European University Institute. Conferenza “The State of the Union. Building a People’s Europe”

Autorità, Signore e Signori,

ho accolto davvero con molto piacere l’opportunità di aprire i lavori della Conferenza “The State of the Union” promossa ogni anno dall’European University Institute e dedicata specificamente al tema importante e complesso della cittadinanza europea, nelle sue diverse declinazioni. Desidero ringraziare per il cortese invito il Presidente Renaud Dehousse e il Segretario Generale Vincenzo Grassi e colgo quest’occasione per complimentarmi con tutto il personale accademico e amministrativo dell’Istituto, che in oltre quarant’anni di storia ha ospitato migliaia di ricercatori da tutto il mondo, contribuendo allo studio e al progresso su temi di storia, diritto, economia, politica, società, diritti, Stato di Diritto. L’Istituto ha incarnato lo spirito più genuino della nostra Europa e acquisito un meritato prestigio internazionale e sono quindi onorato e felice di trovarmi oggi qui con voi.

The State of the Union quest’anno si carica di un significato molto particolare perché sessant’anni fa i Paesi fondatori avviarono a Roma un grande percorso di integrazione economica caratterizzato da un allora inedito carattere di sovranità condivisa perché il vero obiettivo perseguito era politico. Jean Monnet ebbe a dire: “noi non stiamo formando coalizioni di Stati, noi uniamo uomini”. Così si posero le basi del sistema sovranazionale più socialmente equilibrato, politicamente stabile  e culturalmente avanzato mai conosciuto dalla storia universale. Penso all’abolizione delle frontiere, al mercato unico, alla sovranità monetaria condivisa, allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia che ha dato vita ad una grande comunità di diritti e di opportunità. Questo stesso Istituto fu voluto dai Paesi fondatori per aggiungere al processo di integrazione una dimensione di carattere accademico e culturale e per contribuire alla vita intellettuale di un’Europa finalmente capace di superare antiche divisioni.

Trovo significativo che il tema guida di quest’anno sia la cittadinanza europea. A me pare che lavorare sulla piena attuazione della cittadinanza europea sia la migliore possibile reazione ai fenomeni di distacco dal progetto europeo che si avvertono in tanti cittadini europei. Naturalmente mi riferisco ad una nozione di cittadinanza più estesa e articolata del passato, che non si limita solo ai diritti civili, politici, economici e sociali ma include rinnovate forme di partecipazione dei cittadini ai processi decisionali. L’apertura ad articolate istanze sociali costituisce una sfida di estrema difficoltà per il sistema istituzionale europeo e per quelli nazionali. Occorre in questo senso conciliare l’esigenza di decisioni efficaci su temi di straordinaria rilevanza internazionale – come la lotta al terrorismo e al crimine organizzato, la sostenibilità dello sviluppo, la solidarietà fra popoli e fra generazioni – con la necessità di moltiplicare i canali di dialogo con opinioni pubbliche sottoposte a una crescente massa di informazioni che determinano disorientamento in luogo di  consapevolezza. Anche per questo il Senato rende accessibile al pubblico, attraverso un’apposita Banca dati pubblica, la più ampia mole di informazioni e documenti connessi a vario titolo alla fase “ascendente” di formazione del diritto dell’Unione europea.

A me sembra che le sfide cui saranno dedicate le sessioni di lavoro di questi due giorni mettano in questione più che mai il ruolo dei Parlamenti. L’integrazione europea ha creato un’alleanza straordinaria che ha superato non solo le barriere fisiche, ma anche quelle racchiuse nel dogma della sovranità statuale e ha dato avvio ad un ordinamento democratico che ha fondamento e obiettivo finale nei cittadini europei. Per questo, io credo abbia ragione il Presidente del Parlamento europeo Tajani quando chiede più democrazia per l’Europa e richiama l’ipotesi dell’unificazione delle figure del Presidente del Consiglio e del Presidente della Commissione. A Bruxelles ci sono molti cambiamenti che possiamo realizzare per avvicinare la politica europea ai cittadini, ma ogni Paese deve contribuire alla trasparenza, alla partecipazione e all’efficacia della democrazia europea. Spetta ai Parlamenti nazionali esercitare un indirizzo e controllo dei Governi nelle politiche europee; mediare sulle posizioni governative; ripensarle in chiave pluralistica con il pieno concorso delle opposizioni; cercare, grazie al confronto fra i gruppi politici, i compromessi così difficili a livello governativo. I parlamenti nazionali dovranno imparare a porsi come attori collettivi, insieme al Parlamento europeo, nella sfera della cooperazione inter-parlamentare. Penso che in questa fase così difficile dell’integrazione europea, solo la cooperazione fra parlamenti sia in grado di conciliare le crescenti esigenze di differenziazione e asimmetria con la ricerca di posizione condivise anche rispetto alle sfide future dell’integrazione: penso alla politica economica e finanziaria, alla difesa, alla cooperazione giudiziaria.

La politica europea è strettamente connessa al funzionamento delle democrazie nazionali e al rapporto fra elettori ed eletti in ciascun Paese. Il tema è molto attuale in Italia perché è ineludibile che prima delle elezioni politiche del 2018 il Parlamento approvi una nuova legge elettorale, dato che le leggi vigenti dopo i profondi interventi della Corte costituzionale sono profondamente disomogenee e non applicabili[1] . Come questa nuova legge elettorale debba essere articolata è responsabilità che spetta alle forze politiche. In generale, a me piacerebbe anzitutto che fosse finalmente una legge conforme alla Costituzione (non è una battuta visto che le due precedenti sono state dichiarate incostituzionali): deve nascere dal confronto parlamentare e recepire i principi dettati dalla Corte per garantire rappresentatività nel rapporto fra elettori, candidati ed eletti. In secondo luogo io credo che debba perseguirsi un equilibrato[2]  rapporto fra le legittime aspirazioni alla stabilità del Governo ed alla rapidità ed effettività delle sue decisioni e, d’altra parte[3] , la necessità di garantire l’inclusione, la rappresentanza e la partecipazione dei cittadini. I vari correttivi e le forme di razionalizzazione sono ammissibili purché non si snaturi il rapporto che deve intercorrere fra ciascun elettore e il “suo” candidato o la “sua lista” e purché non si sacrifichi il principio costituzionale della rappresentanza popolare.

Concludo toccando uno dei temi oggetto delle sessioni di lavoro che mi sta in modo particolare a cuore, quello dei flussi di migranti e profughi in Europa. Io credo che la prima urgenza sia abbandonare le logiche emergenziali che finora hanno prevalso in Europa. Non si tratta di crisi temporanee, passeggere. Non ricorrono emergenze. Si dispiegano gli effetti di fenomeni strutturali di lungo periodo che non si possono “risolvere” ma “governare” con strategie meditate, condivise, solidali e rispettose della dignità umana. Le migrazioni cosiddette “economiche” sono un fenomeno connaturato all’umanità, che nella storia si è sempre spostata alla ricerca di migliori condizioni di vita ed economiche. Oggi, anche se nel mondo la povertà in termini assoluti si è ridotta, crescono le diseguaglianze economiche e sociali e migrare è spesso l’unica opportunità che si presenta a chi è rimasto indietro. Proprio per tale ragione, credo sia fondamentale la cooperazione economica e il sostegno europeo ai Paesi in difficoltà, soprattutto in Africa, come l’Italia sostiene a Bruxelles ormai da tempo. Egualmente hanno carattere sistemico i flussi di profughi determinati dai conflitti in Africa, Asia e Medio Oriente, la cui soluzione richiederà processi geopolitici lunghi e complessi. Regolare in modo virtuoso questi flussi, e integrare socialmente e politicamente in società plurali, coese e solidali gli immigrati sono due fra le più grandi responsabilità della politica europea.

A proposito dei flussi di profughi in fuga da guerre e da persecuzioni, io non mi stanco di ripetere che salvare e accogliere chi è in pericolo e riconoscere a chi ne ha diritto la protezione internazionale non sono gesti di liberalità, non sono manifestazioni di generosità. Sono obblighi morali, giuridici e internazionali. Io sono orgoglioso di quello che l’Italia ha fatto in questi anni. A Lampedusa li ho visti i nostri operatori, i medici, i militari, le forze di polizia, i funzionari civili, i volontari, il Sindaco Giusi Nicolini (recentemente insignita del premio UNESCO per la pace): donne e uomini che soccorrono in mare i naufraghi, che con dolore e pietà raccolgono i corpi di chi non ce l’ha fatta, che accolgono con un abbraccio chi soffre, chi ha paura. Io penso che tutte quelle donne e quegli uomini che restituiscono ad ogni persona la dignità di essere umano siano gli interpreti di un messaggio universale di umanità che la nostra Unione europea deve raccogliere e fare suo. Le organizzazioni non governative hanno avuto un ruolo determinante, in stretta sinergia con le tante istituzioni centrali e territoriali, nel sistema europeo e italiano del soccorso e dell’accoglienza; hanno svolto sostanzialmente una funzione pubblica a favore dell’Unione, garantendo servizi che avrebbero dovuto essere semmai assicurati da interventi istituzionali di carattere europeo. A proposito di recenti polemiche sono certo, anche per la mia lunga esperienza personale, che la magistratura e le forze di polizia faranno piena luce su eventuali opacità e che proveranno e puniranno i reati che siano stati eventualmente commessi. Questo avvenga però nel rispetto rigoroso delle regole e della riservatezza necessaria a garantire il successo delle indagini. Fino ad allora credo sia sbagliato e ingeneroso associarsi ad accuse generiche, congetturali e politicamente strumentali.

Sono certo che i contributi degli autorevoli relatori e partecipanti arricchiranno nei prossimi due giorni il dibattito europeo di riflessioni, spunti e sollecitazioni che la politica ha il dovere di raccogliere e valutare attentamente. Auguro a tutti dunque buon lavoro e vi ringrazio.

 

Informazione. Diritto violabile? In memoria dei giornalisti uccisi, a sostegno dei cronisti minacciati

Intervento al convegno di “Ossigeno per l’informazione” nella giornata mondiale per la libertà di stampa

Caro Presidente Spampinato, Autorità, gentili ospiti,

consentitemi per prima cosa di rivolgere un pensiero affettuoso alla famiglia di Valentino Parlato, ai suoi amici, a tutta la redazione del giornale che contribuì a fondare e ha guidato come direttore per molti anni: con Parlato si è spenta una voce libera e autorevole della stampa italiana che mancherà non solo ai lettori del Manifesto. Sono contento di essere qui e aprire questo convegno che rinnova l’incontro tra “Ossigeno per l’Informazione” e le Istituzioni, un dialogo che si fa di anno in anno più fecondo e prezioso. Oggi è il “World Press Freedom Day”, il giorno nel quale hanno luogo molte iniziative connesse al fondamentale tema della libertà di stampa: saluto tutti i partecipanti in ogni parte d’Italia. È questa quindi un’utile occasione per riflettere insieme sul grado di libertà e di efficacia del sistema d’informazione nel nostro Paese, oltre che per promuovere azioni in grado di difenderlo da chi vorrebbe mettergli un bavaglio. In questo senso voi di “Ossigeno” fate, giorno dopo giorno e ormai da molto tempo, un lavoro straordinario di documentazione, analisi, sostegno e sensibilizzazione del quale vi siamo tutti grati.

Lo ripeto spesso: un regime democratico non può in alcuna misura rimanere tale se non assicura ai propri cittadini la possibilità di partecipare consapevolmente alla vita e alle scelte della collettività. Per farlo è necessario che ciascun individuo abbia accesso ad un’informazione libera e plurale, lo strumento attraverso il quale si traduce in realtà l’imprescindibile diritto di costruirsi la propria opinione, di capire, di conoscere.  Abbiamo bisogno di un giornalismo autorevole e responsabile, che deve attenersi ad una precisa gerarchia di valori.  É importante che le notizie siano offerte ai lettori in un quadro di riferimento ampio e complessivo, con un’analisi approfondita dei protagonisti, dei presupposti e delle conseguenze. Chiediamo agli operatori dell’informazione grande rigore deontologico; ci aspettiamo che raccontino la verità senza compromessi quando essa viene celata da interessi personali che inquinano quelli della collettività; che siano il pungolo dei potenti; che, con le loro penne, rompano il muro dell’omertà che mina il pieno funzionamento della nostra democrazia.

Adempiere a questo importantissimo compito, però, espone ad alcuni rischi che molti dei vostri colleghi hanno purtroppo sperimentato sulla propria pelle.  Consentitemi di ricordare allora i ventotto giornalisti uccisi proprio perché la loro voce, libera e autorevole, dava fastidio e, per questo, andava silenziata. Nel luglio dello scorso anno mi avete consegnato un pannello con impressi i loro nomi, intitolato: “Cercavano la verità. 28 nomi una sola storia”. 

Come sapete prima di “spostarmi in politica” ho per oltre quarant’anni svolto la professione di magistrato. Fu proprio in quella veste che conobbi uno di quei ventotto nomi. Mario Francese veniva spesso in procura, arrivava col suo taccuino, chiedeva sempre novità sulle attività che noi magistrati stavamo svolgendo. Non potevo certo metterlo al corrente degli sviluppi delle nostre indagini ma lo ascoltavo sempre molto volentieri quando mi raccontava delle voci che provenivano dalle strade di Palermo, quelle che instancabilmente batteva, sempre in cerca di nuove storie o conferme alle sue inchieste. Sapeva intercettare l’anima più intima e inconfessabile di Palermo, descriverla in maniera puntuale, rappresentare i movimenti della società e della criminalità organizzata: pagò con la vita quella sua insopprimibile curiosità, il desiderio di essere utile ai cittadini siciliani attraverso i suoi articoli.

Vedo in sala la mamma di Ilaria Alpi. Sono passati ventitré anni da quando Ilaria fu uccisa in Somalia insieme a Miran Hrovatin: sono troppe le domande, troppi i punti oscuri di una vicenda che non abbiamo alcuna intenzione di archiviare o dimenticare. Non ci arrenderemo, continueremo a cercare la verità: non possiamo certamente in questo modo lenire il dolore che lacera i vostri cuori ma abbiamo comunque il dovere morale di insistere perché sia fatta giustizia di quanto è avvenuto e degli anni persi dietro a depistaggi.

L’esempio degli uomini e delle donne che tristemente compongono il pannello che mi avete donato, è un patrimonio che appartiene non solo a chi sceglie questa professione ma a tutto il Paese. Le loro vicende ci aiutano anche a non abbassare la guardia sulle decine, centinaia, di casi in cui i giornalisti, spesso cronisti locali, oggetto di minacce, aggressioni e delegittimazioni. Penso, per esempio, a Federica Angeli la cui vita si è trasformata in un incubo e che, proprio negli ultimi giorni, ha subito un’altra violenta intimidazione. Proprio il Lazio detiene il triste primato del maggior numero di giornalisti minacciati. A lei e a tutti i suoi colleghi che condividono questa difficile situazione dobbiamo essere vicini, tanto idealmente quanto concretamente: il nostro impegno non può limitarsi alla giornata di oggi ma deve essere costante, in ogni circostanza. Ne va della forza della nostra democrazia, della qualità del dibattito pubblico, in breve, del nostro futuro.

Auguri di buon lavoro a tutti i giornalisti, e a voi di Ossigeno.

Grazie.

 

 

 

Libertà di stampa. Incontro con la delegazione di “#NoBavaglioTurco”

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto a Palazzo Madama la delegazione dell’iniziativa “#NoBavaglioTurco“, in occasione del sit-in che si è svolto oggi a Roma.

La delegazione ha consegnato al Presidente Grasso il testo della risoluzione approvata all’unanimità dal Comitato esecutivo della Federazione internazionale dei giornalisti (Ifj) che, alla vigilia della Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, “ribadisce la propria solidarietà agli oltre 150 giornalisti e operatori dei media detenuti in Turchia”. L’elenco dei giornalisti detenuti è stato consegnato al Presidente Grasso insieme all’anteprima del documento “Journalist is not a crime” che Amnesty International renderà noto domani e al messaggio inviato alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi) dal Presidente della Federazione Internazionale dei Giornalisti, Philippe Leruth, in appoggio alla manifestazione odierna.

Il Presidente del Senato ha ricordato che il diritto all’informazione è la premessa per l’esercizio delle libertà democratiche e deve essere oggetto di tutela ovunque nel mondo, e che lo Stato di diritto richiede che le esigenze di sicurezza non prevalgano sui diritti fondamentali dei cittadini e sul diritto di espressione.

25 aprile 2017. Celebrazione della Festa della Liberazione

Sindaco Sala, Presidente Smuraglia, Autorità, partigiane e partigiani, cittadini e cittadine di Milano,

sono davvero orgoglioso di festeggiare con tutti voi la Festa della Liberazione. Farlo qui, a Milano, città Medaglia d’Oro della Resistenza, ha un grande valore simbolico. I milanesi hanno infatti dato un contributo eccezionale al movimento che ha restituito al nostro Paese ciò che è più prezioso: la libertà.

L’Italia attraversò anni difficili fatti di violenza, di guerra, di negazione dell’umanità. Fu grazie agli uomini e alle donne della Resistenza – capaci di compiere scelte radicali e dolorose ma coerenti con un insopprimibile desiderio di libertà e giustizia sociale – che riuscimmo ad affrancarci dall’oppressione nazi-fascista e iniziare un nuovo cammino.

Abbiamo il dovere di conoscere il loro travaglio umano e morale, le vicissitudini che affrontarono, gli insegnamenti che ci hanno lasciato: non solamente per ricordarne le gesta ma anche e soprattutto per comprendere meglio con quale forza dobbiamo affrontare le sfide che il presente e il futuro ci pongono. Per farlo dobbiamo tenere presenti le grandi figure della Resistenza, persone straordinarie come Sandro Pertini, Ferruccio Parri, Luigi Longo, ma anche le piccole storie – meno note ma egualmente importanti – di centinaia di nostri concittadini che nascosero i ricercati, aiutarono i partigiani, fecero le staffette o combatterono mettendosi al servizio di un ideale comune. Uomini e donne, spesso giovanissimi, che scelsero, ognuno secondo le proprie possibilità, di fare la propria parte per ritrovare l’umanità tradita dai soprusi della dittatura. La storia della Liberazione poggia, in fin dei conti, su questi due pilastri: il riscatto della dignità perduta e l’assunzione di responsabilità in prima persona.

Le madri e i padri della Resistenza ci hanno affidato un compito che non può certamente considerarsi esaurito in una seppur bella manifestazione. Non si deve affatto considerare questo giorno come una semplice celebrazione, ma come l’occasione nella quale riscopriamo le nostre radici – ciò che ci ha unito e che continua a unirci dopo 72 anni – e nella quale rinnoviamo la nostra responsabilità verso la nazione alla quale orgogliosamente apparteniamo.

A poche centinaia di metri da questa splendida piazza c’è uno dei luoghi simbolo della violenza fascista, il bel palazzo al civico 2 di via Rovelli, dove furono condotte decine di partigiani, antifascisti, ebrei: lì furono interrogati, torturati e uccisi dalla furia degli uomini della Legione Ettore Muti. Nel 1947 Giorgio Strehler, Paolo Grassi e Nina Vinchi vollero dare una nuova vita a quella che un tempo era stata dimora di terrore, fondando il primo Teatro stabile italiano: dove avevano albergato i più crudeli istinti dell’umanità nacque un luogo di cultura e di bellezza. C’era ancora il sangue dei partigiani sulle pareti quando nacque quello che ancora oggi è un punto di riferimento per il teatro internazionale. In questa piccola ma significativa vicenda io trovo il segno più forte di come, all’indomani della fine della dittatura, l’anima più nobile di questa città e del nostro Paese sentisse un’inderogabile esigenza morale di risorgere, di riappropriarsi di se stessa.

Il nostro farci nazione non è stato semplice, ha richiesto e continua a richiedere un impegno quotidiano e diffuso. Alle spalle avevamo il dolore, la morte, la violenza; le nostre città erano ferite tanto nella loro concretezza – con palazzi, strade e piazze ridotte in macerie – quanto nello spirito, messo a dura prova da anni di paure e sofferenze. Eppure trovammo il coraggio di scommettere in un futuro diverso, in un futuro migliore. Gli uomini e le donne della Resistenza sognarono ad occhi aperti un’Italia libera e democratica, nella quale a ciascun essere umano sarebbero stati riconosciuti i suoi diritti universali e inalienabili. Dopo la Liberazione, seppur provenienti da prospettive, culture e storie diverse, essi si unirono nel comune obiettivo di dare alla neonata Repubblica un complesso di regole capaci di tradurre in realtà quel sogno: la Costituzione. Ci riuscirono, consegnandoci il compito di amarla e difenderla dai rigurgiti di un vergognoso passato, quello che prova anche oggi con manifestazioni inopportune a insinuarsi nella nostra comunità, e verso il quale non dobbiamo mai abbassare la guardia. La legge vieta e punisce qualunque forma di apologia del fascismo, ma è soprattutto con la cultura e l’impegno di chi, come noi, colora Piazza Duomo con gioia e con la volontà di costruire insieme un domani migliore, che dobbiamo contrastare il fascismo e la xenofobia striscianti nel nostro Paese. Ogni anno si sollevano molte controversie intorno al 25 aprile e molti sono stati – e continuano – i tentativi di strumentalizzare questa giornata o di ridurla ad una festa rappresentativa di una sola parte del nostro Paese. Non è così.

Penso ad esempio alle polemiche che puntualmente accompagnano la partecipazione della Brigata Ebraica – una formazione militare composta da uomini provenienti da molte nazioni e inquadrata nell’esercito inglese – che ha combattuto al fianco dei partigiani. Vi siamo grati per quello che avete fatto per l’Italia, al pari di tutte le realtà che contribuirono alla liberazione: per questa ragione siete e sarete sempre a casa vostra in una piazza come questa. Come hanno sottolineato i rappresentanti dell’Anpi e il Sindaco Sala, chi contesta la vostra presenza nega la storia della Resistenza e il suo più intimo significato.

Il 25 aprile è di tutti perché tutti noi godiamo dei frutti delle conquiste di settantadue anni fa.

Nella prima parte della Carta Costituzionale sono sanciti principi che sono ancora una straordinaria e pura fonte di ispirazione: lavoro, giustizia, uguaglianza, libertà, rispetto. Sono principi che contengono una bellezza e una forza alla quale dobbiamo sempre riferirci, alla quale dobbiamo tornare tutte le volte che dobbiamo compiere delle scelte. Tra i principi fondamentali della nostra Costituzione c’è scritto che chi nel suo Paese non gode delle libertà democratiche ha diritto di asilo in Italia. L’amore per la libertà che avevano i Costituenti, avendo provato cosa significava vivere sotto una dittatura, e il riconoscimento dell’importanza della dignità umana li spinse a prendere un impegno per tutti noi: quello di accogliere chi fugge da guerre e dittature. Su questi principi non esistono confini. E’ una lezione che dobbiamo tenere a mente soprattutto nei momenti difficili, come quello attuale, in cui siamo chiamati ad onorare quell’impegno.

Non possiamo negare di aver vissuto momenti di grande sconforto, momenti nei quali era forse legittimo dubitare della nostra capacità di tener fede alle speranze e alle ambizioni iscritte nella Costituzione. Nel corso dei decenni il popolo italiano ha dimostrato di saperla amare e difendere. Abbiamo continuato a camminare. Lo abbiamo fatto insieme, anche quando sembrava molto difficile, anche quando, almeno ad uno sguardo superficiale, le ragioni che ci dividevano sembravano più forti di quelle che ci tennero uniti: ogni volta che la nostra comunità è stata minacciata nel profondo abbiamo saputo riscoprire le nostre radici, ben salde nei valori e nei principi che hanno ispirato la Resistenza. La nostra Costituzione è una realtà, ma in parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno da completare.

Quanto lavoro ancora avranno da compiere le istituzioni! Quanto lavoro dovremo compiere tutti, tutti noi. E bisogna metterci dentro l’etica, l’impegno, la responsabilità, la volontà di realizzare questi programmi, questi ideali. Per questo una delle maggiori offese che si può fare oggi, in una ricorrenza come questa, è l’antipolitica, o ancora peggio l’indifferenza alla politica. Fa male sentire dire soprattutto a tanti giovani: “La politica è una brutta cosa“, “che me ne importa della politicaè così bello, è così comodo: la libertà c’è.” Attenzione, però, la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di soffocamento, di angoscia, di dolore, che le precedenti generazioni hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a tutti di non sentire mai più. Ma bisogna contribuire a creare le condizioni perché ciò non avvenga, ricordando che sulla libertà bisogna vigilare ogni giorno, dando il proprio contributo alla vita politica, attraverso la partecipazione e la solidarietà. Stiamo tutti insieme sulla stessa barca, se affonda affondiamo tutti.

Anche oggi ci sono tanti problemi: il lavoro, la corruzione, l’illegalità diffusa, l’impossibilità per molti dei nostri ragazzi di realizzare qui i propri sogni.

Il partigiano Carlo Azeglio Ciampi amava ripetere ai giovani che “l’Italia sarà ciò che voi saprete essere. Sta a voi far diventare questa nostra Patria più forte e più bella, quella Patria per la quale tanti dei miei compagni di gioventù hanno dato la vita. Nutrite speranze e progetti. Date libera espressione a quanto di nobile, di generoso, anima le vostre menti, i vostri cuori. Soprattutto, abbiate sempre dignità di voi stessi”. Mi sembrano le migliori parole per poter augurare a tutti noi di trovare sempre il coraggio di fare le scelte giuste.

Ma quanto sangue e quanto dolore per arrivare alla liberazione dal nazifascismo, a questa Repubblica democratica! Voliamo indietro col pensiero: Quanti partigiani caduti nelle montagne combattendo, quanti di loro e quanti civili imprigionati nelle carceri, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti per le strade di Milano, lo ricordo ancora, città medaglia d’oro della Resistenza. Ricordatelo, sempre, ciascuno di loro ha sofferto e sacrificato la vita affinché noi oggi potessimo godere della libertà e dei diritti riconosciuti, conquistati con la Costituzione, che si erge a testimone di tante sofferenze di vivi e della memoria di centinaia di migliaia di morti.

Viva Milano, Viva i partigiani, Viva l’Italia!

Festa della Liberazione 2017

Intervista rilasciata a Moked

“Il 25 Aprile non è solo un giorno di ricordo degli uomini e delle donne che rischiarono tutto per restituirci la libertà: è, anche e soprattutto, un monito, una fondamentale occasione per riflettere sul nostro presente e su come abbiamo intenzione di costruire il nostro domani”. Lo sottolinea in questa intervista al portale dell’ebraismo italiano www.moked.it il Presidente del Senato Pietro Grasso, la cui orazione aprirà il grande corteo in programma a Milano per la Festa della Liberazione. “Chiunque strumentalizzi per altri scopi questa giornata – afferma Grasso, con riferimento a chi infanga in queste ore la memoria della Brigata Ebraica – commette un grave errore perché nega la storia e la piega a interessi avulsi dallo spirito del 25 aprile”.

Presidente Grasso, cosa significa il 25 aprile per l’Italia? Quale lezione possiamo trarre dalle vicende che si ricordano in questa ricorrenza? 
Il 25 aprile 1945 si chiuse una delle pagine più oscure della nostra storia – la dittatura fascista, le leggi razziali, la guerra mondiale – e iniziò quella più luminosa con l’affermazione di principi e valori che pongono la dignità dell’uomo e la sua libertà al centro dell’azione delle nostre istituzioni repubblicane. Pochi mesi più tardi, in un’Italia ancora ferita e provata, i padri costituenti, pur venendo da tradizioni culturali diversissime e sostenendo idee politiche molto spesso antitetiche, riuscirono nel difficilissimo compito di scrivere le regole fondamentali della neonata Repubblica. Il 25 aprile non è quindi solo un giorno di ricordo degli uomini e delle donne che rischiarono tutto per restituirci la libertà: è, anche e soprattutto, un monito, una fondamentale occasione per riflettere sul nostro presente e su come abbiamo intenzione di costruire il nostro domani. Credo sia davvero importante non dimenticare le nostre radici, il travaglio e gli ideali dei partigiani che seppero fare, in un tempo così difficile, scelte radicali e dolorose unendosi nel comune obiettivo di riscattare la nostra nazione. Sarebbe davvero importante tenere a mente il loro esempio nella nostra quotidianità e tutte le volte nelle quali teniamo più in considerazioni le ragioni che ci dividono rispetto a quelle che ci uniscono.

Cosa vuol testimoniare con la sua partecipazione al corteo milanese? 
Sono stato magistrato per quarantatré anni e, per tutta la vita, ho servito le istituzioni repubblicane nate proprio da quello scatto di orgoglio ispirato dalla Resistenza; credo fermamente nei valori e nei principi scanditi nella nostra Costituzione, redatta dagli uomini e dalle donne protagonisti di quella straordinaria vicenda. È naturale quindi, per me, sentirmi a casa in una manifestazione di gioia, di ricordo e di impegno come quella che si terrà a Milano il 25 aprile. Da quando mi sono spostato in politica e sono stato eletto presidente del Senato sento ancora più forte l’esigenza di trasmettere la vicinanza delle istituzioni ai cittadini.

Da diversi anni ormai c’è chi, a Roma ma non soltanto, cerca di oscurare il ricordo delle pagine di coraggio scritte dai combattenti della Brigata ebraica. Cosa si sente di dire al riguardo? 
Il 25 aprile è la festa della Liberazione, di tutti gli uomini e di tutte le donne che parteciparono a quello straordinario risultato. Chiunque strumentalizzi per altri scopi questa giornata commette un grave errore perché nega la storia e la piega a interessi avulsi dallo spirito del 25 aprile. La Brigata Ebraica, una formazione militare composta da uomini provenienti da molte nazioni e inquadrata nell’esercito inglese, ha contribuito alla liberazione di alcune città: in provincia di Ravenna sono giustamente ricordati 45 suoi membri che morirono lì combattendo per liberare l’Italia dal nazifascismo. Per questa ragione credo che la Brigata debba essere considerata al pari di tutte le altre realtà della Resistenza. Ho apprezzato le recenti parole dell’Anpi nazionale e del Sindaco Sala che hanno ribadito con forza che l’assenza della Brigata Ebraica alle manifestazioni del 25 aprile sarebbe un inaccettabile attacco alla storia della Resistenza e al suo più intimo significato.

La memoria di quello che è stato, nel bene e nel male, è in pericolo? Quali rischi corre una società che dimentica il suo passato? 
Un Paese che dimentica il proprio passato è purtroppo condannato a riviverlo. Io credo moltissimo nel valore pedagogico della Memoria, nella trasmissione di fatti, storie e vicende che raccontano di errori da non ricommettere e di esempi da cui attingere nel nostro quotidiano. Osservo con preoccupazione la qualità e i toni del dibattito pubblico intorno ad alcuni temi fondamentali e alle grandi sfide del nostro tempo: penso al destino dell’Unione Europea, alla difficile gestione del fenomeno delle grandi migrazioni, alla crisi economica globale, alle guerre più o meno vicine. Dobbiamo scegliere se dare valore concreto agli ideali che animarono la Resistenza, sui quali abbiamo costruito la nostra Repubblica e pacificato il nostro continente o se sacrificarli in nome della paura e dell’interesse; dobbiamo scegliere se la vita sia ancora e sempre un bene non negoziabile, e la sua difesa un valore assoluto, oppure no. Se solo ricordassimo meglio il nostro passato, sapremmo quali principi sono inderogabili mentre elaboriamo la miglior soluzione per ciascuno di questi grandi problemi.

Recentemente lo Yad Vashem ha riconosciuto come ‘Giusto tra le nazioni’ l’esponente fiorentino del Partito liberale Renato Fantoni, che salvò dalle persecuzioni un illustre collega di partito: l’ebreo Eugenio Artom, futuro membro della Consulta nazionale e senatore della Repubblica. Un riconoscimento che nasce da alcune rivelazioni pubblicate alcuni anni fa sul nostro mensile Pagine Ebraiche. Una pagina riscoperta della nostra Resistenza. Possono, le singole vicende, aiutarci a recuperare un rapporto più forte e consapevole con il nostro passato? 
La storia della Resistenza si fa della narrazione delle vicende dei grandi protagonisti ma anche soprattutto di queste piccole ma straordinarie storie. È per questa ragione che lo studio e l’approfondimento del nostro passato non deve interrompersi e che ai più giovani deve essere sempre data l’opportunità di scoprirne il valore. Le azioni del liberale fiorentino – che avete avuto la bravura e la tenacia di far riemergere dall’oblio del tempo – ci aiutano a capire che ognuno, secondo le proprie possibilità e competenze, può contribuire a cambiare il mondo. Il Talmud dice che “chi salva una vita salva il mondo intero”: il coraggio di Renato Fantoni ne è una dimostrazione quanto mai viva e forte.

Incontro con sostenitori di #iostoconGabriele. Libertà di stampa valore irrinunciabile”

“La libertà di stampa è un valore irrinunciabile. Gabriele Del Grande stava rendendo un servizio alla collettività, documentando senza pregiudizi e con grande rispetto una realtà drammatica come quella della fuga dalle aree di guerra”.

E’ quanto ha dichiarato il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ricevendo oggi a Palazzo Madama i promotori della conferenza stampa organizzata dal Presidente della Commissione per i diritti umani, sen. Luigi Manconi, nell’ambito delle iniziative “#iostoconGabriele”.

Erano presenti Valerio Mastandrea, Concita De Gregorio, Andrea Segre, Rachele Masci, Daniele Vicari. “Seguo il fermo di Gabriele Del Grande in costante contatto con la Farnesina. E

‘ importante che il Ministro Alfano personalmente e il Ministero degli Esteri abbiano avviato un dialogo con le autorità turche. Ed è molto positivo che i funzionari del nostro Consolato a Smirne stiano lavorando per incontrare presto Gabriele”, ha affermato il Presidente Grasso, aggiungendo: “Io credo nelle nostre istituzioni. In questo momento bisogna lasciarle lavorare con fiducia, per favorire la positiva e rapida soluzione del caso”.

L’incontro si è concluso con una nota di speranza. “Un abbraccio a Gabriele. Lo aspetto presto in Senato”, ha detto il Presidente Grasso, affidando questo messaggio agli amici e ai colleghi di Del Grande.

Libertà di coscienza e di religione. Ragioni e proposte per un intervento legislativo

Presidente Amato, autorità, gentili ospiti,

  sono lieto di aprire i lavori di questa giornata, frutto dell’impegno della Fondazione Astrid che ringrazio per la sua capacità di fornire sempre importanti spunti di riflessione. Il seminario di oggi, articolato in due momenti, si propone di affrontare un tema centrale che tocca la vita di ciascun essere umano e, di conseguenza, quella della comunità alla quale appartiene: la libertà religiosa e di coscienza. C’è infatti un piano puramente personale, che ha a che fare con le parti più profonde dell’animo umano e i convincimenti più intimi di ogni individuo, e un piano pubblico, che invece costituisce la cornice entro la quale sviluppare le relazioni tra gruppi sociali, nell’ottica di una promozione della convivenza civile e pacifica e del mutuo riconoscimento. Tale osservazione pone in capo alle Istituzioni l’obbligo – politico prima ancora che etico e culturale – di interrogarsi, di riflettere, di agire per essere all’altezza di una sfida, quella del pluralismo religioso e culturale, che richiede realismo ma anche lungimiranza.

Come sappiamo, il nostro sistema è regolamentato da una legge del 1929, elaborata attorno alla logica della tolleranza piuttosto che sull’idea della libertà di culto: le norme di allora sono state nei fatti superate dalla nostra Costituzione, che codifica l’importanza di questo diritto richiamandolo in maniera esplicita sia nei principi fondamentali (art 2,3,7,8) sia nella Parte I (art. 19 e 20). C’è poi una ampia e ormai consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha tracciato un vero e proprio percorso interpretativo, anche alla luce del quadro normativo di riferimento fornito dall’evoluzione delle norme elaborate in seno alle Nazioni Unite, al Consiglio d’Europa e all’Unione europea.  Tutti questi testi proteggono in modo unitario la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, un complesso inscindibile che la Corte europea dei diritti dell’uomo considera una delle basi della società democratica, affermando che la libertà (cito una sentenza del 1993): “nella sua dimensione religiosa, figura fra i principali elementi dell’identità dei credenti e della loro concezione della vita, ma è un bene prezioso anche per gli atei, gli agnostici, gli scettici o gli indifferenti”.  Da ultimo, in questa e nella precedente Legislatura, il Parlamento ha approvato alcune intese con diverse confessioni come gli ortodossi, i buddisti e gli induisti, espressioni della nuova realtà multiculturale che caratterizza sempre di più l’Italia e ancora di più l’Europa. Il Ministro Minniti ha poi recentemente firmato un patto con le principali associazioni e organizzazioni di musulmani che rafforza un dialogo necessario e che, mi auguro, possa presto condurre ad una intesa.

Come ho già detto in passato, sono profondamente convinto che proprio a partire dalle diverse intese, che ricordo sono state licenziate nelle Commissioni in sede deliberante e quindi all’unanimità, si possa ricavare un complesso articolato di previsioni ampiamente condivise da utilizzare per una rapida e necessaria revisione della legge del 1929, allo scopo di garantire appieno i principi costituzionali in materia di libertà religiosa e di affrontare, in modo pragmatico e realistico, un tema complesso e tuttavia decisivo per lo sviluppo della società italiana ed europea di fronte alle sfide poste dal pluralismo religioso e culturale. In questo senso il vostro lavoro –  scaturito dall’incontro di un ampio gruppo di docenti universitari, di rappresentanti di associazioni e delle istituzioni – si è posto non solo l’obiettivo di dar nuovo vigore alla riflessione pubblica su questo tema ma anche quello, più ambizioso, di dare alla politica un testo-base dal quale far scaturire la propria azione. Sarà compito dei relatori illustrare le specificità di questa proposta, mettere in luce gli elementi di novità che si intende introdurre e la ratio che li ha guidati nell’elaborazione dell’articolato.  Sono sicuro che tali interventi sapranno essere preziosi e mi auguro possano essere accolti sia a livello governativo che parlamentare. Grazie e buon lavoro a tutti voi.

Industria 4.0. Investimenti, produttività e innovazione per il futuro delle imprese

Autorità, cari colleghi e amici, Signore e Signori,

ho accolto con molto piacere la proposta del Senatore Questore Antonio De Poli di ospitare nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani questo importante convegno sul tema di “Industria 4.0”. Trovo sia determinante che si tengano in Senato approfondimenti come questo, che non attengono alle contingenze della politica, che spesso suonano vuote ai cittadini e alle imprese, ma alla programmazione a medio-lungo termine del futuro del Paese, del suo tessuto sociale e produttivo e della sua posizione internazionale.

Il tema che affrontiamo questo pomeriggio ha davvero a che fare con il futuro. Noi siamo nel pieno di una quarta rivoluzione industriale, che prosegue quella avviata negli anni Settanta del secolo passato. Industria 4.0 è caratterizzata dall’uso del Web come catalizzatore di tecnologie innovative nella progettazione, produzione e distribuzione di prodotti ed è la frontiera più avanzata della rivoluzione robotica, l’automazione dei processi di produzione iniziata mezzo secolo fa con la graduale sostituzione del lavoro manuale nella manifattura con macchine molto sofisticate ma comunque sempre comandate e sorvegliate da esseri umani. Con Industria 4.0, l’automazione compie due rivoluzionari salti di qualità: sottrae ai lavoratori molte decisioni e funzioni di controllo per affidarle a robot di nuova generazione; e connette in tempo reale grazie al Web le diverse fasi del processo produttivo (ideazione, progettazione, manifattura, distribuzione, vendita), che così si possono svolgere in luoghi anche fisicamente molto distanti fra loro. Le tecnologie digitali, capaci di connettere dispositivi e oggetti tramite internet, consentono paradigmi produttivi finora impensabili. In ipotesi, il modello cui si potrebbe arrivare è quello della fabbrica senza operai, almeno in tutti quei settori nei quali il lavoro manuale non offra un plusvalore commerciale riconosciuto.

L’Italia non può sottrarsi a questa sfida della modernità condotta da Stati Uniti e Germania. Una sfida che impone una seria riflessione sulle conseguenze attese. Da una parte le imprese possono aspettarsi maggiore precisione e velocità produttive, minore dipendenza dalle variabili umane (ad esempio l’errore), più aderenza alle richieste dei mercati e, in definitiva, margini unitari più elevati. Dall’altra si devono immaginare impatti potenzialmente seri per il sistema imprenditoriale italiano nel suo complesso. L’industria, quella meccanica in particolare, ha assunto nel tempo la forma di una piramide: alla sommità si trovano i grandi gruppi che producono e vendono al consumatore; sotto, a diversi gradi di specializzazione, si collocano i fornitori, i migliori dei quali a loro volta sono in cima a piramidi di subfornitori. Lo schema di Industria 4.0 attribuisce alla grande impresa il ruolo di capocommessa che controllerà i fornitori prescelti al punto che questi diventeranno reparti staccati ed eventualmente de-localizzabili della grande fabbrica globale.

L’Italia è ai primi posti della meccanica nel mondo e ha una struttura industriale molto importante nella quale prevalgono piccole e medie imprese competitive in speciali nicchie della subfornitura globale. Queste imprese dovranno assimilare i nuovi modelli organizzativi, investendo grandi cifre in software e formazione e si dovranno attrezzare a relazionarsi con la clientela: la multinazionale committente nel caso della subfornitura, o la distribuzione, nel caso in cui siano più vicini al cliente finale. Per la formazione, sarà necessario un rapporto più intenso con le università ai fini del trasferimento tecnologico, e per gli investimenti servirà una vera disponibilità di credito e idonee misure di sostegno. A questo fine, il Governo ha predisposto una serie robusta di incentivi per facilitare un nuovo ciclo di investimenti da parte delle imprese e per rivitalizzare attraverso la digitalizzazione il settore manifatturiero. Sarà cruciale il ruolo delle poche grandi imprese italiane, fra cui quelle della cd. “Silicon Valley” siciliana, a testimonianza che anche al Sud del Paese si può fare impresa di successo se ci sono bravi imprenditori e manager. Anche le imprese medie e medio-grandi avranno un ruolo centrale nel trainare il preziosissimo mondo dei distretti industriali, dove si è nel tempo accumulato quel saper fare diffuso che è al cuore dell’innovazione che esprime l’Italia industriale.

Un altro aspetto cruciale è quello infrastrutturale. L’Italia ha un’infrastruttura di comunicazione insufficiente per le necessità di Industria 4.0: siamo quart’ultimi in Europa per lo sviluppo digitale, molto al di sotto della media europea; solo il 15% delle imprese italiane è raggiunto dalla banda ultra-larga, contro il 32% della media europea; solo l’11% delle aziende vende online i propri prodotti, contro una media UE del 20%. Non possiamo permetterci questo svantaggio competitivo: è dunque urgente mettere in opera i network della prossima generazione. Inoltre, è necessaria una rivoluzione culturale nella pubblica amministrazione che dovrà per forza imparare ad accompagnare la svolta digitale della nostra industria, come grande cliente e come centro di autorizzazione, trasformazione e investimenti. Le lentezze e le farraginosità burocratiche sono incompatibili con il futuro.

Mi avvio a concludere, affrontando il tema più importante: il lavoro. Occorrerà da un lato favorire la transizione verso un’occupazione qualificata e più adeguata alle nuove esigenze, dall’altro fronteggiare le conseguenze sul numero degli occupati e sulle retribuzioni. Nella prima direzione si dovrà rafforzare il ruolo formativo della scuola e dell’università, valorizzare le esperienze di alternanza scuola-lavoro e focalizzare la preparazione dei nostri studenti universitari verso le competenze che saranno indispensabili in Industria 4.0. Sarà anche necessario intraprendere una opera di formazione della forza lavoro attiva per elevare le competenze intermedie o basse e colmare le carenze informatiche presenti in larga parte dei lavoratori. I grandi rischi di carattere sociale e politico sono la riduzione dei posti di lavoro e delle ore lavorate e l’aumento delle diseguaglianze, sia in termini di retribuzioni sia per le prospettive di carriera, fra coloro che avranno le competenze richieste e chi non le avrà. In questo senso occorrerà indirizzare i lavoratori verso i settori della progettazione, dell’organizzazione, della logistica e della formazione. Servirà più in generale un grande lavoro per ripensare l’organizzazione sociale del Paese con la consapevolezza che l’Italia non può restare fuori da sviluppi che interesseranno l’intera umanità. Tutte le rivoluzioni umane, prima ancora di quella industriale, hanno comportato la radicale riconsiderazione della società ed è una responsabilità della politica programmare già da ora quello che avverrà nei prossimi decenni.

Industria 4.0 è una sfida ambiziosa, un processo che porta verso il futuro ma pone con forza il dovere delle istituzioni e della politica di tutelare i lavoratori più deboli. Ci attende l’impegno formidabile di pensare e costruire il futuro attraverso uno stretto dialogo con le parti sociali, nuove sinergie fra scuola, imprese, università e centri di ricerca, e soprattutto l’entusiasmo e la creatività dei nostri giovani. Mi complimento ancora con il Senatore De Poli per questa iniziativa e vi ringrazio.

 

Italia-Cina. La nuova via della seta

Caro Ambasciatore Li Ruiyu, caro Senatore Maran, presidente Casini, Autorità, Signore e Signori,

ho molto piacere di potere ospitare in Senato la conferenza stampa di presentazione dell’Istituto per la cultura cinese, nato dall’iniziativa congiunta del collega Maran e dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese in Italia per arricchire il dialogo fra i nostri due grandi Paesi in campo culturale e scientifico.

Italia e Cina sono da sempre emblema di Occidente e Oriente, accomunate da una storia antichissima di civiltà intrecciate che ha generato rispetto e affetto reciproci forti e sinceri. Nell’immaginario di ciascun italiano la Cina rappresenta una storia leggendaria. Da ragazzo, se mi è consentita una nota di carattere personale, rimasi letteralmente folgorato dai racconti di viaggio di Marco Polo nella sua famosa opera “Il Milione”: tanto ci apparivano meravigliose le cose che riferiva sulla cultura e organizzazione sociale cinese che si arrivò persino a dubitare che fosse mai stato in Cina, ma poi si accertò che non solo aveva visitato il grande Paese ma vi aveva rapporti molto stretti e vi godeva di un’elevata considerazione. Nel mio corso di un mio bellissimo viaggio in Cina, ho percepito con molta soddisfazione stima e rispetto da parte dei cinesi per quello che l’Italia ha dato nei millenni alla storia universale, al pensiero, all’arte, al diritto.

La ricchezza delle nostre origini comuni e dei nostri rapporti ci vincola ad un futuro insieme e gli strumenti che a questo fine saranno determinanti sono la cultura, il diritto, la cooperazione scientifica e, naturalmente, la cooperazione economica. La recente visita del Presidente Mattarella in quattro città cinesi ha segnato un nuovo capitolo nelle relazioni sino-italiane dopo un ciclo di incontri di alto livello nei due Paesi. Le relazioni fra i nostri Paesi stanno crescendo in qualità e quantità. Già nel corso della mia visita ufficiale del dicembre del 2015 si sono poste le basi per una determinante partecipazione italiana al progetto infrastrutturale lanciato nel 2013 dal Presidente Xi Jinping per una “nuova via della seta”, ribattezzato “una cintura, una via”. L’Italia sarà un anello fondamentale del grande programma ed è senza dubbio nella migliore posizione, geografica, culturale e storica, per agire da ponte fra la Cina e l’Europa. Questo nostro ruolo è accresciuto nel momento attuale, nel quale i cambiamenti che nel commercio mondiale si potrebbero determinare con le politiche della nuova amministrazione americana e il tramonto della Trans-Pacific Partnership, chiamano l’Unione europea ad una relazione economico-commerciale privilegiata con il partner cinese.

Accolgo dunque con molta soddisfazione l’iniziativa di questo Istituto per la cultura cinese e vi auguro ogni successo. Buon lavoro e grazie.

Rapporto 2017 sul Coordinamento della Finanza Pubblica

Autorità, Signore e Signori,

ospito in Senato anche quest’anno con piacere la presentazione del Rapporto della Corte dei Conti sul coordinamento della finanza pubblica. Ringrazio il Presidente Martucci di Scarfizzi, i magistrati, il personale amministrativo e i collaboratori della Corte che hanno contribuito alla stesura del documento: un consolidato punto di riferimento tecnico per le istituzioni della Repubblica per conoscere, per valutare e programmare. Nel contesto attuale di scarsa disponibilità di risorse pubbliche, la coerenza fra spesa e politiche pubbliche e i risultati conseguiti è prioritaria e sono quindi convinto che la sinergia fra il Parlamento e la Corte dei conti debba rafforzarsi ulteriormente nell’interesse di un’allocazione delle risorse pubbliche più equa ed efficace. Il Parlamento, per espletare le funzioni di indirizzo e controllo della finanza pubblica e quelle legislative, deve poter disporre di strumenti di informazione e di analisi qualificati e autonomi. Sotto questo profilo, insieme alla Corte, è centrale l’Ufficio parlamentare di bilancio, che ci offre elementi di analisi sugli andamenti finanziari e macro-economici necessari per intervenire non solo nella fase di approvazione del bilancio, ma anche nella verifica delle stime che il Governo utilizza per predisporre i diversi strumenti contabili.

Entrando nel merito del Rapporto, mi sembrano di particolare interesse i casi di studio esaminati dell’istruzione universitaria, del trasporto pubblico locale e dello spettacolo, settori caratterizzati da un’elevata dipendenza dalle risorse statali e un elevato grado di autonomia di spesa. Si tratta di ambiti rispetto ai quali Governo e Parlamento hanno introdotto negli ultimi anni disposizioni di indirizzo, vigilanza e controllo a seguito della crisi economica e dei rigorosi vincoli di finanza pubblica. Nei casi esaminati emerge l’importanza delle varie misure introdotte, in particolare dell’effettiva valutazione dei risultati, anche se ciò ha indubbiamente inciso su taluni margini di autonomia. Risulta anche l’esigenza di affinare meccanismi ancora imperfetti che incidono sulla qualità dei servizi resi ai cittadini. Molto interessanti anche le analisi che riguardano il sistema della finanza territoriale, nel quale è segnalata una complessiva crescita degli investimenti e un migliore impiego delle risorse europee, ancora però insufficiente; quelle sul settore sanitario, influenzato dal progressivo invecchiamento della popolazione; e quelle sul partenariato pubblico-privato.

A proposito delle analisi sulla spesa per la previdenza, mi sembra che emerga la necessità di coniugare la sostenibilità complessiva del sistema con la piena sostenibilità sociale, in termini di adeguatezza dei trattamenti pensionistici futuri. Circa l’assistenza sociale, il Rapporto richiama i positivi sviluppi che hanno condotto, negli anni, alla concentrazione delle risorse per il sostegno alla povertà, culminato nella recente approvazione della legge sul Reddito di inserimento. Io non mi stanco di ripetere che la riduzione delle diseguaglianze è il nostro primario obiettivo politico, perché il divario economico fra i cittadini danneggia la coesione sociale, determina inaccettabili marginalizzazioni e così aumenta le aree di vulnerabilità alla radicalizzazione ideologica e al delitto.

Complessivamente, mi sembra che il Rapporto metta in evidenza alcune sfide centrali per le istituzioni pubbliche. Innanzitutto occorre proseguire con molta determinazione sulla via dell’equilibrio dei conti pubblici, attraverso forme di intelligente razionalizzazione della spesa pubblica. In questo ambito l’attività di coordinamento della finanza pubblica svolta dallo Stato, anche attraverso il controllo assicurato dalla Corte dei Conti, è irrinunciabile. Una politica di solo rigore non è però né sufficiente, né desiderabile. È necessario puntare sulla crescita dell’economia che implica, in un contesto di ristrettezze economiche, una riqualificazione della spesa pubblica e l’adozione di misure in grado di attrarre investimenti privati, con il superamento delle tante rigidità esistenti e delle normative farraginose. Questo deve avvenire in un contesto di legalità e nel rispetto delle regole che anche la magistratura contabile, per gli aspetti di propria competenza, è chiamata a far rispettare. La seconda grande sfida è adottare le scelte di finanza pubblica sulla base dell’equità sociale e dei diritti dei cittadini, superando per sempre logiche emergenziali basate su meri tagli lineari alla spesa pubblica, favorendo invece interventi mirati a contrastare gli sprechi. Sono linee di indirizzo che devono tenere ben presenti non solo le istituzioni dell’Esecutivo ma anche il Parlamento, che ha il dovere di elaborare le norme in modo coerente alla realizzazione degli obiettivi pubblici.

Concludo ringraziando la Corte dei Conti e sottolineando l’essenzialità del lavoro che svolge rispetto al nostro comune dovere di sostenere i diritti, le speranze e le ambizioni dei cittadini, perché nessuno sia lasciato indietro e sia restituita ai più giovani piena fiducia nel futuro. In questo senso, garantire una gestione equilibrata ed equa delle risorse pubbliche è la premessa per la crescita e l’occupazione e per rafforzare la posizione internazionale del Paese, al quale le crisi geopolitiche dell’Europa e del Mediterraneo attribuiscono una rinnovata, importante responsabilità cui noi non ci sottrarremo. Grazie.