Autorità, colleghi, Signore e Signori,
ho accolto con vero piacere l’invito a prendere parte alle celebrazioni per il 40° anniversario di Amnesty International Italia, un’istituzione che ci ha accompagnato in questi decenni, rendendoci un Paese migliore. Siamo in buona compagnia: oggi Amnesty International è presente in più di 150 Paesi nel mondo, e conta oltre sette milioni di attivisti per la difesa e la tutela dei diritti umani sanciti dalla Dichiarazione universale. La candela accesa di Amnesty, quel filo di luce avvolto nel filo spinato, è un simbolo universale di impegno e di speranza.
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”: le prime indimenticabili parole della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che il 10 dicembre 1948, ormai quasi settant’anni fa la ha innescato la lenta e silenziosa rivoluzione dei diritti umani. Ancora oggi quando sfoglio quel documento non posso fare a meno di commuovermi: ad ogni pagina, ad ogni parola mi pare di sentire le voci dolenti di chi è stato ucciso dai suoi stessi fratelli, di chi ha patito indicibile dolore, discriminazioni, abusi, torture per consentirci di essere oggi qui a certificare la realizzazione della profezia di Kant: che la violazione di un diritto in un paese è sentita come tale in ogni altra parte del mondo. Un processo, quello dei diritti, che ha posto al cuore della comunità internazionale e di ogni Stato, due principi che dobbiamo mantenere saldissimi. Il primo: l’eguaglianza degli esseri umani rispetto ai diritti, che vieta di distinguere fra cittadino e straniero, fra uomo e donna, fra credente e laico, fra bianco e nero, fra “normale” e “diverso”. Il secondo: la centralità della dignità umana. Kant ha scritto nel 1785, nella Fondazione della metafisica dei costumi: “l’umanità, l’essere uomo, è essa stessa una dignità: l’uomo non può essere trattato dall’uomo come un semplice mezzo, ma deve essere sempre trattato come un fine. In ciò appunto consiste la sua dignità, o personalità”.
L’effettività di questi principi è rimessa al nostro dovere di donne e uomini delle istituzioni, ma anche al lavoro degli attivisti di Amnesty che vigilano sull’effettiva applicazione dei diritti umani con ricerche sistematiche e con mobilitazioni dell’opinione pubblica, anche attraverso quel fondamentale strumento di informazione costituito dal Rapporto annuale sullo stato dei diritti umani nel mondo.
L’ultimo Rapporto, del 25 febbraio scorso, offre elementi dettagliati sulla situazione dei diritti umani in 160 paesi e territori nel 2014. Salil Shetty, Segretario generale di Amnesty International, lo apre con la sconfortante constatazione che “lo scorso anno sarà ricordato per i violenti conflitti e l’incapacità di tanti governi di proteggere i diritti e la sicurezza dei civili”. Da un lato va giustamente evidenziata l’incoraggiante notizia dell’entrata in vigore, il 24 dicembre scorso, del Trattato internazionale sul commercio di armi, che sono felice il Parlamento italiano abbia ratificato per primo. Dall’altro lato, si deve constatare che il diritto internazionale e i diritti fondamentali vengono regolarmente calpestati in aree sempre più vaste del mondo, in misura che non ha precedenti. L’imbarbarimento dei conflitti non riguarda solo le aree più note di conflitto del Medio Oriente, ma decine di paesi “dimenticati” in ogni continente nei quali le discriminazioni, la violenza, le deportazioni, le torture affermano una legge dell’odio che è tanto più disumana quanto più viene ignorata e tollerata dal cosiddetto mondo “civile”. Lo stesso mondo civile che dimentica migliaia di migranti sospinti dalla disperazione, dalla fame, dalla guerra e dalla cupidigia dei trafficanti che il Mediterraneo ingoia ogni giorno.
Ma il nostro dovere è di proteggere in ogni situazione i diritti umani anche qui, nel nostro Paese. Penso alla definitiva chiusura in Italia dei vergognosi ospedali psichiatrici giudiziari, strutture fatiscenti caratterizzate da un inaudito degrado in cui i malati/reclusi erano spesso privi dei necessari interventi terapeutici e vivevano in condizioni umane e igieniche indegne. Penso al sovraffollamento carcerario, stigmatizzato dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Penso all’emergenza abitativa per gli indigenti. Penso ad ogni più piccola discriminazione, razzismo, intolleranza, di cui quotidianamente veniamo a conoscenza.
A proposito di lavoro da fare: dopo un primo passaggio in Senato e le modifiche della Camera affronteremo di nuovo, spero presto e definitivamente, il disegno di legge per l’introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano, un testo senza dubbio perfettibile ma non più rinviabile: è da troppo tempo che i cittadini italiani – e i tanti firmatari del vostro appello – aspettano di veder inserito questo termine nel nostro codice penale. Nella mia veste di Presidente del Senato, non posso entrare nel merito delle scelte che il Parlamento sarà chiamato a compiere rispetto a questi temi, ma voglio sottolineare l’importanza del ruolo della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, di cui saluto il Presidente, senatore Luigi Manconi, strenuo difensore dei più deboli.
Continuo a sostenere, inoltre, con profonda convinzione, le iniziative didattiche rivolte ai più giovani, che il Senato organizza sul tema dei diritti umani e dei diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione. Voglio credere, infatti, che quei semi che riusciremo a far germogliare nei loro piccoli cuori siano semi di speranza in un futuro che possa non vedere gli orrori di cui oggi siamo testimoni. Con queste convinzioni e con questi sentimenti, intendo ribadire la stima e l’ammirazione per le donne e gli uomini di Amnesty che si impegnano strenuamente operando, spesso in situazioni di grave pericolo, per la salvaguardia dei diritti umani. Confido che i rappresentanti della Sezione italiana vorranno trasmettere a tutti gli attivisti il messaggio di vicinanza mia e dell’Istituzione che rappresento.