Il dovere della memoria e della ricerca della verità

Strage dei Georgofili, 21 anni dopo 

Signor Presidente, Autorità, Sig.ra Maggiani Chelli, e cari amici,

ancora una volta sono qui, insieme a voi, in occasione di questo anniversario. Sono trascorsi 21 anni dall’attentato: molti di voi quella notte non erano ancora nati, ma anche le nuove generazioni devono conoscere una delle pagine più dolorose della nostra storia recente.

Abbiamo il dovere innanzitutto di ricordare le vittime: Caterina Nencioni era nata da appena 50 giorni. Sua sorella Nadia non aveva ancora compiuto nove anni. Nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993 entrambe furono sepolte sotto montagne di macerie, insieme al padre Fabrizio e alla mamma Angela. Anche il giovane studente di architettura Dario Capolicchio è morto quella notte nel suo appartamento, e molti sono stati feriti a causa dell’esplosione. Ci sono punti fermi ormai acquisiti: i processi penali hanno accertato l’identità e le responsabilità dei mandanti e degli esecutori della strage. E’ stata la mafia. Straordinari servitori dello Stato, come il pubblico ministero Gabriele Chelazzi, che ricordo sempre con grande affetto, hanno lavorato alle indagini con dedizione e competenza. Le sentenze hanno confermato che l’attentato era parte di un programma attuato dalla criminalità organizzata per scuotere dalle fondamenta l’ordine pubblico e sbloccare una situazione politica ritenuta stagnante.

Ritorniamo a quel 1993: era stato da poco arrestato il Capo dei capi, Totò Riina, primo responsabile del folle attacco a quei rappresentanti delle istituzioni che osavano opporsi, ma la stagione stragista di Cosa nostra non si fermò. Eliminati i due nemici più temibili, Falcone e Borsellino – che proprio pochi giorni fa abbiamo ricordato insieme a 20.000 studenti a Palermo – l’intimidazione delle cosche alle istituzioni continuò con l’obiettivo di colpire il patrimonio artistico del Paese. L’obiettivo strategico del ricatto di Cosa nostra era innanzitutto ammorbidire il regime del 41 bis e un miglioramento delle condizioni generali in cui versavano i mafiosi. E in una prima fase, due episodi avrebbero dovuto far riprendere la cosiddetta trattativa: un proiettile di artiglieria lasciato al giardino di Boboli, proprio qui a Firenze, cui seguì una telefonata di intimidazione e di rivendicazione, tuttavia mai percepita come tale; nonché il progetto di attentato nei miei confronti, dapprima rinviato e poi abbandonato per una serie di circostanze fortuite. Tra maggio e luglio vennero attuati gravi attentati: quello di via dei Georgofili, poi Milano e Roma. La finalità era attuare una vera e propria dimostrazione di forza attraverso azioni criminose eclatanti, a carattere eversivo, che avrebbero avuto risalto internazionale. Nel Paese scosso, sul piano politico e istituzionale, dalle indagini su Tangentopoli, quel tentativo di destabilizzare le strutture democratiche era davvero pericoloso.

Pochi anni fa il collaboratore Gaspare Spatuzza, a conferma del messaggio chiaramente terroristico che si doveva diffondere con le stragi, ha riferito di essere stato proprio lui ad avere l’incarico di imbucare a Roma, subito prima degli attentati del 27 luglio 1993, alcune buste dirette ai maggiori quotidiani nazionali contenenti una lettera anonima, del seguente tenore: «Tutto quello che è accaduto è soltanto il prologo, dopo queste ultime bombe, informiamo la Nazione che le prossime a venire verranno collocate soltanto di giorno ed in luoghi pubblici, poiché saranno esclusivamente alla ricerca di vite umane. P.S. Garantiamo che saranno a centinaia». Eppure molti, troppi profili di quell’atroce disegno restano ancora oscuri. Spesso la verità storica e quella giudiziaria non si sovrappongono.  Bisogna tuttavia insistere perché gli eventi siano ricostruiti in tutte le loro implicazioni e sfaccettature. Dobbiamo avere il coraggio di guardare al nostro passato senza paura e senza omissioni, perché un Paese che nasconde e teme la propria storia è un Paese senza futuro.

Dobbiamo sempre tendere alla ricerca della verità. Ancora oggi, dopo tanti anni e nonostante i segnali che possono essere letti come inviti a lasciar perdere, si sono riaperti casi che sembravano chiusi per sempre. Dopo sedici anni, nel 2008, ho avuto il privilegio di raccogliere per primo, dalla viva voce del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, i nuovi elementi che hanno consentito di riaprire le indagini sulle stragi di Falcone e Borsellino e di Firenze, Roma e Milano. Ancora oggi abbiamo fame e sete di giustizia su quegli eccidi e su tutti i misteri non svelati. Ancora oggi ci assalgono e ci tolgono il sonno intuizioni laceranti che attendono di divenire percorsi di verità.

Dopo 43 anni da magistrato e al termine di un percorso professionale tutto legato alla lotta alla mafia, ho pensato che spostarmi in politica potesse essere utile per contribuire a fare quelle riforme legislative che negli anni avevo sempre chiesto e non ottenuto. Per questo da presidente del Senato, sin dal discorso di insediamento, ho chiesto una commissione speciale di inchiesta su tutte le stragi irrisolte del nostro Paese, mafiose e terroristiche insieme, che possa finalmente fare chiarezza sugli aspetti oscuri della nostra Storia e rendere pubblici tutti quei documenti che possono dare ai cittadini elementi di riflessione e di conoscenza. Proprio il magistrato Chelazzi, in una delle sue ultime audizioni in Commissione Antimafia, spiego che “non si può chiedere al giudice al di là di una certa soglia. Al giudice il post factum di un delitto di regola interessa poco: le ricadute di azioni criminali così gravi sulla società civile non possono interessare a un giudice” e invitava proprio la Commissione  ad andare oltre quella soglia. So che anche lei, Sig.ra Maggiani Chelli, ha cambiato idea su questo: se prima non credeva che una Commissione potesse essere utile, un paio di settimane fa ha dichiarato che una commissione “forse serve davvero, e chiediamo di farne parte a pieno titolo, visto il prezzo che le nostre famiglie hanno pagato”. Il mio nuovo ruolo non ha cambiato in nessun modo i principi in cui credo, che sono quelli di legalità, giustizia, ricerca della verità.

Chi, come me, è sopravvissuto a tanti orrori non può dimenticare che le stesse mani macchiate di sangue oggi tessono trame in affari di soldi e di potere, e sente l’obbligo morale, oltre che istituzionale, di cercare la verità fino all’ultimo soffio di vita. Dico spesso che per vincere la mafia non basta contrastare le sue attività criminali. Bisogna rafforzare la democrazia e promuovere la legalità come cultura, in ogni ambito. Questo richiede l’impegno di tutti, sia dei cittadini, sia di coloro che operano nella politica, nelle istituzioni, nei sindacati, nei movimenti, nelle associazioni di categoria. Richiede una reazione forte e decisa da parte della società civile, una coscienza della legalità radicata e diffusa.

In questo, l’Associazione familiari vittime della strage di via dei Georgofili ha sempre svolto un ruolo esemplare – rivendicando i giusti diritti anche in materia di risarcimenti e pensioni che lo Stato deve a tutte le vittime innocenti e ai lori familiari – e di questo sforzo continuo dobbiamo essere grati a Giovanna Maggiani Chelli, per l’impegno e la dedizione con le quali in tutti questi anni ha combattuto per la verità e per la giustizia.  Grazie, grazie di cuore.