Serve la cooperazione internazionale per gestire l’emergenza migranti

Cari amici rifugiati, cari operatori, Padre Ripamonti, Presidente Prodi, Autorità, Signore e Signori,

è con grande piacere che ho accolto l’invito a partecipare all’incontro di oggi, in occasione della presentazione del “Rapporto annuale 2016” del Centro Astalli e per festeggiare insieme i 35 anni di attività in favore dei richiedenti asilo e dei rifugiati, nella splendida cornice di uno dei Teatri storici della città di Roma. Ringrazio a questo proposito il Presidente Sinibaldi che ospita questa significativa iniziativa. Il Rapporto, come ogni anno, descrive in modo accurato e dettagliato le condizioni dei richiedenti asilo e dei rifugiati – che dal 1 gennaio al 31 dicembre 2015 si sono rivolti alla sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati – ed evidenzia, al contempo, gli aspetti positivi e gli elementi di criticità del complesso e articolato sistema di accoglienza del nostro Paese. Si tratta di uno strumento indispensabile che ci aiuta a comprendere meglio le sfide che l’Italia e l’Europa si trovano ad affrontare rispetto alla drammaticità di un fenomeno migratorio epocale e ormai stabile: l’accoglienza e l’integrazione.

Permettetemi innanzitutto di ringraziare tutti gli operatori e i volontari dell’Associazione Centro Astalli, una realtà italiana di eccellenza che da sempre è impegnata ad accompagnare, ascoltare, servire e difendere i diritti dei migranti. Enorme ed encomiabile è lo sforzo profuso dal Centro Astalli nel sostenere i richiedenti asilo e i rifugiati e nel condividere le loro esperienze, dalla prima accoglienza fino alle attività di sensibilizzazione su tutto il territorio nazionale. Con le sue sedi territoriali (Roma, Vicenza, Trento, Catania, Palermo) e gli oltre 550 volontari e 49 operatori, il Centro Astalli, in un anno, ha risposto alle necessità di circa 36.000 migranti, di cui quasi 21.000 nella sola sede di Roma. Un lavoro davvero eccezionale caratterizzato da un approccio che prevede un sistema di accoglienza sempre più progettuale nel tentativo di costruire una società realmente inclusiva e che condivido profondamente.

Secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, riportati nel Rapporto, il numero dei migranti nel mondo ha raggiunto la cifra di 60 milioni, un popolo di uomini, donne e bambini in fuga dalle guerre, dai regimi dittatoriali, dalle persecuzioni politiche e religiose, dalle diseguaglianze economiche e dai disastri ambientali causati da cambiamenti climatici e da politiche sbagliate. Le rotte attraverso le quali si continua ad arrivare si concentrano soprattutto nel Mediterraneo, dove troppo spesso migliaia di persone non sopravvivono alla traversata. E’ di ieri la tragica notizia di centinaia di dispersi in mare, a un anno di distanza esatto dalla strage del 18 aprile 2015, tra le più gravi di sempre coni suoi circa 800 dispersi. In questo “circa” si nasconde una sofferenza immane, irraccontabile, il dolore di centinaia di persone ognuna con la propria storia, i propri affetti, i propri sogni. Trovo difficile, personalmente, continuare a discettare di grandi scenari internazionali senza tenere nella giusta considerazione la vastità di questa pena, che Papa Francesco ha definito pochi giorni fa “la catastrofe umanitaria più grande dopo la Seconda Guerra Mondiale”. Vorrei qui richiamare l’attenzione in particolare sul dramma dei minori stranieri non accompagnati: tutti i bambini migranti, profughi e rifugiati sono prima di tutto bambini in pericolo, soggetti vulnerabili e a rischio di violenza e sfruttamento se non adeguatamente protetti.

Come evidenziato dal Rapporto, il numero di rifugiati approdati nel nostro Paese nel corso dello scorso anno è stato consistente anche se inferiore allo straordinario flusso registrato verso la Grecia e attraverso i Balcani, composto in gran parte da cittadini siriani. Arrivano invece soprattutto dall’Africa e in misura minore dal Medio Oriente i richiedenti asilo che approdano sulle nostre coste. Le scelte politiche di alcuni Paesi europei e dell’Unione nel suo complesso potrebbero ora porre di nuovo il nostro Paese al crocevia della disperazione. L’Italia si trova di fronte ad un impegno straordinariamente difficile: salvare tutte le persone e accoglierle, dando risposte immediate alle impellenti esigenze, distribuendole nelle diverse regioni; e impostare contestualmente un piano strutturato che permetta di ricondurre tutti gli interventi di accoglienza a una gestione ordinaria e programmabile, uscendo finalmente dalla stagione dell’emergenza. Certamente ci sono stati e continuano ad esserci nel nostro Paese degli elementi di criticità legati al funzionamento non sempre ottimale di una macchina dalla straordinaria complessità e articolazione che coinvolge i vari livelli di governance, le realtà associative, le comunità dei territori di accoglienza e le diverse comunità dei migranti. Penso, ad esempio, alle crescenti difficoltà nell’accesso alla tutela, ai percorsi verso l’autonomia che restano ardui e fragili, agli ostacoli burocratici. Disagi e incertezza che contribuiscono ad aumentare nei rifugiati la sensazione di esclusione e di incomprensione. Tuttavia, emergono numerosi risultati positivi che non assurgono agli onori della cronaca perché costituiscono l’ordinarietà del funzionamento di un sistema che è andato crescendo rapidamente nel tempo e che soprattutto si è andato trasformando in un ordinario sistema multilivello. Primo fra tutti è il coinvolgimento dei territori: ritengo, infatti, che il modello dell’accoglienza diffusa in centri di piccole e medie dimensioni costituisca uno strumento privilegiato in termini di effettiva integrazione di nuclei familiari o piccoli gruppi senza determinare sensazioni di insicurezza nei cittadini.

Ma l’Italia non può rimanere sola o isolata nell’affrontare la gestione di un flusso migratorio dalle proporzioni epocali. E’ assolutamente necessario incoraggiare un serrato confronto con le Istituzioni europee affinché sia condivisa una strategia comune d’accoglienza e integrazione, valorizzando gli strumenti già oggi disponibili e adeguando le normative alle nuove esigenze. Ma anche gli eventi di questi ultimi giorni dimostrano una mancata solidarietà tra i Paesi dell’Unione europea e soprattutto la mancanza di una politica d’asilo forte e condivisa tra i Paesi membri dell’Unione, in grado di superare i limiti del Regolamento di Dublino e impedire di giungere al paradosso della costruzione dei muri nel cuore dell’Europa. Se da un lato ritengo sia fondamentale una lotta decisa alla tratta e al traffico di migranti, dall’altro è altrettanto fondamentale una forte politica comune di asilo e una nuova politica europea di migrazione legale. A tale scopo si dovrebbero prevedere altre forme di ingresso legale a livello europeo – come visti umanitari, possibilità di richiedere asilo dall’estero – che aiuterebbero a ridurre i flussi “irregolari” di richiedenti asilo. Altro elemento di riflessione – come è stato rilevato più volte e in diverse sedi – è che sono obiettivamente poche le opportunità per i flussi legali. Ciò costringe i migranti e i richiedenti asilo a rivolgersi ai «trafficanti di esseri umani» incrementando il loro volume di affari. A mio parere, la strada da intraprendere è quella di politiche nazionali e sovranazionali attraverso le quali pianificare e investire in cooperazione internazionale e accordi bilaterali, in progetti di partenariato e in corridoi umanitari, in piani di reinsediamento e di ammissione umanitaria. Si tratta di una strada lunga e che richiede necessariamente una linea europea comune.

Altrettanto indispensabile è una forte e coordinata azione politica a livello europeo di medio e lungo periodo, oltre a quella di breve periodo, per intervenire nei territori d’origine sulle cause di questo “esodo”. Quand’anche si riuscissero a trovare argomenti e strumenti per una piena ridistribuzione dei rifugiati attuali e prossimi venturi fra tutti i Paesi della Unione, resta sullo sfondo la questione della straordinaria pressione migratoria che proverrà dall’Africa per molti decenni a venire. In questa direzione si muove il “migration compact” presentato dal Governo italiano a Bruxelles. Un piano che rispecchia un impegno corale e condiviso di tutte le istituzioni italiane e segna un necessario cambiamento nell’approccio al tema, focalizzandosi anche sulla dimensione esterna del fenomeno migratorio. Si prevedono misure concrete di sostegno ai Paesi africani, nuove regole per le migrazioni regolari, incremento della cooperazione con i Paesi terzi di transito per garantire adeguata accoglienza a profughi e migranti. Una prova di lungimiranza strategica del nostro Paese che auspico le istituzioni e i Paesi membri dell’Unione sapranno cogliere con l’urgenza che è imposta dalla situazione. Sono certo che la giornata odierna costituirà un momento prezioso di analisi e approfondimento su un tema di costante attualità, che impone una risposta complessiva, certa, ai tanti interrogativi legati al dominante profilo umanitario della crisi migratoria che stiamo vivendo e al considerevole impatto socio culturale ed economico del sistema di accoglienza nazionale ed europeo. Siamo tutti chiamati ad una azione inclusiva di solidarietà e di apertura verso chi fugge dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla miseria e dalla fame e alla disperata ricerca di una vita migliore e più sicura per sé e la propria famiglia.

Concludo con le parole di Papa Francesco, che ci chiamano tutti in causa: “non bisogna mai dimenticare che i migranti, prima di essere numeri, sono persone, sono volti, nomi, storie. L’Europa è la patria dei diritti umani, e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare, così si renderà più consapevole di doverli a sua volta rispettare e difendere”. Buon lavoro.

Prescrizione è una non soluzione: senza verità sia le vittime che gli accusati

“Molti parlamentari, non so se tra questi anche l’onorevole avvocato Sisto, continuano a esercitare, legittimamente, la loro professione di avvocati durante il mandato. Io invece, prima di diventare senatore e presidente del Senato, mi sono dimesso dalla magistratura. E’ evidente quindi che non ho alcun conflitto di interessi, né con le procure né con gli imputati.

Rivendico quindi il diritto di poter esprimere una mia opinione, e di chiedere al Parlamento provvedimenti che facciano sì che la giustizia faccia interamente il suo corso e i processi si concludano sempre con una sentenza, che sia di assoluzione o condanna. La giustizia deve poter sancire l’innocenza di chi è ingiustamente accusato e comminare giuste pene a chi è riconosciuto colpevole, questa è la base dello stato di diritto e quanto dobbiamo alle vittime dei reati. Sono molti i modi per abbreviare la durata dei processi ma la prescrizione, soprattutto una volta che i processi sono iniziati, è una non soluzione che lascia senza verità sia le vittime che gli accusati”.

“Vorrei una legge che…”: domani nell’Aula del Senato

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Domani, venerdì 15 aprile, il Presidente del Senato Pietro Grasso premierà gli Istituti vincitori dell’ottava edizione di “Vorrei una legge che…” per l’anno scolastico 2015-2016, iniziativa promossa dal Senato della Repubblica in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.  L’iniziativa si rivolge alle ultime classi delle scuole primarie e, quest’anno per la prima volta, alle prime classi delle scuole secondarie di primo grado. Ai partecipanti era stato chiesto di individuare un tema di primaria importanza per bambini e ragazzi e di redigere un disegno di legge con titolo identificativo e suddiviso in articoli. Il “disegno di legge” può essere illustrato facendo ricorso a testi, disegni, canzoni, foto, video e presentazioni.  L’obiettivo è quello di avvicinare anche i più piccoli alle Istituzioni e incentivarne il senso civico. La premiazione si svolgerà nell’Aula del Senato, a partire dalle ore 11.30. Gli elaborati prodotti dalle scuole vincitrici saranno esposti a Palazzo Madama, nella Sala Garibaldi. Nel sito www.senatoperiragazzi.it è disponibile l’elenco completo degli Istituti selezionati che parteciperanno alla cerimonia di domani.

Le rotte dei traffici illeciti in Europa e nel Mediterraneo

Autorità, Gentili ospiti, Signore e Signori,

ho accolto davvero con molto piacere la proposta del Presidente Rutelli di ospitare in Senato una conferenza sulle criminalità organizzate transnazionali, il terrorismo e le loro forme di finanziamento in Europa e nel Mediterraneo. Saluto gli autorevoli relatori che contribuiranno a illustrare questo tema nelle sue diverse implicazioni, convinto che l’eterogeneità delle prospettive che ciascuno potrà offrire con la sua specifica esperienza e professionalità potrà garantire un quadro utile a decifrare le complessità di questi fenomeni. Personalmente, ho tratto dalla mia esperienza di magistrato e di Presidente del Senato, e dalle tante occasioni di lavoro e di dialogo con autorità di altri Paesi, la consapevolezza che la criminalità organizzata, il terrorismo e l’economia criminale sono fenomeni che è possibile comprendere e affrontare solo attraverso analisi ed esegesi interdisciplinari: politiche, geopolitiche, economiche, criminologiche, sociali e giudiziarie. Da alcuni anni io propongo di guardare con gli strumenti concettuali della geopolitica, ai fenomeni criminali transnazionali perché i legami fra le diverse organizzazioni criminali e terroristiche, le reti dell’illecito economico e i soggetti detentori di potere internazionale hanno natura proprio di relazioni internazionali. Relazioni che sono difficili da controllare per i singoli Stati perché sfuggono alla regolamentazione globale e risultano dall’interazione dei principali fattori della geopolitica: geografia, clima, sistemi politici e istituzionali, religione e confessioni, demografia, cultura, economia, trasporti, comunicazioni, informazione, e così via. Sotto questo profilo, l’attenta osservazione delle dinamiche criminali ed eversive, dimostra che le mafie, le organizzazioni terroristiche e le reti dell’economia illegale si servono abilmente di mutamenti e tendenze geopolitiche per stabilire strategie e rotte, individuare territori deboli da controllare, per sfruttare le divisioni politiche fra gli Stati a proprio vantaggio. Così nel tempo questi soggetti criminali hanno assunto essi stessi il carattere di attori geopolitici, vale a dire di soggetti che producono in via diretta o indiretta processi di natura geopolitica, che alterano gli equilibri internazionali e producono instabilità, sottosviluppo e guerre. L’esperienza che viviamo con i diversi livelli di conflitto nel Mediterraneo e in Medio Oriente dimostra l’intima correlazione fra le crisi politiche ed economiche in corso e lo sviluppo di diversi poteri informali, criminali, terroristici ed economici.

Guardando al Mediterraneo, possiamo osservare il dispiegarsi di fenomeni di grave frammentazione. Penso alla dissoluzione della Siria, della Libia, dell’Iraq, per citare solo alcuni scenari. Penso alla disgregazione di equilibri geopolitici, che si esprime in conflitti interni nei quali si regolano però anche competizioni geopolitiche, geoeconomiche e territoriali fra attori regionali e potenze extra-regionali. Penso all’incapacità della diplomazia, del multilateralismo e delle alleanze internazionali e sovranazionali di ricondurre alla legalità internazionale i conflitti e di determinare nuove condizioni di stabilità.

Mi riferisco in particolare all’Unione europea che rischia un’irreversibile marginalizzazione se non riesce a presentarsi più unita, concorde e determinata sui principali versanti della politica estera comune (Mediterraneo e Ucraina) e se non riesce a gestire i fenomeni transnazionali, come rifugiati, terrorismo, criminalità, economia illegale con politiche solidali, unitarie e conformi ai valori sui quali ha fondato la propria identità. A me sembra che le crisi che stanno erodendo l’ordine nel Mediterraneo, siano il risultato di crisi politiche. L’assenza di istituzioni idonee a garantire i diritti di tutte le componenti sociali ha dato vita ad una serie di vuoti geopolitici, che sono stati colmati da terroristi, da criminali, da trafficanti e affaristi. In questo senso, io sono fermamente convinto che il nostro primo compito per combattere questi fenomeni sia dare vita, con pazienza e determinazione, a processi politico-istituzionali tali da garantire diritti, spazi economici e rappresentanza politica a ogni componente etnica, religiosa, economica e sociale dei territori dominati dal caos.

Giungendo al tema specifico della conferenza, vorrei segnalare che nell’esperienza internazionale si possono osservare, già da molto tempo, tre forme di commistione fra criminalità organizzata (a fini di profitto), terrorismo e traffici illegali. Io stesso, nelle mie passate funzioni di Procuratore Nazionale Antimafia, ho accertato varie modalità di cooperazione, commistione e sovrapposizione di tali fenomeni.

La prima forma, molto diffusa, vede i gruppi terroristici fare ricorso a delitti a fini di profitto, come traffici di droga, armi, esseri umani, beni archeologici, sequestri ed estorsioni, per finanziare la propria esistenza e le proprie azioni. Il cosiddetto Stato Islamico si caratterizza per essere un gruppo terroristico innovativo perché ha natura di un soggetto geopolitico su base territoriale, che ha progressivamente riempito i vuoti istituzionali di una vasta area fra Siria e Iraq. Secondo recenti studi, la struttura dello Stato Islamico, che fornisce servizi di base agli abitanti delle zone che controlla, e mantiene un imponente apparato militare e burocratico, si mantiene attraverso diverse fonti di finanziamento: grandi somme di denaro sottratte in particolare nella città di Mosul; rimesse da parte di una varietà di soggetti e fondazioni (in diminuzione, per le pressioni internazionali); proventi di vari traffici, estorsioni e di “tassazione” imposta ai residenti delle aree occupate. Ricordo che in un’indagine di quindici anni fa a Milano era emerso che, attraverso traffici commessi in Italia, Abu Musab al Zarqawi ha finanziato per un certo periodo i propri campi di addestramento in Iraq. Ricorderete che Al Zarqawi è colui che nel 1998 fondò un gruppo militante jihadista, trasformatosi nel 2004 in Al Qaeda in Iraq; e che poi istituì una formazione siriana, Jahbat al Nusra, che sarà la base da cui sarebbe nato l’ISIS.

Nella seconda forma convergono le rotte e le modalità di spostamento di beni e persone, che coincidono nel caso dei traffici a fini di profitto e delle azioni eversive e terroristiche. Infine, sappiamo bene che in Italia, come in Messico e in altri Paesi, le mafie hanno sperimentato modalità di attacco allo Stato tipiche di terrorismo ed eversione, caratterizzate dall’uso di modalità che causano la morte indiscriminata di vittime inermi. In Italia i processi hanno svelato particolari forme di rapporto fra mafie e segmenti del terrorismo interno, nella commissione di alcuni delitti e di certe stragi; ed è poi stato riconosciuto da sentenze ormai definitive il carattere eversivo della strategia adottata da Cosa Nostra in un preciso momento storico: mi riferisco in particolare alle stragi commesse a Firenze, Roma e Milano nel 1993 e nel 1994.

Avviandomi alla conclusione, vorrei sottolineare che io sono convinto, in termini di politica criminale, che la priorità di intervento debba riguardare gli strumenti per controllare le complesse reti dell’economia criminale. Per questa ragione, nel mio primo giorno da senatore, ho presentato un disegno di legge per considerare e per colpire unitariamente varie forme di criminalità economica: riciclaggio, corruzione, falso in bilancio, voto di scambio. Solo alcune delle mie proposte sono, a pezzi e a fatica, confluite in diverse leggi, ma oggi non è di questo che voglio parlare. Voglio sottolineare che rintracciare, identificare, riconoscere il denaro delle mafie, dei terroristi e delle reti dell’economia sommersa, ripulito da decine di transazioni, è la sfida del nuovo millennio. Un’economia che è difficile quantificare (non sono molto appassionato di stime), ma che vale diversi punti percentuali del PIL mondiale. In Italia abbiamo imparato prima di altri, fu Giovanni Falcone ad intuirlo per primo, che la lotta alle mafie transnazionali si gioca aggredendo i patrimoni illeciti, con la confisca e con la prevenzione e repressione del riciclaggio. E lo stesso vale per il terrorismo. Ma questo è un tema nel quale la cooperazione fra gli Stati incontra grandi difficoltà. E proprio la vicenda di questi giorni dei “Panama papers”, a prescindere dai suoi riflessi politici, espone chiaramente un nervo scoperto della comunità internazionale. Nei buchi neri rappresentati dai paradisi fiscali e bancari, sistemi giuridici che adottano l’opacità invece della trasparenza sulle ricchezze illecite o equivoche, possono infilarsi mafiosi, terroristi, corrotti, evasori, riciclatori. Io penso che sia giunto il momento perché la comunità internazionale affronti con determinazione e serietà questi temi, predisponendo strategie che eviterebbero altri morti, proteggerebbero la democrazia e renderebbero disponibili per i cittadini risorse che sono invece assorbite da terroristi, criminali mafiosi e colletti bianchi.

Grazie.

 

 

 

 

 

 

Analisi e valutazione delle politiche pubbliche

Autorità, gentili ospiti,

è per me un grande piacere e motivo di particolare soddisfazione presentare oggi in questa sala del Senato la prima edizione del Master universitario di secondo livello in Analisi e valutazione delle politiche pubbliche. L’avvio di questa importante iniziativa formativa rappresenta il primo concreto e significativo passo della collaborazione tra Senato e la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle regioni e delle province autonome. Nel dicembre scorso, infatti, fu firmato un protocollo di intesa tra il Senato e la Conferenza che prevede l’instaurazione di un rapporto di sistematica collaborazione tra le due Istituzioni, con lo specifico obiettivo di creare, valorizzare e condividere conoscenze, procedure ed esperienze.

Ebbene, l’avvio della prima edizione del Master universitario è proprio il frutto di tale collaborazione. Infatti, per dar seguito a quel protocollo è stata stipulata una convenzione tra il Senato, la Conferenza, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Associazione per lo Sviluppo della valutazione e l’analisi delle politiche pubbliche e la Fondazione Bruno Kessler, al cui interno opera l’Istituto per la ricerca valutativa sulle politiche pubbliche. Il Master inizierà tra pochi giorni, il 18 aprile. Vi prenderanno parte 26 studenti e diversi uditori, principalmente dipendenti di Amministrazioni pubbliche e delle Assemblee legislative regionali e nazionali. Il corso presenterà un approccio rigoroso, multidisciplinare e con una particolare attenzione allo sviluppo delle capacità di analisi quantitativa. Lascio agli altri illustri rappresentanti delle Istituzioni organizzatrici del Master l’analisi e la descrizione più dettagliata del programma, delle metodologie didattiche e delle finalità formative. Io mi limito a ricordare che i Legislatori hanno sempre maggiore necessità di avere a disposizione informazioni accurate e allo stesso tempo facilmente fruibili e intellegibili che consentano loro di capire se i risultati ottenuti dalle politiche adottate siano stati coerenti con gli obiettivi perseguiti. L’interrogativo principale riguarda l’efficacia dell’utilizzo delle risorse pubbliche impiegate per produrre un cambiamento desiderato. Il cambiamento è avvenuto davvero? In caso positivo, è merito delle risorse spese o sarebbe avvenuto comunque? A chi è servito? Si sarebbe potuto fare meglio?

Credo infatti che non solo bisogna preoccuparsi di spendere correttamente, rispettando regole e vincoli normativi, senza sprechi, ma anche spendere in modo tale da raggiungere gli effetti desiderati dal Legislatore. Queste esigenze acquisiscono maggiore rilevanza in un’epoca in cui le ristrettezze di bilancio causate dalla crisi dell’economia mondiale impongono di individuare modi socialmente accettabili di ridurre e, al contempo, migliorare la qualità della spesa pubblica. La valutazione delle politiche pubbliche può costituire uno strumento conoscitivo formidabile di tale processo, in quanto valutare vuol dire avere a disposizione strumenti per decidere con consapevolezza. Questo processo di apprendimento può peraltro consentire alla politica di tornare ad acquisire una rinnovata legittimità attraverso il migliore soddisfacimento delle esigenze del Paese. Per far questo è necessario poter disporre di tecnici preparati, utilizzatori competenti delle migliori metodologie, principalmente quantitative, di analisi e valutazione e, al contempo, sensibili conoscitori dei meccanismi istituzionali. Tecnici che devono essere in grado sia di elaborare e interpretare i dati, sia di proporli ai Legislatori in una forma comprensibile e utile per il processo decisionale.

L’Amministrazione del Senato, proprio per rispondere a questa esigenza, parallelamente all’organizzazione del Master, ha iniziato, ormai da diversi mesi, a dotarsi di una strumentazione conoscitiva diffusa in tutti i Servizi e di strutture specificamente mirate che possano contribuire a dare un supporto tecnico ai Senatori, anche in merito alla valutazione delle politiche, oltre che nelle materie tipiche delle amministrazioni parlamentari.

A prescindere, infatti, dalla riforma costituzionale – che prevede peraltro tra gli specifici compiti del “nuovo” Senato proprio l’obbligo di effettuare la valutazione delle politiche pubbliche – ritengo sia assolutamente essenziale per noi politici sapere se decisioni adottate in risposta alle esigenze dei cittadini abbiano avuto gli esiti desiderati e raggiunto gli effetti previsti.

Per questo motivo, con convinzione, ho voluto stipulare accordi e convenzioni tra il Senato e Istituzioni di altissimo livello (tra le quali il Consiglio Nazionale delle Ricerche, la Banca d’Italia, la Guardia di Finanza, l’Istat, oltre ovviamente alla convenzione con le Istituzioni presenti oggi a questo tavolo!). Tutte hanno aderito con particolare entusiasmo e i loro rappresentanti mi hanno confidato che è forse la prima volta in Italia che un Organo costituzionale assume una simile iniziativa, segno di una nuova attenzione che la politica rivolge alla ricerca e al patrimonio conoscitivo quale fondamento per un procedimento decisionale consapevole.

Il Master che presentiamo oggi ha esattamente l’obiettivo di formare quei professionisti della valutazione delle politiche pubbliche che possano interfacciarsi allo stesso tempo sia con il decisore politico sia con gli esperti e gli specialisti di settore, con l’obiettivo di comprendere se la norma stia funzionando – ove già adottata – ovvero abbia possibilità di funzionare – se in fase di adozione – secondo le intenzioni del Legislatore.

Concludo ringraziando ancora gli illustri rappresentanti delle Istituzioni organizzatrici del Master per il lavoro svolto e per la convinzione e determinazione con cui hanno accettato la sfida di avviare un’esperienza formativa che non ha precedenti nel mondo accademico. In meno di cinque mesi siamo stati in grado di realizzare questo importante obiettivo. C’è stato un lavoro intenso delle strutture di ciascuna Istituzione coinvolta, ma so che è stato un lavoro svolto con particolare dedizione proprio perché tutti coloro che vi han preso parte si sono resi conto che stavano contribuendo alla realizzazione di qualcosa di particolarmente innovativo per il Paese e che potrà avere un impatto significativo. Credo che anche la scelta di tenere le lezioni in una sede del Senato – nella Sala dei Presidenti di Palazzo Giustiniani – abbia un valore simbolico importante. Grazie.

 

Nasce l’Associazione “Archivio Franco Giustolisi”

“Apprendo con piacere la notizia della costituzione dell’Associazione ‘Archivio Franco Giustolisi – Onlus‘. E’ il modo migliore per onorare la memoria e mantenere vivo il ricordo e l’insegnamento umano e professionale di Franco Giustolisi, uno dei più grandi rappresentanti del giornalismo d’inchiesta, che ha sempre concepito la propria professione come una missione per giungere alla conoscenza della verità e alla giustizia”.

E’ quanto ha dichiarato il Presidente del Senato, Pietro Grasso, dopo aver ricevuto oggi a Palazzo Madama i promotori dell’Associazione, di cui Roberto Martinelli è Presidente onorario.

L’Associazione promuove e cura l’organizzazione di attività di formazione, di informazione, culturali, sociali ed editoriali, anche attraverso  borse di studio,  l’istituzione di corsi universitari e post-universitari, produzione di filmati e documentari. All’interno dell’Associazione si colloca il Premio di giornalismo d’inchiesta “Giustizia e Verità Franco Giustolisi“, che lo scorso anno ha visto il suo esordio grazie all’iniziativa del Comune di S. Anna di Stazzema, che lo ha patrocinato, e alla collaborazione della Presidenza del Senato. La nascita dell’Associazione consentirà al Premio di toccare, di anno in anno, i vari Comuni tristemente protagonisti di eccidi, molti dei quali al centro della narrazione del libro “L’armadio della vergogna” dello stesso Giustolisi. Un itinerario ideale, attraverso il Paese, per dare voce a tutti i superstiti.

“Un’iniziativa – ha aggiunto il Presidente Grasso – che avrebbe il pieno sostegno di Franco Giustolisi, che dalla scoperta dell’Armadio e fino agli ultimi giorni della sua vita, per oltre vent’anni, infaticabile, aveva girato l’Italia in lungo e in largo, ricordando le vittime della barbarie”. Per il 2016, il Comune designato per ospitare il Premio è Marzabotto.

Incontro con i Reali di Norvegia

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Il  Presidente  del  Senato,  Pietro  Grasso, ha ricevuto oggi pomeriggio a Palazzo  Giustiniani  le  Loro  Maestà  il Re Harald V e la Regina Sonja di Norvegia, in visita di Stato in Italia. Al  centro  del  cordiale colloquio, le principali questioni della politica internazionale,  in  particolare la lotta al terrorismo e la situazione dei rifugiati.

Il nuovo fondo per contrastare la “povertà educativa”

Autorità, colleghi, relatori, gentili ospiti,

è un grande piacere essere qui con voi oggi e ringrazio il Presidente di Save the Children Italia, Claudio Tesauro, per aver promosso questo prezioso momento di confronto sulle opportunità offerte dal “Fondo per contrastare la povertà educativa minorile”, approvato dal Parlamento con la legge di stabilità 2016.

Lo scorso novembre qui in Senato abbiamo presentato il 6° “Atlante dell’infanzia (a rischio)” di Save the Children, dolorosamente intitolato “Bambini senza”. In quell’occasione, ricorderete, avevo parlato di “sconforto” per la realtà che emergeva dai vostri dati: ha colpito ciascuno di noi la fotografia di quella povertà non solo materiale ma anche culturale. Oltre al milione di bambini che vive in povertà assoluta infatti veniva evidenziata l’insidiosa e finora sottovalutata povertà educativa, da voi definita come “la privazione da parte dei bambini e degli adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”. Nel vissuto quotidiano, povertà educativa significa per un bambino crescere senza acquisire la capacità di comprendere e interpretare la complessa realtà in cui viviamo, sia da un punto di vista pratico che emotivo, nelle relazioni con gli altri, nella scoperta di sé stessi e del mondo. E’ difficile crescere pienamente se, come risulta dai vostri dati, un quindicenne su 4 «non è in grado di ragionare in modo matematico, utilizzare formule, procedure e dati, per descrivere, spiegare e prevedere fenomeni», mentre un ragazzo su 5 non è in grado di «analizzare e comprendere il significato di ciò che ha appena letto». A questo va aggiunto che nella vita quotidiana di molti giovani mancano stimoli basilari: un’attività sportiva, la lettura di almeno un libro all’anno, la visita a un museo, un’area archeologica o una città d’arte, la visione di una rappresentazione teatrale.

L’analisi dei dati mette in evidenza sia il legame tra povertà economica delle famiglie e povertà educativa dei figli, sia la trasmissione intergenerazionale dello svantaggio socio-economico e culturale. Ne emerge un quadro complessivo di povertà educativa caratterizzato da forti disuguaglianze. Una situazione profondamente problematica e per la quale è necessario individuare soluzioni efficaci affinché il futuro dei nostri ragazzi non sia determinato dalla provenienza sociale, geografica, migratoria o di genere. Nel nostro precedente incontro concludevo il mio intervento con un appello: la richiesta di inserire nella Legge di stabilità allora in discussione qui in Senato un intervento pubblico forte per rispondere alle sfide dei “bambini senza”. Per questo contesto ho accolto con grande entusiasmo la misura proposta dal governo e approvata dal Parlamento nella legge di stabilità 2016 relativa all’istituzione, in via sperimentale, di un “Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile” per gli anni 2016, 2017 e 2018. Un’azione di governo che si inserisce a pieno titolo nel dibattito in corso alle Nazioni Unite per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, che riporta la necessità di “fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva e opportunità di apprendimento permanente per tutti”.

A livello europeo, l’istituzione di questo Fondo, ancorché in via sperimentale, rientra nella Strategia 2020 dell’Unione Europea e risponde alla Raccomandazione ufficiale diramata dalla Commissione Europea dal titolo “Investire nei bambini: rompere il circolo vizioso di svantaggio”, con la quale gli Stati membri vengono sollecitati a mettere al centro dell’agenda il tema dell’infanzia e degli investimenti necessari per combattere la povertà dei bambini, inclusa quella educativa. E’ una grande opportunità che non va sprecata e dispersa in mille rivoli, in progetti spot, a corto raggio. Serve garantire un piano coerente, sinergico, che metta a frutto il meglio delle esperienze di associazioni e fondazioni pubbliche e private, grandi e piccole, che sappia intervenire sul territorio e sulle comunità, perché, è noto, “per educare un bambino ci vuole un villaggio intero”.

L’incontro di oggi, sono certo, ci fornirà degli spunti interessanti di riflessione e rappresenta un volano per sollecitare il dibattito e l’attuazione di politiche nazionali per migliorare la vita dei minori. Ritengo che monitorare la povertà educativa dei bambini e degli adolescenti sia fondamentale non solo per avviare politiche efficaci, ma anche per suscitare una maggiore responsabilità sociale e per un utilizzo più mirato delle risorse in progetti, chiaramente valutabili, e che possano dare avvio a interventi di sistema e allo sviluppo di un nuovo sistema di welfare per l’infanzia. Il fatto che la “povertà educativa” sia entrata nell’agenda del Governo è sicuramente un passo di grande rilevanza. E’ un investimento strategico, perché consente al Paese di coltivare e far fiorire la ricchezza del futuro, che sarà fondata sui talenti di questi giovani. E’ la più bella, la più promettente, la più ecologica, la più duratura delle Grandi Opere immaginabili: quella di disegnare su basi solide, feconde e indistruttibili il futuro della nostra nazione e dei nostri figli.

E’ una grande e bella sfida, quella che oggi il sottosegretario Nannicini  è  venuti a raccogliere. A lui, a Save the Children, e a tutte le realtà che partecipano all’Intesa che accompagnerà questo percorso, va il nostro più sentito “in bocca al lupo”.

Accesso aperto alla normativa e all’informazione giuridica

Autorità, Gentili ospiti, Signore e Signori,

ho accolto davvero con piacere la proposta del dott. Gherardo Casini di ospitare in Senato questo importante seminario promosso dal Dipartimento Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite e dall’International Development Law Organization sulla esperienza italiana in materia di accesso aperto alla normativa e all’informazione giuridica. Saluto e ringrazio per la loro presenza gli autorevoli relatori, certo che le loro diverse esperienze e professionalità offriranno contributi fondamentali sia per tracciare il bilancio di quanto si è fatto, sia per concepire strategie per il futuro.

Da giurista e magistrato ho naturalmente sempre avuto a cuore il problema della ricerca delle fonti normative che disciplinano i diversi settori della vita pubblica e sociale, e mi sono sempre più profondamente convinto della necessità di garantire ai cittadini la più ampia e chiara conoscenza del patrimonio normativo e giuridico del Paese. Negli ultimi decenni questa esigenza si è andata man mano rafforzando perché nell’ordinamento giuridico vi è una crescente interazione della legislazione interna, originata da diverse fonti, e di norme e principi prodotti dalle istituzioni sovranazionali ed internazionali. Ne risulta un quadro multi-livello di normazione e tutela dei diritti e degli interessi non sempre agevole da decifrare, che richiede una particolare padronanza dei diversi livelli di integrazione delle fonti normative. Gli strumenti di informazione giuridica di cui ci occupiamo hanno una doppia valenza. Da una parte, garantiscono la cognizione delle norme vigenti da parte di individui, istituzioni pubbliche, imprese ed enti del terzo settore. Dall’altra, assicurano la pienezza del processo democratico e favoriscono uno sviluppo sociale, economico e civico più partecipato da parte dei cittadini. Questi diversi obiettivi impongono una visione di insieme, che colleghi i percorsi nazionali al quadro internazionale che oggi è qui espresso dal lavoro delle Nazioni Unite e di IDLO, che io apprezzo e condivido.

Sono molto grato per l’attenzione degli organizzatori all’esperienza italiana in tale ambito. In effetti, il nostro Paese è stato uno dei primi in assoluto a cogliere e ad applicare il potenziale delle tecnologie dell’informazione prima alla gestione e poi alla diffusione dei contenuti normativi e giuridici, anche per favorire la trasparenza dell’attività parlamentare, garanzia di democrazia. Già alla fine degli anni sessanta si progettarono le prime banche dati normative e giurisprudenziali nazionali, e già a metà degli anni ottanta esistevano servizi per l’accesso remoto alle banche dati parlamentari. Questo impegno così precoce ha permesso, con l’avvento di internet a metà degli anni novanta, di rendere fruibile gratuitamente per tutti un grande patrimonio informativo attraverso progetti pioneristici, come ad esempio il portale “Normeinrete”. Questa tradizione di servizi informativi pubblici sui testi normativi e giuridici è stata accompagnata da interventi legislativi, come per esempio l’art. 107 della legge 388 del 2000, che istituiva un fondo per finanziare le iniziative di informatizzazione e classificazione della normativa vigente ai fini della ricerca e consultazione gratuita da parte dei cittadini, affidandole alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Senato della Repubblica e alla Camera dei Deputati. La collaborazione tra questi ed altri soggetti istituzionali ha infine dato vita al portale “Normattiva”, attualmente gestito dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, che offre accesso a tutti gli atti numerati pubblicati in Gazzetta ufficiale dal 1932 ad oggi, ed è in corso di completamento con l’inserimento degli atti vigenti dal 1861, e la possibilità di effettuare ricerche anche nelle banche dati legislative regionali.

Per me è poi una ragione di orgoglio che il Senato della Repubblica sia fra le prime camere al mondo ad avere reso disponibili in formati aperti e accessibili secondo le migliori pratiche internazionali i documenti e i dati sull’attività del Senato. Oggi tali informazioni dal 1996 in poi sono disponibili sul sito dati.senato.it. Ricordo poi che il Senato insieme al Parlamento Europeo nel 2013 ha adottato lo standard ideato e promosso proprio da UNDESA (Dipartimento Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite). In questi anni è stata molto marcata l’attività di cooperazione internazionale in questo specifico ambito del Senato. Cito l’assistenza prestata alle assemblee di Romania e Algeria, in collaborazione con la Commissione europea; i progetti di sostegno al Senato della Cambogia e al Parlamento dell’Iraq, insieme a UNDESA; quello a favore del Montenegro con UNDP; infine il lavoro per favorire l’informatizzazione dei parlamenti africani sviluppato insieme a UNDESA.

Infine, vorrei evidenziare che Normattiva e i vari servizi di raccolta e pubblicazione di dati e di documenti parlamentari, normativi e giuridici sviluppati dalle istituzioni qui rappresentate, possono essere utili per migliorare la qualità della legislazione e quindi dei processi democratici. L’Italia, sul piano formale, deve proseguire con il processo di semplificazione normativa in corso da alcuni anni, finalizzato a ridurre il numero complessivo delle leggi in vigore. Sul piano sostanziale, vale a dire il modo in cui le norme sono redatte in rapporto agli obiettivi politici perseguiti, io credo che sarà determinante investire in analisi di valutazione e di impatto della legislazione e delle politiche pubbliche, ex ante ed ex post, ed è questo uno dei settori nei quali la riforma costituzionale in itinere ha previsto di specializzare il Senato territoriale.

Concludo. Sono convinto che questo seminario consentirà di raggiungere diversi obiettivi. Il primo è condividere tutte le implicazioni strategiche, organizzative e tecniche dell’esperienza italiana e di altri Paesi, per consentire alle Nazioni Unite e a IDLO nuove prospettive di azione comune e di cooperazione internazionale. Il secondo è riflettere sul valore ai fini della democrazia della certezza del diritto, della trasparenza, della chiarezza e conoscibilità delle norme, della partecipazione ai processi decisionali da parte dei cittadini. In questi anni di impegno in Senato, ho sempre tenuto a mente che noi parlamentari oltre che di leggi e di procedure, ci occupiamo della vita, delle difficoltà, delle speranze delle persone, in una parola sola di umanità. Questa consapevolezza, io sono certo, è quanto ci accomuna in questa sala.

Grazie

Rapporto 2016 sul Coordinamento della Finanza Pubblica

Autorità, Gentili ospiti, cari amici,

Prima di cominciare il convegno vorrei dire a nome di tutti che le notizie che arrivano da Bruxelles ci angosciano profondamente. Il mio primo pensiero va a tutti coloro che stanno soffrendo, alle famiglie delle vittime, ai feriti e a tutti coloro che in queste ore vivono con terrore gli attacchi alla capitale della nostra Europa. La nostra reazione politica deve essere quella di unirci tutti in Europa e fuori dall’Europa per reagire con fermezza contro le organizzazioni terroristiche e le ideologie della violenza. In questo momento dobbiamo sentire più che mai la forza dell’Unione europea, della sua storia e dei suoi principi. L’obiettivo immediato da perseguire è accelerare al massimo la circolazione di informazioni, addirittura in tempo reale, per contribuire a prevenire attentati di questo genere e salvare vite umane. E’ stato convocato per questo pomeriggio il Comitato per la Sicurezza ed esprimo la massima fiducia per la professionalità, la serietà e la dedizione delle nostre forze dell’ordine, del comparto di intelligence e della magistratura.

Venendo al tema di questo incontro, desidero ringraziare per la loro presenza il Presidente Squitieri, il Ministro Padoan e tutti gli autorevoli relatori che contribuiranno con la loro professionalità ed esperienza alla discussione di questa mattina. Mi complimento molto con i magistrati della Corte dei Conti che hanno redatto il corposo Rapporto e gli altri collaboratori, per lo sforzo di fornire alla politica uno strumento insieme di valutazione e di prospettiva. Io sono da sempre convinto dell’importanza di un sostegno tecnico di così alto livello alle difficili responsabilità decisionali della politica, e questo vale ancora di più in questa materia di formidabile complessità, che è al cuore dell’azione dello Stato. La sinergia fra la Corte dei Conti e il Parlamento si è rivelata particolarmente strategica nell’attuale scenario economico-finanziario. Il Parlamento, nelle sue funzioni di indirizzo e controllo della finanza pubblica, così come nelle funzioni legislative, ha bisogno di strumenti di informazione e di analisi qualificati che gli consentano di svolgere il proprio ruolo in autonomia dall’esecutivo e con piena consapevolezza. La crisi economica e il conseguente sistema di governance definito a livello europeo, hanno contribuito a rafforzare il ruolo delle assemblee rappresentative quali garanti della trasparenza e della coerenza delle fondamentali scelte strategiche adottate in ambito finanziario. La comprensibile centralità che i governi tendono ad assumere in tale settore e in queste contingenze deve essere infatti affiancata da strumenti idonei a garantire la partecipazione democratica e la rappresentazione dei bisogni fondamentali dei cittadini, di cui i Parlamenti sono i naturali interpreti. In questa prospettiva si colloca la scelta, effettuata con la riforma costituzionale del 2012 sul pareggio di bilancio, di istituire l’Ufficio parlamentare di bilancio, al fine di arricchire gli elementi di analisi sugli andamenti finanziari e macro-economici a favore del Parlamento ma anche degli altri decisori pubblici. Il Parlamento è così messo in grado di valutare le tendenze della finanza pubblica, intervenendo non soltanto nella fase di approvazione del bilancio, ma anche nella fase ex ante, vale a dire nella verifica delle stime economiche usate dal Governo per predisporre i principali strumenti contabili.

In questo contesto, il Rapporto segnala anzitutto le innovazioni delle politiche di bilancio negli anni di crisi, e si sofferma ad analizzare i principali aggregati di entrata e spesa e il ruolo delle istituzioni che coordinano la finanza pubblica sul territorio nazionale. Mi sembra che il dato più rilevante emergente dal Rapporto riguardi la grande trasformazione in atto, e un quadro definito (cito le conclusioni) “articolato, inevitabilmente fatto di luci e ombre, di processi compiuti e di nodi da sciogliere, di innovazioni ormai consolidate e di settori su cui ancora non si è riusciti a intervenire”. A fronte dei dati relativi alla crescita, purtroppo ancora molto incerti, specialmente in relazione agli altri Paesi europei, dal Rapporto emerge una conferma dell’importanza di politiche espansive, in continuità con l’ultima legge di stabilità e in vista di ulteriori misure finalizzate a rilanciare i consumi e l’economia. Un altro tema centrale riguarda le scelte di finanza pubblica con riguardo agli enti territoriali di base: il Rapporto segnala la recente tendenza registrata nel nostro Paese, e in Europa, a ricentralizzare la spesa a favore dello Stato. Su questo profilo io credo che sarà di fondamentale importanza armonizzare le scelte di carattere finanziario con quelle istituzionali, partendo dal binomio di base “funzioni-risorse”. Sono certo che, anche nella prospettiva della riforma costituzionale in itinere, sapremo trovare soluzioni idonee a conciliare da una parte le istanze del decentramento, dall’altra il controllo della spesa.

Concludo con un pensiero rivolto ai cittadini in difficoltà, purtroppo sono tanti, che la crisi economica ha spesso spinto alla marginalizzazione. Sono convinto, mi capita di ripeterlo spesso, che il dovere primario dello Stato, della politica e delle istituzioni sia mettere sempre al centro la vita quotidiana, le difficoltà, le speranze, i sogni delle persone, in particolare dei giovani. La responsabilità che grava su di noi è duplice: garantire la gestione corretta, seria, equilibrata delle risorse pubbliche e soprattutto promuovere crescita, lavoro, produzione, innovazione, progetti sui quali costruire il futuro del Paese.

Grazie.