Il linguaggio giuridico nell’Europa delle pluralità

Convegno "Il linguaggio giuridico nell'Europa delle pluralità. Lingua italiana e percorsi di produzione e circolazione del diritto dell'Unione europea" ©Senato della Repubblica

Autorità, illustri relatori, gentili ospiti,

desidero rivolgere a voi tutti il mio saluto più cordiale e il più vivo ringraziamento per aver preso parte a questa giornata di studio che analizza il processo di formazione e attuazione del diritto dell’Unione europea secondo una prospettiva – quella della qualità linguistica e redazionale – troppo spesso trascurata.

L’iniziativa di oggi si inserisce nel quadro della collaborazione avviata dal Senato con l’Università di Pavia sul tema del linguaggio giuridico, con l’obiettivo di contribuire alla migliore qualità dei testi normativi e a una più efficace tutela dei diritti. Il tema della qualità della legislazione assume nell’ordinamento europeo un rilievo prioritario. Gli atti normativi dell’Unione possono, infatti, trovare un’applicazione uniforme e conforme solo se sono redatti in modo comprensibile, preciso e inequivoco e se le diverse versioni linguistiche sono tra loro concordanti ed equivalenti.

Prima di lasciare la parola agli autorevoli relatori dell’ultima sessione, consentitemi di formulare alcune brevi considerazioni. La scelta, compiuta già nel 1957 con i Trattati di Roma, di riconoscere piena parità alle lingue ufficiali di tutti i Paesi aderenti al processo di integrazione è un tratto distintivo unico nel panorama delle organizzazioni internazionali, che esprime la specificità del progetto europeo. In un ordinamento sovranazionale, quale quello dell’Unione, i cui soggetti sono non solo gli Stati, ma anche gli individui, il regime linguistico assume un rilievo prioritario. Se le esigenze di coerenza dell’ordinamento possono essere soddisfatte al meglio con la scelta di un’unica lingua facente fede, i diritti dei destinatari della legislazione europea possono essere pienamente garantiti soltanto con un regime di multilinguismo.

La conoscibilità e là comprensibilità della norma sono presupposti indispensabili della certezza del diritto e della possibilità da parte dei cittadini di godere dei propri diritti e di adempiere ai propri doveri. La pluralità delle lingue e la loro parità sono il riflesso della pluralità costitutiva dell’Unione e un profilo essenziale dell’identità europea: in una Unione fondata sull’uguaglianza degli Stati e dei loro cittadini, tutte le lingue hanno la stessa dignità giuridica. La coesistenza armoniosa di molte lingue, che rispecchiano e fanno comprendere le diverse culture europee, costituisce un simbolo forte dell’aspirazione dell’Unione alla costruzione di un patrimonio culturale comune, di uno spazio di condivisione che favorisce il dialogo e il rispetto reciproco. Ogni cittadino europeo deve, in ogni caso, potersi rivolgere alle istituzioni europee in una qualunque tra le lingue ufficiali e deve ricevere una risposta nella stessa lingua. Al tempo stesso, però, la lingua rappresenta anche una componente fondamentale dell’identità nazionale degli Stati membri. Non deve meravigliare, pertanto, che la diversità linguistica sia considerata nei Trattati una ricchezza che impone all’Unione il rispetto della diversità culturale, religiosa e linguistica e vieta qualsiasi forma di discriminazione basata sulla lingua. La lingua nazionale, così come la cultura e la religione, fa parte del patrimonio di diritti di ciascun cittadino europeo e non può essere motivo di una disparità di trattamento.

Il diritto al riconoscimento dell’identità linguistica nazionale va, però, contemperato con l’esigenza di rendere il multilinguismo sostenibile nell’ambito delle dinamiche del processo decisionale europeo. Il principio di piena parità delle lingue trova un concreto limite nell’esigenza di agevolare il funzionamento delle istituzioni e di evitare un aumento sproporzionato dei costi e degli adempimenti conseguenti alla scelta di assicurare traduzioni e interpretazioni in tutte le lingue ufficiali.  Il multilinguismo dell’Unione europea appare, così, attraversato da forze tra loro opposte: unità e diversità; patrimonio comune e identità nazionale; integrazione e sovranità. Queste tensioni tra valori e interessi contrapposti – in una certa misura connaturate alla costruzione europea – sono state sempre ricomposte in un equilibrio complessivo di sistema. L’eccezionalità del risultato che l’Unione ha saputo conseguire lungo questa strada è dovuta alla capacità del progetto europeo di omogeneizzare modelli ordinamentali e giuridici molto diversi fra loro attraverso un’opera puntuale di confronto e avvicinamento dei linguaggi giuridici. La grande eterogeneità delle tradizioni giuridiche dei Paesi membri, ad esempio fra sistemi di common law e sistemi di diritto continentale di derivazione romanistica, ha posto nell’esperienza europea complesse questioni per individuare un terreno linguistico e culturale-giuridico idoneo al dialogo fra ordinamenti. Questo processo ha infine condotto alla creazione di nuovi ibridi modelli giuridici e a un linguaggio giuridico comune, da tradursi poi nelle diverse lingue europee. Questa comunanza di linguaggio è una delle più preziose acquisizione dell’Unione europea ed ha importanti risvolti, tanto nella vita quotidiana dei cittadini, quanto nell’attività degli operatori economici.

Oggi una devastante ondata di malcontento e insofferenza minaccia l’Europa e le sue istituzioni, giungendo a mettere in discussione le stesse fondamenta del progetto europeo. Troppo spesso la fisiologica dialettica tra livelli diversi di governo degenera in accuse e denigrazioni fini a se stesse, che rischiano di delegittimare il modello europeo senza contribuire a migliorarne il funzionamento. È giunto il momento di valutare con obiettività e senso critico – ma anche con spirito costruttivo – gli errori e le lacune del processo di integrazione europea e le prospettive per il futuro. In una fase economica e politica così complessa è più che mai necessario tenere a mente l’insegnamento di Konrad Adenauer, Robert Schuman e Alcide De Gasperi: «Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide». Scegliendo di far parte dell’Unione europea, gli Stati membri non si sono limitati ad aprire i rispettivi mercati a cittadini e imprese, ma hanno messo in comune i loro destini. Lo Stato nazionale non è più il livello politico adeguato per sostenere il confronto con le altre potenze mondiali e affrontare le sfide che ci attendono. Dobbiamo arginare le divisioni che rischiano di lacerare l’Europa. Dobbiamo impedire che la crisi faccia resuscitare pericolosi nazionalismi.

“Uniti nella diversità”: solo così potremo essere forti.

Grazie.