Caso Diciotti, la libertà personale è preminente su qualsiasi fine politico

Discorso del 19 marzo 2019 sull’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro Salvini sul “Caso Diciotti”

Onorevoli colleghi, il Tribunale dei Ministri di Catania ha ravvisato nei fatti del “Caso Diciotti” un’ipotesi di reato, e su quella chiede a quest’Aula se autorizzare o meno il procedimento penale nei confronti del Ministro Salvini. Le conclusioni della Relazione di maggioranza presentano, a mio avviso, errori di valutazione e costituiscono un precedente che – a vantaggio di tutti – è bene che non si crei.

Il delitto contestato è il sequestro di persona aggravato. L’articolo 605 del codice penale protegge, ai sensi degli articoli 2 e 13 della Costituzione, come diritto inviolabile della persona, la libertà personale, che non può sopportare alcuna restrizione se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria, e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In particolare i giudici ritengono che il Ministro Salvini abbia commesso un sequestro di persona ai danni dei naufraghi della “Diciotti”, con l’ordine impartito verbalmente di non farli sbarcare, violando le normative internazionali e nazionali in materia di salvataggio in mare, più ampiamente citate nella mia relazione scritta: da tale quadro normativo emerge chiaramente l’obbligo dello Stato italiano di soccorrere le persone in pericolo in mare e di completare il coordinamento dell’evento con l’indicazione di un luogo sicuro, o di una località sulla terraferma dove le operazioni di soccorso si considerino concluse.

Nella sua relazione il Presidente Gasparri ha svolto, a sostegno del diniego di autorizzazione, delle argomentazioni del tutto infondate per giustificare il perseguimento di un preminente interesse pubblico.

Non vi erano nel “Caso Diciotti” i presupposti di alcuna controversia internazionale, e comunque un eventuale contenzioso fra l’Italia e Malta avrebbe dovuto essere trattato secondo le norme e le consuetudini, ad esempio, attraverso un arbitrato o la Corte internazionale di giustizia. Non risulta che l’Italia abbia intrapreso alcuna di queste iniziative.

In realtà, le autorità italiane chiedono ai Paesi membri dell’Unione europea di attuare una redistribuzione dei migranti a bordo della “Diciotti”. La relazione del Presidente Gasparri individua proprio questo come l’obiettivo perseguito dal Governo. Il tentativo di superare il Regolamento di Dublino a favore di politiche che prevedano logiche diverse di distribuzione a livello europeo dei migranti è condivisibile e legittimo; trattenere esseri umani a bordo di una nave italiana per fare pressione politica sull’Europa al fine di cambiare i regolamenti è invece del tutto illegittimo.

La prova dell’intento di strumentalizzare il”Caso Diciotti” è data dal fatto che i contatti iniziarono ancor prima che la nave fosse ormeggiata a Catania, sin dal 16 agosto, per ottenere in modo forzoso la “volontaria” redistribuzione, senza peraltro riuscirci. Solo il 25 agosto, quando si acquisisce la disponibilità dell’Albania, dell’Irlanda e della CEI, veniva data l’autorizzazione allo sbarco. Risulta quindi dagli atti, in maniera incontrovertibile, che l’ordine di non far sbarcare i naufraghi sia stato emesso per esercitare una pressione nei confronti degli altri Stati dell’Unione europea. Una forza di coazione morale che potrebbe arrivare a configurare il reato di sequestro di persona a scopo di coazione, previsto dall’articolo 289-ter del codice penale.

Diversamente dal Presidente Gasparri, che la qualifica come preminente interesse pubblico, il Ministro Salvini utilizza, nella sua memoria difensiva, proprio la tesi (già smentita) della controversia internazionale per giustificare la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante.

Come può farlo quando proprio attraverso il comportamento del Ministro si sono violati gli obblighi internazionali, che assumono un rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna, ai sensi degli articoli 2, 10, 11 e 117 della Carta costituzionale?

Anche ammettendo la tesi della controversia, rimane il fatto che l’Italia era la titolare dell’evento SAR e doveva portare a compimento le operazioni proprio con l’indicazione del “posto sicuro” e il conseguente sbarco. Il diniego del rilascio del POS (e il conseguente divieto di sbarco) non si può configurare, pertanto, come atto politico in senso stretto, ma piuttosto come una omissione che interrompe una procedura amministrativa, posta in essere dal Ministro Salvini sulla scorta di valutazioni e finalità politiche. Il Ministro non avrebbe pertanto dovuto né potuto interferire nelle determinazioni del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, se non per gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica rientranti nelle sue funzioni. Eppure lo fece: senza alcun atto scritto, senza nessuna palese motivazione ed in assenza di qualsiasi emergenza di sicurezza nazionale o di infiltrazione terroristica.

Perché lo ha fatto e cosa lo ha spinto ad autorizzare lo sbarco solo il 25 agosto, dopo ben dieci giorni dal salvataggio? L’obiettivo, fallito miseramente, era sin dal principio quello di mostrare i muscoli in Europa per affermare la svolta politica in materia di gestione dei flussi migratori. I diritti fondamentali delle persone riconosciuti dall’ordinamento possono essere limitati, però, solo se lo impongano esigenze insopprimibili di rango costituzionale e non quale forma di strategia politica, per di più di medio-lungo termine.

Sulla natura ministeriale del reato il relatore Gasparri propone una tesi bizzarra e priva di precedenti giurisprudenziali che contrasta frontalmente con l’intero corpus normativo. Perché un reato possa qualificarsi come “ministeriale” devono verificarsi due circostanze: l’autore del reato nel momento in cui questo è commesso deve essere un membro del Governo; deve sussistere un rapporto di connessione tra la condotta che configura l’illecito e le funzioni esercitate dal Ministro. E’ quindi paradossale sostenere che la configurazione di ministerialità di un reato si arresti alle soglie della lesione dei diritti fondamentali quando il bene protetto dalla norma che si assume violata è proprio uno di quei diritti (la libertà personale).

Non si può giustificare che, per un fine politico, un membro del Governo possa privare qualcuno della propria libertà personale, o della libertà di circolazione, per un tempo apprezzabile anche se non in maniera irreversibile, senza affrontare un processo.

La tesi del relatore sembra motivata più da opportunismo dialettico-politico che da motivazioni giuridiche, alle quali il Senato deve invece rigorosamente attenersi. Spetta all’Aula, in difesa del principio della separazione dei poteri, valutare se la condotta del Ministro che in astratto configura reato (se lo sia in concreto è prerogativa del potere giudiziario deciderlo) sia giustificata da un interesse pubblico di rango costituzionale preminente, vale a dire prevalente su quello violato dalla condotta.
E questo non è il caso, perché si è dimostrato ampiamente che l’interesse alla sicurezza delle frontiere che si è inteso tutelare non entra affatto in gioco quando la scelta è se fare sbarcare da una nave militare italiana – territorio dello Stato – 177 disperati e non invece cannoneggiare l’invasore che stia sbarcando sulle nostre coste con carri armati e artiglierie.

I rischi connessi ad una erronea valutazione da parte del Senato sono altissimi.
Si sarebbero fatte le stesse valutazioni se il caso di specie non fosse relativo ad alcuni cittadini stranieri su una nave ma ad una scuola piena di studenti? Sottrarre il Ministro Salvini al giudizio della magistratura – “al giudizio”, non alla condanna – rischia di trasformarsi in un precedente pericolosissimo. Non sappiamo, non possiamo sapere, chi e per quale finalità in futuro utilizzerà questo precedente, che genera una sostanziale immunità, per giustificare azioni simili o addirittura peggiori.

La libertà personale, ribadisco, è un diritto inviolabile, e come tale preminente rispetto a qualsiasi fine politico.

Per questi motivi, qui solo accennati ma trattati ampiamente nella relazione, invito i colleghi senatori a concedere l’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro Salvini.