Immigrazione, asilo e diritti umani nella Regione Euro-Mediterranea

Cari colleghi,

desidero per prima cosa ringraziare la Presidente dell’Assemblea della Repubblica del Portogallo Maria da Assunção Esteves per la calorosa accoglienza a Lisbona, nella cui bellezza ed atmosfera sono felice di potermi immergere una volta di più. La Presidenza portoghese nella lettera di invito del mese di gennaio di quest’anno, sottolineava la scelta di incentrare questo II Summit dei Presidenti dell’Assemblea parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo sul tema delle migrazioni, parlando giustamente di un nostro comune “dovere morale e politico”. La tragedia che lo scorso aprile si è verificata nelle acque del Canale di Sicilia, seguita, a poche ore di distanza e senza interruzione fino ai giorni scorsi, da altri naufragi sulla costa di Rodi e al largo della Libia, hanno rivelato agli occhi del mondo la gravità della catastrofe umanitaria in corso e la nostra collettiva responsabilità. Il dolore, lo sgomento e la vergogna che tutti proviamo ci impone, cari colleghi, di onorare le vite che sono state inghiottite dal nostro Mare facendo seguire al turbamento delle coscienze e ai sentimenti di umana pietà, azioni perché questo non accada mai più. Il che richiede per prima cosa la comprensione delle dinamiche più profonde dei fenomeni in corso e delle loro cause immediate e remote, attraverso diverse chiavi di lettura: storiche, politiche, geopolitiche, economiche, sociali, giuridiche.

Muoviamo dal nostro comune contesto geografico e geopolitico, il Mediterraneo. Storicamente, nonostante non siano mancati conflitti e instabilità, questa regione è stata attraversata da fruttuosi scambi commerciali e culturali, che hanno forgiato tratti di identità comune. Ancora oggi, il Mare nostro è fonte di vitali opportunità: vi transita il 19% dei traffici di merci a livello globale, in aumento rispetto al 15% della fine degli anni 90; e l’interscambio economico fra i Paesi della sponda sud e della sponda nord è in costante crescita, nonostante il (temporaneo) freno delle crisi economico-politiche su entrambe le sponde. Negli ultimi anni però il Grande Mediterraneo è divenuto uno dei punti più dolenti di un sistema globale mai così frammentato e disgregato. Mi riferisco ai vuoti geopolitici dovuti alla dissoluzione di stati ed istituzioni; agli squilibri economici; alle crisi di sicurezza; all’influenza di poteri informali: crimine organizzato transnazionale, terrorismo, economia illegale. Penso ai diversi livelli di conflitto in corso: economici, geopolitici, confessionali, etnici. Penso alle minacce del jihad globale che attua strategie di lotta al “nemico lontano” (la sponda nord) e al “nemico vicino” (la sponda sud) attraverso il terrorismo, l’instabilità, l’offesa alla dignità umana. Penso all’aumento delle diseguaglianze che pregiudica la coesione sociale e genera frustrazione, nei più giovani soprattutto, incoraggiando l’adesione a movimenti ideologici distruttivi. Penso infine agli epocali movimenti di profughi. Per queste complesse ragioni il Mediterraneo, e la gestione del fenomeno migratorio ne è esempio, è attraversato da interessi e atteggiamenti contrapposti, anche a livello politico. Sponda sud e sponda nord sembrano a tratti universi che si guardano e non si comprendono. E spesso non si comprendono anche paesi che si trovano sulla stessa sponda. Ecco perché dobbiamo impegnarci perché i fori di cooperazione parlamentare abbattano le dicotomie “noi-loro” che avvelenano le nostre opinioni pubbliche e la politica più superficiale e ci aiutino a prendere coscienza che nessuno può fare da solo e nessuno può ritenersi al riparo.

I dati del fenomeno migratorio attraverso il Mediterraneo sono eloquenti. Secondo le cifre rese note dall’Agenzia Onu per i rifugiati, nel 2014 210.000 migranti hanno tentato di attraversare il Mediterraneo (80% di tutti gli ingressi irregolari in Unione Europea): un numero triplo rispetto al 2011, quando erano in corso le cosiddette “primavere arabe”. Sempre nel 2014 almeno 3.500 persone hanno perso la vita nel nostro mare e sono già molte centinaia i morti in questi prime mesi dell’anno. La rotta del Mediterraneo centrale è la principale, riguarda il 60% degli ingressi in Europa e interessa soprattutto l’Italia (170.000 persone, fra i quali 13.000 minori non accompagnati), la Grecia (43.000), poi la Spagna, Malta e Cipro.

Le cause profonde di questo esodo sono i conflitti, le persecuzioni, la barbarie dei Paesi di provenienza dei migranti: Siria, Mali, Nigeria, Eritrea, Corno d’Africa. Ed è molto eloquente il principale luogo di transito: la Libia, sconvolta dalla guerra civile e divenuta crocevia ideale per traffici di ogni tipo, droga, armi e persone. I proventi del mercato di uomini sono elevatissimi, nell’ordine di qualche centinaio di milioni di dollari all’anno. I migranti pagano costi altissimi: quelli monetari per il “servizio di trasporto”; prima ancora la soggezione ai soprusi di autisti, miliziani, capi tribù, poliziotti; poi per due, tre settimane la fame, la sete, l’umiliazione, la perdita di ogni dignità umana. Infine, spesso, la vita.

Io credo che sia importante partire dalla consapevolezza che non siamo in grado di stabilizzare rapidamente i focolai di guerra in Siria, in Libia, in Yemen e altrove; e di determinare presto condizioni di vita e governo accettabili in Somalia, in Eritrea e in altri luoghi. Questa marea umana quindi non potrà cessare in tempi brevi. Noi nel frattempo possiamo fare alcune cose importanti: per prima cosa soccorrere chi fugge da violenze, fame e disperazione e garantire accoglienza ai profughi (sono un milione secondo stime delle Nazioni Unite), che in questo momento si trovano sulla sponda sud e attendono di tentare la traversata. Nel frattempo, occorre dare avvio ad una profonda azione di stabilizzazione politica delle crisi, a partire dalla Libia, e di sostegno allo sviluppo. Questa opera avrà necessariamente tempi non brevi e abbisognerà di una complessiva ricomposizione degli equilibri geopolitici fra le grandi potenze regionali in conflitto. La constatazione politica è che l’Unione Europea non è stata in grado di fornire risposte comuni efficaci all’emergenza dei flussi migratori, mentre gli Stati membri più esposti non sono, comprensibilmente, capaci di gestire il problema da soli. E’ mancata una strategia: abbiamo affrontato questo fenomeno con approcci parziali, stagionali, cercando di arginarlo senza mai affrontarne le complesse implicazioni con una visione d’insieme e di medio-lungo termine. Il Consiglio europeo straordinario del 23 aprile scorso si è concluso come sapete con una Dichiarazione finale che presuppone un’importantissima presa di coscienza della situazione, e pone diverse azioni prioritarie lungo diverse direttrici. E’ immediatamente operativo l’aumento dei finanziamenti per la missione Triton, un risultato che considero positivo; mentre sono in corso le attività per preparare i piani di attuazione delle altre misure: misure politiche e diplomatiche, di contrasto ai trafficanti, e finalizzate a garantire accoglienza ai profughi attraverso il rapido espletamento delle procedure. Molti di questi temi sono richiamati nella bozza di conclusioni del Summit che la presidenza portoghese ha preparato (per questo la ringrazio), alla quale stanno contribuendo con diversi emendamenti le delegazioni.

A proposito del problema più urgente, la sorveglianza e il soccorso in mare, credo che sia evidente che il mandato e l’intensità della missione Triton devono essere ampliati, perché le attuali modalità operative non consentono di intervenire dove e quando è necessario e l’onere dei soccorsi continua a gravare sui singoli Paesi e sui mercantili privati che, in virtù delle norme internazionali, spesso si incaricano a proprie spese delle operazioni di salvataggio. In un solo giorno, il 2 maggio scorso, per fare un esempio, i mezzi italiani hanno soccorso 3690 persone nel Canale di Sicilia. La missione italiana Mare Nostrum, che aveva regole di ingaggio molto più ampie di Triton, in un anno ha salvato in mare oltre centomila migranti. Io ritengo infondata l’idea che questa operazione abbia incoraggiato i viaggi verso l’Europa. D’altronde i flussi non sono diminuiti da quando Mare Nostrum è cessata; il tasso di vittime invece quest’anno è aumentato di dieci volte rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, quando l’operazione italiana era in corso.

Per quanto attiene alla prevenzione attraverso il dialogo politico e la cooperazione con i Paesi di origine e transito, questa è una strada necessaria che richiede una strategia di medio e lungo periodo. Sono molto importanti i Partenariati di Mobilità e i meccanismi di dialogo regionale dell’Unione con i Paesi dell’Africa Occidentale e del Corno d’Africa. Queste forme di cooperazione debbono essere approfondite ed estese e l’Unione deve prendere coscienza che è necessaria una nuova politica per il Mediterraneo. Una delle priorità assolute è la questione libica, che deve essere affrontata dalle Nazioni Unite, dall’Unione e dai paesi della regione con un impegno unitario. L’obiettivo ineludibile è promuovere una soluzione politica: precondizione per la cooperazione con le parti in causa è la costituzione di un governo di unità nazionale che ponga fine alle ostilità militari. Inutile nascondersi che questo non spegnerebbe automaticamente i micro-conflitti fra le tante milizie informali; ma un governo unitario consentirebbe all’Europa di avere un interlocutore credibile e alle istituzioni libiche di riacquistare progressivamente il controllo del territorio, cosa che è indispensabile per colpire le organizzazioni criminali con strategie condivise ed operazioni congiunte, particolarmente quelle che presuppongono interventi nel territorio sovrano libico (blocco navale e altre operazioni preventive). L’Italia sta già facendo la sua parte: le forze di polizia e la magistratura stanno perseguendo energicamente scafisti e trafficanti. Ma serve un forte impegno comune per risalire ai vertici delle organizzazioni, che agiscono da associazioni transnazionali gestendo ogni fase del traffico. Una strategia difficile perché il commercio è estremamente lucrativo, il numero dei potenziali scafisti inestinguibile, e le indagini impossibili per l’attuale assenza di cooperazione.

Vi è poi una quarta dimensione della strategia europea che ha ancora bisogno di progressi concreti. Mi riferisco alla solidarietà e responsabilità dei diversi Paesi, al potenziamento degli aiuti d’urgenza agli Stati “in prima linea”, e all’organizzazione di un sistema di accoglienza ripartito. Spetterà alla Commissione definire i contorni di un progetto pilota volontario in materia di reinsediamento. A me sembra che sia questo il terreno su cui si misurerà davvero il senso di responsabilità di ciascun Paese, data la natura volontaria del meccanismo di burden-sharing. E’ necessario, io sono convinto, rivedere le regole per garantire asilo ai profughi, distribuendo il peso fra i diversi paesi secondo criteri obiettivi, equi e solidali. E si richiede agli Stati membri uno sforzo concreto per dare effettiva attuazione al sistema europeo comune di asilo, che finora stenta a consolidarsi.

Sono giorni molto intensi di lavoro. Oggi l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Federica Mogherini, riferira’ al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite lo stato delle cose. Mercoledi’ e’ atteso dalla Commissione europea il programma annunciato dal Presidente Juncker per stabilire un “meccanismo doppio di quote” per la ricollocazione dei migranti in tutta l’Unione.

Concludo. Cari colleghi, la questione migratoria è la nostra priorità. Su di essa si misura la sincerità della nostra dedizione ai valori di umanità che abbiamo posto a nostro fondamento. Viene chiamata in causa la nostra capacità di programmare il futuro delle nostre società, di comprendere e governare trasformazioni cui tutti noi siamo comunque inevitabilmente soggetti. I paesi più fortunati devono considerare l’immigrazione come una grande risorsa ideale prima ancora che economica e demografica: un’occasione preziosa per edificare comunità più coese, più plurali e inclusive. In questo lungo percorso non dobbiamo temere le contaminazioni, la diversità. La nostra identità, ciò in cui ci riconosciamo e che amiamo e difendiamo, non è solida e immutabile, ma è il risultato di un confronto continuo fra noi stessi, il tempo e gli altri. Il Mediterraneo ha unito le due sponde molto più di quanto non dica la vuota retorica dello scontro di civiltà. Credo, cari colleghi, che il nostro comune dovere sia quello di credere in un’utopia possibile: un Mare nel quale le civiltà non si scontrano, ma si riconoscono e si rispettano; un Mare che non uccide ma unisce e abbraccia. Penso che questo sia un terreno naturale per la diplomazia parlamentare, che è sottratta alle rigidità e alla visione di breve periodo cui spesso è costretta la diplomazia governativa e può dedicarsi a guardare insieme al medio e al lungo periodo, dialogando e confrontandosi sui grandi temi, per programmare il nostro futuro ed indirizzare i governi in direzione di quei valori che abbiamo l’alto compito di rappresentare e proteggere.

Grazie.

 

Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo

Signor Presidente della Repubblica, Autorità, familiari delle vittime, care ragazze e ragazzi,

è con profondo sentimento di commozione che prendo la parola dopo aver ascoltato gli interventi, intensi e ricchi di emozione, di chi mi ha preceduto. Permettetemi innanzitutto di rivolgere un affettuoso saluto a Ilaria Moroni e di ringraziarla per aver posto al centro del suo intervento il filo conduttore di questa giornata: la verità e l’approfondimento delle conoscenze e delle notizie. Infatti, la disponibilità di documentazione in materia, che il progetto della “Rete degli archivi per non dimenticare” intende rendere fruibile, apre la strada a una memoria più ampia, che non risorga solo quando viene celebrata come in quest’occasione. La “notte della Repubblica“, per citare una famosa espressione del presidente Zavoli, “fu la prova più lunga, difficile e cruenta” che abbiamo sperimentato dal secondo dopoguerra. La nostra democrazia fu sfidata con metodi drammaticamente violenti da forze estremiste di sinistra e di destra, che trovarono a volte sponda in alcuni apparati deviati dello Stato. Ognuno dei gruppi terroristici che ingaggiò, seppur con divergenti orientamenti ideologici e differente intensità, questa battaglia contro le nostre Istituzioni, intendeva sovvertirle, abbattere la nostra giovane democrazia nata dal sangue di chi con coraggio si oppose alla dittatura e all’occupazione nazista. Uomini politici, appartenenti alle forze dell’ordine, magistrati, docenti, studenti, imprenditori, sindacalisti, passanti ignari: non vi è categoria che non sia stata colpita dalla furia del terrorismo.

Si potrebbe pensare che la mia precedente funzione di magistrato antimafia mi abbia in qualche modo “abituato” a sostenere la carica di emozioni racchiusa nello sguardo di chi ha visto strapparsi violentemente da mani criminali un genitore, un figlio, il coniuge, fratelli o sorelle, amici o colleghi. Non è così. A tutti i familiari delle vittime presenti voglio dire che c’è qualcosa che ci unisce profondamente in questo momento di ricordo e riflessione; voglio trasmettervi il senso più profondo della mia vicinanza umana prima ancora che istituzionale. Consentitemi di partire allora dalle vostre storie, dal coraggio di chi oggi affronta il proprio dolore personale per metterlo al servizio di ciascuno di noi e delle future generazioni.

Mi ha colpito il timore di Salvatore di prendere la parola qui, in Senato. Quest’Aula rappresenta ciò per cui tuo padre ha sacrificato la vita: siamo noi a doverti ringraziare per la tua testimonianza, per averci restituito con semplicità e chiarezza l’immagine di Antonio Niedda, e, soprattutto, per aver scelto, insieme a tuo fratello, di indossare orgogliosamente la divisa della Polizia di Stato. La vostra decisione ha rinnovato e dato nuovo vigore all’impegno per la legalità di vostro padre. Voglio dedicare alla sua memoria un pensiero colmo di gratitudine, un pensiero che estendo a tutte le forze dell’ordine che hanno servito e servono lealmente il nostro Paese.

Mario Zicchieri era “un ragazzo di 16 anni, come tanti altri”, così come lo ha descritto sua sorella Barbara; sarebbe potuto essere uno degli studenti presenti qui oggi, uno di voi: il 29 ottobre 1975 fu invece strappato alla vita con una scarica di colpi di arma da fuoco. Mario fu vittima dell’odio politico, l’essere un militante del Fronte della Gioventù fu considerata una ragione sufficiente per ricorrere all’uso della violenza più cieca, quella che si scaglia contro un adolescente.

Nel volantino di rivendicazione per l’omicidio di Mario Amato, i NAR scrissero che avevano “eseguito la sentenza di morte contro il sostituto procuratore per le cui mani passavano tutti i processi a carico dei camerati”. Amato, lo ha ricordato suo figlio Sergio, ebbe l’intuizione di trovare il filo che connetteva gli episodi criminosi condotti dalle varie anime della destra eversiva. Sapeva di essere diventato un obiettivo eppure scelse di andare avanti. Come lui, molti altri uomini di legge – penso ad esempio a Vittorio Bachelet, ucciso dalle Brigate Rosse per il solo fatto di rappresentare il vertice della magistratura – andarono avanti nel compito di difendere la nostra democrazia, anche a costo di sacrificare la propria esistenza. Nessuno di loro desiderava in cuor suo di essere un eroe ma non ebbero dubbi su quale fosse il loro dovere.

Neanche Ezio Tarantelli voleva essere un martire: nutriva l’ambizione di mettere al servizio del suo Paese il suo talento e il suo straordinario bagaglio di conoscenze per riformare il mercato del lavoro. Un commando delle Br lo uccise al termine di una lezione all’Università “La Sapienza” di Roma: pensavano così di riuscire a silenziare con i proiettili la forza delle sue idee.

Le vostre storie e quelle di tutte le vittime del terrorismo raccontano di patrimoni perduti e “sedie vuote”: patrimoni perduti fatti di conoscenza, cultura, ideali, intuizioni che avrebbero certamente dato frutti preziosi al nostro Paese; sedie vuote a pranzo e cena, nelle feste, nei momenti cruciali della vita di ciascuno di voi nella gioia e nello sconforto. Guardandovi negli occhi leggo il dolore di questa assenza, della privazione di persone che oltre al proprio lavoro avevano una quotidianità, pregi e difetti, paure e sogni, come ciascuno di noi.    

Non mancarono in quegli anni momenti di profondo sconforto. Il 9 maggio 1978, giorno nel quale terminò nel peggiore dei modi l’incubo dei 55 giorni di prigionia di Aldo Moro, fu probabilmente quello nel quale i più oscuri e reconditi timori della nostra nazione vennero alla luce. Si ebbe la sensazione che una grande stagione di rinnovamento politico fosse stata interrotta: ancora oggi ci domandiamo quale corso avrebbe preso la nostra storia senza quel tragico epilogo. In occasione del trentacinquesimo anniversario non posso non citare le vittime della strage di Ustica e quelle della stazione di Bologna: eventi che sconvolsero per sempre la vita di molte famiglie e la coscienza di un intero Paese, costretto ad assistere attonito alla morte di così tanti civili innocenti.

Il terrorismo in Italia è stato sconfitto perché la paura non prevalse: le forze migliori del Paese, la società civile, la magistratura, le forze dell’ordine e le Istituzioni seppero affermare i fondamenti costituzionali della Repubblica, e con la forza del diritto riuscirono a contrastare e resistere al terrore e alla violenza. Vincemmo la follia di pochi con la forza di molti.

Le ferite inferte al cuore della nostra nazione, che a dispetto dei molti anni che sono trascorsi non accennano a rimarginarsi, necessitano di essere curate. Sappiamo molto ma non tutto: bisogna insistere, impegnarsi maggiormente per illuminare con la verità gli angoli ancora nascosti di queste vicende, nelle quali si sono intrecciate trame internazionali e nazionali, tradimenti e depistaggi. Questo è il compito più alto delle Istituzioni e delle parti politiche, pretendere chiarezza oltre ogni convenienza. Come scrisse Aldo Moro in una lettera nei lunghi giorni della sua prigionia:“la verità, cari amici, è più grande di qualsiasi tornaconto. Datemi da una parte milioni di voti e toglietemi dall’altra parte un atomo di verità, ed io sarò comunque perdente. Lo so che le elezioni pesano in relazione alla limpidità ed obiettività dei giudizi che il politico è chiamato a formulare. Ma la verità è la verità.”

A tal proposito auspico che la giusta direttiva voluta dal Governo che dispone la declassificazione degli atti possa trovare il prima possibile una più efficace e ampia applicazione e che si doti presto il nostro ordinamento di norme che puniscano l’inquinamento processuale e il depistaggio. Troppi errori, ritardi e ombre nella ricostruzione dei fatti hanno rischiato di incrinare irreparabilmente il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni. Non vogliamo più permettere che qualcuno di voi, come Barbara, si senta “lasciato solo”; non possiamo accettare di abbandonare la strada della giustizia e della verità, per quanto lunga e faticosa possa essere: lo dobbiamo a chi ha perso la vita, a voi familiari, ai nostri figli e nipoti.

Ai segni della sofferenza si accompagna l’orgoglio di sapere che ciascuno degli uomini e delle donne caduti per mano del terrorismo rappresenta un esempio che illumina il nostro futuro e che trova, grazie all’impegno quotidiano di centinaia di docenti, nuova linfa vitale in Sara e i suoi compagni.

Care ragazze, cari ragazzi, come ha giustamente sottolineato Ilaria Moroni, fra qualche anno sarete voi a dover passare il testimone della memoria alle generazioni future, per far si che queste storie non vengano mai dimenticate. E’ dovere di ciascuno di noi difendere i valori e i simboli  su cui si fonda la nostra comunità nazionale, e dobbiamo farlo insieme: siate protagonisti e non spettatori della vita del nostro Paese.

Grazie.

Giorno della memoria a Palazzo Madama

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Il   Senato della   Repubblica  ospiterà  domani,  sabato  9  maggio,  la celebrazione   del   “Giorno  della  memoria”  dedicato  alle  vittime  del terrorismo.

La  cerimonia  avrà  inizio  alle ore 11, nell’Aula di Palazzo Madama, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La cerimonia sarà aperta dall’esecuzione dell’Inno nazionale da parte degli studenti  del  Liceo  Scientifico  “Farnesina” di Roma.

L’introduzione e la conduzione  sono  affidati a Ilaria Moroni, coordinatrice della “Rete degli archivi  per  non  dimenticare”  e  direttrice  del  “Centro documentazione archivio Flamigni”. Porteranno   la   loro  testimonianza  quattro  familiari  di  vittime  del terrorismo:  Salvatore Niedda, figlio di Antonio Niedda, Barbara Zicchieri, sorella  di  Mario  Zicchieri,  Sergio Amato, figlio di Mario Amato, Carole Beebe Tarantelli, vedova di Ezio Tarantelli. Il  programma  prevede  l’intervento  di  una  studentessa dell’Istituto di Istruzione  Superiore  “Vincenzo Dandolo” di Orzivecchi (Brescia). Prenderà quindi la parola il Presidente del Senato, Pietro Grasso. La cerimonia si concluderà con la premiazione delle 4 scuole vincitrici del concorso  “Tracce  di  memoria”,  bandito  dal  Ministero  dell’Istruzione, dell’Università  e  della  Ricerca,  in  collaborazione  con  la Rete degli archivi  per  non  dimenticare e con la Direzione generale per gli archivi.

Sarà  il  Capo  dello  Stato  Sergio  Mattarella  a consegnare le targhe ai rappresentanti  delle  scuole  vincitrici, con il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini. Nell’Aula   di   Palazzo   Madama  saranno  presenti:  i  Presidenti  delle Associazioni  dei  familiari  delle  vittime; l’onorevole Giuseppe Fioroni, Presidente  della  Commissione d’inchiesta sul rapimento e la morte di Aldo Moro,  in  rappresentanza  della  Camera dei deputati; il giudice Giancarlo Coraggio,  in rappresentanza della Corte Costituzionale; il Sottosegretario alla  Presidenza  del Consiglio, Claudio De Vincenti, in rappresentanza del Governo. La  celebrazione  sarà trasmessa in diretta televisiva da RaiDue, a cura di Rai Parlamento, dal canale satellitare e dalla webtv del Senato. E’  la  seconda volta che il Senato ospita il Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo; la prima fu nel 2013. Il  Presidente del Senato Grasso, prima della cerimonia, renderà omaggio ad Aldo  Moro  in  Via  Caetani,  a  37  anni dal ritrovamento del corpo dello statista ucciso dalle Brigate Rosse.

Nota per le Segreterie di redazione:

Le  richieste di accredito di giornalisti, fotografi e operatori televisivi devono  essere  inviate al Senato – Ufficio stampa (fax 06.6706.2947 oppure e-mail  accrediti.stampa@senato.it)  e devono contenere l’indicazione della testata di riferimento, il numero di tessera dell’Ordine per i giornalisti, i  dati  anagrafici  completi  e  gli estremi del documento di identità per fotografi e operatori. L’accesso in Senato sarà consentito a partire dalle ore 9:

– dall’ingresso  principale di Piazza Madama per i giornalisti

– dall’ingresso di Piazza Sant’Eustachio 87 per operatori tv e fotografi

 

Moro, l’Europa, il Mediterraneo

Autorità, Signore e Signori,

è con profonda commozione che sono qui con voi per ricordare Aldo Moro, uno dei simboli più importanti della democrazia italiana, e i cinque uomini della sua scorta. I trentasette lunghi anni che sono trascorsi, e i tanti eventi che si sono sovrapposti a quei giorni drammatici, non hanno minimamente consumato la memoria di un protagonista ancora moderno e lucido della politica, il cui lascito è patrimonio comune di questo Paese. Personalità poliedrica, Moro non fu solo un grande statista ma anche un fine studioso e un docente universitario: credeva fermamente nell’insegnamento e continuò a svolgerlo con autentica passione, conciliando l’attività didattica con i gravosi impegni della sua attività politica e parlamentare. Sostenitore incrollabile dei giovani, vedeva in loro i protagonisti del cambiamento, gli attori del futuro del Paese e l’espressione concreta della realtà in divenire, alla quale egli lui fu sempre particolarmente attento. Fu uomo di partito, ma la sua profonda idealità non gli impedì mai di guardare oltre, di interrogarsi sulla natura dei cambiamenti politici, sociali e culturali della nostra società e del mondo. Di essi riusciva a captare, con acume ed onestà intellettuale, ogni aspetto positivo. Penso ad esempio alla sua visione pionieristica della formazione e della ricerca che nel 1962 condusse alla costituzione del Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici Mediterranei che riunisce tredici Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, il quale a Bari ha formato centinaia di giovani ricercatori proveniente da diverse nazioni mediterranee, e progettato interventi di partenariato sui loro territori.

Prima di lasciare la parola agli illustri relatori che affronteranno in profondità i profili attorno ai quali ruota l’incontro di oggi, la visione di Moro rispetto all’Europa e al Mediterraneo, vorrei sottolineare l’attualità straordinaria, direi quasi chiaroveggente, del suo pensiero. Anche grazie al suo intelligente e fiero meridionalismo, guardò con modernità insuperata alla proiezione del Paese verso il Mediterraneo, pur restando saldamente ancorato ad un’idea di Europa di cui non avrebbe visto molti degli sviluppi che aveva preconizzato. Amava ripetere che “nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa o nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo”. Un’Europa che vedeva come una “comunità allargata”, un’unione aperta alla collaborazione internazionale, un baluardo di solidarietà e dialogo contro l’indifferenza, dalla doppia vocazione complementare: mediterranea ed atlantica.

Una doppia lezione che fa molto riflettere nel momento che viviamo oggi. L’Italia si trova al centro di una complessa serie di criticità che hanno origine in Europa, per la crisi economica e politica del progetto europeo; ai nostri confini orientali, a causa del conflitto ucraino; nel Mediterraneo, attraversato da profonde fratture geopolitiche, da instabilità e insicurezza. Personalmente sono convinto che sia necessario ribaltare le prospettive pessimistiche troppo spesso rimandate dai media e acriticamente interpretate da una parte della politica. Il futuro dell’Italia è saldamente e inevitabilmente in Europa e nel Mediterraneo. Il nostro europeismo è tanto saldo quanto la nostra volontà di cambiare l’Unione Europea: negli approcci di politica economica, che devono perseguire con vigore crescita, occupazione, innovazione; nei meccanismi di legittimazione democratica; e nella capacità di agire nel mondo secondo il peso economico, politico e morale che a noi spetta. Quanto al Mediterraneo, è tempo di programmare ed attuare una nuova e più determinata politica nazionale, che consideri insieme le vulnerabilità e le opportunità che provengono da questa vasta area. Vorrei ricordare alcuni dati significativi: il Mediterraneo è attraversato dal 19% dei traffici di merci a livello globale; le economie dei Paesi della sponda sud, nonostante l’impatto delle crisi politico-economiche sono in costante crescita; così come è in forte ascesa il livello degli scambi economici fra il nostro Paese e l’area Mediterranea (54 miliardi di euro). Serve quindi una strategia politica, di sicurezza ed economica, ed una serie di investimenti infrastrutturali necessari a valorizzare la posizione geografica del nostro Paese, che del Mare nostro è cuore e anima.

Concludo. Il più grande lascito della visione internazionale di Moro è la sua capacità, che in Italia troppo spesso difetta alle istituzioni e alla politica, di guardare oltre la singola crisi, di pensare strategicamente, di considerare il medio e il lungo periodo come normale dimensione temporale della politica estera. Le criticità che oggi viviamo devono essere colte come altrettante opportunità per lavorare sulle fragilità e sulle vulnerabilità; per rafforzare gli strumenti, i processi, i valori e le potenzialità che nel Paese non mancano. Un processo che deve riguardare tutte le articolazioni dello Stato, e richiede in primo luogo una politica capace di definire e perseguire anziché i propri gli interessi dei cittadini e del Paese nel mondo.

Grazie.

 

 

 

Prima edizione del premio “Giustizia e verità – Franco Giustolisi”

Autorità, relatori, gentili ospiti,

poco più di un anno fa, come abbiamo visto nel bel video di Vittorio Nevano, in questa stessa sala, dopo un mio breve intervento sul tema del convegno dal titolo “70 anni dalle stragi nazifasciste”, prendeva la parola Franco Giustolisi. La grinta con cui intervenne, la forza della sua denuncia, la costanza della sua battaglia, la tenacia nel cercare di mantenere viva la memoria di quanto avvenne nel periodo più tragico della nostra storia, non ci poteva far immaginare che sarebbe stata la sua ultima uscita pubblica.

Prima di entrare qui, in quei minuti in cui i relatori si incontrano nella stanza a fianco, mi disse che era la prima volta che finalmente, a 70 anni di distanza, si teneva un incontro nazionale, per di più in una sede istituzionale, sull’armadio della vergogna e sui processi per le stragi. Non posso però dimenticare soprattutto la frase con cui esordì il suo intervento ufficiale: “da oggi entriamo nel futuro”. Che bella frase detta da un uomo di 88 anni!

Franco Giustolisi era un giornalista vero, scomodo, che ha dedicato la sua vita a scoprire il lato oscuro del potere e della società attraverso le sue inchieste, iniziando su Paese Sera, poi a L’Ora di Palermo, un giornale eretico che tra le sue firme ha visto ben tre giornalisti uccisi dalla mafia: Cosimo Cristina, che ho ricordato ai ragazzi a Rosarno pochi giorni fa, Mauro de Mauro e Giovanni Spampinanto. Andò poi al Giorno, da li alla Rai, dove fu impegnato nei primi approfondimenti televisivi con inchieste dure di informazione e di denuncia, poi all’Espresso, dove ha lavorato per più di 30 anni. Avremo modo, grazie a tre grandi giornalisti – Roberto Martinelli, che con lui ha lavorato al Giorno, il presidente Sergio Zavoli, col quale collaborò in Rai, e  Bruno Manfellotto dell’Espresso – di ricordare quegli anni e di ascoltare da loro il ritratto professionale e umano di Franco. Un ringraziamento particolare va a Virginia Piccolillo del Corriere della sera che modera il nostro incontro: con lei Franco ha combattuto le ultime battaglie e a lei ha affidato quella finale: far luce sui crimini compiute all’estero dai militari fascisti.

Parlare del lavoro di Giustolisi significa inevitabilmente ripercorrere le pagine più drammatiche della storia del nostro Paese, le vicende criminali del banditismo sardo e dei sequestri in Calabria, lo scandalo del Banco Ambrosiano, la vita e la morte di Calvi, il Caso Mattei, le inchieste di mafia e quelle sul terrorismo, su cui avremo il piacere di sentire il ricordo di Giancarlo Caselli, la P2, le interviste esclusive a Licio Gelli,  le carceri – tema su cui ha scritto moltissimo, dallo scandalo delle carceri d’oro alla durezza dell’Asinara e di Pianosa fino al libro “Al di là di quelle mura” con Pier Vittorio Buffa, che era con noi anche l’anno scorso e fra poco ci presenterà il premio.

Negli ultimi anni il suo lavoro si concentrò su quello che, con sintesi mirabile, definì “l’armadio della vergogna”: il ritrovamento, dopo quasi 50 anni di silenzio e di rimozione, di 695 fascicoli d’inchiesta occultati presso l’Archivio della Procura generale militare di Roma. Da tale ritrovamento e dalla sua campagna stampa ebbe inizio una serie di processi che arrivò a sentenze definitive di condanna all’ergastolo. Un risultato importante sotto certi aspetti, paradossale per altri. Da un lato infatti è tornato all’attenzione pubblica il disprezzo per la vita, la barbarie e la crudeltà dei massacri perpetrari dai tedeschi in ritirata negli ultimi mesi di guerra, dall’altro invece urla alla coscienza civica del nostro Paese la beffa di sapere i condannati liberi. In un suo noto articolo Giustolisi conclude con queste amare parole: “Non sono fuggiaschi, non sono evasi, non sono latitanti. Sono tranquilli e liberi: la Germania li protegge, l’Italia fa finta di niente”.

Franco non ha smesso fino all’ultimo giorno di chiedere giustizia per tutte le 15.000 vittime di quelle stragi, di denunciare l’indifferenza delle istituzioni, di raccontare quelle storie affinché tutti ne venissero a conoscenza.

Lasciatemi dire che vedere qui oggi – in questa occasione di lancio del premio a lui dedicato e di ricordo della sua vita – così tanti sopravvissuti a quelle stragi, mi commuove. Voglio davvero salutare e ringraziare di cuore voi che siete venuti da Sant’Anna di Stazzema insieme al vostro sindaco, da Borgo Ticino, dal Mulinaccio di Arezzo, Marcella de Negri – figlia del capitano Francesco, ucciso a Cefalonia. La vostra presenza qui per ricordare Franco, 70 anni dopo quei fatti, ci da la misura esatta di quanto il rapporto con lui fosse profondo. Col suo lavoro ha ridato voce a voi che per anni avete raccontato le vostre storie drammatiche senza incontrare l’attenzione dovuta, avete ripercorso quelle ore terribili senza alcun conforto, e avete vissuto una vita in compagnia dell’assenza dei vostri cari. Ha continuato senza sosta a indagare sull’occultamento di quei fascicoli e a premere sull’opione pubblica affinché lo Stato si facesse carico di azioni coraggiose nei confronti dei condannati. Il procuratore militare Marco de Paolis ci dirà cosa è cambiato nell’anno trascorso dal nostro convegno.

Come era nello spirito di Franco, per il quale, come abbiamo ricordato, un anno fa “cominciava il futuro”, la giornata di oggi non è rivolta solo al passato. La presentazione del premio “Giustizia e verità – Franco Giustolisi” per il giornalismo d’inchiesta è una buona notizia perché guarda in avanti, perché  mira a raccogliere i frutti di quei semi lasciati da Franco: il coraggio, la passione, la determinazione, lo scrupolo della verifica, il non piegarsi anche quando si sa di pagare un prezzo o correre un rischio, il non avere timore né dei padroni né dei padrini. In Italia i giornalisti veri corrono dei rischi quotidianamente: ci sono regioni in cui chi cerca di descrivere la realtà senza veli rischia la vita, in cui si combatte  una battaglia quotidiana tra il dovere dell’informazione e la pretesa del silenzio, in cui si arriva a minacce, intimidazioni, querele temerarie. Martedì scorso a Rosarno ne ho premiati due, ieri in tv ho sentito il racconto di Sandro Ruotolo sulle minacce ricevute dal boss Zagaria, e da qui gli rinnovo la mia e la nostra vicinanza. Il lavoro del giornalista, quando non è asservito al potere o al potente di turno, è un lavoro prezioso per la democrazia, per l’opinione pubblica, per i cittadini. Parafrasando Longanesi potremmo dire che non è la libertà di stampa che manca, pur con i problemi che sappiamo: mancano i giornalisti liberi. Ma quelli che ci sono, e non sono pochi, illuminano una professione fondamentale se vogliamo nutrire ancora la speranza di migliorare il nostro Paese.

Cara Livia, tuo padre era uno di questi, un combattente, e noi tutti siamo qui per ricordarlo. Grazie.

Stop vitalizi per condannati per reati gravi

Provvedimento sottoposto alle Camere, annunciano Grasso e Boldrini

Mezzo milione. Tanti sono ad oggi i cittadini che chiedono la revoca dei vitalizi agli ex parlamentari condannati in via definitiva per reati gravi, come mafia e corruzione, e che per questo hanno sottoscritto la petizione lanciata da “Riparte il futuro”. Meritano dunque un sentito “grazie” i promotori che questa mattina ci hanno simbolicamente consegnato, a Palazzo Madama e a Montecitorio, il risultato di questa bella azione di cittadinanza attiva. Una battaglia civile che dà forza alla buona politica e risponde al bisogno di trasparenza e moralizzazione.

Il tanto atteso provvedimento delle Camere, infatti, è alla stretta finale: domani sarà formalmente sottoposto, in contemporanea, agli organi competenti dei due rami del Parlamento. Per arrivare a questo risultato ci sono voluti dei mesi di lavoro, durante i quali sia la Camera che il Senato hanno chiesto pareri ad esperti costituzionalisti e hanno approfondito i complessi aspetti giuridici e amministrativi della questione. Adesso è tempo di decidere.

In Senato la prima edizione del premio dedicato a Franco Giustolisi

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Venerdì  8  maggio, alle ore 10, la Sala Koch di Palazzo Madama ospiterà la presentazione  della prima edizione del Premio “Giustizia e Verità – Franco Giustolisi”. L’incontro sarà aperto dall’indirizzo di saluto del Presidente del  Senato,  Pietro  Grasso. 

Interverranno Pier Vittorio Buffa, Giancarlo Caselli,  Marco  De Paolis, Bruno Manfellotto, Roberto Martinelli, Virginia Piccolillo, Sergio Zavoli. Il  Premio  è  dedicato al giornalismo d’inchiesta e rende omaggio a Franco Giustolisi,  scomparso nel novembre del 2014, autore di inchieste per oltre 50 anni sui temi più importanti della storia italiana: dal banditismo sardo ai  sequestri  in  Calabria,  dal  caso  Mattei  allo  scandalo  del  Banco Ambrosiano, dalle stragi di mafia alla P2, dal terrorismo alla malasanità. L’obiettivo  del Premio è promuovere la cultura del giornalismo d’inchiesta tra  i  giovani  cronisti.  Il  regolamento è stato approvato dal Comune di Stazzema,  Medaglia  d’oro  al  Valore  Militare.  Il termine ultimo per la presentazione  delle candidature è il prossimo 12 agosto, 71mo anniversario della  strage  nazifascista di Sant’Anna. Quest’ultima vicenda fu al centro dell’inchiesta  di Franco Giustolisi, pubblicata dal settimanale l’Espresso nel  1996  con il titolo “L’Armadio della Vergogna” (titolo anche del libro edito nel 2004), che portò all’attenzione dell’opinione pubblica una storia ormai  caduta  nell’oblio e grazie alla quale ebbe inizio la nuova stagione dei   processi   sulle  stragi  nazifasciste.  Maggiori  informazioni  sono disponibili nel sito http://premiogiustolisi.it.

La  Sala  Koch  di Palazzo Madama ospitò l’ultima uscita pubblica di Franco Giustolisi,  il  24  aprile  2014, in occasione del convegno “70 anni dalle stragi nazifasciste”. L’incontro  di venerdì 8 sarà trasmesso in diretta dal canale satellitare e dalla webtv del Senato.

Dante in Senato

Signor Presidente della Repubblica, Autorità, colleghi, gentili ospiti,

è con grande piacere e con orgoglio che vi do il benvenuto nell’Aula di Palazzo Madama per l’inizio delle celebrazioni che, in Italia e nel mondo, avranno luogo quest’anno per il 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri. Ringrazio i relatori presenti: il ministro Franceschini, che ci illustrerà il piano di iniziative che si snoderanno a partire da oggi, il professor Enrico Malato, che ci introdurrà all’opera, al pensiero e all’importanza di Dante Alighieri, e il card. Gianfranco Ravasi, che saprà senz’altro restituirci un’immagine luminosa dell’uomo e del Poeta nel suo rapporto col divino, e sarà latore del messaggio di Papa Francesco.

Nel 1865, pochi anni dopo l’Unità d’Italia, per il Sesto Centenario della nascita di Dante in tutto il Paese ci fu un grande fervore di iniziative per celebrare la ricorrenza. Commemorazioni, conferenze, discorsi solenni non si contarono, anche in province e comuni non ancora riuniti allo Stato, ma che intendevano, attraverso quei gesti, affermare il loro legame storico e sentimentale con l’Italia appena unificata. In ogni centro, dalle grandi città ai più piccoli paesi, strade e piazze furono intitolate, e lo sono ancora oggi, a Dante; furono erette statue, affisse lapidi, intitolate scuole, segnalate con targhe località, edifici o situazioni a qualsiasi titolo ricordati o citati da Dante nella sua opera. Quel fermento vide insieme la volontà di rendere omaggio, nel modo più solenne, al sommo Poeta – ritenuto a ragione il “padre della lingua italiana” – ma anche quella di assumere Dante come simbolo della nuova Italia nata dal Risorgimento. Del resto è lui stesso a rivolgersi con la sua lingua a un pubblico di italiani – “le genti del bel paese là dove ‘l si suona”, per usare un suo verso – in un momento storico in cui non esisteva ancora il concetto di Italia come comunità nazionale.

Nel 1965, Settimo Centenario della nascita, le celebrazioni furono vissute come l’occasione del riscatto dalle rovine morali e materiali della seconda guerra mondiale, attraverso il recupero dei valori più alti della nostra tradizione culturale. Noi oggi ci ricolleghiamo idealmente a quegli anniversari per ritrovare l’entusiasmo dell’appartenenza a quell’Italia già profetizzata da Dante, per ribadire la volontà di riscatto morale attraverso la cultura, e infine per rinnovare l’omaggio a Dante il cui valore è universalmente riconosciuto, come dimostra il fermento di iniziative e di studi che in tutto il mondo circondano il nostro Poeta da almeno tre secoli.

L’attualità di Dante risulta infatti sempre viva in ogni settore della cultura, della scuola, ma anche fuori dagli ambienti accademici, prova ne sia la moltiplicazione e la grande affluenza di pubblico all’antica consuetudine delle Lecturae Dantis diffuse in ogni parte d’Italia e all’estero: contributo prezioso alla circolazione del messaggio poetico dantesco, stimolo alla lettura e alla riscoperta soprattutto della Divina Commedia, e di cui avremo oggi, grazie alla generosità di Roberto Benigni, un esempio insieme efficace e profondo. Una “lettura”, la sua, che ha già avuto successi e riconoscimenti per aver saputo, mantenendo il massimo di adesione al modo e al tono della lettura antica, far rivivere e trasmettere a tutti noi l’emozione di una poesia che vive da settecento anni nell’ammirazione e nell’amore dei lettori in tutto il mondo.

Avremo poi il privilegio di essere i primi ad ascoltare un estratto dell’inedita iniziativa del Maestro Nicola Piovani, quella di “rivestire” di musica – moderna, ma “sintonizzata” con quella medievale – pagine poetiche pensate e scritte per essere accompagnate da una musica antica ormai perduta, e giunte a noi nei nudi testi letterari. Si aprono dunque oggi le celebrazioni dei 750 anni dalla nascita di Dante. Per i prossimi sei anni, fino al 700° anniversario della morte, nel 2021, la figura e l’opera del Poeta saranno una presenza che ci accompagnerà frequentemente. L’auspicio è che queste ricorrenze siano anche l’occasione per riscoprire e attualizzare il Poeta e la sua poesia, simbolo imprescindibile della identità culturale dell’Italia e degli italiani. 

 

Vitalizi ex parlamentari condannati: convocazione Uffici di Presidenza

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Il Consiglio di Presidenza del Senato della Repubblica e l’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati saranno convocati dai Presidenti – Pietro Grasso e Laura Boldrini – per giovedì 7 maggio, alle ore 14, nelle rispettive sedi di Palazzo Madama e di Montecitorio. All’ordine del giorno le proposte in merito alla cessazione degli “assegni vitalizi” corrisposti agli ex parlamentari condannati in via definitiva per reati di particolare gravità.

La politica come scienza. Scritti in onore di Giovanni Sartori

Signor Presidente della Repubblica, Autorità, gentili ospiti,

sono estremamente lieto di poter ospitare in Senato la presentazione di questo libro, “La politica come scienzaScritti in onore di Giovanni Sartori”.

In occasione del suo novantesimo compleanno, l’on. Stefano Passigli ha curato questa raccolta che unisce gli scritti di venti tra amici e allievi di vecchia data che hanno dato il proprio personale contributo, e tributo, a chi ormai viene da tutti considerato, come ricorda il curatore del volume, “il politologo per eccellenza”, uno dei più importanti intellettuali del nostro Paese, che ringrazio per la sua presenza. A lei, professore, dobbiamo importanti elaborazioni teoriche della scienza politica, che hanno contribuito all’arricchimento metodologico e concettuale della materia e influenzato, con il loro grande valore innovativo, lo sviluppo della disciplina sia in Italia sia all’estero. Ai più giovani va ricordato che la nascita della scienza politica come disciplina accademica in Italia si deve proprio alla sua opera.

La scelta di Sartori per la democrazia rappresentativa, tra i vari modelli alternativi di democrazia, è subito chiara, fin dal suo fondamentale lavoro del 1957, Democrazia e definizioni. La sua opera decennale si articola poi nello studio della teoria delle democrazie, nello studio dei partiti politici e delle leggi elettorali, creando un collegamento tra teoria e pratica, tra fondamento scientifico ed esperienza empirica, che è una caratteristica peculiare della sua ricerca. Tra i molti, non si possono non citare due suoi lavori che rappresentano due punti di riferimento fondamentali della scienza politica moderna: Parties and parties systems e The theory of democracy revisited. Parlare del suo impegno e dei suoi scritti significa attraversare la storia della politica del nostro Paese. In lei, prof. Sartori, la scienza e l’impegno in prima linea si sono uniti. La sua verve giornalistica, la sua vis polemica e le sue critiche acute e mordaci, spesso anticipatorie di verità, ne hanno fatto uno “scienziato militante”, ma mai uno scienziato “partigiano”, nonostante non mancarono in passato suggestioni e tentativi in tal senso, sempre rifiutati.

Lei  non è stato e non è solo un grandissimo studioso, che ha fatto del rigore scientifico e dell’analisi metodologica della democrazia il centro del suo lavoro ma anche e soprattutto un uomo che ha reso fruibile la scienza politica e le domande cui essa tenda di rispondere ad un pubblico più ampio, anche di non addetti ai lavori: tutti ricordiamo i suoi editoriali sul Corriere della Sera, di cui sono certo il direttore De Bortoli ci parlerà fra poco, e abbiamo impressi i suoi interventi pungenti nei principali talk show.

Grazie a lei la scienza politica è divenuta scienza applicativa, scienza impegnata, che non può trascurare, ad esempio, l’influenza spesso distorsiva introdotta dai media nel processo democratico: il suo “homo videns” in questo senso è ancora oggi – che dal mezzo visivo siamo passati a mezzi interattivi come i “social network” – un testo fondamentale per gli studiosi e per gli appassionati.

Il suo modello di scienza politica è intrinsecamente applicativo, volto ad orientare i comportamenti: non intende fissare gli obiettivi o fare scelte di valore. Una volta stabilite le finalità da parte dei decisori politici, la scienza indica gli interventi applicativi, gli strumenti più consoni al raggiungimento di quelle finalità. Il volume raccoglie scritti non soltanto di politologi, ma anche di esperti di altre discipline, che tuttavia, con il professor Sartori, hanno condiviso lo studio del funzionamento del nostro sistema politico e istituzionale. Si tratta di una scelta interessante e fruttuosa, che consente di effettuare un’analisi da una pluralità di punti di vista: quello della scienza politica, quello del diritto pubblico e del diritto costituzionale. I saggi che compongono il volume che oggi presentiamo restituiscono chiaramente l’ampiezza, la ricchezza e la profondità del suo pensiero. Gli scritti che si ispirano ai suoi studi spaziano su argomenti di estrema attualità: l’analisi dei sistemi partitici e la loro evoluzione, la “personalizzazione” degli stessi, i fenomeni trasformistici, il percorso delle riforme costituzionali, la crisi economica e il suo impatto sulla governance europea, il federalismo, il terrorismo, solo per citare alcune delle tematiche affrontate. Proprio l’ampiezza e pluralità dei temi analizzati testimonia quello che è uno degli insegnamenti di Sartori: la scienza politica è una scienza viva. Non a caso molti degli autori che hanno contribuito al libro che oggi viene presentato, e molti dei suoi allievi, hanno preso posto sugli scranni del Parlamento e sono, ancora oggi, impegnati in attività politica e pubblicistica.

Desidero ringraziare l’onorevole Passigli per averci dato questa opportunità importante di riflessione su tematiche così attuali e rilevanti per la vita democratica del paese, nonché per averci fornito anche l’occasione per rendere omaggio non solo all’opera dello studioso ma anche e soprattutto e all’indipendenza e alla coerenza dell’uomo Sartori.

Il ringraziamento più grande, infine, non può che essere rivolto al Professor Sartori, che ha voluto recentemente donare al Senato la testimonianza del suo straordinario percorso accademico e intellettuale, della vivacità e ampiezza della sua produzione scientifica, dell’identità e del segno del suo pensiero.Il Fondo Sartori, 5.000 volumi e diverse migliaia di opuscoli e carte di cospicuo valore culturale, è entrato a far parte della Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”, dove si sta lavorando perché quel patrimonio possa essere, quanto prima, accessibile al pubblico. Ciò anche grazie alla Commissione presieduta dal Senatore Sergio Zavoli, la cui volontà è quella di tutelare e mettere a disposizione d’ogni cittadino, in particolare i giovani, un nuovo significativo itinerario dello spirito e delle idee, in definitiva della conoscenza.

Abbiamo accolto questa sua generosa donazione con grande gioia e profondo orgoglio: grazie davvero, Professore.