Caso Diciotti, rischio altissimo per il futuro

Intervento in replica, durante la discussione del 20 marzo 2019 sul “Caso Diciotti”

Signor Presidente, colleghi, Governo, il senatore Salvini ha parlato alle mie spalle e adesso lo rivedo davanti, come Ministro, sui banchi del Governo, anche se è qui proprio per un reato ministeriale, quindi forse sarebbe stato meglio se fosse rimasto al suo posto, al Governo. Comunque abbiamo apprezzato questa partecipazione ai lavori dell’Assemblea.

Non v’è dubbio che il ministro Salvini abbia deliberatamente operato la scelta di perseguire gli obiettivi del Governo in spregio dei diritti dei 177 naufraghi a bordo della Diciotti: più ministeriale di così! Era necessario questo sacrificio in nome di un preminente, insopprimibile interesse pubblico? La risposta è no.

Pur riconoscendo il più ampio grado di autonomia del Governo nella determinazione della propria azione e dei mezzi necessari per assolverla, è evidente che essa sia sempre e comunque subordinata al preminente interesse pubblico, che si sostanzia nel rispetto della Costituzione e dei suoi principi fondamentali. L’adesione concreta e quotidiana al dettato costituzionale rappresenta un obbligo giuridico, politico nonché morale di ogni cittadino e, in particolare, di chi serve le istituzioni. Nessuna delle tesi a difesa dell’operato del Ministro, a mio avviso, appare fondata.

Ci ha detto che c’è un solo morto nel 2019. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, nel 2019 i morti sono 153: evidentemente al Ministero non arrivano questi dati. La percentuale di morti è passata dal 3,4 per cento del 2018, all’11,5 per cento del 2019. Insomma, la traversata non è mai stata così pericolosa come oggi e questi sono dati incontrovertibili.

Inoltre, si è parlato di controversia internazionale: mi sembra si dia un’enfasi eccessiva al problema con Malta. È vero che il comportamento di Malta è stato esecrabile sotto tutti i punti di vista e anche da un punto di vista morale, ma non si trattava di una controversia internazionale. Si trattava di far rispettare quello che il presidente Conte era riuscito a ottenere in una precedente riunione del Consiglio europeo, ovvero l’adesione volontaria nella redistribuzione dei migranti. Ciò emerge dagli atti, ma anche dalle ammissioni dello stesso ministro Salvini. L’ordine di non far sbarcare i naufraghi è stato emesso per esercitare una pressione nei confronti degli altri Stati dell’Unione europea, che avrebbero dovuto volontariamente assumersi la ripartizione dei migranti. È evidente quindi l’intento di strumentalizzare il caso Diciotti, ben prima dell’attracco a Catania, per ottenere in modo forzoso quella che doveva essere una volontaria adesione degli altri Paesi dell’Unione europea.

Il tentativo di superare il Regolamento di Dublino a favore di politiche che prevedono logiche diverse di distribuzione a livello europeo dei migranti è certamente condivisibile e legittimo, ne siamo perfettamente consapevoli e sposiamo integralmente questa politica a livello europeo. Fare pressione politica sull’Europa o, più correttamente, coazione morale, al fine di cambiare i regolamenti – perché è il Regolamento di Dublino che dovete cercare di cambiare a livello europeo – trattenendo esseri umani a bordo di una nave italiana, è invece del tutto illegittimo.

Altre tesi illustrate dal relatore non trovano la nostra condivisione. Non la trova certamente quella secondo cui l’imbarcazione possa essere considerata come luogo sicuro, perché sono stati sequestrati dei naufraghi oltre il tempo strettamente necessario per procedere allo sbarco sulla terraferma, dove deve completarsi la procedura di salvataggio in mare. Questa è un’evidente violazione delle convenzioni internazionali, che costituiscono norme di rango primario e di rilevante interesse costituzionale, in virtù degli articoli 2, 10, 11 e 117 della Costituzione.

È stato detto che essi venivano rifocillati, curati e assistiti. Dunque, signor Ministro, possiamo dire che la crociera è finita, così come la pacchia. Non è nemmeno accoglibile la tesi che vede nella libera circolazione, invece che nella libertà personale, il diritto compresso. La libertà personale è solennemente riconosciuta e protetta dall’articolo 13 della Costituzione; la libertà di circolazione è ugualmente prevista dall’articolo 16 della Costituzione e nessuna prova dei motivi di sanità e di sicurezza che l’avrebbero potuta limitare è stata prodotta. La nostra Costituzione prevede anche che «Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche» mentre è stato proprio il Ministro a motivare la sua azione con ragioni politiche, ponendosi quindi, di fatto, anche volendo assumere la tesi della compressione della libertà di circolazione, al di fuori dell’articolo 16 della Costituzione.

È dunque palese come anche nella ricostruzione del relatore vi sia una totale confusione tra il diritto all’immediato sbarco dei naufraghi e le obbligatorie procedure di identificazione, ovvero una fase successiva, concernente la gestione a terra dei migranti. Essi diventano migranti, ma prima sono naufraghi che devono sbarcare. Quelle del ministro Salvini appaiono anche giustificazioni deboli, al punto che, nemmeno nella prima parte della sua relazione, il relatore ha ritenuto di tenerne conto. Forse le conseguenze non erano chiare nemmeno al diretto interessato, come dimostra la differenza, per esempio, tra la baldanza con cui ha aperto le comunicazioni giudiziarie del tribunale, in diretta su Facebook, e la compostezza giuridica della lettera al “Corriere della sera”, con cui, con una sorprendente giravolta, è passato dal «processatemi pure» al «chiedo al Senato di salvarmi dal processo».

Ulteriori giustificazioni riguardano la tutela dell’ordine pubblico e la difesa dei confini, ma basta ricordare che i naufraghi erano già in territorio italiano. Signor Ministro, l’articolo 4 del codice penale stabilisce che le navi italiane sono considerate come territorio dello Stato italiano. Ciò vale, incontrovertibilmente, per ogni imbarcazione battente bandiera italiana, figuriamoci per una nave militare come la Diciotti.

Inoltre, come potevano rappresentare un pericolo per l’ordine pubblico delle persone inermi, fortemente provate da giorni e giorni di navigazione, in fuga da guerre, stupri e violenze, sotto sorveglianza armata della nostra Marina militare e che non potevano scappare? Ricordo, infatti, che state poste le vedette intorno alla nave Diciotti e organizzata la vigilanza armata sulla nave.

Si è detto poi che c’erano infiltrazioni di tipo terroristico. Pur condividendo la preoccupazione in via generale, non si può non rilevare che nel caso specifico si trattava di 177 naufraghi in custodia delle autorità italiane, quasi totalmente provenienti dall’Eritrea, cioè da un Paese per il quale si prefigura l’accoglimento di eventuale richieste di protezione internazionale. Né l’autorità giudiziaria, né gli organi competenti antiterrorismo, né i servizi segreti che sono stati evocati hanno ravvisato un pericolo concreto di infiltrazione terroristica sulla Diciotti. Diciamo che le persone sono state tutte identificate già a bordo e i dati sono stati trasmessi dalla procura di Agrigento agli organi polizia e non è stato rilevato alcunché addirittura nella fase preliminare. Davvero si vuole giustificare il sequestro con questa motivazione? E allora perché i naufraghi, poco dopo lo sbarco, sono potuti fuggire? Abbiamo affidato a Paesi che si erano offerti per l’accoglienza dei probabili terroristi? Anche alla Conferenza episcopale italiana abbiamo dato dei terroristi?

Infine, le argomentazioni del relatore in merito alla valenza governativa del cosiddetto caso Diciotti sono in aperto contrasto con la memoria difensiva. Il presidente Gasparri ha spostato l’intera titolarità delle azioni e delle politiche del Governo sul presidente del Consiglio Conte, ma sappiamo che ogni Ministro è individualmente responsabile degli atti del proprio Dicastero.

Mi riprometto in sede di dichiarazione di voto di svolgere ulteriori argomentazioni. Tuttavia, il ministro Salvini non ha risposto a una domanda essenziale: quale preminente interesse pubblico non si sarebbe tutelato se i 177 naufraghi fossero sbarcati e avessero atteso, presso gli hotspot, la decisione degli altri Paesi dell’Unione europea circa la volontaria accoglienza dei migranti? Non abbiamo avuto risposta. Potevano stare a terra e non restare nella nave.

Diciamo che la legge 3 agosto 2007, n. 124, in tema di servizi segreti, ha stabilito che compiere azioni dirette a mettere in pericolo o a ledere la vita, l’integrità fisica e la libertà personale non è consentito nemmeno in nome del supremo interesse pubblico della sicurezza nazionale. Il crinale su cui ci si sta muovendo è dunque molto pericoloso.
Per questi motivi, il Ministro non si dovrebbe sottrarre al giudizio della magistratura (si badi bene: al giudizio, non alla condanna).