Convenzione di Palermo e lotta alle mafie internazionali: il ruolo dell’Italia

Discorso di apertura al convegno del 10 giugno presso il CSM

Autorità, colleghi, cari amici,

Con molto piacere ho accolto l’invito del Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura Michele Vietti e della Presidente Maria Falcone ad aprire questo incontro, un’occasione importante per riflettere sullo stato a livello globale della lotta alla criminalità organizzata transnazionale e il ruolo della Convenzione sottoscritta a Palermo nel 2000.

Alla Convenzione sono legato personalmente per diverse ragioni. Da Procuratore della Repubblica a Palermo partecipai ai lavori preparatori e da Procuratore Nazionale Antimafia ho avuto poi modo di parlare della Convenzione in paesi di ogni continente, come anche alle Nazioni Unite, a New York e a Vienna, rappresentando la validità dell’esperienza italiana contro le mafie che è in buona misura riflessa nella Convenzione. Come il Segretario Generale Ban Ki Moon mi ha ricordato in un recente incontro, proprio questo strumento convenzionale, che segna uno spartiacque nell’impegno internazionale, deve moltissimo alle indagini e alle intuizioni di Falcone. Giovanni fu il primo a comprendere la dimensione transnazionale delle organizzazioni criminali e la necessità di approntare risposte condivise globalmente: “non è importante quale forza di polizia arresta un latitante o sequestra dei beni e in quale parte del mondo, è solo importante che questo avvenga”, era solito ripetere.

L’osservazione del sistema mondiale dimostra quanto sia divenuta pervasiva e drammatica l’influenza delle organizzazioni criminali transnazionali sugli equilibri economici, di sicurezza e geopolitici del sistema mondiale. America Latina, Africa Occidentale, Asia, Caucaso, Balcani, Grande Mediterraneo sono fra le principali linee del fronte, dove si indebolisce la forza delle istituzioni e le mafie minacciano l’economia, la politica, la democrazia e la stabilità internazionale. Le mafie sono ormai attori geopolitici al pari degli Stati. Da una parte, si lasciano guidare nella ricerca del profitto dai fattori geopolitici, attente a valutarne e a servirsi di ogni mutamento e tendenza; e allo stesso tempo agiscono nell’arena mondiale da detentori di potere internazionale (di carattere militare, politico, economico, culturale, sociale) producendo in via diretta o indiretta processi di natura geopolitica. Così determinano conflitti, controllano territori, ridisegnano confini, tengono in vita oppure soffocano economie di intere nazioni. E la recessione economica degli ultimi anni ha ulteriormente consolidato il potere criminale, nella sostanziale inazione della comunità internazionale.

La grande debolezza dell’azione dei poteri istituzionali nel confrontare questi fenomeni risiede nella pretesa dei governi di risolvere da soli e comunque alle proprie condizioni questioni che un’azione congiunta soltanto permette di affrontare con efficacia strategica. Gli Stati sono rallentati da meccanismi farraginosi e faticano a cooperare fra loro, in una assurda ridda di frontiere giuridiche, approcci eterogenei, blocchi geopolitici. Invece le strategie delle organizzazioni criminali transnazionali hanno carattere genuinamente globale e sono favorite da grandi vantaggi competitivi: capacità di accedere e di elaborare informazioni riservate, rapidi meccanismi decisionali ed attuativi, una rete di collaborazione internazionale che pragmaticamente prescinde da schermi nazionalistici, etnici e politici.

Per questa ragione a undici anni dall’entrata in vigore della Convenzione di Palermo, io continuo a credere che in essa possa risiedere una delle chiavi per tutelare il futuro delle nostre società e della comunità internazionale. Le potenzialità di questo strumento internazionale sono però ancora largamente inattuate. Dalle mie missioni nel mondo e dallo studio delle analisi di singoli paesi ho tratto la certezza – e vi confesso anche con un senso di frustrazione – che molti Stati che hanno ratificato la Convenzione non hanno allineato la propria legislazione alla Convenzione e tanti altri che formalmente hanno adattato le norme, non ne hanno curato l’attuazione.

Per questo ho sostenuto e continuo a sostenere che sia necessario verificare lo stato effettivo di attuazione  della Convenzione e dei suoi tre Protocolli soprattutto negli stati più deboli colpiti dal fenomeno criminale, nei quali è spesso gravemente in pericolo la sopravvivenza dello stesso stato di diritto e della democrazia sostanziale. Dopo il risultato deludente della VI Conferenza degli Stati Parte di due anni fa il mio forte auspicio è che all’appuntamento del prossimo mese di ottobre prevalga il buon senso e si approvi, analogamente a quanto avviene per la Convenzione di Merida sulla corruzione, una procedura di verifica e una serie di strumenti di assistenza tecnica per sostenere gli stati più in difficoltà. E a questo proposito voglio ringraziare l’Ambasciatore presso le Nazioni Unite a Vienna, Filippo Formica, per l’impegno con cui sostiene queste posizioni. Sono fermamente convinto che la sfida alle mafie sia una battaglia vitale, per la sopravvivenza di quei principi e dei valori fondanti della civiltà italiana, dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite. E credo che con questo impegno si possa rilanciare, anche approfittando del prossimo semestre di presidenza europea, la posizione dell’Italia nel mondo, ricordando e onorando coloro che, come Falcone e tanti altri, hanno sacrificato la loro vita per la giustizia,  per la nostra libertà  e per il futuro dei nostri giovani.

Grazie.