Intervento su L’Espresso
Martedì 11 novembre durante Ballarò, nella parte della trasmissione dedicata a Roberto Saviano e alla sentenza sulle minacce dei boss casalesi a lui e Rosaria Capacchione, è stato mandato in onda un interessante servizio televisivo sulla criminalità organizzata romana, firmato da Francesca Fagnani e incentrato su un’intervista al giornalista dell’Espresso Lirio Abbate. Una mezz’ora di buona televisione, in cui si è parlato di informazione e criminalità. La stessa sera la macchina di scorta su cui viaggiava Lirio Abbate è stata speronata in pieno centro storico a Roma, e in questa occasione sono emerse anche altre pesanti minacce di cui è stato oggetto nei mesi scorsi l’inviato de l’Espresso cui, per ragioni di segreto delle indagini, non era stata data pubblica comunicazione. Ben tre dei giornalisti citati vivono da anni sotto scorta per le loro inchieste e anche Francesca Fagnani, come emerge da articoli dei giorni scorsi, è stata oggetto di minacce e intimidazioni.
Queste vicende devono essere per tutti l’occasione per tornare ad occuparsi di un tema importante: in Italia dall’inizio del 2014 l’associazione “Ossigeno per l’informazione” ha documentato minacce a 352 giornalisti in 319 giorni. Sul loro sito ad ogni minaccia corrisponde una pagina con il nome del giornalista e la sua storia di professionalità e di coraggio. Vale la pena scorrere quel lungo elenco perché, oltre ai nomi citati e ad altri ben conosciuti dal grande pubblico, si incontrano decine di giornalisti locali che con fermezza si oppongono ai piccoli e grandi criminali del loro territorio, ricevendo in cambio pallottole per posta, vetri delle finestre di casa frantumati, lettere minatorie, copertoni tagliati, automobili date alle fiamme, insulti, pestaggi e così via.
Tutto questo ha a che fare con il tipo di società e di democrazia nella quale viviamo e non vorremmo più vivere in futuro. Intimidire un giornalista è un vulnus per la libertà d’informazione e per il diritto dei cittadini di essere informati. A questo va aggiunto il tema dell’utilizzo a scopo intimidatorio delle querele, della salvaguardia dei cronisti a rischio, soprattutto quelli con meno garanzie e che scrivono per piccoli giornali locali o su internet. Non va trascurata infine la necessità della trasparenza sull’assetto proprietario delle testate, perché spesso i criminali l’informazione provano anche a corromperla o comprarla. Un’informazione libera è il presupposto della conoscenza e della formazione di un’opinione e, dunque, una condizione essenziale per vivere in democrazia. Nutre il dibattito e la formulazione delle idee, è l’anima del vivere civile. Solo un cittadino informato può compiere scelte consapevoli, esercitare i propri diritti e partecipare al processo decisionale. Scriveva nel 1981 sul Giornale del Sud Giuseppe Fava: “Un giornalismo fatto di verità impone ai politici il buon governo. Un giornalista incapace della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato in grado di combattere”.
La criminalità pretende il silenzio e cerca di fermare i giornalisti scomodi. Anche la cattiva politica, a volte. Dobbiamo invece stringerci tutti attorno a queste persone, far sentire loro e a chiunque si impegni per la verità e la giustizia – penso ai magistrati di Palermo e più in generale a tutti i magistrati che, con coraggio e determinazione, combattono la criminalità – la nostra solidarietà, la nostra vicinanza, il nostro affetto, la nostra riconoscenza.