Caso Diciotti, anche i ministri devono rispettare la legge

Dichiarazione di voto del 20 marzo 2019, sull’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro Salvini per il “Caso Diciotti”

Come tutti i cittadini, anche i Ministri, se nell’esercizio delle loro funzioni commettono dei reati, devono risponderne davanti alla giustizia, quali che siano le motivazioni politiche a fondamento delle loro azioni. L’unico caso in cui è possibile evitare il processo è che il Parlamento, con giudizio insindacabile, ritenga di non concedere l’autorizzazione a procedere. Vale per tutti i Ministri di qualsiasi Governo, attuale e futuro: occorre tenerlo bene a mente.

In questo caso il diniego dell’autorizzazione a procedere aprirebbe a pericolose derive autoritarie, per evitare le quali i costituenti hanno posto sin nei primi articoli gli irrinunciabili principi di inviolabilità dei diritti umani. Se qualunque Ministro fosse autorizzato a violare impunemente la legge con atti di natura politica, senza che la magistratura possa sottoporlo a giudizio, si darebbe luogo ad un pericoloso precedente: il rischio più grande sarebbe quello di fornire, in futuro, una giustificazione a qualunque crimine in nome di un fine politico.

Il delicato compito del Senato attiene squisitamente a un giudizio sui mezzi usati e sui fini che si volevano perseguire; a un saggio e approfondito contemperamento tra i beni protetti dalle norme violate e i mezzi usati dal Ministro per attuare la politica del suo Governo.

Il Ministro Salvini ha certamente posto in essere un comportamento in violazione delle norme internazionali e nazionali e ha, secondo il Tribunale dei Ministri di Catania, abusato delle funzioni attribuite al Ministero dell’Interno ponendo arbitrariamente il proprio veto all’indicazione del POS, determinando così la permanenza forzosa dei naufraghi a bordo della “Diciotti”, con conseguente illegittima privazione della loro libertà personale per un arco temporale giuridicamente apprezzabile e al di fuori dei casi consentiti dalla legge.

Le ragioni che hanno determinato il sequestro esulano da valutazioni di tipo tecnico. L’ordine è stato infatti dato per ragioni connesse alle trattative in corso in sede europea: quasi un sequestro a scopo di coazione, così come configurato dall’articolo 289-ter, che prevede una pena da 25 a 30 anni. Un grande Paese non usa come ostaggi per una trattativa internazionale una nave militare, il suo equipaggio e i naufraghi salvati.

Non c’è alcun dubbio che il comportamento di Malta sia stato esecrabile ma non risulta che l’Italia abbia sollevato nelle sedi opportune alcuna controversia internazionale. Non c’è alcun dubbio che la sicurezza del Paese debba essere una priorità, ma nel caso specifico non risulta alcuna minaccia all’ordine pubblico o alla sicurezza, come dimostra il fatto che nessun provvedimento amministrativo o giudiziario sia stato emesso nei confronti dei naufraghi una volta scesi a terra.

Quale emergenza, quale catastrofe, si sarebbe abbattuta sul nostro Paese? Quale preminente interesse pubblico non si sarebbe tutelato se i 177 naufraghi fossero sbarcati e avessero atteso presso gli hotspot le decisioni degli altri paesi dell’Unione europea? Quale articolo della Costituzione autorizzava il Ministro Salvini ad impedire lo sbarco? Nessuno, la Costituzione al contrario, agli articoli 2 e 10, difende i diritti fondamentali irrinunciabili.

Non vi è dubbio che il Ministro abbia agito al di fuori delle finalità proprie dell’esercizio del potere conferitogli dalla legge, in quanto le scelte politiche non possono ridurre la portata degli obblighi degli Stati di garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco dei naufraghi in un luogo sicuro: obblighi che derivano da convenzioni internazionali e costituiscono una precisa limitazione alla potestà legislativa dello Stato in base agli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione. Anche le sentenze della Corte costituzionale hanno evidenziato come la discrezionalità politica nella gestione dei fenomeni migratori non possa entrare in contrasto con la Costituzione e i Trattati internazionali.

Ne consegue che la decisione del Ministro non solo non trova alcuna giustificazione ma contrasta apertamente con la tutela degli interessi costituzionalmente rilevanti. Ogni espressione di indirizzo politico e di governo non può, infatti, avere capacità lesiva di situazioni soggettive individuali, dovendo sottostare al “principio supremo di legalità” e avendo il suo contrappeso principe nella Costituzione e nei diritti inviolabili in essa indicati, tra cui spicca il diritto alla libertà personale.

Il “preminente interesse pubblico” è in qualche modo assimilabile al concetto di “ragion di Stato” che trova, giustamente, il suo limite nella garanzia dei diritti inviolabili della persona umana. Su questo aspetto è illuminante l’articolo 17 della legge n. 124 del 2007 sui Servizi di informazione per la sicurezza della Repubblica, secondo il quale non può essere autorizzata né giustificata la condotta prevista dalla legge come un reato diretto a mettere in pericolo la vita, l’integrità fisica, la libertà personale di una o più persone neanche per la difesa della sicurezza nazionale.

Gli obiettivi di contrastare il traffico di esseri umani e di condividere le responsabilità con gli altri Paesi europei sono legittimi ma non sfuggirà che ciò che rileva in questa sede è solo la modalità attraverso la quale il Ministro dell’Interno abbia inteso realizzarli. Qualora egli avesse voluto sollevare il tema dell’equa ripartizione dei migranti in ciascun Paese europeo avrebbe potuto e dovuto farlo nelle sedi opportune, dopo averli fatti sbarcare così come prevedono le convenzioni internazionali.

L’individuazione del POS è affidata al Ministero dell’Interno e non al Governo; l’omissione di quell’atto è stata una precisa responsabilità personale del Ministro. A nulla, se non a giustificare all’esterno il voto di oggi, rilevano le successive prese di posizione del Presidente Conte e dei Ministri Di Maio e Toninelli. I fatti e i comportamenti del Ministro Salvini sono stati valutati da più magistrati. Il Tribunale dei Ministri di Catania ha ritenuto di individuare una ipotesi di reato e correttamente si è fermato, rivolgendosi al Senato: sta a noi decidere non se il Ministro sia colpevole o innocente, ma se debba o meno essere sottoposto al giudizio della magistratura.

Bisogna quindi concentrarsi su due profili: il primo è quello della rilevanza, il secondo quello della preminenza. Il legislatore costituzionale sembra con questi aggettivi suggerire che il bilanciamento dei valori in gioco ai fini della concessione o del diniego dell’autorizzazione debba risolversi a favore della tutela dei più alti valori del nostro Stato. E quali sono i più alti valori della nostra Carta costituzionale se non il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo? Sovvertire l’ordine e dare priorità ad altri interessi rispetto ai diritti inviolabili, quali quelli della vita e della libertà, costituzionalmente protetti, sarebbe ammettere una nuova ma pericolosa concezione della ragion di Stato.

I diritti fondamentali non devono mai essere compressi per esigenze politiche: trattenere delle persone in un luogo senza un atto motivato dell’autorità giudiziaria configura un reato che deve essere sottoposto al giudizio della magistratura. Votando contro l’autorizzazione a procedere si crea un grave e pericoloso precedente che mina nel profondo il senso stesso della nostra democrazia, il suo complesso ma equilibrato sistema di pesi e contrappesi, di tutele dei diritti inviolabili della persona; piegando la Costituzione alle esigenze contingenti di questo Governo noi ci apprestiamo a cancellare secoli di diritto e oltre settanta anni di storia repubblicana.

Vale oggi per i naufraghi sulla “Diciotti”, ma domani potrà valere per chiunque. Col diritto e coi diritti fondamentali non si scherza: le convenienze politiche del momento, magari nascoste dietro il voto di una manciata di sostenitori attraverso una piattaforma web privata, non possono sottomettere la cultura giuridica e la tutela della Costituzione ad interessi di parte.

Nessuno si stupisca se, da cittadino, mi auguro che il Ministro dell’Interno della Repubblica italiana sia ritenuto innocente rispetto al reato a lui contestato. Da senatore, però, ritengo di fondamentale importanza che a stabilirlo sia la magistratura, e che l’Aula del Senato ribadisca il sacro principio della separazione dei poteri.

Pertanto, si propone la concessione dell’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro Salvini, ai sensi dell’articolo 96 della Costituzione e dell’articolo 9, comma 4, della legge costituzionale n. 1 del 1989.