – ma più in generale per la costante attività nel settore della formazione che svolge intensamente da quel lontano 1973, anno della sua fondazione.

L’attività di servizio culturale della Fondazione Basso ha trovato un importante interlocutore nelle Università con le quali si interfaccia costantemente, sia nel campo della partecipazione e dell’organizzazione di master sia ospitando tirocini presso la sede della Fondazione, contribuendo così in maniera concreta alla formazione culturale delle giovani generazioni, che sappiamo essere il motore pulsante della nostra società, giovani che abbiamo il dovere di sostenere e di seguire nel percorso di crescita culturale che li porta a diventare cittadini consapevoli e responsabili. La missione di promozione della cultura della democrazia e dei diritti, dell’ambiente e dei beni comuni, dell’uguaglianza e delle diversità, dei diritti umani hanno fatto della Fondazione punto di riferimento nevralgico per diverse generazioni di studiosi, politici e intellettuali sia nazionali che internazionali, e continua ad esserlo ancora oggi, grazie anche allo straordinario patrimonio documentario custodito presso la Biblioteca e l’Archivio storico. Realtà che sentiamo particolarmente vicine, e non solo per prossimità geografica, visto che Senato e Fondazione sono praticamente “vicini di casa”.

Auguro a tutti voi un proficuo lavoro, nella convinzione che il dialogo e la conoscenza siano la strada maestra per combattere sopraffazioni e illegalità e per l’affermazione della dignità umana in ogni sua forma.

 

Dai culti ammessi alla libertà religiosa

Eccellenza Reverendissima, Gentili ospiti, Cari colleghi,

sono particolarmente lieto di ospitare anche quest’anno, nella splendida cornice della Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, il convegno promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), in collaborazione con la Commissione delle chiese evangeliche per i rapporti con lo Stato (CCERS) e dedicato alla memoria del giurista Gianni Long,scomparso prematuramente lo scorso novembre. Moltissimi gli spunti di riflessione e gli elementi di criticità emersi dagli incontri e dibattiti di queste due giornate dedicate al tema della libertà religiosa: un argomento di crescente attualità in un’Italia sempre più pluralista anche sotto il profilo confessionale.

L’affermarsi del pluralismo religioso pone quotidianamente le istituzioni dinanzi a casi che riguardano la concretezza della vita personale e familiare dei cittadini italiani, comunitari e non comunitari. La dimensione spirituale tocca infatti corde profonde dell’identità personale e, per tanti, anche della comunità. Le istituzioni non possono non affrontare il tema: hanno il dovere di favorire la conoscenza, l’incontro, la libera espressione della propria fede, l’integrazione. Un ruolo che, e non sembri una battuta, deve necessariamente essere “illuminato” e che trova il suo punto di luce nei principi e nelle garanzie costituzionali, cornice e condizione per una convivenza pacifica e rispettosa delle esigenze più profonde dei singoli e delle comunità familiari e sociali cui appartengono.

La libertà religiosa in Italia è garantita dalla legge fondamentale dello Stato, la Costituzione, sulla quale poggia l’intera normativa vigente in materia. E’ poi intervenuta la Corte costituzionale con sentenze che hanno tracciato un vero e proprio percorso interpretativo che nel tempo si è modificato col mutare delle esigenze sociali. In tale opera interpretativa la Corte, al fine di perseguire l’effettivo esercizio della libertà religiosa e di credo, si è giovata anche del quadro normativo di riferimento fornito dall’evoluzione delle norme internazionali in materia di diritti fondamentali, da quelle elaborate in ambito Nazioni Unite, a quelle elaborate in seno al Consiglio d’Europa e all’Unione europea, a partire dai Trattati e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.

Come sappiamo, il nostro sistema è regolamentato da una legge del 1929, elaborata anteriormente all’era repubblicana e costruita attorno ad una superata logica di tolleranza religiosa – “culti ammessi” – piuttosto che su quella di una piena libertà religiosa. Già la Carta costituzionale, con i suoi principi affermati con estrema chiarezza, ha reso obsoleta quella legge. E’ evidente quindi l’urgenza del suo complessivo superamento con una nuova legge organica sulla libertà religiosa, coerente coi principi costituzionali.

Io credo che nell’ultima legislatura il Parlamento italiano, e il Senato in particolare, abbia ben operato portando alla definitiva approvazione di molte intese che Governi di diverso colore politico avevano concluso negli anni con diverse confessioni che coinvolgono molti cittadini dell’Unione europea presenti in Italia, come gli ortodossi, i buddisti e gli induisti, espressione della nuova realtà multiculturale che caratterizza sempre di più l’Italia e ancora di più l’Europa.

Per quanto di mia competenza, mi muoverò nel solco di questa scelta nella convinzione che lo strumento dell’intesa, espressamente previsto dalla nostra Costituzione, sia particolarmente adatto per conseguire in tempi rapidi quelle soluzioni a situazioni specifiche che in alcuni casi necessitano di deroghe al diritto comune, proprio in nome della libertà religiosa.

Sono però profondamente convinto che proprio a partire dalle diverse intese, che ricordo sono state licenziate nelle Commissioni in sede deliberante e quindi all’unanimità, si possa ricavare un complesso articolato di previsioni ampiamente condivise da utilizzare per una rapida e necessaria revisione della legge del 1929, allo scopo di garantire a pieno i principi costituzionali in materia di libertà religiosa e di affrontare, in modo pragmatico e realistico, un tema complesso e tuttavia decisivo per lo sviluppo della società italiana ed europea di fronte alle sfide poste dal pluralismo religioso e culturale. Quella per la libertà religiosa e di coscienza non è solo una battaglia politica, è anche un impegno culturale, direi un dovere etico per il nostro Paese.

Sui rapporti tra la Croazia e l’Italia

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Intervista al Piccolo di Trieste a cura di Giovanni Vale

Nell’occasione dell’investitura ufficiale della neoeletta Kolinda Grabar Kitarovic’, che ha giurato ieri a mezzogiorno a Zagabria, il Presidente del Senato Pietro Grasso si è recato in Croazia a capo della delegazione che rappresentava l’Italia.

Dopo l’Italia, anche la Croazia cambia oggi capo di Stato. L’ottima relazione Josipović-Napolitano è dunque rinnovata completamente. Quali novità s’immagina nel tandem Kitarović-Mattarella?

Ogni Presidente da al proprio mandato un’impronta personale, ed è troppo presto per capire quale sarà quella dei nostri due nuovi presidenti Mattarella e Kitarović. Quello che è certo è che i rapporti tra i due Paesi non potranno che continuare al meglio. Nel nostro colloquio di oggi con la Presidente Kitarovic abbiamo concordato che abbiamo interessi e responsabilità comuni e che intensificheremo il lavoro comune.

La destra torna alla presidenza della repubblica croata dopo 15 anni. Pensa che ciò guasterà i rapporti tra Zagabria e Belgrado?

Intanto mi lasci ricordare che la Presidente Kitarovic, nella sua recente intervista al Piccolo, ha espresso l’intenzione di migliorare le relazioni con la Serbia e favorirne l’integrazione europea. Noi non dobbiamo dimenticare che il profondo senso politico della prospettiva europea per l’intera regione dei Balcani Occidentali è proprio quella di superare le ferite della storia, le incomprensioni e le rivendicazioni. Croazia e Serbia sono due paesi importanti per la stabilità e il benessere dell’Europa, e io credo che sia interesse di tutti che la Serbia, in esito alle consuete procedure, si unisca presto alla famiglia europea.

La Croazia è in recessione dal 2009. Quale può essere il ruolo dell’Italia (primo partner commerciale del paese) sulla strada della ripresa?

Le cifre di questo vitale rapporto economico fra Italia e Croazia sono eloquenti: 3,2 miliardi di euro di interscambio nel 2013 e 1,4 miliardi di investimenti italiani negli ultimi venti anni. Sono convinto che possiamo fare ancora di più, e questa è la precisa intenzione dei due Paesi. Gli imprenditori italiani che ho incontrato ieri in Ambasciata mi hanno rappresentato la necessità che migliorino alcune condizioni ambientali, con l’alleggerimento della burocrazia, la lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, la riforma del mercato del lavoro. Problemi che riguardano anche il nostro Paese. Credo che la cooperazione fra Roma e Zagabria sarà foriera di positivi sviluppi per entrambi i Paesi, e confido che si facciano valere le ragioni del dialogo e della comprensione reciproca nel tavolo di lavoro che è stato avviato a proposito delle norme recentemente approvate dal Parlamento sul tasso di cambio fra la valuta croata e il franco svizzero, che penalizzano irragionevolmente le imprese bancarie italiane.

Il governo croato firmerà entro il 2 aprile i contratti definitivi per l’esplorazione petrolifera in Adriatico e l’Italia potrebbe ritrovarsi a condividere i rischi ambientali dell’impresa. Che fare?

Noi seguiamo con attenzione le attività avviate dalla Croazia nell’Alto Adriatico. Sfruttare nuove risorse energetiche può essere una preziosa occasione di sviluppo economico ma la salvaguardia dell’ambiente da parte degli Stati Membri dell’Unione Europea deve essere una priorità assoluta. La gestione comune del mare Adriatico è già nei fatti ed è imprescindibile per tutelare per le prossime generazioni il fragile ecosistema di quel mare semi-chiuso che unisce e arricchisce Croazia e Italia. Durante il Semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea è stata adottata con successo un’importante Strategia europea di cooperazione per la Regione Adriatico-Ionica, che prevede nell’energia e nell’ambiente due pilastri strategici. Proprio in quell’ambito si potranno sviluppare strategie e forti sinergie.

Gli attentati di Parigi hanno mostrato un forte rischio insicurezza in Europa e le armi usate dagli assalitori venivano proprio dai Balcani. La Croazia, frontiera dell’UE, è sufficientemente attenta ai traffici illegali che attraversano il suo territorio?

Nella mia precedente funzione di Capo della Procura Nazionale Antimafia ho spesso discusso con le autorità croate della cooperazione fra i nostri Paesi contro la criminalità organizzata e il terrorismo. Gli attacchi delle ultime settimane devono farci riflettere su come integrare al meglio le indagini delle magistrature e delle forze di polizia europee e porre le basi per la rapida ed efficiente circolazione di prove e informazioni. A questi attacchi si risponde con fermezza, senza permettere che la paura faccia fare passi indietro al processo di integrazione europea. Ritengo poi estremamente importante la cooperazione fra Italia, Croazia e Unione Europea sull’immigrazione, a livello politico e operativo. Non bisogna dimenticare che flussi migratori importanti attraversano i Balcani, interessando anche la Croazia.

Nel novembre scorso, la presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, ha auspicato la riapertura di un tavolo sulle rivendicazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati. Possiamo sperare in qualche novità riguardo l’annosa questione dei beni abbandonati e degli indennizzi?

Lo spero fortemente, e so che la presidente Serracchiani ne ha fatto un punto importante del suo operato. Dobbiamo trovare insieme la capacità di superare quelle pagine dolorose, le sofferenze e il sacrificio degli italiani che persero la vita o che vissero la terribile esperienza dell’esodo così come quelle inflitte alla minoranza slovena e croata negli anni del fascismo e della guerra: questa è storia che nessuno deve dimenticare. Per fortuna, però, oggi ne stiamo vivendo un’altra che ha permesso di risanare le ferite e spegnere gli odi nazionali nel quadrante orientale. Abbiamo salutato con gioia l’ingresso nell’Unione europea della Slovenia nel 2004 e della Croazia nel 2013, e credo che l’idea del tavolo possa essere il suggello di questo percorso.

A Zagabria per l’insediamento del nuovo Presidente della Repubblica di Croazia

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Il  Presidente del Senato Pietro Grasso rappresenterà il Capo dello Stato Sergio Mattarella  alla  cerimonia di insediamento del Presidente della Repubblica di Croazia, Kolinda Grabar-Kitarovic, che avrà luogo alle 12 di domenica 15 febbraio, a Zagabria, in Piazza San Marco. Dopo la cerimonia,  Palazzo  Dverce ospiterà il ricevimento ufficiale, al termine  del  quale  è  previsto un colloquio tra il Presidente Grasso e la Presidente Grabar-Kitarovic. Lunedì mattina,  alle  ore  12,  è  in  programma la visita al Palazzo del Parlamento  croato  e  l’incontro  con  il Presidente del Parlamento, Josip Leko.

Reato di negazionismo. Testo condiviso ed equilibrato, frutto di lavoro meticoloso del Senato. Giorno importante per il Paese

“L’approvazione del disegno di legge  sul reato  di  negazionismo  ad amplissima  maggioranza,  quasi  all’unanimità,  conferma  l’intenzione, da parte  delle  Istituzioni repubblicane, di compiere un ulteriore e decisivo passo  nel contrasto a tutte le forme di offesa alle vittime e di negazione di quella terribile pagina della nostra storia che è stata la Shoah”.

E’  quanto  scrive  il  Presidente del Senato, Pietro Grasso, nella lettera inviata  oggi  al  Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, subito dopo il via libera dell’Aula al ddl n. 54, “Modifica all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di contrasto e  repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di  guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale”, testo che è stato allegato alla lettera.

Il   Presidente  Grasso  si  definisce  “sinceramente  orgoglioso”  per  la votazione  avvenuta  questa mattina nell’Aula di Palazzo Madama e aggiunge: “Come  Presidente  del Senato ho più volte espresso la necessità di dotarci di una legge che introducesse il reato di negazionismo: l’Italia finalmente esprime  in  maniera chiara l’adesione agli orientamenti normativi presenti in altri Paesi e già in vigore a livello europeo”.

“Se  da  un  lato  –  scrive  il  Presidente  del Senato – era unanimemente riconosciuta l’esigenza di introdurre una norma in grado di sanzionare ogni condotta  lesiva  della dignità umana, era altrettanto sentita l’importanza di  mantenere  intatta la libera espressione delle opinioni e della ricerca storica:  in  questo  senso,  il  Senato  ha  svolto  un lavoro meticoloso, esplorando  e  approfondendo tutti gli aspetti connessi alla trattazione di una  materia  così  complessa  e  giungendo infine alla stesura di un testo condiviso  ed  equilibrato.  Sono  certo  che  la Camera dei Deputati saprà affrontare   con   uguale   sensibilità   questa   materia   per  approvare definitivamente, e in tempi brevi, la Legge contro il negazionismo”. “In questo giorno importante per le Istituzioni del nostro Paese – conclude il  messaggio  del  Presidente  Grasso –  desidero rinnovare i sentimenti di amicizia che mi legano a Lei e alle Comunità ebraiche italiane”.