Assemblea Nazionale di Liberi e Uguali

Buongiorno a tutte e a tutti, finalmente ci siamo ritrovati.
Mentre siamo qui, si sta definendo la lista dei ministri di un Governo che ci vedrà sicuramente e fieramente all’opposizione. Lega e 5 Stelle hanno deciso di mettere da parte il loro furore ideologico contro tutto e tutti e si sono accordati su un programma politico che hanno voluto chiamare “contratto”, pensando così di nobilitarlo. In quelle pagine c’è un’idea di democrazia che non ci piace, c’è un attacco ai principi costituzionali che abbiamo sempre difeso e continueremo a difendere, come la libertà di mandato. È di questi giorni la pretesa di contestare le prerogative del Presidente della Repubblica, che vanno difese strenuamente.
Nel programma c’è la volontà di fare ulteriori discriminazioni tra coloro che vivono nel nostro Paese, c’è l’errata convinzione che l’Italia sia più sicura armando le persone, che i ricchi debbano pagare le stesse tasse dei poveri, e che comunque tutto si risolverà cacciando qualche migliaio di stranieri.
Li incalzeremo, li sfideremo, in Parlamento e nel Paese, sui temi che toccano la vita dei cittadini: il diritto al lavoro, la lotta alla precarietà, il contrasto alle diseguaglianze, la sanità pubblica, il superamento della Legge Fornero, il rilancio del Mezzogiorno, un piano verde di investimenti pubblici, i temi dell’ambiente, della sicurezza, della giustizia e i diritti civili e di cittadinanza. Non è il momento di restare inermi
Noi abbiamo imparato a conoscerci in questi mesi nei quali abbiamo lavorato fianco a fianco. Spero di avervi restituito l’idea dell’uomo che sono stato per tutta la vita e che – con la stessa coerenza e trasparenza – si presenta a voi usando il linguaggio della verità e dell’onestà intellettuale.
Oggi è la terza assemblea nazionale di Liberi e Uguali.

Nella prima, a dicembre, in un clima di grande speranza e di enorme entusiasmo, vi dissi che aprivo con voi una nuova fase della mia vita, convinto che insieme avremmo potuto fare qualcosa di straordinario. Vi dissi che non avevo un ego da soddisfare, rendite di posizione da preservare, ambizioni personali da seguire: valeva allora e, ve lo garantisco, vale ancora oggi.
Quel 3 dicembre abbiamo posto insieme delle belle premesse per un progetto aperto, plurale, innovativo. Premesse che sono state tradite dopo poche settimane, ben prima delle elezioni, contribuendo al pessimo risultato ottenuto.
Nella seconda, quella del 7 gennaio, abbiamo condiviso la linea programmatica, i criteri per le candidature e l’impegno a costruire le liste a partire dalle rose di nomi inviate dai territori. Poi le eccezioni al limite dei mandati e alle pluricandidature sono diventate la regola, e le rose sono appassite al tavolo nazionale delle liste.
Nonostante ciò non è mancato da parte vostra l’impegno. Per questo devo dirvi Grazie. Ho scoperto mio malgrado che non è così frequente in politica o si usa farlo con evidente ipocrisia.
Grazie. Grazie del supporto, dei consigli, della partecipazione che avete dimostrato in campagna elettorale. Grazie anche delle critiche che mi avete rivolto: qualcuno mi ha definito “un leader impacciato”, altri hanno sottolineato giustamente la mia difficoltà nel “bucare lo schermo”. Forse è vero ma vi garantisco che ce ho messo tutto l’entusiasmo, la passione e l’energia per dare l’avvio ad un progetto ambizioso in poco tempo e in un momento davvero difficile. In ogni nostro incontro – da Pordenone ad Agrigento – ho sentito il vostro affetto, per nulla scontato o dovuto. Quindi grazie, grazie davvero.
Senza ciascuno di voi, senza la vostra pazienza, la vostra caparbietà, la vostra passione, la bandiera della Sinistra sarebbe rimasta calpestata, a terra, fuori dal Parlamento. Senza di voi non ci sarebbe alcuna comunità dalla quale ripartire, nessuna possibile prospettiva di rimetterci in cammino.

Abbiamo perso. Mettiamo insieme a fuoco le ragioni della nostra sconfitta, a partire dalle mie responsabilità.
E’ una discussione reclamata in tutte le decine di documenti che ho ricevuto in queste settimane da moltissime parti d’Italia. La sensazione che ne ho tratto è che dai territori, dai militanti e dagli elettori c’è una spinta forte e consapevole ad andare avanti, coscienti del ruolo che questa comunità potrà svolgere nelle nostre città e a livello nazionale. Voi siete sicuramente pronti a mischiare le appartenenze e a impegnarvi in un progetto davvero comune.
Liberi e Uguali è stata fino a ora una lista elettorale, nata dalla volontà di tre forze politiche che avevano – mi avevano – manifestato l’intenzione di porre le basi per un processo unitario di più ampio respiro. Non è stato così.
Liberi e Uguali è giuridicamente un’Associazione composta da 4 persone: Pietro Grasso, Roberto Speranza in rappresentanza di Mdp, Nicola Fratoianni per Sinistra Italiana, Pippo Civati come Possibile.
E poi ci siete voi, tutte e tutti voi, che, al momento non avete un vero diritto di incidere giuridicamente sul percorso di questa nostra comunità perché non abbiamo ancora scritto le regole del nostro stare democraticamente insieme. Poteva essere comprensibile all’inizio non ora. Non più. Non so come spiegarlo a chi mi chiede come dare il suo contributo, come unirsi a noi, come allargare l’azione e la forza di Liberi e Uguali.
Spesso in campagna elettorale, ma incredibilmente anche dopo, mi sono sentito chiedere “non sono iscritto a nessun partito, come posso iscrivermi a Liberi e Uguali?”. Al momento l’unica risposta è “non puoi”. Il paradosso è che invece di allargare le braccia e accogliere nuove energie le stiamo respingendo.

Eppure tutti noi ci siamo assunti l’impegno di dar vita ad un soggetto unico e aprire un percorso realmente democratico. Ho taciuto in queste settimane, generando, lo so, alcuni malumori. Forse anche altri avrebbero fatto bene a parlare un po’ meno, a non annunciare troppo presto il fallimento del nostro progetto e l’irresistibile voglia di tornare nel Pd, ma non sono qui per fare polemiche.
Nonostante tutto, la mia unica certezza è che non esista per noi altro futuro che costruire per davvero Liberi e Uguali. Credo nella democrazia e nei suoi riti, anche quando è scomoda e “rischiosa”: per questo ho aspettato che si concludesse il necessario dibattito interno a ciascuna forza politica senza interferire.
È vero: la nostra sfida è iniziata in un contesto di grande arretramento delle forze della sinistra, in Italia così come in grande parte del mondo.
È vero: gran parte di noi sapeva che il Movimento 5 Stelle e Lega avrebbero riscosso un grande consenso nel Paese.

Sono forze che hanno fatto leva sulla paura, sulla rabbia e che hanno promesso misure irrealizzabili. Ma veramente possiamo pensare che la Flat Tax sia la soluzione per rendere l’Italia un Paese più equo? O che migliori, alla fine, la qualità della sanità pubblica? O della scuola? La risposta è No. Assolutamente no! Dobbiamo riconoscere, però, che M5S e Lega hanno saputo intercettare il desiderio di protezione e la drammaticità della condizione economica e sociale dei nostri concittadini. Mi ha fatto male vedere che qualcuno ha preso in giro le decine di persone che si sono recate il 5 marzo ai Caf per chiedere il reddito di cittadinanza. Non dobbiamo commettere anche noi l’errore di quelli che tifano per il disastro stando alla finestra, mangiando pop corn o facendo battute su Twitter, di quelli che rinfacciano agli ex elettori di sinistra di essersi fatti fregare votando i 5 stelle. Non è colpa loro. E’ il frutto di questi anni confusi in cui il centrosinistra ha assunto temi, proposte e slogan di destra. In cui ha ignorato il malessere diffuso, gli effetti della crisi economica, la precarietà crescente del lavoro che diventa precarietà di vita, continuando a raccontare un Paese che non c’era. Nonostante gli indicatori e gli zero virgola di una crescita impercettibile, ci sono storie e vite difficili che non hanno avvertito alcun miglioramento e che vanno rispettate.
Abbiamo anche noi molte responsabilità: noi – io per primo – abbiamo commesso errori gravissimi. Abbiamo vissuto, sin dal principio una crisi di identità: da un lato c’era chi pensava di costruire un “pd delle origini”, dall’altro chi immaginava una proposta radicalmente alternativa a quell’esperienza; siamo stati per questo incapaci di connotare la nostra proposta in modo chiaro e forte; la composizione delle liste in molti casi ha umiliato le decisioni dei territori, che pure avevamo coinvolto.

Non siamo stati in grado di rappresentare agli occhi degli elettori una vera alternativa all’offerta politica esistente. Alle nostre prime elezioni siamo stati vissuti come parte integrante del sistema – anche per la scelta di aver tenuto i nuovi volti in panchina – e non come quelli che volevano veramente cambiare politiche; abbiamo vissuto l’imbarazzo di scagliarci contro leggi che alcuni avevano votato in Parlamento; non siamo riusciti a superare la logica del manuale Cencelli su ogni decisione: questo, per me che non avevo mai vissuto la politica così prima d’ora, è stata ed è ancora la cosa più incomprensibile.
Da me ci si aspettava altro ma io non potevo e non volevo essere soltanto il “giudice di Cassazione” di Liberi e Uguali, quello a cui rimettere l’ingrato compito di risolvere le controversie insanabili.
Come capo politico della lista elettorale me ne assumo tutta la responsabilità. Vi chiedo scusa: pur muovendomi dentro paletti stretti, come vi ho raccontato, avrei dovuto interpretare meglio il nostro progetto, sotto il profilo della comunicazione ma non solo. La campagna elettorale è stata breve, non esaltante: non ricordo quante volte mi abbiano chiesto con chi ci saremmo alleati e non cosa volevamo fare per il Paese. Il grande rimpianto è non aver avuto i giusti spazi per parlare del nostro programma che, pur frutto di molti compromessi, era e resta un ottimo programma, a tutela dei più deboli, con misure concrete e realizzabili per diminuire le disuguaglianze. Eppure quelli cui pensavamo di rivolgere il nostro messaggio non ci hanno votato. Non mi pento però di non aver ceduto a “sparate” populiste: chi le ha fatte in campagna elettorale ha già dovuto fare enormi passi indietro.
Oggi credo che abbiamo il dovere di rispettare gli impegni presi con i nostri elettori e andare avanti. Ricordo a tutti che la metà di poco è pochissimo, e un terzo di niente è niente. Ne possiamo bloccarci in attesa che succeda qualcosa in altri partiti.

A quelli che temono una sfida democratica, senza rete; a chi prima di convocare un’assemblea vuole essere certo del suo esito; a tutti voi e a me stesso, voglio rileggere la premessa del programma che abbiamo depositato per le elezioni del 4 marzo.
“Liberi e Uguali partecipa alle elezioni politiche con una proposta autonoma e alternativa ai partiti esistenti, con una lista che è il primo passo verso la costruzione di un nuovo soggetto politico comune delle forze progressiste, civiche e di sinistra nel nostro Paese”.
Ecco. Io non ho sigle di appartenenza. Il 3 dicembre non avevo una casa ma l’ho scelta. Quella casa si chiama Liberi e Uguali. L’ho pensata come realmente spalancata alle esperienze della società civile e dell’associazionismo, l’ho sognata aperta al contributo e alla valorizzazione dei militanti; l’ho desiderata come alternativa nelle forme e nei contenuti a ciò che ha reso la sinistra inconsistente nel dibattito pubblico e incapace di connettersi sentimentalmente ai cittadini, alle loro esigenze e alle loro paure. E ho scoperto in questi mesi di non essere solo.
Ad Agrigento ho incontrato un signore di 80 anni, venuto da Licata, che mi ha preso da parte e mi ha detto: “Piero diglielo a Roma che sono qui perché pure a 80 anni voglio continuare a votare a sinistra senza turarmi il naso”.

Qui in sala c’è un gruppo di ragazzi di 20 anni che viene da Venezia. Hanno preso il treno ieri notte per esserci. Non hanno incarichi, non hanno rimborsi. Oggi è sabato. Eppure sono qui, dopo aver mandato a tutti i dirigenti nazionali la loro idea sul futuro di Liberi e Uguali. Dovremmo ascoltarli questi ragazzi, avere il coraggio di lasciarci guidare dalla loro fantasia, dalla loro voglia di cambiarlo in meglio questo mondo. Qui si sono sentite a casa qui e qui vogliono crescere. Qui vogliono essere rappresentate. Qui vogliono portare le loro idee, la loro passione, il loro impegno. E se noi neghiamo ai 18enni che ci hanno offerto pieni di entusiasmo il primo voto la prospettiva di una comunità vera, forte, libera, noi gli neghiamo il futuro, allontanandoli forse per sempre dalla politica.
Ci siamo impegnati pubblicamente a realizzare un progetto presente a tutti i livelli territoriali e profondamente radicato in una cultura di sinistra e nei valori dell’uguaglianza, della solidarietà e dell’inclusione.
Anche perché l’alternativa, fatevelo dire, è ridicola: viene in mente Guzzanti, la scissione dell’atomo, lo “scindetevi e moltiplicatevi, creando migliaia di microscopici partiti di sinistra che cambiano continuamente nome e forma, per attaccare la destra come fanno i virus e gli insetti”.

Liberiamoci allora dalle paure. Andiamo in mare aperto. Iniziamo per davvero un percorso democratico che faccia tesoro degli errori di questi mesi.
Discutiamo insieme delle modalità, dei tempi, delle forme e delle regole attraverso le quali costruire un soggetto politico che metta radici, rappresentando i sogni, le speranze e i bisogni dei nostri figli e nipoti. E che lo faccia da SI – NI – STRA.
Mettiamo in discussione tutto. Facciamolo con intelligenza e coraggio, senza ridurre tutto all’ennesima prova di forza tra dirigenti, all’ennesima conta. Partiamo da una definizione libera del nostro profilo politico, di ciò che ci unisce nel profondo. Facciamolo parlando di temi, di politica, di futuro e non di tattica, di elezioni, di liste. E allora io immagino una prima fase ampia, aperta il più possibile a nuove adesioni, nella quale ci si confronti e si voti sulle idee, non sulle persone. Avremo così creato insieme il documento su cui fondare la nuova forza politica.
Al termine di questa fase, sarà il momento di scegliere la classe dirigente per guidare la nostra comunità.
Facciamolo in tempi stabiliti, senza correre ma avendo un cronoprogramma definito, che ci impegni tutti a terminare il percorso entro la fine dell’anno. E vincano le idee migliori, le donne e gli uomini migliori. Solo così, vincerà Liberi e Uguali.
Io accompagnerò questo percorso, con la speranza che a guidare Liberi e Uguali non sia il più giovane di una vecchia generazione ma il primo – o la prima – di una nuova classe dirigente di una nuova sinistra.
Voi sapete che ho accettato di inserire il mio nome nel simbolo perché a poche settimane dal voto si sperava di dare maggiore riconoscibilità a una lista nuova, ma abbiamo depositato sin da subito anche la versione senza il nome perché il simbolo non è mio, ne’ di chi era con me dal notaio quel giorno.

Questo simbolo è delle centinaia di militanti che hanno passato l’inverno impegnandosi in campagna elettorale, che hanno montato gazebo e distribuito volantini, che ci hanno scritto di andare avanti e non disperdere le energie raccolte. Questo simbolo è di quel milione di persone che lo hanno barrato in cabina elettorale. Questo simbolo è di tutti noi.
C’è la tentazione, da parte di qualcuno, di tenerlo in ostaggio. C’è, in questa tentazione, tutta la tattica che ha per ora tarpato le ali del nostro progetto. E allora, rendiamolo davvero di tutte e di tutti. Lo faccio io per primo, in modo pubblico davanti a voi, rinunciando al mio diritto di veto. Non sarò io io, né ora né mai, a mettere un qualsiasi ostacolo al percorso costituente di Liberi e Uguali, che per me inizia oggi. Sono certo che Nicola, Roberto e Beatrice faranno lo stesso, liberandolo dalla stessa possibilità di veto che gli riconosce l’atto notarile. In questa sala nessun delegato è un “grassiano”, nessuno ha la tessera del mio partito, che non esiste, ma credo di interpretare oggi il desiderio di molti se non di tutti.
Vi lascio la mia proposta di percorso che spero possa incontrare la vostra adesione.
Buona fortuna e buon dibattito a tutte e a tutti!