Immigrazione. Accogliere chi fugge è un dovere

Intervento alla presentazione del libro di Massimo Franco “L’assedio. Come l’immigrazione sta cambiando il volto dell’Europa e la nostra vita quotidiana”

Autorità, gentili ospiti,

ho accolto con grande piacere l’opportunità di ospitare in Senato la presentazione del nuovo libro di Massimo Franco “L’assedio. Come l’immigrazione sta cambiando il volto dell’Europa e la nostra vita quotidiana”. Mi pare sia una bella occasione per una tregua dal furoreggiare della campagna elettorale, un momento per riflettere con serietà e pacatezza, fuori dalle strumentalizzazioni mediatiche e politiche, su una serie di sfide cui sono chiamate tutte le componenti sociali del Paese e l’intera comunità internazionale. Sono convinto che su certi temi, che riguardano il futuro dell’Italia e la sua posizione nel mondo, siano vitali le analisi e gli approfondimenti lungimiranti, il confronto e la sintesi fra diverse opinioni come antidoti a certi toni semplicistici e apocalittici che forse fanno guadagnare qualche voto ma fanno male a tutti. Ringrazio per la loro presenza gli autorevoli relatori (Luigi Di Maio, Andrea Riccardi, Lucio Caracciolo e Stefano Folli), che potranno offrire prospettive diverse e interessanti sui temi del bel volume di Massimo Franco.

La caratteristica che mi ha colpito di più del libro è la capacità di Massimo Franco di superare i tanti luoghi comuni e comodi slogan che purtroppo si ritrovano molto spesso nelle narrazioni della politica, del giornalismo e della saggistica. Lo stesso titolo trae in inganno se non si legge il testo: si può e si deve parlare di “assedio”, spiega l’Autore sin dalla prima pagina, ma senza limitarlo ai migranti. L’assedio più preoccupante è quello più risalente e duraturo (cito) “che parte dall’interno dell’Ue e mette in tensione le sue strutture, la sua strategia, i suoi valori almeno quanto quello dall’esterno: è l’assedio dei singoli Stati europei all’idea di Europa e il ripiegamento su logiche nazionali”. I numeri assoluti infatti non autorizzano affatto la retorica allarmata che domina il dibattito: nel territorio dell’Unione, 508 milioni di persone, nel 2015 sono arrivati un milione di migranti; 200 mila dall’inizio dell’anno a fine maggio. I flussi, pur se intensi, non spostano di molto le lancette demografiche del continente. Quello che spaventa i cittadini e li spinge a perdere fiducia nelle istituzioni comunitarie, è la sensazione, purtroppo fondata, che non esista una strategia a lungo termine di fronte a fatti che vengono vissuti come emergenziali e che invece sono fenomeni di carattere strutturale. Il paradosso è che si tende a costruire “un’immagine spaventosa dei migranti, senza peraltro riuscire a fermarne se non in parte l’arrivo”. Un circolo vizioso nel quale emergono debolezze europee e fragilità politiche delle giovani democrazie dell’est europeo.

Il volume si snoda secondo un percorso complesso e coerente. Parte dall’analisi della crisi migratoria, della quale individua l’origine profonda nelle destabilizzazioni determinate proprio dall’Occidente nel Mediterraneo e nel Medio Oriente; e valuta la pericolosità della risposta europea, all’insegna della frammentazione, di divisioni e approcci nazionali: premesse per accelerare la stagnazione economica attraverso la limitazione della libera circolazione di merci e persone e incrementare i rischi di radicalizzazione delle minoranze nel territorio europeo. Il libro quindi descrive con minuziosità e intelligenza l’entrata dell’Europa senza frontiere in un’epoca di nuovi muri, a partire dallo “sgambetto dell’Est”, del quartetto di Visegrad, ma non solo: barriere fisiche, ideologiche, giuridiche, persino mentali contro i presunti invasori ma anche contro gli altri Stati membri dell’Unione. Ogni muro, scrive l’Autore, è “una picconata all’identità costruita faticosamente dall’Europa” e “un monumento ai suoi egoismi nazionali”, mentre si diffondono tanti piccoli demagoghi europei xenofobi: avanguardisti di una scellerata propaganda che, da una parte, si erge a difesa di presunti valori religiosi e morali europei asseritamente sacri e immutabili, e, dall’altra parte, demolisce a colpi di piccone un’Europa considerata tecnocratica, contaminata e senz’anima. Il libro quindi descrive il “quinto mondo”, quell’universo fatto di sessanta milioni di disperati senza identità, volto e nazionalità, sballottati fra barconi, frontiere, manganelli, campi profughi e odio, un mondo reietto che ha generato una cinica industria dell’immigrazione, fonte di arricchimento per molte persone: commercianti, ristoratori e trafficanti di uomini. Infine, il volume torna in Europa, analizzandone il calo demografico che ne determina un declino economico e geopolitico potenzialmente irreversibile.

Il primo punto su cui vorrei soffermarmi riguarda il carattere strutturale, l’origine e la prevedibilità della crisi. Ha ragione Massimo Franco a sottolineare l’incapacità dell’Europa di comprendere e agire per tempo. Gli elementi di conoscenza per la verità erano disponibili molto tempo prima della rivelazione del generale Dempsey con cui il volume si apre. Circa dieci anni fa, da Procuratore Nazionale Antimafia, indagando sulla tratta dei migranti ero venuto a diretta conoscenza della presenza di circa due milioni di persone sulla sponda meridionale del Mediterraneo in attesa del grande salto verso l’Europa. Ma allora la notizia diffusa nell’ambito della comunità internazionale passò nell’indifferenza generale. Anche l’Unione europea non comprese considerando, allora come ora, i fermenti alle frontiere un problema emergenziale e comunque periferico.

In secondo luogo, vorrei sottolineare l’esigenza non rinviabile che l’Unione europea metta in atto una strategia per il Mediterraneo: se ve ne fosse stata una credibile e davvero sostenuta dagli Stati membri, non avremmo gestito con tanta colpevole negligenza il dopoguerra iracheno, non avremmo assistito inerti alla crisi siriana e all’ascesa dello Stato islamico, non ci saremmo fermati a festeggiare le “primavere arabe” come avanguardie della democrazia e non avremmo determinato il disastro libico. E mentre gli asseriti difensori della cristianità impugnavano severi la spada contro gli “invasori che contaminano la purezza delle radici europee”, l’assenza di una strategia ha consentito una decimazione delle minoranze cristiane nel Medio oriente, che vivono sofferenze e persecuzioni che ho potuto verificare di persona in un recente viaggio in Iraq. La ragione di questa scellerato disimpegno politico è, come segnala Massimo Franco, l’allargamento a nord-est dell’Unione, che ne ha spostato il baricentro geopolitico inducendo a trascurare la frontiera mediterranea.

La terza considerazione che vorrei fare riguarda l’accoglienza in Europa. Io ripeto ormai da mesi che l’accoglienza di chi fugge da conflitti, persecuzioni o fame, non è un’opzione, un atto di liberalità, un gesto di generosità, una manifestazione di buon cuore: è un dovere morale, giuridico e internazionale di fornire protezione alle persone che sono costrette a lasciare le proprie case e di soccorrere i naufraghi. Tutti gli europei dovrebbero sentire questo dovere scolpito nella propria coscienza più di altri perché, come ha detto Papa Francesco con dolore e severità, l’Europa è “la patria dei diritti umani e chiunque vi metta piede.. deve poterlo sperimentare”. Ma vi è di più. Il “vecchio continente” si è trasformato in “nonna Europa”, come la chiama argutamente Massimo Franco. I bassi tassi di fertilità e il progressivo aumento della vita media condannano il continente al declino, all’incapacità di rinnovarsi, di creare lavoro e di progredire. Per questo le migrazioni devono essere considerate un fenomeno epocale che non si può impedire, ma si deve regolare con umanità e pragmatismo, come un’opportunità per dare nuova linfa al continente che invecchia. Già adesso, al contrario delle bugie della retorica xenofoba, le comunità immigrate contribuiscono moltissimo al benessere delle nostre società: producono molto più di quanto gli Stati membri non spendano per accogliere nuovi immigrati. Gli esempi positivi non mancano nel nostro Paese. Penso al sindaco di Riace, Mimmo Lucano, che ha ospitato e favorito l’integrazione lavorativa e sociale di molte decine di immigrati, i quali hanno restituito al paese vitalità e speranza e ne hanno fatto un vero esempio di civiltà, di multiculturalità e umanità in tutto il mondo. Oggi assistiamo a tragedie umane, guerre e torture che colpiscono intere popolazioni, in primis donne e bambini; a viaggi senza speranza, naufragi senza salvezza, cadaveri di bambini restituiti pietosamente dal mare sulla spiaggia, migliaia di vite spezzate che lasciano dietro affetti, sogni e legami. Ed è disumano rispondere a tutto questo con le pretestuose connessioni col terrorismo, indifferenza, egoismi, anacronistiche derive populiste e antieuropee, cinici commenti sullo spreco di trenta euro al giorno per migrante, o addirittura sui “risparmi consentiti da un naufragio”.

Concludo. Il merito del bel libro di Franco è far ragionare senza illudere su facili e rapide soluzioni a problemi complessi e dolorosi; invitare a superare l’ansia sociale e la paura generata dalla reciproca interazione tra crisi economica, terrorismo e immigrazione, cavalcata da forze populiste e da Paesi che tentano di acquisire facili consensi e di condizionare la politica europea; infine, incoraggiare i Governi e i cittadini europei ad agire per il futuro dell’Europa con una strategia tempestiva per uscire dalla sindrome dell’assedio interno ed esterno. Jean Monnet nel 1976 ha scritto che “L’Europa si farà nelle crisi, e sarà la somma delle soluzioni apportate alle crisi”. Io sono di quella generazione nata durante la Seconda Guerra e sono cresciuto vedendo nell’Europa un’utopia che si è realizzata lentamente davanti ai miei occhi. Sono quindi ottimista e determinato a impegnarmi perché il mio piccolo nipote possa crescere come un vero cittadino europeo in un’area di pace e di diritti sempre più integrata e sicura. Questa crisi, più ancora di quella economica, è una sfida esistenziale nella quale si confrontano due concezioni di Europa e due idee di futuro. Io rigetto con forza l’idea di chi si illude che erigendo muri di intolleranza e odio potrà preservare la propria asserita superiorità. Io credo invece che il nostro Paese abbia lo speciale dovere, per la sua storia e la sua anima, di portare in Europa un progetto di futuro dove la coesione sociale non si costruisce attorno alla religione, all’etnia, alle inclinazioni personali, ma attorno alla solidarietà, alla volontà di contribuire al benessere comune e alla dignità, che è sinonimo di umanità.

Incontro con presidenti Anpi e Istituto Alcide Cervi

Lo Stato dovrebbe assumere “nel suo complesso ed in tutti i comportamenti dei suoi esponenti, un atteggiamento più nettamente e dichiaratamente ‘antifascista’, nel presupposto che a contraddistinguere il nostro sistema come ‘antifascista’ non è soltanto la XII disposizione transitoria, ma tutta la Costituzione, per il netto contrasto tra i princìpi e valori che essa esprime ed ogni tipo di fascismo, di autoritarismo, di razzismo, di populismo”.

E’ quanto si legge nel documento che il Presidente dell’Anpi, Carlo Smuraglia, e la Presidente dell’Istituto Alcide Cervi, Albertina Soliani, hanno consegnato oggi al Presidente del Senato, Pietro Grasso, a Palazzo Madama. Il testo riporta un elenco dettagliato di “richieste e proposte”, scaturite, come si legge, “da un dibattito franco e aperto e da confronti ed approfondimenti dei due organismi promotori (l’Anpi e l’Istituto Alcide Cervi)”, e che ora sono sottoposte “all’attenzione delle massime autorità politiche dello Stato”. Il Presidente Grasso ha assicurato la propria attenzione sui temi sollevati dal documento.

 

Nomina componenti Commissione garanzia sullo sciopero nei servizi pubblici

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Sono stati pubblicati dalla Gazzetta Ufficiale i nomi dei cinque componenti della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, designati dai Presidenti di Camera e Senato e nominati con decreto del Presidente della Repubblica.

I nuovi componenti della Commissione sono la professoressa Lauralba  Bellardi, ordinaria  di  Diritto  del lavoro presso l’Università di Bari, il professor  Alessandro  Bellavista, ordinario  di  Diritto  del Lavoro presso l’Università di Palermo, il professor Domenico Carrieri, ordinario di Sociologia economica presso l’Università «La Sapienza» di Roma, la professoressa Orsola Razzolini, associata di Diritto del lavoro presso l’Università di Genova, il professor Giuseppe Santoro Passarelli, ordinario di Diritto  del lavoro presso l’Università «La Sapienza» di Roma.

 

Vicini e lontani. L’incontro tra laici e cattolici nella parabola del riformismo italiano

Autorità, gentili ospiti, cari amici,

ho colto con molto piacere l’opportunità di ospitare in Senato la presentazione del libro del collega Vannino Chiti, Presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea. Il volume, che traccia la storia politica dell’incontro fra laici e cattolici nel riformismo italiano, si pone in linea di continuità con le osservazioni contenute in “Tra terra e cielo”, che presentammo insieme due anni fa, e intende completare il suo più risalente saggio “Laici & cattolici”. Allora l’Autore aveva studiato i rapporti tra i laici della famiglia comunista e i cattolici; oggi completa l’analisi con una più ampia riflessione anche sugli “altri laici”, considerando con uno sguardo d’insieme un confronto culturale e politico che ha profondamente caratterizzato lo sviluppo della società e delle istituzioni italiane. Nell’arco di tempo che intercorre fra questi scritti sono peraltro radicalmente mutati gli scenari nazionali e internazionali, al punto che l’analisi pare oggi ancora più pregnante e attuale, direi necessaria.

Il libro verte sulla peculiarità dell’esperienza italiana, dovuta  alla presenza a Roma della sede della Chiesa Cattolica e alla partecipazione storica del cattolicesimo a tutti gli ambiti sociali e culturali del Paese. Il Presidente Chiti muove dalle origini dell’unificazione nazionale con un’interessante premessa sul Risorgimento e l’età liberale nella quale si ricorda la politica di Cavour sulle relazioni di indipendenza fra Stato e Chiesa, sulla linea dei migliori apporti del liberalismo europeo; la religiosità laica e progressiva di Mazzini, che da profondo credente vedeva nella religione una forza morale diffusa per promuovere la libertà e il progresso delle classi lavoratrici; il rigidissimo laicismo positivista che influenza il nascente partito Socialista; la lezione di Gramsci, il cui pensiero progressivamente si distacca dal positivismo ortodosso, per lo sforzo di leggere a fondo e comprendere appieno il cattolicesimo nella sua complessità e nel contesto politico italiano. La seconda parte del volume è dedicata al secondo dopoguerra, quando la nascita del grande partito cattolico trasforma il senso dell’espressione “laico”, che invece di definire il confine fra “ciò che è di Cesare” e “ciò che è di Dio” finisce piuttosto con il designare quella parte politica che si trova ristretta fra i comunisti e i cattolici. Negli anni settanta, ricorda l’Autore, il Partito Socialista rivedrà le proprie posizioni sulla questione cattolica ma per le aspre contrapposizioni fra comunisti e socialisti, si dovrà attendere la caduta del Muro e dei regimi comunisti degli anni novanta perché si determinino compiutamente le condizioni per la nascita di un partito di sinistra autenticamente laico e plurale, fatto di credenti e non credenti. E qui Chiti svolge interessanti osservazioni sull’attualità politica, tracciando la via, lunga e complessa, della maturazione di una sinistra democratica che, in una prospettiva laica, sappia beneficiare pienamente dei contributi di ognuna delle sue componenti ideali.

Su questo terreno il Presidente Chiti si fa promotore di un nuovo umanesimo, una “convivenza umana più giusta e avanzata” (sono sue parole) per stabilire la quale è fondamentale l’apporto del dialogo interreligioso come antidoto al terrorismo, al fondamentalismo, all’intolleranza. Egli vede la pace fra le religioni come condizione per la pace fra le nazioni ma anche per la pace nelle nazioni e considera cruciale ridefinire nell’Occidente europeo la secolarizzazione e la laicità, senza bandire le religioni da una “cittadinanza nella modernità”.

Io condivido la prospettiva tracciata dal Presidente Chiti. Credo, allargando ancora lo sguardo, che la religione, intesa come ricerca della verità e del bene comune e come riflessione sul valore e il senso della vita, sia alla base dei caratteri di libertà e di dignità che noi riconosciamo alla persona umana. La politica dunque non può prescindere dalla religione e deve anzi tradurre l’astratta libertà religiosa in azioni pubbliche di tutela attiva. Lo Stato non solo deve dare a tutti modo di coltivare in piena libertà la propria dimensione trascendente, com’è principio fondamentale del nostro ordinamento costituzionale, ma deve anche porre le condizioni pratiche e sostanziali per la libera manifestazione collettiva e sociale di tutte le religioni, in pace e nel rispetto reciproco dei credi e delle confessioni. La rigida scelta laicista francese, che ha storicamente confinato le religioni nella dimensione individuale, escludendone ogni manifestazione pubblica, sociale e collettiva, sembra avere innescato gravi torsioni identitarie delle minoranze di religione musulmana che si sentono escluse dalla cittadinanza attiva. La lezione che noi dobbiamo trarre dai recenti attentati terroristici in Europa, e dal crescere dei nazionalismi, delle intolleranze e dell’odio per la diversità è che il male non si concentra al di là del Mediterraneo ma ha origini profonde anche all’interno delle società europee: nella marginalità, nelle diseguaglianze, nell’esclusione delle nostre periferie, che senza adeguate politiche pubbliche si trasformano in aree di vulnerabilità al radicalismo, alla violenza e all’illegalità. La reciproca autonomia fra Stato e religioni non esclude, ma impone, di rafforzare e di organizzare la manifestazione pubblica del pluralismo religioso come strumento per rafforzare la coesione delle diverse componenti della nostra società attorno ad un forte senso di appartenenza attorno a valori e sentimenti che accomunano tutti coloro che sono nati o hanno scelto di vivere nel nostro Paese.

Ringrazio dunque il Presidente Chiti per avere contribuito con le sue riflessioni a questi temi che non riguardano solo le dinamiche interne e relazionali dei partiti politici, ma attengono ad una concezione plurale e inclusiva della nostra società che è naturale per l’Italia, un Paese immerso fisicamente e idealmente in Europa e nel Mediterraneo e che per la sua storia millenaria di crocevia di civiltà, pensiero e persone deve porsi nel mondo come il migliore interprete di un futuro costruito su valori di umanità, libertà, dialogo e arricchimento reciproco. Grazie.

(immagine di repertorio)

 

La mafia cerca profitto nel calcio

Intervento alla presentazione del volume di Limes

Gentili ospiti, caro Direttore Caracciolo, cari amici,

ho accolto con molto piacere l’opportunità di ospitare alla Biblioteca del Senato la presentazione del nuovo volume di Limes dedicato al potere del calcio. Una bella consuetudine quella degli incontri in Senato con la Rivista di Geopolitica Limes, un momento di autorevole riflessione scientifica e politica sui fenomeni geopolitici del nostro tempo e sul ruolo internazionale del nostro Paese. Questo numero di Limes ha per me un significato particolare perché unisce due mie grandi passioni. La prima per le relazioni internazionali, che da Procuratore Nazionale Antimafia ho coltivato nella forma della “diplomazia della cooperazione giudiziaria”, e oggi, da Presidente del Senato, attraverso interessanti incontri di personalità straniere sia in Senato sia all’estero. La seconda passione è l’attrazione “fatale” per il calcio che mi accompagna sin da bambino, quando mio padre mi portava allo stadio per seguire la squadra del Palermo, che non poteva non diventare la squadra del cuore, per me e per la mia famiglia. La priorità degli studi mi ha impedito quella che poteva essere una vita da mediano, come il mitico Oriali della canzone di Ligabue, ma da grande ho poi recuperato giocando nella Nazionale Magistrati.

Il volume di Limes restituisce la complessità del fenomeno calcio, che ha risvolti di carattere individuale, sociale, economico, politico e geopolitico e che interessa un numero straordinario di persone nel mondo: tanto per citare un dato, il 13 luglio 2014 erano un miliardo i telespettatori che assistettero alla finale del campionato del mondo Germania-Argentina. Da un punto di vista geopolitico, Limes ricorda coma la Fifa si sia affermata come attore geopolitico. Da una parte, ciò è avvenuto a causa del potere della Fifa di riconoscere e sospendere le federazioni nazionali: in alcuni casi il riconoscimento sportivo ha avuto anche la funzione di preparare quello diplomatico (ad esempio, nel caso del Kosovo), in altri casi la sospensione ha colpito certe federazioni nazionali per via di ritenute interferenze governative sull’autonomia del calcio (di recente, Indonesia, Kuwait e Benin). Dall’altra parte, la Fifa esercita potere internazionale quando si tratti di assegnare l’organizzazione dei campionati mondiali di calcio, nel qual caso chiede ai governi interessati anche di cederle piccole porzioni di sovranità. Speriamo, però, che sia definitivamente tramontato il precedente sistema di relazioni e di potere.

In termini economici, il calcio è diventato un affare che ruota in modo crescente attorno ai diritti televisivi e ai contratti milionari di giocatori e allenatori. Non ho mai compreso perché i compensi ai procuratori sono pagati dalle società e non dai giocatori in nome e per conto dei quali si prodigano. Purtroppo, dove girano i soldi la criminalità si insinua per trarne profitto, attraverso partite truccate, scommesse lecite o clandestine, sponsorizzazioni finalizzate all’evasione o al riciclaggio, falsificazione di biglietti, di gadget e di attrezzature sportive, sino ad arrivare alla gestione del consenso delle tifoserie.

Non sono mancati, soprattutto al sud e nei campionati minori, tentativi di acquisire il controllo di squadre di calcio da parte di soggetti vicini ad ambienti criminali. Ricordo che un mafioso della famiglia palermitana di Porta Nuova, Totò Cangemi, aveva fama di essere un grande intenditore di calcio tanto che riusciva spesso a “fare 13” al Totocalcio. Anni dopo, quando fu arrestato e cominciò a collaborare con la giustizia, durante un interrogatorio gli chiesi di svelarmi il segreto della sua grande competenza. Lui sorrise e mi rivelò che in realtà lui le schedine vincenti le comprava direttamente dalle mani del vincitore offrendo una somma in contanti, di poco inferiore rispetto alla vincita. Mi spiegò che in questo modo poteva ripulire i profitti dei suoi traffici illeciti, giustificandoli con le vincite al Totocalcio. Il calcio quindi anche come strumento di riciclaggio. Quello del pallone è un mondo che è sempre stato scosso da scandali, indagini, sospetti su gestioni arbitrali, uso di doping etc. Ma il calcio è anche legittimazione, prestigio, potere sociale, base per voti e consenso anche politico.

Un profilo di grande importanza riguarda l’uso abnorme dello spettacolo del calcio per trasmettere messaggi politici, sociali o culturali che nulla hanno a che vedere con lo sport, o ne negano persino i valori di solidarietà e di rispetto della diversità. Penso alla vergogna del razzismo nel calcio che ha prodotto il bel risultato di unire la UEFA e le sue 53 federazioni affiliate in una risoluzione del 2013 che esprime l’unanime determinazione del calcio europeo a debellare il razzismo dagli stadi. Un atto di grande valore morale che invita tutti gli allenatori e i calciatori a contribuire alla campagna; chiede agli arbitri di sospendere o anche cancellare una partita in caso di reiterate espressioni razziste; e richiede severe sanzioni contro dirigenti, giocatori e tifosi colpevoli di simili comportamenti.

Mi viene in mente un altro esempio di abuso della spettacolarizzazione del calcio. Il 22 dicembre 2002, Palermo, stadio Barbera, campionato di serie B, si gioca Palermo-Ascoli. Appena all’inizio dell’incontro nella curva sud appare uno striscione, rimosso dopo alcuni minuti dalle forze dell’ordine: “Uniti contro il 41 bis. Berlusconi dimentica la Sicilia”. In quel messaggio diffuso a tutta l’Italia, grazie alla diretta televisiva, si esprime solidarietà ai mafiosi detenuti con il regime del 41 bis (quello che impedisce le comunicazioni), ma simbolicamente è anche un omaggio a Totò Riina detenuto nel carcere di Ascoli, città della squadra ospite. La mafia si “appropria” così della dimensione sociale del calcio e del palcoscenico di una curva per lanciare le sue richieste alla politica e le sue oscure minacce.

Il messaggio ribadiva, del resto, quanto già espresso il 12 luglio dello stesso anno, nel corso di un processo, dal cognato di Riina Leoluca Bagarella che, parlando a nome di tutti i detenuti al 41 bis, “stanchi di essere strumentalizzati, vessati e usati come merce di scambio”, diceva “che erano stati presi in giro e che le promesse non erano state mantenute”. Per correttezza dell’informazione è giusto precisare che quel regime carcerario originariamente temporaneo è stato reso stabile.

Concludo. Lo spazio racchiuso da un campo di calcio, da uno stadio, è divenuto nel tempo, in Italia e nel mondo, una platea globale dove si giocano moltissime partite: economiche, sociali, politiche, geopolitiche, a volte criminali; tristemente, sempre meno partite sportive. Ringrazio il Direttore Caracciolo per avere voluto dedicare questo numero di Limes a questi complessi aspetti e, conoscendo la sua grande passione per il calcio e per la “sua” Roma, sono certo che è d’accordo con me se dico che noi vogliamo continuare a pensare a quel pallone che rotola su un prato verde con la stessa ingenuità e la stessa purezza con cui ce ne siamo innamorati da bambini. Nonostante ogni possibile strumentalizzazione il calcio resterà sempre l’emblema dell’imprevedibilità del risultato, contro ogni previsione; la sfida contro se stessi per migliorare i propri limiti; un modo “per fare squadra” e sentirsi parte di una grande collettività; un’occasione per abbracciare allo stadio uno sconosciuto seduto accanto nel momento del gol della tua squadra del cuore.

Commemorazione di Giorgio Albertazzi

Onorevoli Colleghi,

giovedì 28 maggio è scomparso Giorgio Albertazzi, uno dei più grandi protagonisti della cultura, del teatro, dell’arte del nostro Paese. Abbiamo perso un autore, un regista e un attore versatile, capace di attraversare con eleganza decenni di storia dello spettacolo e di coniugare tradizione e modernità. Inizia ad interessarsi alla recitazione all’indomani del secondo conflitto mondiale, dopo aver scontato una condanna di due anni per collaborazionismo per la sua adesione alla Repubblica Sociale italiana. Debutta a teatro nel 1949 con “Troilo e Cressida” di Shakespeare, per la regia di Luchino Visconti. Da lì inizia una incredibile carriera che lo porta a essere interprete di alcuni sceneggiati tra i più famosi della nostra televisione – basti ricordare il leggendario Jekyll del 1969, di cui fu anche regista – e di pellicole indimenticabili come “L’anno scorso a Marienbad” di Resnais, che lo consacrano in pochissimi anni come una celebrità.

E’ stato però il teatro il suo più grande amore, la dimensione e il luogo che erano più congeniali alla sua personalità istrionica e straripante. E’ quasi impossibile richiamare i tanti ruoli, classici e moderni, che ha affrontato sul palco ma voglio ricordarne due che forse più degli altri raccontano l’unicità dell’Albertazzi attore. Mi riferisco in primo luogo al suo Amleto, quello del 1964 diretto da Franco Zeffirelli: per due mesi incantò il pubblico londinese del teatro Old Vic in occasione del 400º anniversario della nascita di Shakespeare, successo che lo portò ad essere l’unico attore non di lingua inglese celebrato con una foto nella galleria dei grandi interpreti shakesperiani del Royal National Theatre. L’altro suo grande capolavoro è la trasposizione teatrale di Memorie di Adriano, libro di Marguerite Yourcenar: nelle centinaia di repliche, il confine tra il personaggio immaginato dall’autrice e quello vissuto da Albertazzi si è dissolto, in una interpretazione unica e magistrale di un uomo che, ormai anziano, riflette sulla sua vita, i successi, l’amore, la morte imminente e la fine dell’Impero.

Consentitemi una nota di carattere personale. Ho visto Giorgio Albertazzi molte volte in teatro, apprezzando la sua capacità di andare oltre la recitazione, di “essere” più che di rappresentare il personaggio che portava in scena. Questa sua dote, che lo ha reso uno dei più grandi attori italiani del ‘900, non si limitava al palcoscenico. Ho avuto il privilegio di ascoltarlo raccontare gli episodi più intensi della sua vita e, ogni volta, è stato profondamente emozionante. Allo stesso tempo quello che in una personalità così forte mi ha sempre stupito era la curiosità costante sulle vite e le esperienze altrui. Giorgio Albertazzi ha vissuto una vita libera, controcorrente, provocatoria.  Ha accarezzato l’idea romantica di poter morire sul palcoscenico, inseguendo quello che egli stesso considerava il fine della sua vita, quella bellezza che lui sosteneva essere ”l’armonia delle imperfezioni”.

Nel rappresentare la commossa partecipazione del Senato della Repubblica al cordoglio per la scomparsa di questo straordinario artista invito l’Assemblea ad osservare un minuto di raccoglimento.

 

Presentazione del “Premio Giustolisi – Giustizia e verità”

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Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, interverrà domani, mercoledì 8 giugno,  alla presentazione dell’Associazione “Archivio Franco Giustolisi – Onlus” e della seconda edizione del Premio di giornalismo “Giustizia e Verità – Franco Giustolisi”. L’appuntamento è alle ore 15, a Palazzo Madama, nella Sala Caduti di Nassirya. Sono previsti gli interventi di Giovanni Maria Flick,  Livia Giustolisi, Bruno Manfellotto, Roberto Martinelli, Virginia Piccolillo, Vincenzo Vita. L’edizione 2016 del Premio di giornalismo è organizzata dal Comune di Marzabotto che sarà rappresentato domani in Senato dal Sindaco, Romano Franchi, dal Vice Sindaco, Valentina Cuppi, dal Presidente del Comitato regionale per le onoranze ai Caduti di Marzabotto, Valter Cardi, e dal Presidente dell’Associazione familiari delle vittime, Gianluca Luccarini.  Il Premio ha visto il suo esordio  lo scorso anno grazie all’iniziativa del Comune di Stazzema.  La presentazione sarà trasmessa in diretta dal canale YouTube del Senato.

Cittadini attivi per il paesaggio e l’ambiente

Care ragazze, cari ragazzi, gentili professori, Autorità,

è per me un grande piacere partecipare alla cerimonia di premiazione del “Progetto e concorso nazionale articolo 9 della Costituzione. Cittadini attivi per il paesaggio dell’ambiente”. Saluto i rappresentanti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca; del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo; del Ministero della Difesa; del Ministero degli Affari Esteri; della Fondazione Benetton studi e ricerche; i membri della giuria e tutti i presenti. Siamo giunti alla quarta edizione di questo importante progetto formativo, ormai una tradizione per me. Anche quest’anno il tema prescelto, “Cittadini attivi per il paesaggio dell’ambiente”, è particolarmente significativo perché si pone l’obiettivo di sviluppare e far crescere la consapevolezza dell’importanza della partecipazione attiva in materia di tutela, conservazione e valorizzazione del paesaggio e dell’ambiente. Questa quarta edizione è stata un vero successo: 850 classi delle scuole secondarie di I e II grado, in tutt’Italia e anche all’estero, quasi 14.000 studenti coinvolti grazie al lavoro prezioso ed essenziale dei docenti che li hanno guidati.

I lavori dimostrano un impegno concreto e tangibile, basato non solo sullo studio individuale, ma sul lavoro in gruppo, sulla ricerca collettiva, sul confronto e lo scambio di idee per la realizzazione di un progetto che spesso non si limita a rimanere sulla carta ma che trova una realizzazione nella scuola o nel quartiere. Un lavoro, quindi, che si concretizza in un cambiamento tangibile nella realtà quotidiana. Si tratta di un’esperienza importante nella crescita e nella formazione di voi giovani cittadini che nell’arco di pochi anni – e sono davvero pochi, cari ragazzi, parliamo di circa un decennio – vi troverete a dover compiere quotidianamente, scelte che avranno un impatto diretto sulle famiglie, sui luoghi di lavoro, sulla politica e sull’ambiente. È facile prevedere che proprio la questione ambientale avrà sempre più rilievo e sarà sempre più delicata, nei prossimi anni. Questo concorso vi ha aiutato a capire un tratto essenziale della cittadinanza: l’assunzione di responsabilità in prima persona, l’iniziativa a favore della comunità, la collaborazione con i cittadini e le istituzioni per tenere lo sguardo rivolto al futuro e non solo alle contingenze della quotidianità.

Cari ragazzi, voi avete raccontato il paesaggio con l’obiettivo di valorizzare i luoghi che più rappresentano l’identità dei vostri territori, pensando le nuove destinazioni d’uso, studiando sistemi per assicurare la conservazione della biodiversità, recuperando e pulendo gli spazi verdi nei pressi delle vostre scuole, per far sì che la collettività potesse tornare a fruirne. Avete lavorato con competenza, entusiasmo e tanta voglia di fare. La questione ambientale, che deve essere una priorità per tutti, e l’interesse verso l’ambiente si sono via via radicati nella coscienza collettiva. Per avere uno sviluppo pienamente sostenibile occorre un ulteriore cambiamento culturale, un cambiamento profondo del modo di operare e di scegliere le priorità da parte delle organizzazioni internazionali, nonché un nuovo modo di concepire le politiche pubbliche. A livello nazionale il rispetto e tutela del paesaggio e dell’ambiente sono tematiche di drammatica attualità e urgenza. Il fenomeno delle cosiddette “ecomafie” in Italia è presente da anni, decenni. Troppo a lungo è stato sottovalutato. La criminalità organizzata ha da tempo messo le mani in affari che sono “sporchi” per definizione, sfruttando la convinzione generale, assolutamente errata, che i crimini contro l’ambiente siano dei “reati minori”. Il traffico illecito e lo smaltimento dei rifiuti pericolosi, il saccheggio dei beni archeologici, il commercio illegale di specie animali e vegetali protette, l’abusivismo edilizio, gli incendi boschivi, i traffici e le contraffazioni e le adulterazioni nella filiera agroalimentare sono soltanto alcune delle modalità di arricchimento delle mafie. Le conseguenze per la società, sia da un punto di vista della salute pubblica sia dal punto di vista economico, sono drammatiche.

È compito di tutti i cittadini impegnarsi affinché il paesaggio sia tutelato e rispettato, conservato e tramandato alle generazioni future nel modo più integro possibile. È un dovere morale di ciascuno di noi ed è anche uno specifico compito della Repubblica, previsto dalla stessa Carta costituzionale, che lo ha posto addirittura tra i principi fondamentali. A livello legislativo, l’introduzione avvenuta lo scorso anno nel codice penale di specifici reati contro l’ambiente è un passo avanti fondamentale, sebbene tardivo, che consentirà di perseguire quei reati in modo più efficace. Tuttavia non è sufficiente una legge a cambiare davvero e in modo duraturo i comportamenti collettivi. È necessario che la consapevolezza dell’importanza che riveste l’ambiente – in particolare per un Paese così ricco di storia e ricchezze paesaggistiche come il nostro – sia ulteriormente diffusa e accresciuta nella coscienza di tutti noi, a partire dai giovani che avranno oltre al compito di conservare e trasmettere ai loro discendenti un ecosistema vivibile anche il compito, purtroppo particolarmente gravoso, di rimediare ai danni causati dalla negligenza dei loro predecessori. Sono fiducioso che questa sfida così ardua sarà raccolta e che voi, ragazzi, avrete successo e saprete fare meglio di quanto abbiamo fatto noi. Infatti, gli studenti che partecipano a questa iniziativa, e ad altre simili che spesso ospitiamo qui in Senato, non ci deludono mai. Al contrario, cari ragazzi, ci stupite sempre per l’impegno che traspare dai vostri elaborati e per la capacità che avete di proporre soluzioni sempre originali e intelligenti. Con i vostri contributi ci aiutate a vedere le cose da un’angolazione diversa, talvolta sorprendente, aiutando anche noi adulti, in particolare noi che abbiamo la responsabilità politica di fare delle scelte per l’intera collettività, a riflettere e a vedere i problemi sotto prospettive diverse, aiutandoci a capire quali sono le questioni che voi giovani sentite come prioritarie.

Vi ringrazio per ogni singolo progetto, per ogni singola idea, per ogni singolo contributo perché tutti costituiscono spunti nuovi, idee e stimoli per l’attività legislativa che quotidianamente avviene proprio in questi luoghi. Grazie a tutti voi.

Lezioni di Costituzione e Festa della Repubblica con studenti, volontari e scout

Care ragazze, cari ragazzi,

è una gioia vedervi tra gli scranni del Parlamento: è bello festeggiare la Festa della Repubblica con voi, con la vostra energia e il vostro entusiasmo. Ringrazio la Presidente Boldrini per aver ospitato questa giornata di festa e il Ministero dell’Istruzione che ha accompagnato i vostri progetti nel corso dell’anno scolastico.

La nona edizione di “Lezioni di Costituzione” termina in questo giorno speciale, il 2 giugno, nel quale settanta anni fa, al termine della dolorosa esperienza della dittatura del ventennio fascista e della seconda guerra mondiale, le vostre bisnonne e i vostri bisnonni votarono per l’alternativa tra Repubblica e Monarchia, scegliendo la Repubblica, ed elessero i propri rappresentanti nell’Assemblea Costituente. Iniziò così la lunga e faticosa costruzione della nostra democrazia, che necessariamente dovette passare per la stesura di norme e principi in grado di orientare l’azione quotidiana dei cittadini e delle Istituzioni. L’Assemblea Costituente era composta da uomini e donne che avevano vissuto in maniera profondamente differente l’esperienza del fascismo, del conflitto mondiale, della Resistenza; c’erano profonde divergenze ideali e politiche eppure, insieme, seppero dar vita ad uno straordinario modello di convivenza civile. Furono capaci infatti di immaginare un sistema di principi, di idee, di comportamenti, che tende alla realizzazione dei valori della persona, della dignità dell’uomo, dei diritti umani, dei principi di libertà, eguaglianza, giustizia, democrazia: un patrimonio insostituibile da difendere e da rafforzare. Ciascun articolo della Carta è ancora oggi, dopo così tanti anni, una fonte pura di ispirazione perché contiene in sé una bellezza e una forza che possono aiutarvi nelle vostre scelte, presenti e future.

Tra di voi ci sono i rappresentanti di organizzazioni, quali gli Scout e  il  Servizio civile, che dedicano una parte considerevole del proprio tempo libero ad attività di volontariato. Sono davvero orgoglioso di voi: nel prendervi cura di chi ha bisogno, realizzate concretamente gli ideali di solidarietà che animano i principi fondamentali della Costituzione. Sarebbe stato comprensibile aspettarsi, in questi anni dominati da paure e incertezze, un atteggiamento di chiusura; la vostra disponibilità verso chi è meno fortunato è invece un’incredibile ricchezza e una grandissima speranza. Sulle vostre gambe corre e si rafforza la fiducia in un futuro migliore. Vorrei poi fare i complimenti a tutti gli studenti delle 53 scuole che hanno partecipato a “Lezioni di Costituzione”. Con i vostri lavori vi siete avvicinati all’essenza della Carta, approfondendo con fantasia e impegno le sue tante sfaccettature. Avete affrontato il cuore della Costituzione con curiosità, spirito critico e costruttivo, e utilizzato tutti i mezzi tecnologici. Tante volte noi adulti ci chiediamo come si possano coniugare lo spirito della Costituzione con gli strumenti che l’innovazione tecnologica ci mette a disposizione: a guardare i vostri lavori sembra che abbiamo molto da imparare da voi.

Stephen Hawking ha recentemente raccontato di non esser stato un brillante studente e di aver spesso faticato nel corso della sua carriera scolastica. Hawking è diventato uno dei più autorevoli fisici teorici del mondo: tutto è stato possibile grazie alle vivaci e stimolanti lezioni di un professore che ha saputo accendere in lui l’amore per la scienza.  Come egli stesso ha sottolineato – e io sono d’accordo con lui – “dietro ogni persona eccezionale c’è un insegnante eccezionale”. Osservando la qualità dei vostri elaborati e la profondità delle vostre riflessioni non posso che dedurre che i vostri siano docenti straordinari.  A loro va il mio più grande ringraziamento: hanno il compito di accompagnarvi nella difficile ed entusiasmante esperienza scolastica, di insegnarvi a guardare in maniera critica la realtà, di rendervi cittadini consapevoli dei diritti e dei doveri che avete verso la collettività.

Il Parlamento, quest’Aula è la vostra casa: anche se siete ancora giovani potete già contribuire a prendervene cura, a rispettarla, a farla crescere e prosperare. Abbiamo bisogno della vostra passione, dei vostri sogni, della vostra voglia di realizzarvi. Vedete, lo spirito della Costituzione non è nell’inchiostro fissato nelle pagine scritte da grandi personalità del passato, ma nell’insegnamento che quei principi trasmettono a ciascuno di noi. La democrazia non è un traguardo raggiunto e definitivo, dato per scontato, è un compito mai finito, un processo in continuo svolgimento: la più democratica delle costituzioni è destinata a morire, se non è animata dall’energia che è compito dei cittadini trasmetterle. Da oggi lo spirito costituente vi appartiene, dovrete diffonderlo in famiglia, con gli amici, a scuola; difenderlo da chi ne rinnega l’essenza; attuarlo nella vostra quotidianità. Troppo spesso lasciamo prevalere la delusione e l’indifferenza sull’impegno, ma è proprio attraverso uno sforzo collettivo e diffuso che possiamo realizzare appieno il disegno voluto dai padri e dalle madri costituenti. Dovrete essere voi a dare nuova energia alla nostra democrazia e alle Istituzioni con la cultura della partecipazione, della trasparenza e della responsabilità, riavvicinandovi alla politica e facendola vostra. Contaminate con il vostro entusiasmo chi vi circonda, pretendete l’impegno di tutti i cittadini onesti che, insieme, possono essere la vera forza di cambiamento. A noi adulti spetta mettervi nelle condizioni migliori per farlo: questa è l’essenza vera della politica. Ogni volta che sarete chiamati a fare delle scelte, rileggete i principi fondamentali della nostra Costituzione: sono certo che le sue parole sapranno suggerirvi la cosa giusta da fare. Concludo rivolgendo a voi un augurio per il vostro futuro. Prendendo a prestito le parole di un grandissimo uomo, Gandhi: “siate il cambiamento che volete vedere nel mondo”. Pertanto vi dico: non lasciatevi abbattere dalle difficoltà, abbiate il coraggio di seguire con costanza e onestà i vostri sogni e le vostre ambizioni.

Credo fermamente in voi, e sono certo che sarete capaci di grandi cose per il nostro Paese.  Buona festa della Repubblica!

Cordoglio per la Morte del Carabiniere Mirarchi

“Desidero inviare ai familiari del Maresciallo Capo dei Carabinieri Silvio Mirarchi i sentimenti del più profondo e sentito cordoglio, a nome mio personale e dell’intera Assemblea del Senato”. Così il Presidente Pietro Grasso in una dichiarazione, dopo aver appreso la notizia della morte del sottoufficiale dell’Arma, ferito durante un’operazione antidroga a Marsala. “Le Istituzioni sono vicine alle forze dell’ordine, nella loro opera quotidiana contro la criminalità e per il rispetto delle leggi. All’Arma dei Carabinieri, – conclude il Presidente Grasso – ancora una volta duramente colpita, giunga la nostra forte solidarietà”.