Il linguaggio giuridico nell’Europa delle pluralità

Autorità, illustri relatori, gentili ospiti,

desidero rivolgere a voi tutti il mio saluto più cordiale e il più vivo ringraziamento per aver preso parte a questa giornata di studio che analizza il processo di formazione e attuazione del diritto dell’Unione europea secondo una prospettiva – quella della qualità linguistica e redazionale – troppo spesso trascurata.

L’iniziativa di oggi si inserisce nel quadro della collaborazione avviata dal Senato con l’Università di Pavia sul tema del linguaggio giuridico, con l’obiettivo di contribuire alla migliore qualità dei testi normativi e a una più efficace tutela dei diritti. Il tema della qualità della legislazione assume nell’ordinamento europeo un rilievo prioritario. Gli atti normativi dell’Unione possono, infatti, trovare un’applicazione uniforme e conforme solo se sono redatti in modo comprensibile, preciso e inequivoco e se le diverse versioni linguistiche sono tra loro concordanti ed equivalenti.

Prima di lasciare la parola agli autorevoli relatori dell’ultima sessione, consentitemi di formulare alcune brevi considerazioni. La scelta, compiuta già nel 1957 con i Trattati di Roma, di riconoscere piena parità alle lingue ufficiali di tutti i Paesi aderenti al processo di integrazione è un tratto distintivo unico nel panorama delle organizzazioni internazionali, che esprime la specificità del progetto europeo. In un ordinamento sovranazionale, quale quello dell’Unione, i cui soggetti sono non solo gli Stati, ma anche gli individui, il regime linguistico assume un rilievo prioritario. Se le esigenze di coerenza dell’ordinamento possono essere soddisfatte al meglio con la scelta di un’unica lingua facente fede, i diritti dei destinatari della legislazione europea possono essere pienamente garantiti soltanto con un regime di multilinguismo.

La conoscibilità e là comprensibilità della norma sono presupposti indispensabili della certezza del diritto e della possibilità da parte dei cittadini di godere dei propri diritti e di adempiere ai propri doveri. La pluralità delle lingue e la loro parità sono il riflesso della pluralità costitutiva dell’Unione e un profilo essenziale dell’identità europea: in una Unione fondata sull’uguaglianza degli Stati e dei loro cittadini, tutte le lingue hanno la stessa dignità giuridica. La coesistenza armoniosa di molte lingue, che rispecchiano e fanno comprendere le diverse culture europee, costituisce un simbolo forte dell’aspirazione dell’Unione alla costruzione di un patrimonio culturale comune, di uno spazio di condivisione che favorisce il dialogo e il rispetto reciproco. Ogni cittadino europeo deve, in ogni caso, potersi rivolgere alle istituzioni europee in una qualunque tra le lingue ufficiali e deve ricevere una risposta nella stessa lingua. Al tempo stesso, però, la lingua rappresenta anche una componente fondamentale dell’identità nazionale degli Stati membri. Non deve meravigliare, pertanto, che la diversità linguistica sia considerata nei Trattati una ricchezza che impone all’Unione il rispetto della diversità culturale, religiosa e linguistica e vieta qualsiasi forma di discriminazione basata sulla lingua. La lingua nazionale, così come la cultura e la religione, fa parte del patrimonio di diritti di ciascun cittadino europeo e non può essere motivo di una disparità di trattamento.

Il diritto al riconoscimento dell’identità linguistica nazionale va, però, contemperato con l’esigenza di rendere il multilinguismo sostenibile nell’ambito delle dinamiche del processo decisionale europeo. Il principio di piena parità delle lingue trova un concreto limite nell’esigenza di agevolare il funzionamento delle istituzioni e di evitare un aumento sproporzionato dei costi e degli adempimenti conseguenti alla scelta di assicurare traduzioni e interpretazioni in tutte le lingue ufficiali.  Il multilinguismo dell’Unione europea appare, così, attraversato da forze tra loro opposte: unità e diversità; patrimonio comune e identità nazionale; integrazione e sovranità. Queste tensioni tra valori e interessi contrapposti – in una certa misura connaturate alla costruzione europea – sono state sempre ricomposte in un equilibrio complessivo di sistema. L’eccezionalità del risultato che l’Unione ha saputo conseguire lungo questa strada è dovuta alla capacità del progetto europeo di omogeneizzare modelli ordinamentali e giuridici molto diversi fra loro attraverso un’opera puntuale di confronto e avvicinamento dei linguaggi giuridici. La grande eterogeneità delle tradizioni giuridiche dei Paesi membri, ad esempio fra sistemi di common law e sistemi di diritto continentale di derivazione romanistica, ha posto nell’esperienza europea complesse questioni per individuare un terreno linguistico e culturale-giuridico idoneo al dialogo fra ordinamenti. Questo processo ha infine condotto alla creazione di nuovi ibridi modelli giuridici e a un linguaggio giuridico comune, da tradursi poi nelle diverse lingue europee. Questa comunanza di linguaggio è una delle più preziose acquisizione dell’Unione europea ed ha importanti risvolti, tanto nella vita quotidiana dei cittadini, quanto nell’attività degli operatori economici.

Oggi una devastante ondata di malcontento e insofferenza minaccia l’Europa e le sue istituzioni, giungendo a mettere in discussione le stesse fondamenta del progetto europeo. Troppo spesso la fisiologica dialettica tra livelli diversi di governo degenera in accuse e denigrazioni fini a se stesse, che rischiano di delegittimare il modello europeo senza contribuire a migliorarne il funzionamento. È giunto il momento di valutare con obiettività e senso critico – ma anche con spirito costruttivo – gli errori e le lacune del processo di integrazione europea e le prospettive per il futuro. In una fase economica e politica così complessa è più che mai necessario tenere a mente l’insegnamento di Konrad Adenauer, Robert Schuman e Alcide De Gasperi: «Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide». Scegliendo di far parte dell’Unione europea, gli Stati membri non si sono limitati ad aprire i rispettivi mercati a cittadini e imprese, ma hanno messo in comune i loro destini. Lo Stato nazionale non è più il livello politico adeguato per sostenere il confronto con le altre potenze mondiali e affrontare le sfide che ci attendono. Dobbiamo arginare le divisioni che rischiano di lacerare l’Europa. Dobbiamo impedire che la crisi faccia resuscitare pericolosi nazionalismi.

“Uniti nella diversità”: solo così potremo essere forti.

Grazie.

 

 

 

 

 

 

Ricordo di Tina Anselmi

Onorevoli Colleghi,

nella notte tra lunedì e martedì ci ha lasciato Tina Anselmi, figura politica di primo piano della storia italiana nel secondo dopoguerra, partigiana, sindacalista e insegnante. Tina Anselmi nasce a Castelfranco Veneto nel 1927, in una famiglia di tradizione cattolica e di idee socialiste. Nel settembre del 1944 viene costretta dagli occupanti tedeschi, insieme ad altri studenti, ad assistere all’esecuzione per rappresaglia di trentuno prigionieri a Bassano del Grappa. Questo traumatico episodio la spinge a partecipare attivamente alla Resistenza: con il nome di battaglia di “Gabriella”, diviene staffetta della brigata Cesare Battisti comandata da Gino Sartor, per poi passare al comando regionale veneto del Corpo volontari della libertà. Nel dicembre del 1944 Tina Anselmi si iscrive alla Democrazia Cristiana, dando inizio alla sua attività politica. Dopo la guerra consegue la laurea in lettere presso la Cattolica di Milano e diviene insegnante elementare.

Nel medesimo periodo intraprende altresì l’attività sindacale all’interno della CGIL e, successivamente, della CISL, assumendo incarichi dirigenziali nel sindacato dei tessili, dal 1945 al 1948, ed in quello degli insegnanti elementari dal 1948 al 1955. Ricopre inoltre incarichi nazionali all’interno del Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana dal 1958 al 1964, anno in cui viene anche eletta vicepresidente dell’Unione europea femminile.  Nel 1959 entra quindi a far parte del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana, partito nelle cui liste viene eletta alla Camera dei deputati per la prima volta nel 1968, per poi essere ininterrottamente rieletta per sei legislature fino alle elezioni del 1987, sempre nella circoscrizione di Venezia.

Dentro la Democrazia Cristiana e per il Veneto rappresentò un pungolo costante contro ogni affievolimento del senso etico, della testimonianza e dell’azione politica. Fu un personaggio scomodo ed esemplare, fuori dalla logica delle cordate e della cooptazione. Durante l’esercizio del mandato parlamentare si occupa in particolare delle problematiche afferenti alle politiche del lavoro e della sanità, nonché a questioni sociali incentrate sul ruolo della famiglia e della donna, promuovendo l’approvazione della legge n. 903 del 1977 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. Dopo aver ricoperto l’incarico di sottosegretario, nel luglio del 1976 viene nominata Ministro del lavoro e della previdenza sociale nel III governo Andreotti: prima donna ministro nella storia italiana.

Successivamente, dal marzo del 1978 all’agosto del 1979, ricopre l’incarico di Ministro della sanità nel IV e V governo Andreotti, concorrendo in maniera significativa alla nascita del Servizio sanitario nazionale, che ha consentito l’accesso di tutti i cittadini all’assistenza sanitaria di base. Nel 1981, nel corso dell’VIII legislatura, viene nominata presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla Loggia massonica P2 – organismo fortemente voluto dall’allora presidente della Camera dei deputati Nilde Iotti – e ricopre in maniera esemplare tale incarico anche nella successiva legislatura contribuendo, attraverso la relazione finale, a fare luce su una delle pagine più inquietanti – e ancora non del tutto chiarite – della storia repubblicana.

Tina Anselmi ebbe il coraggio, la forza, l’intelligenza di assumersi il compito di svelare trame, intrecci, affari che inquinavano e minavano le fondamenta della Repubblica e della democrazia, occultavano relazioni illegali e contrarie ai valori costituzionali. Quei valori per i quali sin da giovanissima aveva lottato e che non ha mai smesso di difendere a testa alta. Antifascismo, Costituzione, Democrazia: questi i pilastri del suo pensiero e della sua visione per il Paese.

Venerdì prossimo mi recherò alle esequie di Tina Anselmi a Castelfranco Veneto dove rappresenterò il cordoglio unanime e l’omaggio del Senato ad una figura politica veramente straordinaria: una donna che ha servito la Repubblica in molteplici frangenti della storia del nostro Paese e che lascia in noi un vuoto profondo.

Tina Anselmi ci ha trasmesso la fulgida testimonianza di un impegno civile e di una passione etica che rappresenteranno un modello sempre attuale per le Istituzioni repubblicane e per tutti i cittadini, specie per le giovani generazioni a cui spetterà raccogliere idealmente il testimone della staffetta “Gabriella”. Invito l’Assemblea ad osservare un minuto di raccoglimento.

Resistere in piedi: le parole di Pietro Nenni

Presidente Bonfrisco, cari relatori, gentili ospiti,

è con grande piacere che ho accolto l’invito a partecipare alla presentazione di questo agile volume su Pietro Nenni, scritto da Francesca Vian, che ci aiuta a comprendere meglio, proprio a partire dall’uso che egli faceva della parola, il prezioso e duraturo contributo che questo grande italiano seppe dare alla politica e alla cultura del nostro Paese. L’occasione di oggi conferma l’attenzione del Senato verso le nostre radici e segue un altro evento che ci inorgoglisce: il 14 ottobre, infatti, la famiglia Nenni ha voluto donare all’Archivio storico del Senato i diari completi del leader socialista, ora a disposizione di tutti i cittadini, degli studiosi e dei ricercatori. Un archivio che sempre di più custodisce grandi tesori per chi è interessato alla storia del nostro Paese. Pietro Nenni è stato sin dalla nascita, come egli stesso disse in un’intervista alla settimana Incom, “un animale politico”. Capì e denunciò per tempo la tragedia del fascismo, in questo sono memorabili le sue parole del 1923 citate nel libro: “Si ha l’impressione che il governo disorganizzi dove tocca, proceda a occhi bendati, menando grandi colpi d’ascia per il solo gusto di fare e strafare, ma senza avere una concezione di quello che dovrà e potrà essere lo stato italiano, in armonia con le condizioni economiche del paese”. La sua intera vita è stata completamente animata dall’intento di combattere le ingiustizie e le disuguaglianze, e assicurare così ad ognuno la stessa dignità e il pieno esercizio dei diritti universali. Lo ha fatto prima attraverso la resistenza al fascismo, convinto che nessun regime politico avrebbe mai dovuto minacciare la libertà individuale; poi con l’impegno costituente e la scelta repubblicana, vissuta come via ineludibile verso il progresso sociale ed economico. Ha ricoperto prestigiosi incarichi di governo e ha sempre testimoniato le sue idee con una partecipazione forte e autorevole all’attività parlamentare e con un’incrollabile fiducia nella capacità degli uomini di migliorarsi e di avere ragione delle avversità. Lo ha fatto, soprattutto, per citare le sue parole, “col pessimismo dell’intelligenza, col senso critico del dubbio, ma anche con l’ottimismo della volontà”. La testimonianza più viva del suo impegno è nella sua straordinaria vis polemica, nell’abilità di ispirare e convincere attraverso metafore, neologismi, sintesi perfette, taglienti e persuasive. Nei suoi articoli, così come nei suoi discorsi, sono ben chiare le speranze, le delusioni, gli auspici, le preoccupazioni: Nenni conosceva bene il peso delle parole e le responsabilità che da esse derivano e seppe sempre utilizzarle con assoluta maestria. La forza delle sue parole è data dall’abilissimo uso delle metafore, molte delle quali – inconsapevolmente – usiamo ancora oggi. Il titolo del libro ci rimanda all’utilizzo dell’immagine del vento, soffio vitale di cambiamento quando riferito alla resistenza in corso nel Nord del Paese, che si tramuta in raffica, tormenta, uragano di fronte al quale, appunto, “resistere in piedi” contro ogni istanza antidemocratica e illiberale. Io stesso, l’ho ricordato in occasione della seconda edizione del Premio a lui dedicato, assistetti adolescente ad un suo comizio insieme a mio padre, che ne ammirava il tratto morale. Erano i primissimi anni 60, Nenni era segretario del Partito Socialista. Ho ancora vivido il ricordo del palco dinanzi l’ingresso del famoso teatro Massimo a Palermo. Nenni, con la sua grande capacità oratoria, arringava la folla alla lotta contro il potere dei ricchi, contro coloro che sfruttavano i lavoratori, prospettando una nuova società socialista che avrebbe abolito le diseguaglianze sociali. Parlava con tono sommesso con un crescendo incalzante che si concluse al grido che i socialisti non si sarebbero mai venduti, accompagnato dal continuo agitare del basco che era solito portare sul capo, mentre la folla esplodeva in una fragorosa ovazione. Ne rimasi profondamente suggestionato. Nenni sapeva che le grandi sfide dell’Italia non si sarebbero risolte con qualche dichiarazione di intenti, magari ben confezionata, ma che richiedevano invece un lavoro duraturo e continuo. Rimasi davvero colpito da quella non comune capacità di affrontare argomenti complicati senza mai perdere il contatto con la folla; di non cedere alle convenienze di una estrema semplificazione di problemi complessi; di essere semplice nell’esposizione senza diventare banale e di colpire con efficacia, rimanendo elegante, anche nella critica più serrata. Pietro Nenni è ancora in grado di insegnarci molto e questo libro, nella sua sinteticità, ci fa venire voglia di riscoprine la lezione: nelle sue dense pagine tratteggia l’immagine di una vicenda umana e politica piena di spunti che travalicano le contingenze della quotidianità e i confini del tempo, e che possono parlarci ancora oggi. Credo sia davvero importante dedicare spazi ed energie all’approfondimento della vita e del pensiero degli uomini e delle donne che hanno dato vita alla Repubblica: in questo modo possiamo fare nostre riflessioni che arricchiscono i ragionamenti sul presente e sul futuro delle nostre istituzioni e della nostra comunità, dei suoi bisogni, delle sue prospettive. Bisognerebbe farlo con la fiducia e lo spirito che Pietro Nenni, cresciuto in campagna, aveva visto nel “contadino che, dopo la tempesta che ha devastato il campo, mette mano all’aratro e l’affonda sul terreno sconvolto preparando il solco alla nuova semente.” Grazie.

Cordoglio per la scomparsa di Tina Anselmi

“Durante tutta la sua vita, Tina Anselmi è stata fedele ad una linea di serietà, dirittura morale, adesione ai principi costitutivi della Repubblica e dell’antifascismo. Con passione e grande impegno personale ha dato un importante contributo alla ricostruzione del Paese dopo gli anni della guerra e della lotta partigiana. E di nuovo è stata in prima fila, negli anni dello scandalo P2, impegnata a ricostruire il tessuto morale e civile del Paese”. Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ricorda Tina Anselmi, dopo aver appreso la notizia della sua scomparsa. “E’ questa la grande eredità che ci lascia – conclude il Presidente Grasso -, insieme ad un esempio di condotta esemplare in politica e nelle Istituzioni, dove ha sempre mostrato il più profondo rispetto per le ragioni degli interlocutori. Ai familiari invio i sentimenti del più sincero cordoglio, a nome mio personale e di tutto il Senato”. 

Il Parlamento e il sistema delle conferenze

Autorità, Signore e Signori,

ho accolto con piacere la richiesta del Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali, Giampiero D’Alia, di ospitare in Senato la presentazione del documento conclusivo dell’indagine conoscitiva che la Commissione ha condotto sulle forme di raccordo fra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al “sistema delle conferenze”.

L’indagine tiene conto dei due scenari conseguenti al referendum costituzionale del 4 dicembre, con riguardo al sistema di raccordo fra Stato e autonomie territoriali. Se il referendum fosse approvato, il documento ritiene che si dovrebbe assicurare al Senato, quale camera di rappresentanza delle istituzioni territoriali e garante di un nuovo equilibrio del sistema territoriale, la rappresentatività delle istituzioni territoriali; e che si dovrebbe garantire il senso di identità territoriale dei senatori rispetto all’identità politica anche articolando i nuovi gruppi parlamentari secondo l’appartenenza territoriale.

Sostiene inoltre che le funzioni di raccordo del nuovo Senato non potrebbero essere circoscritte alla partecipazione al solo procedimento legislativo, ma dovrebbero ricomprendere anche alcune attività amministrative di maggiore rilievo politico, attualmente riservate al sistema delle conferenze, che le dovrebbe dismettere.

Ancora, si propone che il nuovo regolamento parlamentare consenta la partecipazione degli esecutivi regionali ai lavori parlamentari, così da rendere il Senato una sede di confronto diretto tra Governo centrale ed autonomie territoriali, un luogo dove ricercare punti di mediazione e soluzioni condivise. Infine, dall’indagine emerge l’opportunità di una riflessione in ordine alla possibile istituzionalizzazione dei rapporti fra Senato e Conferenze, che potrebbe giungere sino ad incardinarle presso la camera alta.

Nell’eventualità di un voto contrario nella consultazione referendaria, il documento ritiene opportuno un riordino a Costituzione vigente del sistema delle conferenze, anche riducendone il numero.

Per prima cosa suggerisce di attuare la norma della riforma costituzionale del 2001 che attribuisce alla Commissione parlamentare per le questioni regionali, integrata dai rappresentati di Regioni, Province autonome ed enti locali, la facoltà di rendere pareri con un valore rafforzato nell’ambito del procedimento legislativo riguardante disegni di leggi su materie di competenza concorrente o attinenti alla finanza regionale e locale: un meccanismo che avrebbe effetto deflattivo dell’elevato contenzioso costituzionale.

Personalmente, quando il percorso parlamentare della riforma non era iniziato, io avevo sostenuto che a fini di semplificazione, di razionalizzazione ed efficienza era giunto il momento, a Costituzione vigente, di rivedere il sistema delle Conferenze; e che se si fosse intrapresa una revisione costituzionale si sarebbe dovuta evitare la dispersione degli interessi dei territori in più sedi decisionali. Dalle audizioni riportate nel documento si evincono opinioni molto diverse a proposito del destino del sistema delle conferenze.

A me pare che molto dipenderà dalle scelte che la politica opererà in relazione all’esito del referendum, vale a dire: dando attuazione alla riforma costituzionale e rivedendo i regolamenti parlamentari se l’esito della consultazione sarà positivo, oppure comunque riprendendo il tema del rapporto fra Stato ed autonomie se il risultato sarà contrario. Per questo sono certo che il documento e il dibattito di questo pomeriggio contribuiranno molto alla riflessione politica e scientifica sul nostro assetto costituzionale e amministrativo e alla nostra comprensione della realtà del Paese, nelle sue complesse articolazioni territoriali. A me sembra sia un impegno doveroso per assumere le scelte di cui abbiamo la responsabilità consapevolmente e guardando a chi verrà dopo di noi, piuttosto che alle contingenze che ci riguardano. Grazie.

 

Presentazione Indagine conoscitiva su Parlamento e “sistema delle conferenze”

Sarà il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ad aprire i lavori del convegno “Il Parlamento e il «sistema delle conferenze»”, in programma giovedì 27 ottobre, con inizio alle ore 15, nella Sala Koch di Palazzo Madama. Il convegno è organizzato dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali, in collaborazione con l’ISSIRFA (Istituto di Studi sui Sistemi Regionali Federali e sulle Autonomie), per presentare il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al ‘sistema delle conferenze’, condotta dalla stessa Commissione tra gennaio e luglio 2016. Il convegno sarà presieduto dall’on. Gianpiero D’Alia, Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Dopo il Presidente del Senato prenderanno la parola: il Presidente della Corte dei conti Arturo Martucci di Scarfizzi, il Ministro per gli Affari regionali e le autonomie Enrico Costa, la Presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato Anna Finocchiaro, il Presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera Andrea Mazziotti di Celso, il Presidente dell’Associazione italiana costituzionalisti Massimo Luciani, il Direttore della School of Law dell’Università Luiss Enzo Moavero Milanesi, il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, il Coordinatore della Conferenza dei Presidenti delle  Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome Franco Iacop, il Presidente del Consiglio nazionale dell’Anci Enzo Bianco. Le conclusioni saranno affidate al Sottosegretario di Stato per gli Affari regionali e le autonomie Gianclaudio Bressa. I lavori del convegno saranno trasmessi in diretta dalla webtv e dal canale YouTube del Senato e dal sito della Camera.

 

Taci o ti querelo! Gli effetti delle leggi sulla diffamazione a mezzo stampa in Italia

Autorità, gentili ospiti, cari amici,

ci troviamo ancora una volta insieme per affrontare un tema che è a cuore a chiunque tenga alla nostra democrazia: la possibilità per ogni giornalista di fare al meglio il proprio lavoro. Sapete bene che questo argomento mi è molto caro e, per questa ragione, sono molto lieto di essere qui con voi anche oggi.

L’occasione ci è data dalla Giornata internazionale per mettere fine all’impunità per i reati compiuti contro i giornalisti, una ricorrenza internazionale indetta dalle Nazioni Unite che testimonia come la completa libertà di stampa sia una esigenza globale cui prestare la massima attenzione. L’impegno di Ossigeno per l’informazione si fa di anno in anno più forte e autorevole: vi siamo davvero grati per il servizio civile che svolgete per tutti noi. Illuminate quotidianamente le storie degli oltre trentamila giornalisti italiani che hanno subito intimidazioni; dei tremila che sono stati minacciati; dei trenta che vivono sotto scorta solo per aver raccontato verità scomode.

Siete un pungolo per l’opinione pubblica, che ha bisogno di conoscere queste storie per poter sostenere uomini e donne che svolgono un altissimo servizio al nostro Paese; lo siete anche per la politica e le Istituzioni che da molti anni discutono sulle soluzioni più appropriate per tutelare la libertà di stampa, il diritto all’informazione e quello alla privacy ma che non riescono a determinare il cambiamento auspicato e necessario.

Il dossier “taci o ti querelo” è una piccola ma importante conquista, soprattutto se guardata in prospettiva: ci consente infatti di analizzare gli effetti della legge sulla diffamazione a mezzo stampa a partire da dati reali raccolti in 139 tribunali italiani. Il Ministero della Giustizia ha fornito, per la prima volta, degli elementi oggettivi sui quali soppesare le nostre riflessioni e sui quali calibrare le azioni che andranno intraprese. Sono davvero convinto che con un monitoraggio costante – e attraverso le comparazioni che potremo svolgere in futuro proprio a partire da questi dati – saremo ancora più capaci di rispondere in modo concreto e incisivo alle insidie che minano il rapporto tra informazione e potere.

Citerò due numeri tra i tanti forniti da Ossigeno che da soli restituiscono un quadro allarmante. Trovo piuttosto grave il fatto che, nel biennio 2014-2015, siano stati inflitti 103 anni di carcere in totale a 155 giornalisti. Si potrebbe obiettare che quasi nessun giornalista finisce poi effettivamente in carcere ma, a mio parere, anche solo subire una condanna di questo genere è profondamente lesivo della libertà di espressione, diritto universalmente riconosciuto.

Mi colpisce inoltre che ogni anno si registrino numeri davvero spropositati di querele infondate: secondo i dati del Ministero relativi al 2015 infatti sono state infondate 5.125 querele, circa il 90% di tutte quelle a carico dei giornalisti. Mi avvio alla conclusione ringraziandovi per aver contribuito ancora una volta a disegnare un quadro approfondito dell’ampiezza e dell’intensità di quello che voi definite “il bavaglio della diffamazione”. Sono certo che la presentazione del dossier sarà un utilissimo strumento per aumentare la nostra consapevolezza, tanto a livello di opinione pubblica quanto a quello parlamentare.

Non possiamo, non dobbiamo rimanere indifferenti. Permettetemi di rivolgere allora un pensiero a tutti gli uomini e le donne che coraggiosamente mettono ogni giorno la loro professionalità e la loro passione al servizio di tutti e per questo sono oggetto di minacce, querele, citazioni in giudizio, intimidazioni. Noi abbiamo bisogno della loro voce, loro del nostro abbraccio e del nostro sostegno. Grazie.

Il ruolo del Senato nel processo di decisione parlamentare

Cari Colleghi,

vorrei per prima cosa ringraziare ancora il Presidente Comte e tutto il Consiglio degli Stati per l’ospitalità. Questa è una bella occasione per dialogare sul ruolo dei Senati nei processi parlamentari, ma anche sul presente e sul futuro delle nostre democrazie in un momento in cui il nostro grande continente vive una prolungata turbolenza politica e geopolitica che minaccia la stabilità, la crescita economica e sociale, la sicurezza e i diritti in ciascuno dei nostri Paesi.

Credo che la cooperazione interparlamentare, con il suo carattere di informalità e pacatezza, costituisca una buona opportunità per discutere anche di argomenti controversi fra i nostri Paesi, così da comprendere meglio il punto di vista altrui e da avvicinare le posizioni in vista del dialogo intergovernativo. Al medesimo tempo io penso che la ricchezza delle riflessioni alla conferenza di ieri sul controllo parlamentare delle politiche di sicurezza e sull’antiterrorismo sia la prova dell’utilità di questi scambi di esperienze e opinioni per rafforzare la capacità delle nostre assemblee di analisi dei fenomeni e di controllo dell’operato dei governi. Spero che iniziative simili di carattere tematico su specifici settori delle politiche pubbliche o temi di relazioni internazionali possano divenire una prassi anche per le prossime riunioni della nostra Associazione.

A proposito del tema odierno, devo subito dire che in Italia è stata approvata dal Parlamento ad aprile una legge costituzionale che, fra le altre cose, rivede tanto la composizione quanto le funzioni del Senato della Repubblica. L’entrata in vigore della legge è condizionata all’approvazione dalla maggioranza dei voti (non è previsto un quorum partecipativo) di un referendum confermativo (fissato al 4 dicembre), come prevede la Costituzione allorché le leggi di revisione costituzionale non siano state approvate nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei componenti. Il popolo italiano si è già espresso su riforme costituzionali di tale portata, sia in senso positivo nel 2001 sia in senso negativo nel 2006.

In attesa che i cittadini si esprimano, posso dire che comunque vada il Parlamento avrà molto lavoro nella parte residua della legislatura (si conclude a marzo 2018). Se la riforma non fosse approvata, ci si dovrà occupare della legge elettorale per il Senato perché la precedente legge elettorale fu dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale e le forze politiche hanno voluto provvedere solo per la Camera dei Deputati.

Se invece la riforma verrà accolta, il Parlamento dovrà attuarne alcune previsioni fondamentali, come le modalità di elezione indiretta dei senatori, e dovrà conseguentemente rivedere i regolamenti parlamentari. A prescindere dalla riforma, l’amministrazione del Senato, che vanta professionalità particolarmente elevate, sta rafforzando le competenze del personale nelle funzioni di controllo, nella valutazione delle politiche pubbliche, e negli affari regionali ed europei. Già prima che il percorso della riforma cominciasse si era inoltre dato avvio, con la Camera dei deputati, a un percorso per istituire un ruolo unico del personale e unificare molti servizi (uffici studi, uffici del personale, biblioteca, centrale acquisti, logistica e altri), in modo da conseguire rilevanti risparmi di spesa e razionalizzare il funzionamento delle amministrazioni parlamentari.

Tornando alla situazione attuale, vorrei segnalare alcune trasformazioni politiche e istituzionali che caratterizzano il ruolo del Senato nei processi parlamentari (tema che ci occupa oggi). Un primo elemento caratterizzante della nostra camera alta è l’altissima mobilità dei senatori nei gruppi, dovuta alla legge elettorale del 2005, che non permette la formazione di solide maggioranze, e al forte frazionamento del sistema dei partiti.

La mobilità dei gruppi e un quadro politico molto diverso da quello della Camera dei deputati determinano un’imprevedibilità nelle dinamiche di Aula che rendono particolarmente strategico il ruolo del Presidente quale organo di garanzia e di conciliazione fra le istanze di maggioranza e opposizione.

Spesso nel corso della legislatura sono stato chiamato ad assumere decisioni estremamente delicate sul piano procedurale sui provvedimenti politici più controversi, e proprio durante l’iter piuttosto turbolento della riforma costituzionale ho dovuto assicurare un corretto equilibrio fra il diritto della maggioranza di andare avanti e quello delle opposizioni di disporre di tempi adeguati di riflessione e di dibattito. Un secondo tratto dell’attività del Senato in questa legislatura è il continuo ricorso del governo allo strumento dei decreti legge (di produzione governativa) e al voto di fiducia al fine di evitare la discussione e la votazione degli emendamenti, spesso numerosi.

Avviandomi a concludere vorrei citare due settori importanti di attività del Senato. Il primo è quello degli affari europei nel quale si registra un positivo dinamismo: il Senato anche nel 2015 continua ad attestarsi fra le Camere degli Stati membri dell’Unione europea più attive nell’attività di controllo di sussidiarietà degli atti e dei documenti trasmessi dalla Commissione europea. Inoltre, il Governo riferisce regolarmente alle camere, in Aula o nelle commissioni, sulle posizioni che intende assumere o che ha assunto nelle competenti sedi europee.

Il secondo settore di attività che mi sembra interessante condividere è quello delle funzioni di controllo nei confronti del Governo. Riferendomi a un caso interessante, segnalo che la legge che ha incluso nella Costituzione il principio del pareggio di bilancio ha istituito un Ufficio Parlamentare di Bilancio composto da un collegio di tre membri nominati dai presidenti delle Camere, che vigila sulla finanza pubblica in modo del tutto indipendente: un ulteriore strumento di democrazia.

Concludo. Dagli interventi che mi hanno preceduto ho potuto apprezzare quanto le storie e le dinamiche di ogni Paese abbiano forgiato le camere alte in modo unico e specifico ad ogni ordinamento. Credo però che tutte siano accomunate dal ruolo di ponderazione e controllo degli esecutivi, e sono convinto che dobbiamo lavorare tutti insieme, in questa nostra associazione, perché le nostre assemblee diventino sempre di più luogo di rafforzamento della democrazia e di dibattito delle questioni sovranazionali dalle quali dipende il futuro dei nostri Paesi e dell’umanità. Grazie. 

Combattere il terrorismo in Europa: esperienza italiana nel controllo parlamentare delle politiche di sicurezza

Cari Colleghi,

desidero per prima cosa ringraziare il Presidente del Consiglio degli Stati della Confederazione svizzera Raphael Comte per l’accoglienza calorosa nella città di Berna e l’organizzazione della diciassettesima riunione dell’Associazione dei Senati d’Europa e di questa conferenza sul contrasto al terrorismo internazionale. Il continente europeo vive un serio momento di difficoltà e trasformazione, dovuto all’intreccio di cause interne ed esterne. Penso ai conflitti in corso ai nostri confini, all’instabilità geopolitica dovuta alla frammentazione di Stati e di territori, ai flussi migratori e di profughi, alla crisi economica, alle diseguaglianze che minacciano la coesione sociale, al calo demografico. Penso al terrorismo internazionale. E penso alla crisi delle alleanze politiche e delle organizzazioni regionali e internazionali. Io credo, da un lato, che siano infondati e pericolosi quei sentimenti di impotenza e catastrofismo che strumentalizzano movimenti nazionalisti e populisti; e, dall’altra, che il multilateralismo, la cooperazione politica e la diplomazia siano l’unica via per affrontare i problemi e prevenire una comune marginalizzazione geopolitica.

Il terrorismo che ci troviamo a fronteggiare è un fenomeno per molti versi inedito: radicato territorialmente in Medio oriente e strettamente intrecciato con le contese geopolitiche e i “conflitti per delega”, alimentato da traffici delittuosi e da sostegni esterni, si avvale di una retorica comunicativa globale che trova condizioni fertili al radicalismo nelle marginalità e nelle esclusioni delle società europee. Le strategie di contrasto richiedono quindi una pluralità di interventi: geopolitici, informativi, investigativi e giudiziari, finanziari, sociali. Un impegno che non è affatto esclusivo degli esecutivi ma chiama in causa i parlamenti, che devono vigilare sulle politiche dei governi e la loro rispondenza alle regole e ai valori fondanti dell’ordinamento.  La sfida che ci impegna nelle aule del Parlamento italiano è duplice: assicurare che la legislazione garantisca un equilibrio fra sicurezza e libertà e trovare un punto di incontro fra la riservatezza imposta dalle politiche di sicurezza e il riconoscimento alle assemblee legislative di effettivi spazi di verifica dell’operato dei governi e di partecipazione alla definizione degli indirizzi politici, al fine di garantire la corretta rappresentanza degli interessi dei cittadini. Sotto il primo profilo, l’anno scorso il Parlamento italiano ha approvato una legge che criminalizza condotte preparatorie tipiche del terrorismo attuale (come arruolarsi per commettere atti di terrorismo all’estero oppure preparare in concreto atti violenti acquisendo informazioni sull’uso di armi ed esplosivi); prevede strumenti investigativi come le intercettazioni preventive, le indagini elettroniche e sul web e i colloqui investigativi in carcere con detenuti che possono fornire informazioni utili a prevenire delitti di terrorismo; infine consente l’espulsione amministrativa di stranieri che compiono atti preparatori di sostegno ai terroristi. Completano il sistema di prevenzione e di repressione del terrorismo il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, un tavolo permanente di lavoro fra i servizi di informazione e le forze di polizia nel quale vengono condivise e valutate le informazioni sulla minaccia terroristica interna ed internazionale e al quale si collega anche un’Unità di crisi; e la Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo con funzioni di coordinamento delle indagini sul territorio nazionale. Auspichiamo che queste forme di massimo coordinamento e scambio informativo possano estendersi ed applicarsi in Europa e nel mondo.

Per quanto attiene al controllo parlamentare, alle informative del governo in Aula e alle commissioni competenti sui temi di politica estera, di difesa e di sicurezza si aggiunge uno strumento particolarmente pregnante, il Comitato Parlamentare per la Sicurezza, un organo bicamerale che verifica in modo sistematico e continuativo che l’attività del “sistema di informazione per la sicurezza” venga svolto nel pieno rispetto della Costituzione, delle leggi e dell’interesse esclusivo della Repubblica e delle sue istituzioni. Il Comitato dispone di ampi poteri conoscitivi che esercita in due forme principali: l’audizione del Presidente del Consiglio dei ministri, o del membro di governo delegato al settore, dei ministri che fanno parte del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, dei responsabili di vertice delle tre agenzie informative, e chiunque possa fornire utili elementi di informazione o di valutazione; l’acquisizione di copie di atti e di documenti relativi a procedimenti penali e inchieste parlamentari e di elementi informativi in possesso del sistema di sicurezza o della pubblica amministrazione. Il Comitato può effettuare accessi e sopralluoghi negli uffici del sistema di informazione per la sicurezza; controlla i documenti di spesa relativi a operazioni già concluse e ha competenze in materia di conferma della opposizione del segreto di Stato da parte del governo. Il Comitato presenta alle Camere una relazione annuale e quando necessario anche informative o relazioni urgenti. Una recente legge ha previsto che il Comitato esprima un parere preventivo sui provvedimenti con i quali il capo del governo dispone operazioni di intelligence all’estero con il concorso delle forze speciali della difesa in situazioni di crisi o emergenza che coinvolgano la sicurezza nazionale o gli italiani all’estero; e debba poi relazionare in Aula sull’efficacia di queste norme. Al Comitato che decida unanimemente di verificare la rispondenza di condotte dei servizi di sicurezza ai compiti istituzionali, non sono opponibili né la riservatezza né il segreto di Stato; se vengono accertati comportamenti illegittimi o irregolari il Comitato ne riferisce al capo del Governo e ai Presidenti delle Camere. Il Comitato è vincolato al segreto e lavora secondo modalità che garantiscono la riservatezza.

Concludo.

Credo, cari colleghi, che la cooperazione interparlamentare abbia molte potenzialità inespresse e credo che l’analisi congiunta e lo scambio di esperienze su temi di carattere transnazionale sia particolarmente fruttuoso perché nella mia precedente esperienza di Procuratore Nazionale Antimafia, impegnato in indagini di carattere internazionale, ho compreso che la cooperazione giudiziaria, di polizia e informativa sui fenomeni criminali che interessano più Paesi ha vitale bisogno di una chiara comprensione delle esigenze da parte dei governi e dei legislatori. Il controllo dell’operato dei servizi di sicurezza e delle politiche di lotta al terrorismo è un settore particolarmente importante perché si colloca esattamente al cuore del nostro lavoro: rappresentare i diritti dei cittadini garantendo un corretto equilibrio fra sicurezza, libertà e democrazia. Grazie.

 

Presentazione del libro di Pietro Bartolo “Lacrime di sale”

Autorità, gentili ospiti, presidente Bonino, caro Pietro, da oggi Comm. Bartolo,

sono davvero felice di essere qui con voi oggi. Ringrazio Vincenzo Morgante, gli autori, e in particolare Emma Bonino, che quando l’ho chiamata per invitarla a partecipare non ha nemmeno guardato la sua agenda dicendomi: “E’ una bella cosa, voglio venire, se ho impegni li sposto”. Questa presentazione nasce da una intensa chiacchierata che io e Pietro Bartolo abbiamo avuto durante una parentesi del mio viaggio a Lampedusa dello scorso luglio.

La prima volta che l’ho visto era nel pieno del suo lavoro: sul molo di Lampedusa assisteva allo sbarco di 125 migranti valutando, con la velocità di chi ha l’occhio allenato, lo stato di salute di ciascun uomo, ciascuna donna e ciascun bambino che scendeva dalla nave delle Forze militari. Uno sbarco tranquillo, senza particolari problemi, che mi ha immediatamente fatto provare l’orgoglio di appartenere a un Paese che soccorre e accoglie chi ha bisogno: un bell’esempio di forza delle istituzioni e di umanità dei nostri concittadini, siano militari, volontari, medici, giornalisti. Negli occhi di quelle persone che scendevano dalla barca ho visto la sofferenza, la fatica ma anche la luce della speranza, e ho avuto una certezza che in quei giorni ho ripetuto diverse volte: sono convinto che o l’Europa nasce a Lampedusa, o muore. O siamo capaci di essere davvero europei sin dal primo attimo in cui una persona in difficoltà bussa alla nostra porta, oppure siamo destinati ad un rapido declino, geopolitico e soprattutto morale. Si parla ancora di emergenza migranti ma Pietro, nel suo libro, traccia un bilancio che nega questa impostazione: sono infatti 25 anni che visita persone sbarcate a Lampedusa. Ad oggi circa 300 mila, ma è un conto destinato a salire di settimana in settimana.

Al termine dello sbarco ho avuto modo di parlare con lui, e ci siamo dati appuntamento per il giorno dopo: abbiamo passato qualche ora insieme ed ho avuto il privilegio di sentire molti dei racconti che compongono il libro dalla sua viva voce, spesso rotta dall’emozione. Mi ha raccontato del naufragio del 3 ottobre, quello che abbiamo celebrato giorni fa proprio in Senato come I giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, e degli altri naufragi di cui si parla meno ma che causano allo stesso modo centinaia di morti l’anno. Mi ha raccontato degli sbarchi difficili, delle ispezioni cadaveriche – quante ne avrà fatte in 25 anni? – della volontà di dare a ciascuna persona l’attenzione dovuta, della frustrazione di non poter dar loro più dell’assistenza medica, ovvero il sostegno morale e psicologico di cui hanno bisogno dopo viaggi che durano anche anni e in condizioni terribili. In realtà sappiamo che molte delle persone che ha visitato quel sostegno lo hanno sentito, e sono loro ad averlo testimoniato tornando a Lampedusa quando è stato possibile.

Ci sono immagini, dentro queste pagine, che mi hanno colpito profondamente.

Pietro cita spesso la sua pen drive, dentro la quale ha messo in questi anni i nomi e le storie che ha raccolto dai migranti che sono passati per Lampedusa e che conserva “con la puntigliosità di un archivista”. Questa sua esigenza, nata molto prima dell’idea di farne un libro, viene credo da un ragionamento che molti, anche tra importanti esponenti politici, non hanno ancora fatto. Se è facile, per quanto orribile, accettare statistiche che parlano di dieci, cento o mille morti, è molto più difficile sostenere che Faduma, Jerusalem, Omar, Mustafà, Anuar, Sama e Jasmine – ciascuno col proprio volto e la propria storia, fatta di lutti, sofferenza, stupri, rinunce e sacrifici – debbano essere abbandonati al loro destino. Quella pennetta piena di file è il modo che lui ha trovato per restituire a una massa spersonalizzata la dignità del proprio nome.

Un secondo passaggio che voglio citare è il racconto della mattina in cui, leggendo i giornali, Pietro scopre di essere diventato “complice di un mondo pervaso dall’apparenza”: dopo l’immagine simbolo di lui che teneva in braccio Favour, esplosa sui giornali, le tv e i siti di tutto il mondo, solo poche righe erano state dedicato all’identica storia di un altro bambino che aveva perso la madre in mare durante il viaggio, Mustafà. Mentre decine di coppie si erano offerte per adottare Favour, forse pochi sanno che sono sbarcati quest’anno più di 16 mila minori non accompagnati, molti dei quali in cerca del calore e dell’abbraccio di una famiglia. E’ lo stesso tipo di onda emotiva che si è sollevata per “il piccolo Alan”: quello shock è durato troppo poco: tutto il mondo ha pianto qualche giorno e poi è passato oltre. La consapevolezza che non sarà l’emozione a risolvere i problemi, ma una strategia di medio e lungo termine ben delineata e condivisa tra i Paesi europei, è ancora solo una speranza.

Il terzo passaggio che mi piace citare è quello che da il titolo al libro. Pietro ricorda gli ultimi giorni di vita di suo padre, le ultime uscite in mare di un pescatore che col suo lavoro ha cresciuto sette figli e portato lui alla laurea. Parla del suo viso, della maschera di sale che gli restava addosso tornando sulla sua barca, e delle lacrime che rigavano quella patina di sale marino. Le stesse che Pietro vede ogni giorno sui volti dei migranti che arrivano a Lampedusa. La lezione che ci viene da questa conclusione è quella di sapersi identificare nell’altro: Pietro riconosce suo padre nelle persone che sbarcano a Lampedusa, riconosce, nelle loro, le stesse lacrime di chi gli ha dato la vita. Se le strategie internazionali devono essere delineate da chi ha responsabilità politiche, questo riconoscimento intimo ci riguarda tutti. Dobbiamo trovare la capacità di riconoscere davvero come fratelli e sorelle le donne e gli uomini che chiamiamo migranti. E l’impegno di persone come Pietro Bartolo ci è d’esempio: se lui, come dice nel libro, si sveglia la notte con gli incubi per quello che ha visto, prima o poi ci troveremo tutti a non riuscire a prendere sonno al pensiero di quello che abbiamo ignorato.

Per questo spero che il libro arrivi nelle mani di chi si illude di poter preservare la propria sedicente superiorità alzando muri, di mattoni, di odio e di ignoranza. Io credo al contrario che il nostro Paese abbia una responsabilità speciale nel Mediterraneo e nel mondo che deriva da quello che noi siamo, da dove veniamo: dalla nostra storia millenaria di crocevia di civiltà, donne e uomini, cose e idee. Da siciliano sono cresciuto guardando dal balcone di casa l’altra sponda del mare e percependola non come un luogo di nemici di cui diffidare, ma come il completamento del nostro stesso essere europei e mediterranei. Le parole del nostro dialetto, i profumi della nostra cucina, la bellezza delle nostre opere d’arte sono piene di influssi arabi. Questa è la nostra storia, il nostro passato. Per questo dobbiamo essere in grado di portare in Europa un progetto di futuro dove la coesione sociale non si costruisca attorno alla religione, all’etnia, alle inclinazioni personali, ma attorno alla solidarietà, all’impegno per il bene comune, alla dignità umana. E Lampedusa, che è nata da un pezzo di roccia africana e al tempo stesso è italiana, siciliana, europea e mediterranea è il più bel posto al mondo dal quale far partire questo messaggio di libertà, pluralità e umanità.

Per non vedere nessuno versare ancora lacrime di sale.

Grazie