Democrazia, impegno civile e cultura religiosa. Ricordando Pietro Scoppola

Signor Presidente della Repubblica, Signore e Signori,

Sono molto lieto di ospitare in Senato questo incontro dedicato alla figura di Pietro Scoppola e alla sua straordinaria esperienza umana e intellettuale, che si è svolta in gran parte, sia da funzionario che da parlamentare, al servizio di questa Istituzione. Saluto cordialmente i figli dell’illustre senatore e ringrazio gli autorevoli relatori, amici e allievi che sapranno certamente descrivere lo studioso, l’uomo, la profondità del suo pensiero e la concretezza del suo impegno.

Negli anni cinquanta, dopo la laurea in giurisprudenza, entra nell’Amministrazione di Palazzo Madama. Con lui supera il concorso un altro dei protagonisti della storia repubblicana: Leopoldo Elia, amico di una vita. I due giovani funzionari entrano così in contatto con le grandi figure della politica italiana presenti in Senato nella prima legislatura: Croce, Nitti, Vittorio Emanuele Orlando, Bonomi, Merzagora, Terracini, Adone Zoli (quest’ultimo fu Presidente della Commissione Istruzione di cui Scoppola era il segretario). Nella Biblioteca del Senato (nella bella sala in cui ci troviamo), diretta per anni dall’amico Vittorio Emanuele Giuntella, completa la sua formazione e pone così le basi per la carriera universitaria, cui si dedica dal 1961. Vincitore di concorso a cattedra nel 1967 viene chiamato alla facoltà di Sociologia a Trento, ma si dimette e resta in Senato per non cedere all’imposizione sessantottina di sostituire le lezioni con dei seminari in cui studenti e docenti avrebbero discusso dei temi scelti dagli stessi partecipanti: una scelta dolorosa che assunse senza esitare, a difesa della libertà di insegnamento. In Senato fu responsabile dell’Ufficio Documentazioni e Ricerche e collaborò alla raccolta degli studi per il ventesimo anniversario della Costituente: sei volumi che costituiscono ancora oggi un punto di riferimento essenziale. Nel 1973 viene chiamato a Roma alla facoltà di Magistero e quindi a Scienze politiche e lascia l’Amministrazione del Senato. Inizia un impegno scientifico e politico che lo rende un punto di riferimento di una generazione di studiosi e che, come i suoi colleghi di facoltà Aldo Moro e Vittorio Bachelet, lo fa persino includere nell’elenco degli obiettivi delle Brigate Rosse. Solo per caso un pacco contenente esplosivo viene scoperto e rimosso dalla sua autovettura di fronte all’Università.

Comincia in quegli anni a interessarsi di politica, che concepisce, forse per l’essere stato funzionario del Senato, in una posizione dialettica, collaborativa, ma di terzietà. Nella sua autobiografia, pubblicata postuma, scrive: “la politica mi ha appassionato come disegno per il futuro, come valutazione razionale del possibile e sofferenza per l’impossibile, come chiamata ideale dei cittadini a nuovi traguardi, aspirazione a un’uguaglianza irrealizzabile che è tuttavia il tormento della storia umana. Mi ha interessato la politica per quello che non riesce a essere molto più che per quello che è”. Una visione anche profondamente cristiana, che lo condurrà a fondare nel 75 la Lega democratica, contribuendo ad avviare un percorso nel mondo cattolico per riavvicinare i cittadini alle istituzioni e rinnovare i partiti. Accetta quindi di essere candidato da indipendente nelle fila della Democrazia Cristiana, con Nicolò Lipari e Roberto Ruffilli, e si ritrova a Palazzo Madama da senatore nella IX Legislatura. Qui partecipa intensamente alla prima commissione bicamerale sulle riforme presieduta da Aldo Bozzi, la prima sede istituzionale nella quale si trasferisce il dibattito, allora già molto vivo nei partiti e nella dottrina, sulla revisione dell’ordinamento per rafforzare la qualità della democrazia e renderla più efficiente e stabile. La Commissione Bozzi, com’è noto, rigetta l’idea di trasformare il Senato in Camera delle Regioni, temendo frammentazioni politico-istituzionali e complicazioni per l’azione di governo; e nella relazione finale propone il passaggio a un bicameralismo paritario, ma differenziato, nel quale alla Camera dei Deputati si affidava in prevalenza la funzione legislativa e al Senato soprattutto quella di controllo, mentre il potere di fiducia veniva attribuito alle due Camere in seduta comune.

Rileggendo gli interventi di Scoppola in bicamerale, che il Senato ha ripubblicato nel 2008 dopo la sua scomparsa, sono rimasto colpito dall’attualità delle analisi. In lui è lucidamente presente la necessità di cercare una sintesi politica fra esigenze di decisionismo, rappresentanza e diritti civili. Pensa che sia giunto il momento di rendere la democrazia istituzionalmente più forte, risultato impossibile negli anni della Costituente, ma rivendica la grandezza dell’opera di rifondazione della convivenza operata dai padri costituenti in un “compromesso nel senso più alto del termine, nel senso di con-promettere, del promettere insieme” (sono parole scritte in un saggio del 1997). Si impegna con energia, ma senza riuscirvi, perché la legge elettorale entri nel dibattito e così, insoddisfatto da quell’occasione mancata, si astiene nel voto finale sulla mozione conclusiva della relazione della Commissione Bozzi, continuando altrimenti il suo impegno nella legislatura, in particolare sul tema della revisione del Concordato e della riforma dell’istruzione superiore. Quel voto di astensione spiega la sua delusione ed il successivo rifiuto a ricandidarsi per le elezioni del 1987.

Colpisce particolarmente la modernità con cui comprende l’urgenza di sbloccare il sistema politico, al tempo stesso con correzioni al sistema istituzionale e con l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. Oggi la riforma costituzionale è stata avviata, e a breve sarà sottoposta al giudizio dei cittadini, ma è purtroppo ancora incompiuta la disciplina dei partiti, che, secondo la sua felice intuizione, è invece vitale fare procedere all’unisono con la revisione istituzionale per garantire la realizzazione del “metodo democratico” espressamente voluto dalla Costituzione. Sono convinto che l’attuazione di questa norma sia anche la premessa necessaria a rafforzare la legittimazione etica dei partiti e la loro capacità di selezionare la classe dirigente, in modo da prevenire la grave questione morale che oggi colpisce trasversalmente la politica italiana.

Lasciata la politica attiva, Scoppola non smette però di frequentare la biblioteca del Senato, e continua il suo impegno di intellettuale e riferimento di una vasta area di studiosi e politici. Il fallimento del percorso riformatore e il vuoto lasciato da Aldo Moro lo inducono a una meditazione più complessiva sulle sorti dell’intero sistema politico istituzionale italiano, al di là della crisi della Democrazia cristiana. Riflessioni che si ritrovano nel volume sulla “Repubblica dei partiti” che pubblica nel 1991. Un testo denso di riflessioni e di pensieri, divenuti più profondi negli ultimi anni di dolorosa malattia, che rimangono un vero dono di sapienza civile di un uomo che ha lasciato un’inestinguibile eredità spirituale ai suoi figli, ai suoi cari, ai suoi amici e allievi e a noi tutti che amiamo questo Paese, questa Repubblica e questo Senato. Un uomo che oggi ho avuto l’onore di ricordare. Grazie.

Inaugurazione della sala “Giovanni Sartori”

E’ con grande piacere e orgoglio che abbiamo appena inaugurato la Sala Giovanni Sartori, che ospiterà una parte importante delle migliaia di libri che il professore ha voluto donare alla nostra Biblioteca. Grazie alla Commissione presieduta dal Senatore Sergio Zavoli, che ha lavorato alacremente per poter mettere a disposizione di tutti i cittadini questi volumi: sono certo che i tantissimi studenti e i tanti cittadini che quotidianamente frequentano la nostra biblioteca saranno felici di poter attingere da questo straordinario patrimonio di conoscenza e cultura.

Il fondo Sartori testimonia il suo lungo e fecondo percorso intellettuale attraverso la politica come scienza, per richiamare il titolo della raccolta di scritti in suo onore che abbiamo presentato qualche mese fa proprio qui in Senato. Per la nostra Istituzione è l’occasione di accrescere la propria collezione e di aprire ancora di più le proprie porte agli studiosi che potranno confrontarsi con una ricchissima bibliografia di testi sulle discipline politologiche, sociologiche e filosofiche. La presenza nella Biblioteca Giovanni Spadolini di una sala a lei dedicata si colloca nel segno di quell’amicizia umana e intellettuale che vi ha legati per molti decenni. In un’intervista di alcuni anni fa è stato proprio lei ha raccontare la vicenda della vostra contestuale nomina a professori incaricati della Cesare Alfieri di Firenze nel 1950. In Consiglio di facoltà prese la parola Giuseppe Maranini, che disse: “ho scoperto un genio, si chiama Giovanni Spadolini”; gli rispose subito Pompeo Biondi: “anche io ho scoperto un genio, si chiama Giovanni Sartori”. Fu proprio Spadolini ad avere la lungimirante intuizione di aprire la Biblioteca del Senato ai cittadini per farne un luogo di diffusione della cultura e della conoscenza, e questo suo dono è il miglior modo per rinnovare il vostro legame. Siete stati entrambi interpreti della storia della cultura italiana e il vostro contributo alla vita politica e alla crescita del patrimonio civile, culturale, etico della società italiana è indiscusso. Seppur in maniera diversa, vi siete fortemente impegnati convinti che – come aveva scritto nel 1945 un altro grande intellettuale italiano, Adolfo Omodeo – il futuro della Repubblica dipendesse dalla capacità degli italiani di liberarsi dal pregiudizio che la politica fosse una cosa impura.

Caro professore, lei è stato e continua ad essere protagonista non solo del dibattito scientifico internazionale, ma anche di quello politico italiano: la sua è una voce autorevole, appassionata e soprattutto indipendente che ha rafforzato e nutrito l’opinione pubblica. Una vera democrazia, ce lo ha insegnato con i suoi scritti, oltre che di una diffusa pluralità di strumenti di libera informazione e comunicazione ha bisogno di luoghi che consentano ai cittadini di conoscere, informarsi, acquisire e potenziare la propria capacità cognitiva per poter vivere consapevolmente il presente. Anche perché – è stato lei professore ad averlo scritto – a ogni incremento di “demo-potere” deve corrispondere un aumento di “demo-sapere”, altrimenti la democrazia diventa il governo dell’incompetenza ed è così destinata a morire. Questo perché il potere popolare è massimo dove la pubblica opinione ha modo di costituirsi su basi autonome e muovendo da molteplici centri di influenza. E’ minimo, invece, quando gli strumenti di informazione e di comunicazione sono nelle mani di pochi soggetti, ed è nullo quando il potere politico controlla tutti quegli strumenti. L’epoca contemporanea rifugge il pensiero lungo: è sempre più raro trovare chi alimenta la propria visione del mondo attraverso lo studio  approfondito della società e delle sue forme.  Di fronte a questa prospettiva il suo diventa un atto di generosità nei confronti di migliaia di cittadini, e, consentitemi di dirlo, anche di profonda fiducia nel futuro. I suoi libri sono da oggi a disposizione di tutti: dei parlamentari, degli studenti, dei cittadini. Le siamo tutti davvero molto grati per questo, nella speranza che vengano consultati molto.

Lascio ora la parola agli autorevoli relatori che interverranno dopo di me e che avranno il compito di restituire la complessità del percorso scientifico e intellettuale del professor Sartori, mettendo in luce gli elementi originali del suo pensiero e la sua evoluzione nel corso di una lunga, prolifica e ancora fruttuosa carriera accademica.

 

Il dovere di ascoltare: riconoscere il ruolo della professione di interprete Lis

Caro Presidente Cardarelli,

impegni istituzionali precedentemente assunti mi impediscono di prendere parte al convegno “Il dovere di ascoltare: riconoscere il ruolo della professioni di interprete Lis”. Mi permetta però di far giungere il mio saluto personale a tutti voi: la vostra Associazione è ormai una realtà consolidata che svolge da quasi trent’anni un lavoro prezioso e professionale. Proprio in questi giorni la Commissione Affari Costituzionali del Senato sta esaminando il Disegno di Legge n. 1151 che pone l’ambizioso e non più procrastinabile obiettivo di individuare gli strumenti necessari per poter rimuovere le barriere che si frappongono tra chi è affetto da disabilità uditiva e gli ambienti della scuola, del lavoro e più in generale della vita sociale. E’ giunta l’ora di operare un cambiamento di approccio culturale: un Paese civile non può sopportare che ad alcuni sia negata la legittima ambizione di essere completamente parte della sua comunità in ragione di una forma di disabilità. Non si tratta solo di assicurare diritti a chi al momento non può goderne pienamente ma anche di dare modo a ciascuno di coltivare il proprio talento, le proprie aspirazioni, i propri sogni e contribuire così al benessere generale della collettività. In questo contesto, che necessita di una riflessione di ampio respiro, si deve volgere l’attenzione anche alla figura dell’interprete Lis, a cui va riconosciuta l’importanza del ruolo che svolge con passione e dedizione. Sono sicuro che l’incontro di oggi, al quale partecipano membri di entrambi i rami del Parlamento, contribuirà ad alimentare il dibattito e a tenere alta l’attenzione su un tema così importante per la vita quotidiana di molti nostri concittadini. A lei e a ciascuno dei partecipanti i miei più calorosi auguri di buon lavoro.

Incontro con i giovani reclusi dell’Istituto penale per minorenni “Malaspina” di Palermo

0

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, incontrerà venerdì 13 maggio i giovani reclusi dell’Istituto penale per minorenni “Malaspina” di Palermo, insieme all’Arcivescovo del capoluogo siciliano, Mons. Corrrado Lorefice, e al Sindaco Leoluca Orlando, in occasione dell’iniziativa “Il valore delle Istituzioni nel recupero del disagio giovanile”, a sostegno dei progetti avviati all’interno della struttura detentiva. L’iniziativa, promossa dal consigliere circoscrizionale Marcello Susinno, prevede una visita della struttura penitenziaria a partire dalle ore 16.

Libertà religiosa, diritti umani, globalizzazione

Autorità, Signore e Signori, Ho accolto davvero con molto piacere la proposta del Presidente Giuliano Amato e del Prof. Carlo Cardia di ospitare in Senato questo importante incontro in materia di libertà religiosa, diritti umani e globalizzazione.

Saluto con stima Sua Eminenza il Cardinale Pietro Parolin, e ringrazio gli autorevoli relatori che contribuiranno con la propria specifica competenza e professionalità al dibattito. Il tema è complesso ed attuale. Complesso perché investe dimensioni diverse: quella intima e spirituale dell’individuo; quella collettiva, sociale e pubblica; quella giuridica e costituzionale; quella politica e geopolitica. Attuale perché in questo momento storico in troppe parti del mondo la libertà religiosa non è garantita in modo sostanziale ed effettivo e le vittime di odio religioso sono discriminate, marginalizzate e perseguitate, con drammatiche conseguenze sulla vita quotidiana di milioni di persone e sulla pace, la sicurezza e la stabilità del Pianeta. Per queste ragioni, io credo nella fecondità di un approccio eterogeneo a questa materia, perché solo l’incontro di analisi ideali, scientifiche, giuridiche, geopolitiche e teologiche può contribuire a comprendere un universo umano che riguarda il rapporto di ogni persona con la propria spiritualità, con gli altri e la comunità, con la verità, con il senso e il fine ultimo dell’esistenza. Nella storia occidentale la libertà religiosa è la prima fra le libertà civili riconosciute dal potere politico ed è giuridicamente tutelata, in modo ampio, dai più importanti strumenti internazionali in materia di diritti umani fondamentali: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2007. Tutti questi testi proteggono in modo unitario la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, un complesso inscindibile che la Corte europea dei diritti dell’uomo considera una delle basi della società democratica, affermando che la libertà (cito una sentenza del 1993): “nella sua dimensione religiosa, figura fra i principali elementi dell’identità dei credenti e della loro concezione della vita, ma è un bene prezioso anche per gli atei, gli agnostici, gli scettici o gli indifferenti”.

Nel contesto europeo, la libertà religiosa trova riconoscimento come fondamento degli ordinamenti degli Stati, ma i modelli di tutela sono differenziati in base alle diverse sensibilità storiche e culturali. La Francia ad esempio adotta un rigido laicismo e un secolarismo che relega la religione fuori dalla vita pubblica, esiliandola dentro il “santuario esistenziale della coscienza e in quello spaziale del tempio e del culto”, per usare delle belle parole del Cardinale Gianfranco Ravasi. Il nostro Paese invece ha vissuto un’evoluzione storica complessa che ha condotto dalla confessionalità dello Statuto albertino del 1848 alle ampie aperture del pensiero liberale; dal neo-confessionalismo discriminatorio del regime fascista, espresso nei Patti del 1929 e nella legge sui culti ammessi, alla Costituzione repubblicana e alla giurisprudenza costituzionale; dal concilio Vaticano II alla revisione concordataria del 1984, fino alle stagione delle intese con le altre confessioni in applicazione dell’art. 8 della Costituzione.

La libertà religiosa ha avuto riconoscimento attraverso un percorso lento e difficile che si è sviluppato di pari passo con la maturazione della società. Guardando all’attualità globale si osserva, da una parte, il rilievo sempre crescente del fattore religioso nelle relazioni internazionali; dall’altra parte, la sistematicità e la diffusione di intolleranze, violenze e discriminazioni, anche silenziose e sottili, contro le comunità religiose minoritarie. Il nostro Paese da sempre ha posto la difesa della libertà religiosa e delle minoranze al centro della propria azione di politica estera, tanto nei rapporti bilaterali quanto nei contesti multilaterali, fra cui Unione europea, Nazioni Unite e Consiglio d’Europa.

Un’azione che si espleta nel dialogo politico con altri Paesi e interventi anche su casi specifici di persecuzione di cristiani e appartenenti a minoranze; e progetti di cooperazione allo sviluppo in favore della libertà religiosa, della tutela del patrimonio storico e culturale e della vita quotidiana delle comunità religiose ed etniche minoritarie. In occasione di una mia recente visita in Iraq ho avuto modo di confrontarmi personalmente con le difficili condizioni di vita di una comunità cristiana sempre più ristretta, dovute a violenze e a discriminazioni talvolta favorite anche da leggi e politiche pubbliche.

Mi riferisco in particolare ad una norma della recente legge sulla “carta d’identità nazionale” che impone ai figli minori di seguire la conversione all’Islam di uno dei genitori, anche a prescindere dalle convinzioni dell’altro genitore e dall’affidamento parentale. Nei miei colloqui con i vertici politici ne ho sollecitato la revisione perché credo che norme di questo genere dividano invece di unire i popoli, e non sono premesse utili alla riconciliazione nazionale, all’armonia delle confessioni e delle etnie, e alla pace e sviluppo di quel Paese. Proprio in questi giorni a Bagdad il settarismo religioso sta mettendo gravemente a rischio i processi democratici ed è diventato ancora una volta spunto per un sanguinoso attentato. Le proteste contro lo stallo politico sulla nomina di ministri tecnici meno legati alle fazioni religiose e contro la dilagante corruzione, da parte di militanti religiosi che hanno occupato temporaneamente il Parlamento, impongono di moltiplicare gli sforzi perché le istituzioni non siano piegate a interessi di parte ma rappresentino tutto il popolo.

Papa Bergoglio, con la sua autorità morale e la sua azione pragmatica, dedica alla libertà religiosa un impegno instancabile, cogliendo tutte queste dimensioni del fenomeno religioso nel contesto globale. Da un punto di vista dogmatico Francesco ha una visione costituzionale, laica e moderna della libertà religiosa, che considera un’acquisizione della civiltà giuridica e politica, non un “patrimonio esclusivo dei credenti, ma dell’intera famiglia dei popoli della terra” (sono sue parole). Per il Santo Padre la libertà religiosa è imprescindibile nello Stato di diritto, è la libertà delle libertà: non si può (cito ancora) “negare senza intaccare nel contempo tutti i diritti e le libertà fondamentali, essendone sintesi e vertice”. In termini teologici, Bergoglio pone poi la libertà religiosa all’origine della libertà morale perché ritiene che l’apertura alla verità e al bene garantiscono rispetto reciproco fra le persone e sono un antidoto contro il relativismo morale che è all’origine delle divisioni fra gli esseri umani.

Ma il Papa non si ferma alle parole e mette in atto una strategia che punta ai fatti, che spiega le parole con azioni concrete e simboliche. Parte dalla Repubblica Centrafricana per arrivare in Grecia. A Bangui, nella moschea della minoranza di fede musulmana, frappone il proprio stesso corpo a difesa dei fedeli dell’islam perseguitati dai cristiani: insegna visivamente il rispetto per la dignità e la vita di ognuno.

A Lesbo richiama severo e addolorato l’Europa che egli dice “è la patria dei diritti umani, e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare” e quindi accoglie fra le sue braccia, nella propria famiglia, non già i profughi cristiani ma dodici degli “altri”, dodici profughi musulmani. Il Santo Padre così da una parte demolisce odio e pregiudizio puntando il dito accusatorio contro i Paesi di Asia e Africa dove non c’è libertà religiosa, ma anche contro l’Occidente che nega la storia e rifiuta i simboli religiosi. Dall’altra parte edifica con le mani una nuova cultura di rispetto reciproco, abbatte muri, costruisce ponti politici e geopolitici, concepisce un nuovo assetto delle relazioni internazionali costruito non sugli interessi ma sui principi e i valori umani.

Concludo. La storia della civiltà umana è legata in modo inscindibile alla religione, perché la ricerca della verità e del bene comune, così come la riflessione sul valore e il senso della vita sono alla base dei caratteri di libertà e di dignità che noi riconosciamo alla persona umana. La libertà di pensiero, religiosa e di coscienza è invece figlia della modernità, riconosce a ogni individuo la facoltà di “credere quello che più gli piace, o di non credere, se più gli piace, a nulla”, come disse un secolo fa Francesco Ruffini. Il compito che in Italia, in Europa e nel mondo ci si presenta davanti è duplice. La prima sfida è politica. Consiste nella capacità di tradurre quella libertà astratta in azioni pubbliche di tutela attiva, di modo che non solo non sia impedito a nessuno di coltivare la propria dimensione trascendente come meglio preferisce, ma che vi siano le condizioni pratiche e sostanziali per la libera manifestazione collettiva e sociale della religione, in pace e nel rispetto reciproco dei credi e delle confessioni. La seconda sfida riguarda la dimensione globale della protezione dei diritti umani.

Penso alla crisi dei rifugiati, di fronte alla quale l’Unione europea si è scoperta egoista, divisa e indifferente al dovere morale e giuridico di accogliere. Penso al crescere dei nazionalismi, delle intolleranze, dell’odio per la diversità. Penso infine ai recenti attentati terroristici in Europa, che hanno rivelato che il male non si concentra solo al di là della sponda, nei territori controllati da ISIS, ma ha anche origini profondissime nelle società europee: nella marginalità, nelle diseguaglianze, nell’esclusione sociale delle periferie che spesso si trasformano in incubatrici di radicalismo, di violenza e di illegalità.

L’eguaglianza sostanziale e la libertà, cari amici, sono premesse della pace, dell’armonia sociale, dello sviluppo e della stabilità internazionale. Sono certo che l’incontro di oggi sarà un’occasione preziosa per riflettere insieme sull’urgenza di un impegno comune per garantire in ogni luogo del mondo il pieno rispetto di tutte le libertà dell’essere umano, e per assicurare a ogni persona prospettive e speranze per il futuro. Grazie.

A Reggio Calabria in memoria delle stragi di maggio

Intervento alla Giornata antimafia della Gerbera Gialla

Cari studenti, cari docenti, Autorità, consentitemi un saluto e un ringraziamento particolare, per la sua ospitalità in questo luogo, al Generale Riccardo Amato, che conosco da molto tempo. Tante volte le nostre strade professionali si sono incrociate a Palermo, a Firenze e a Roma.

Siamo di nuovo qui, insieme, come ormai da tanti anni, a ricordare insieme a Gennaro Musella, tutti i morti delle stragi di maggio perché, nella storia della nostra democrazia maggio è il più crudele dei mesi. Più tardi andremo a scoprire una targa in loro memoria nel centro di Reggio Calabria. Gennaro Musella era una persona per bene. I suoi progetti imprenditoriali, quelli di trasformare Bagnara in una nuova Positano, si infransero contro la violenza dei clan. Al dolore della sua famiglia si aggiunge, di anno in anno, quello di una comunità che desidera ancora conoscere la verità su quell’orribile delitto e che pretende sia fatta giustizia.

Questa scuola è dedicata a due giovani carabinieri: Antonino Fava e Vincenzo Garofalo. Il 18 gennaio del 1994, una settimana prima della progettata strage dello stadio Olimpico a Roma, stavano concludendo un pattugliamento di routine quando furono affiancati da un’auto dalla quale partirono decine di colpi di arma da fuoco; in pochi fatali istanti quella brutale esecuzione privò per sempre quattro bambini dei loro padri. Dopo molti anni, le rivelazioni di Spatuzza hanno fatto riaprire le indagini sul loro omicidio: anche per loro siamo ancora in attesa di quelle verità che non smetteremo mai di cercare sulle tante, troppe vicende rimaste oscure nella storia del Paese. Da cittadino, da ex magistrato che proprio con tanti carabinieri, poliziotti,  finanzieri, ha condiviso successi esaltanti e delusioni a volte dolorose, e ancor più da Presidente del Senato, desidero esprimere a tutti gli appartenenti delle Forze dell’Ordine un pensiero colmo di gratitudine e di orgoglio anche a nome di tutte le persone oneste di questo Paese.

Abbiamo lavorato anni per costruire una memoria condivisa, per far conoscere alle giovani generazioni i nomi e le storie delle tante persone uccise dalla criminalità organizzata in Italia, per far emergere con la giusta evidenza le modalità di ricatto e di sopraffazione con cui le ‘ndrine, le cosche e i clan soffocano molti territori del sud e si infiltrano in quelli del nord. La battaglia della memoria, per quanto non possa mai fermarsi, possiamo dire di averla vinta, grazie all’infaticabile lavoro di decine di associazioni, come Riferimenti, Libera, Addio pizzo, le Fondazioni Caponnetto, Falcone e tante altre, nonché di centinaia di insegnanti che si sono impegnati ogni giorno negli ultimi decenni. Voi tutti, ragazze e ragazzi, ne siete l’esempio: siete qui perché alcuni adulti hanno creduto profondamente nella vostra formazione civica, hanno voluto impegnarsi e dedicare tempo e risorse per farvi conoscere la storia del vostro territorio e di chi per questa terra ha dato la vita.

Quella che dobbiamo ancora vincere è la battaglia della trasparenza, dell’impegno, della cultura. Per poter vincere abbiamo bisogno di alcune cose: un’imprenditoria onesta, una politica pulita, un’informazione libera, cittadini consapevoli. Per contrastare le mafie la politica deve fare una scelta di campo chiara e inequivocabile contro la corruzione, l’economia sommersa, il riciclaggio, i capitali illeciti, l’evasione fiscale, i delitti societari. L’aspetto evolutivo più preoccupante, messo in luce da diverse indagini in tutta Italia, deriva dal consolidamento di un’area che coinvolge insieme a mafiosi e criminali, politici, imprenditori, professionisti e amministratori pubblici: complesse reti di relazioni inizialmente inquinate da intimidazione e violenza che poi lasciano il posto alla convenienza, alla collusione, alla corruzione, al favoritismo, e più in generale alla coincidenza e fusione di interessi diversi.

I mafiosi e i criminali si inseriscono fra la sfera dell’economia e quella della politica offrendo alle imprese e a pezzi delle istituzioni quei servizi che esse richiedono. Si determina così una saldatura garantita dalla corruttela, dal perseguimento del profitto ad ogni costo, dal disprezzo per la cosa pubblica e per l’interesse generale, attraverso gli appalti e le commesse pubbliche, le concessioni, l’acquisizione di imprese. La corruzione, soprattutto in periodi di crisi economica come quello attuale, non può che sottrarre risorse alla spesa sociale, accentuando così le diseguaglianze. Con una impeccabile sintesi, Papa Francesco mesi fa ha detto: “Chi paga la corruzione? La paga il povero. Pagano gli ospedali senza medicine, gli ammalati che non hanno cura, i bambini senza educazione”.

I dati sulle condanne per i reati “dei colletti bianchi” (corruzione, peculato, riciclaggio, falso in bilancio) dimostrano che il rischio di responsabilità penale è infinitamente più basso di quello legato ai delitti commessi dalla criminalità comune o organizzata. Questo anche perché la prescrizione accompagna placidamente i processi per quei reati ad una fine prematura. Non dimentichiamo che questa situazione è stata consapevolmente cagionata dalla politica, tramite una legge che nel 2005 ha d’un sol colpo dimezzato i tempi della prescrizione, senza preoccuparsi di adeguare le norme processuali al fine di dimezzare anche i tempi dei processi. Sono felice che finalmente vi sia stato un repentino cambiamento di rotta della politica e che in Senato, dopo un incomprensibile periodo di stasi, sia ripresa la discussione sul tema.

Ma cerchiamo di non farci prendere da facili entusiasmi, mi sono espresso più volte anche in passato in tal senso:perché la riforma della prescrizione possa avere efficacia, occorre che i suoi tempi corrispondano a quelli mediamente necessari alla definizione dei processi attraverso una generale riforma di un sistema giustizia che consenta processi più rapidi e più giusti. Proprio a livello locale l’allarmante sequenza di comuni sciolti per mafia, le reiterate minacce ed i danneggiamenti ai danni di pubblici amministratori, le infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto sociale, economico, imprenditoriale, amministrativo, politico rendono non più rinviabile una adeguata reazione, un colpo di reni.

Molti cittadini saranno chiamati tra poche settimane al voto per rinnovare le amministrazioni comunali: se la politica ha il dovere di prestare la massima attenzione alla compilazione delle liste e di rifiutare i comodi “pacchetti di voti”, che, va ricordato, non sono mai gratis, agli elettori spetta il compito di giudicare le liste e scegliere attentamente a chi dare il proprio voto. E’ una scelta importante, la più importante in una democrazia. Scorrete tutti i nomi, informatevi, chiedete, non consegnate il vostro voto all’ammasso, non date maggior peso “contrattuale” ai capibastone. Vi troverete di fronte a un bivio: da una parte la richiesta di un favore, una raccomandazione, uno scambio indecente. Dall’altra la dignità, la bellezza e la fierezza di un comportamento onesto, etico, responsabile, consapevole di non anteporre l’interesse individuale al bene pubblico. Vi assicuro che non c’è moneta, utilità che valga il rifiuto di quello che Paolo Borsellino definiva “il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.

Concludo.

Domani sarà la 23ma Giornata mondiale della libertà di stampa, che proprio a Reggio Calabria verrà celebrata con i massimi rappresentanti dell’Ordine e delle Associazioni dei giornalisti italiani, dove saranno ricordati anche i troppi cronisti uccisi e minacciati nel nostro Paese e nel mondo. Un giornalismo libero e coraggioso è un alleato straordinario tanto nella lotta alla criminalità organizzata quanto nell’affermazione della cultura della legalità. Allo stesso tempo, un’informazione libera e indipendente, in un sistema democratico, è un pilastro irrinunciabile, un presidio di libertà che abbiamo il compito di promuovere e difendere.

Rivolgo infine un saluto particolare e affettuoso al sindaco di Riace, un uomo che è riuscito a dare per la seconda volta, dopo i famosi Bronzi, una risonanza internazionale a un piccolo paese. Il riconoscimento tributatogli dalla rivista “Fortune”, che lo ha annoverato tra le 50 persone più influenti del mondo, è uno splendido esempio di come, se ben gestita, con lungimiranza, spirito solidale e grande rispetto dell’identità propria e altrui, l’immigrazione possa rappresentare per il nostro Paese un fattore di sviluppo e di crescita, e non una paura da cavalcare per biechi tornaconti elettorali. Care ragazze, care ragazzi, vivete in una bellissima terra e in uno splendido Paese: datevi da fare, costruite il vostro futuro su nuove basi. Posso assicurarvi che sarò sempre dalla vostra parte, dalla parte della legalità!

25 aprile, visita a Casa Cervi

Cari amici,

è con profonda commozione che prendo la parola in questo luogo così denso di passione civile e amore verso il nostro Paese.

Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio, Ettore: sette uomini legati dal vincolo di sangue che insieme hanno vissuto, lavorato, hanno combattuto e sono morti – “uno era come dire sette, sette era come dire uno” – uniti ancor di più dal forte ideale in virtù del quale reagirono ai soprusi della dittatura fascista e dell’occupazione nazista. La loro storia e quella dei loro genitori, Alcide e Genoveffa, è tra le più drammatiche e insieme emblematiche di quei terribili mesi. Essere qui il 25 aprile significa per me onorare la memoria di questa famiglia che è stata protagonista della Resistenza, e dalla cui vicenda umana è scaturito un esempio che ancora oggi è in grado di scuotere le nostre coscienze. Una storia che non dobbiamo mai smettere di raccontare ai nostri figli e ai nostri nipoti, perché ha in sé la parabola intera del nostro essere cittadini di questo Paese. Unisce le tradizioni cattoliche e socialiste, la cultura contadina e la capacità di rinnovarsi e crescere, la giusta aspirazione allo spezzare le proprie catene e lo sguardo limpido a un futuro solidale e internazionalista.

Voglio approfittare di questa occasione per riflettere con voi su tre parole, tre concetti che la storia dei Cervi mi ha sempre suggerito e dalle quali, credo, possiamo trarre altrettante lezioni: emancipazione, responsabilità, futuro.

Tutti conosciamo il tragico epilogo della vita dei sette fratelli ma la loro formazione merita altrettanta attenzione. Nacquero mezzadri e divennero, cosa rarissima negli anni ’30, affittuari di questo podere. Il loro desiderio di emanciparsi socialmente si nutrì, giorno dopo giorno, delle letture di mamma Genoveffa, di studio, di lavoro, di nuove tecniche di coltivazione e di allevamento del bestiame. A fronte delle perplessità della maggior parte dei loro vicini, non tardarono ad arrivare i risultati delle loro incessanti sperimentazioni. Furono i primi a livellare queste terre, e sul loro esempio, poi, lo fecero tutti. Non è un caso che il simbolo di questo museo sia il “trattore con il mappamondo”, quello acquistato dalla famiglia Cervi nel 1939, il secondo in tutta la bassa reggiana. Insieme al trattore infatti Aldo tornò con un mappamondo perché, dice il padre Alcide, “la parola d’ordine era: studiate la situazione internazionale”. A me questa strana coppia di strumenti restituisce l’idea di una intensa curiosità intellettuale, base di qualunque tentativo di migliorarsi, di uscire dalle difficoltà, dagli stereotipi e quindi dalle paure che ci circondano. La durezza del lavoro e la fatica dello studio: valori che in questi tempi vacillano, ma come dico spesso ai ragazzi che mi capita di incontrare, non esiste risultato senza sforzo, e anche in questo la famiglia Cervi ci è d’esempio.

La seconda parola è “responsabilità”. Alcide Cervi, nel ricordare le convinzioni che animavano l’azione dei suoi ragazzi, diceva: “hanno sempre saputo che c’era da morire per quello che facevano, e l’hanno continuato a fare, come il sole fa l’arco suo e non si ferma davanti alla notte”. Avevano mogli, figli, una terra da custodire. Avevano moltissimo da perdere eppure prevalse il senso di responsabilità verso la nazione e gli ideali che amavano. Un insopprimibile desiderio di libertà, giustizia e uguaglianza li convinse senza molte esitazioni ad agire, lucidamente e coraggiosamente, consapevoli dei rischi che avrebbero corso. Diedero ospitalità, cibo e cure a più di ottanta giovani ribelli, di ogni nazionalità, che si opponevano all’invasione. Non credo di sbagliarmi nel pensare che se fossero qui tra noi, oggi, aprirebbero con la stessa generosità e la stessa voglia di giustizia e uguaglianza le loro porte a chi fugge dall’invasione del fondamentalismo islamico, dalle guerre e dalle carestie in molte parti del mondo. E che dopo cena a unirli, invece che l’Internazionale cantata in coro ma in lingue diverse, come racconta Alcide, potrebbe essere proprio la canzone simbolo della Resistenza, Bella ciao, che abbiamo sentito risuonare in ogni parte del mondo durante le proteste degli ultimi anni. La vicenda della famiglia Cervi è un pezzo fondamentale di quel grande mosaico che fu la Resistenza italiana, e ci ricorda come la Liberazione fu possibile proprio perché uomini e donne di diversa estrazione, con profonde divergenze culturali, politiche e religiose scelsero di essere parte di un più ampio progetto di riscatto sociale e morale. Ogni pezzetto di quel mosaico contribuì a disegnare un orizzonte comune e un’utopia alimentata da un profondissimo senso del dovere e dall’ambizione di affermare sopra ogni altra cosa la dignità umana e la libertà di ciascuno, consapevoli che “il sole non nasce per una persona sola, la notte non viene per uno solo”. Il fondamento della nostra democrazia, della nostra Repubblica e della nostra Costituzione è lì, in quel comune sentire, in quella spinta ideale. Non c’è miglior modo di celebrare il 25 aprile o di ricordare il sacrificio della famiglia Cervi che cercare, ogni giorno, di essere all’altezza di chi scelse, con responsabilità e senza indugio, la parte giusta dove stare. Tutti noi siamo chiamati a farlo, e tutti noi siamo chiamati a scegliere la parte giusta, ogni giorno.

Mi avvio alla conclusione, partendo nuovamente da alcune parole di Papà Cervi. Alla notizia dell’uccisione per mano fascista di tutti i suoi figli maschi e al pensiero della moglie, delle nuore e dei tanti nipoti, disse: “dopo un raccolto ne viene un altro. Andiamo avanti. (…) Ma il raccolto non viene da sé, bisogna coltivare e faticare perché niente vada a male”. Coincidenza vuole che il più piccolo dei suoi nipoti avesse la mia stessa età, e che io oggi abbia l’età di Alcide quando si trovò ad affrontare il dolore della perdita e la scommessa del futuro. La metafora di una terra martoriata che necessita di essere curata, custodita e protetta affinché possa ancora generare frutti è fortissima e anche incredibilmente concreta. Quanta fede e speranza nel futuro servono per poter pazientemente ricominciare da capo dopo una simile tragedia? Ricordare, commemorare, rievocare il passato è sempre un esercizio importante per poter capire meglio chi siamo, da dove veniamo; è però tutto inutile se non abbiamo l’ambizione di proiettare nel futuro quanto possiamo apprendere dai sacrifici, a volte estremi, di chi ha rinunciato a tutto pensando alle generazioni che lo avrebbero seguito. In questo senso Alcide Cervi è stato un testimone fedele dello spirito che aveva animato i suoi figli ed è riuscito nel compito più difficile. Aveva detto: “Se volete capire la mia famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l’ideale nella testa dell’uomo”. La sua incrollabile passione, quel seme, ha germogliato non solo nei suoi nipoti e nei loro figli, ma in tutti noi che siamo qui oggi a ricordarli.

Viva la famiglia Cervi, viva la Resistenza, viva l’Italia.

71° anniversario della Liberazione: reistenza, rispetto e impegno

Care partigiane, cari partigiani, Presidente Manghi, Sindaco Vecchi, Autorità civili, militari e religiose, ragazze e ragazzi,

sono sinceramente felice ed emozionato di essere a Reggio Emila a festeggiare insieme a voi il 71° anniversario della Liberazione. Durante la pagina più buia per il nostro Paese, donne e uomini valorosi si misero al servizio della Patria, rischiando la propria vita e tutto quello che avevano, per riscattare l’Italia dalla vergogna della dittatura fascista e dell’oppressione nazista. Ciascuno aveva radici, ragioni e sentimenti differenti, eppure tutti erano uniti dall’unico grande ideale di liberare il Paese e renderlo migliore. Reggio Emilia ha contribuito a quella causa in maniera straordinaria, pagando un prezzo altissimo e doloroso: 626 caduti fra i suoi oltre 9.500 combattenti volontari; 1200 civili deportati; più di 8.000 militari internati nei lager tedeschi; l’incendio di interi paesi; la vile uccisione di centinaia di civili, fra cui donne e bambini, vittime della barbara regola fascista della rappresaglia contro popolazioni incolpevoli e inermi. Un sacrificio giustamente riconosciuto con il conferimento alla città della Medaglia d’oro al valor militare, e con la gratitudine dell’Italia intera di cui oggi mi faccio interprete con commozione.

Oggi festeggiamo insieme il giorno nel quale le ambizioni di quelle donne e di quegli uomini coraggiosi iniziarono a realizzarsi, un giorno dedicato alla libertà, ai diritti, alla dignità di cui il popolo italiano si riappropriò 71 anni fa. A coloro che hanno permesso i primi passi della nostra grande democrazia tributiamo affetto, riconoscenza e ammirazione. Ma ricordare, cari amici, non è un formale rituale , un esercizio retorico, un dovere protocollare. E’ un atto di rispetto e una promessa di impegno. Rispetto per chi ha sofferto, e impegno a mantenere vivi e fare crescere quegli ideali di eguaglianza, giustizia, democrazia, libertà: gli ideali della Resistenza. Valori ai quali i nostri costituenti, pur diversi per credo politico e religioso, si ispirarono per edificare la Repubblica in quella meravigliosa sintesi che è la nostra Costituzione.

Il Paese oggi è scosso da un’avvilente caduta etica, dalla corruttela, dall’abuso delle funzioni e delle risorse pubbliche, dal crescere delle diseguaglianze e della marginalità, da un allontanamento dei cittadini dai partiti e dalla politica.

Ebbene, dobbiamo reagire con la nostra opera, con la nostra intelligenza e il nostro cuore per opporre al cinismo, all’egoismo e all’indifferenza lo spirito di quegli anni, quello spirito che la Resistenza ha impresso per sempre nel concetto stesso di cittadinanza e di libertà. Un dovere che grava soprattutto sulla politica, che deve tornare a servire il bene comune; ad animare spinte ideologiche soprattutto fra i giovani; a pensare e costruire progetti strategici per il futuro del Paese; ad offrire a tutti l’opportunità di realizzarsi. Anche ciascun cittadino deve sentire lo stesso dovere, sforzandosi di perseguire gli stessi ideali, di ricondurre ad unità i propri valori individuali, come i sette fratelli e papà Cervi, in modo da fornire  il proprio contributo alla nostra democrazia.

Dagli orrori della guerra nacque anche il grande sogno dell’Europa unita, che si è realizzato nel più grande spazio di libertà, diritti e pace della storia dell’umanità. Un sogno che oggi rischia di sgretolarsi sotto i colpi dell’egoismo, dell’indifferenza e del tradimento dei valori comuni. L’Unione, di fronte alle prime grandi crisi che ha dovuto affrontare, quella economica e quella dei rifugiati, si è scoperta divisa e incapace di solidarietà. Nel cuore dell’Europa stiamo vedendo tornare rigurgiti di nazionalismo e recinti di filo spinato, proprio tutto ciò contro cui hanno combattuto le nostre partigiane e i nostri partigiani. Proprio loro che hanno dato la vita, che hanno subito le rappresaglie, per avere aiutato i fuggiaschi e i perseguitati, per avere difeso la libertà e la dignità degli altri, posso immaginare cosa penserebbero oggi del cinismo con cui certi Paesi vorrebbero abbandonare chi fugge da guerre, persecuzioni e povertà, quei Paesi che rispondono alla disperazione con muri e barriere.

Concludo. Domenico Caporossi aveva solo 17 anni quando da condannato scrisse: “Vado a morire, ma da partigiano, col sorriso sulle labbra e una fede nel cuore”. Io credo che ripercorrere la storia degli uomini e delle donne che furono protagonisti di quella stagione di lotta, di liberazione, di rabbia e d’amore, debba accendere in ciascuno di noi una scintilla, l’ambizione di costruire un futuro rispettoso dei valori della nostra Costituzione. Insieme, amando e difendendo le istituzioni, possiamo recuperare la speranza e la fiducia nel futuro e “col sorriso sulle labbra e una fede nel cuore”, costruire questo grande Paese come i partigiani lo immaginarono.

Viva la Resistenza, Viva Reggio Emilia, Viva l’Italia!

IX Meeting dell’Asia-Europe Parliamentary Partnership

Signor Presidente Elbegdorj, Signor Presidente Enkhbold,

Autorità, Colleghi, Signore e Signori,

sono molto onorato di partecipare alla nona edizione del Meeting della partnership parlamentare fra Asia ed Europa che vede riuniti qui a Ulan Bator tanti autorevoli interlocutori dei Paesi di Europa e Asia. Vorrei manifestare la mia riconoscenza al Presidente della Repubblica di Mongolia, Tsakhia Elbegdorj, e al collega Presidente del Grande Hural, Zandaakhuu Enkhbold, per la grande cortesia e amicizia con cui ci hanno voluto accogliere in questa bella capitale, e la qualità dell’organizzazione dell’evento. La mia presenza vuole anche segnare una continuità ideale con l’ultima riunione ASEP svoltasi a Roma nell’ottobre 2014 e un’occasione utile per riflettere a livello interparlamentare sulle conclusioni del Vertice ASEM di Milano del 16-17 ottobre 2014, in vista del prossimo appuntamento intergovernativo che vedrà protagonista ancora questa capitale nel mese di luglio. La Dichiarazione conclusiva adottata dall’ASEP a Roma poneva l’accento su due settori prioritari di cooperazione: da una parte le strutture di governance economica e finanziaria, dall’altra la crescita sostenibile e la sicurezza alimentare. In questi diversi ambiti di intervento abbiamo insieme voluto richiamare l’importanza di valorizzare il dialogo parlamentare come strumento di trasparenza e di garanzia della corrispondenza degli obiettivi politici dei governi rispetto ai bisogni dei cittadini, che le assemblee legislative hanno il dovere di rappresentare. La crisi economica e il crescere delle diseguaglianze sono fra i fenomeni più preoccupanti del tempo che viviamo. A questo proposito a Roma si è considerato che la cooperazione regionale e sub-regionale nel continente euro-asiatico è funzionale a rilanciare le prospettive di crescita economica, e al tempo stesso si è voluta richiamare l’attenzione dei governi sulla necessità di misure di inclusione sociale, coerentemente con un’idea di crescita sostenibile declinata nelle tre dimensioni dell’economia, della società e dell’ambiente.

Molti dei temi che abbiamo condiviso in sede parlamentare sono poi stati ripresi ed approfonditi a Milano nel vertice ASEM, nel quale si è registrata una convergenza crescente sulle politiche per affrontare le principali sfide globali: crescita e sviluppo sostenibile, lotta alla povertà, cambiamenti climatici, sicurezza alimentare, idrica e energetica. A Milano si è respirato un clima di apertura e cooperazione inedito che ha favorito un confronto costruttivo su diverse questioni di stringente attualità internazionale, fra cui il terrorismo, la sicurezza marittima e i conflitti in Medio Oriente, questioni che per l’Europa rappresentano oggi una priorità assoluta. Per la prima volta è stata inoltre definita una lista di settori prioritari della cooperazione “tangibile” fra i Paesi ASEM: 19 puntuali aree di intervento legate allo sviluppo, all’ambiente, all’educazione e alla cooperazione sociale ed economica.

A due anni di distanza dalle Conclusioni di Roma del 2014, nuove sfide si aprono alla riflessione di questa assemblea. Io sono convinto, cari colleghi, che possiamo rendere questo vertice di Ulan Bator un vero punto di svolta per la dimensione parlamentare dei rapporti Asia-Europa, coniugando lo slancio ideale che sempre accompagna la nostra riflessione, con quello spirito pragmatico attento alle singole politiche settoriali che ha positivamente contraddistinto l’evoluzione dell’ASEM. La prima sfida riguarda l’identità stessa di ASEP, ed è legata al ruolo della società civile nel dialogo tra Asia ed Europa. La funzione consultiva che ASEP svolge nei confronti dell’ASEM, insieme al Business Forum e al People’s Forum, comporta una valutazione ex ante ed ex post delle macro strategie discusse in ambito ASEM, per verificarne la corrispondenza rispetto agli interessi prioritari dei nostri cittadini. I nostri Parlamenti sono così chiamati a svolgere un ruolo di intermediazione, una funzione di portavoce della società civile. L’interazione sempre più ravvicinata con i cittadini e la visibilità e trasparenza del dialogo politico Fra i governi sono priorità centrali della comunità ASEM, oggi estesa a ben 53 partecipanti. Ebbene, io penso che in coincidenza con il ventesimo anniversario del processo di dialogo e cooperazione fra Asia ed Europa, i Parlamenti possano rendersi artefici di una più efficace mediazione fra governi e componenti sociali, e della rappresentanza delle istanze delle minoranze e delle categorie più deboli. Mi riferisco in particolare alle politiche per i più giovani, ai temi di genere, alle piccole e medie imprese, alle organizzazioni non governative.

Le frammentazioni politiche cui assistiamo in diversi parti del globo, in particolare in Medio Oriente e in Africa, sono determinate anche dall’incapacità delle istituzioni di rappresentare efficacemente gli interessi delle diverse articolazioni della società. Noi rappresentanti dei Parlamenti, cari colleghi, siamo nella migliore posizione per trovare risposte utili a prevenire pericolosi sfaldamenti sociali e ad avversare tutte le diseguaglianze, che producono marginalità ed aree di vulnerabilità nelle quali trovano terreno fertile anche i fenomeni criminali e la radicalizzazione ideologica. La pubblicità dei lavori parlamentari, gli strumenti di comunicazione istituzionale e di democrazia partecipativa, l’uso delle nuove tecnologie di informazione, possono essere una solida base per assicurare al dialogo Europa-Asia un effettivo raccordo con la società civile. Un obiettivo di democrazia, perché dal legame con le nostre comunità dipende anche la nostra capacità di promuovere una dimensione sociale della crescita e politiche di sviluppo più sostenibili.

Un secondo settore prioritario è la connettività, tema prescelto per ASEM11. Dalla connettività dipende il futuro di un grande continente, l’Eurasia, che ospita oltre il sessanta per cento della popolazione mondiale e che pesa per oltre il sessanta per cento del commercio globale. Il nostro compito sarà edificare ponti materiali per rendere tangibile quell’unione ideale e culturale che da sempre lega i nostri popoli: reti di comunicazione, infrastrutturali, energetiche, stradali, marittime, ferroviarie. Penso a progetti come la ricostruzione delle Vie della Seta cui l’Italia guarda come strumento non solo per rilanciare gli scambi commerciali e culturali fra le nostre comunità, ma anche per gettare le basi di una nuova stabilità geopolitica. Il mio auspicio è che da Ulan Bator, possa partire una nuova pax mongolica, come quella che dal 1215 al 1360 contribuì a ristabilire l’importanza della Via della Seta come principale canale di comunicazione tra Oriente e Occidente.

Ma connettere significa anche promuovere sinergie positive fra i sistemi produttivi, investendo e producendo gli uni nei territori degli altri; programmare nuovi flussi migratori virtuosi, di professionisti, scienziati, pensatori, innovatori; abbattere ogni barriera, doganale, fisica, economica, amministrativa, burocratica: tutti gli ostacoli che impediscono, rallentano, complicano l’attività professionale e produttiva di chi opera in un Paese diverso dal proprio.

Io credo, cari colleghi, che sia giunto il tempo di dare alla partnership Asia-Europa nuovo vigore, con lo spirito di edificare un futuro comune sulla base di un passato condiviso che ha dato origine alle più grandi civiltà dell’umanità. Ed è significativo che questo possa avvenire proprio in Mongolia, un Paese dalla grande storia che è ora impegnato in una rinnovata proiezione internazionale. Insieme noi possiamo restituire al continente euro-asiatico la centralità geopolitica, culturale, economica e ideale che è iscritta nelle nostre tradizioni e nel nostro destino. Sono certo che questo impegno accomunerà noi tutti, che abbiamo l’alto onore di rappresentare nelle assemblee legislative i nostri popoli, i loro diritti e le loro speranze.

Grazie

In foto: il Presidente Grasso saluta il Presidente della Repubblica della Mongolia, Tsakhia Elbegdorj.

Visita ufficiale in Mongolia in occasione del IX Meeting parlamentare Asia-Europa

0

Incontri con il Presidente della Repubblica, il Presidente del Parlamento, il Ministro degli esteri e con rappresentanti della comunità italiana. E’ quanto prevede il programma della visita ufficiale in Mongolia del Presidente del Senato, Pietro Grasso, da giovedì 21 a sabato 23 aprile, in occasione del “IX Meeting del partenariato parlamentare Asia-Europa”, che si svolgerà a Ulan Bator. Il primo giorno, giovedì 21, Grasso incontrerà il Presidente del Parlamento, Zandaakhuu Enkhbold, il Ministro degli esteri, L. Purevsuren, e assisterà dalla tribuna alla sessione plenaria del Parlamento. Successivamente è previsto il colloquio con il Presidente della Repubblica, Tsakhia Elbegdorj. Al termine della giornata, il Presidente Grasso incontrerà la Comunità italiana in Mongolia. Il giorno dopo, venerdì 22, alle 9 (ora locale), avrà inizio il “IX Meeting del partenariato parlamentare Asia-Europa”. Il Presidente Grasso prenderà la parola in apertura dei lavori, subito dopo il Presidente della Repubblica e il Presidente del Parlamento della Mongolia. Il giorno successivo, sabato 23, sono in agenda diversi incontri con le delegazioni estere presenti a Ulan Bator per i lavori del Meeting.