Presidente Zavoli, Famiglia Giuntella, relatori, signore e signori,
è per me un grande piacere aprire i lavori di questa giornata di approfondimento e ricordo della vita e del pensiero di Vittorio Emanuele Giuntella. Ringrazio il Presidente Zavoli per aver voluto ospitare qui questo convegno: del resto, nessun altro luogo sarebbe potuto essere più appropriato per ripercorrere la sua straordinaria esistenza. Vittorio Emanuele Giuntella è stato moltissime cose: funzionario del Senato – prima al Servizio dei Resoconti e poi alla Biblioteca – militare pacifista, storico rigoroso, appassionato docente universitario.
Sarà compito dei relatori che interverranno dopo di me provare a raccontare tutte le sfaccettature di una vita piena e ricca come quella del Professor Giuntella. Io invece tenterò di delineare, nella brevità di questo saluto, alcuni tratti del suo percorso spirituale, umano e intellettuale a partire dal frammento di una sua poesia. Riflettendo sul valore della durissima esperienza di internato nei campi di prigionia nazisti, egli scrisse: “Invece di chiudermi nella mia personale difficoltà, mi spalancò all’altrui sofferenza. Di quel dolore feci uno studio. Di quell’empietà un motivo di ricerca. Di quell’ingiuria una volontà. E ciò durò tutta la mia vita”.
All’indomani dell’armistizio il Tenente Giuntella si trovò nella condizione di dover compiere una scelta per nulla scontata. Decise di non collaborare con i nazisti e optò per una “resistenza disarmata ma non inerme e inefficace”: accolse l’idea di sopportare fame, privazioni e vessazioni per mantenere intatta la propria dignità di uomo e di militare italiano. Oggi, ed è davvero un dono prezioso questo, si parlerà anche del diario – fino ad ora inedito – nel quale il professore annotò il travaglio di quei mesi. Quell’esperienza lo segnò intimamente, tanto sotto il profilo intellettuale quanto sotto quello spirituale: nei lager infatti cimentò la sua fede e si convinse che alle ingiustizie del mondo bisognasse reagire con il dialogo, l’impegno civile e, soprattutto, con la non violenza.
L’impegno pacifista e, contestualmente, il rifiuto di ogni nazionalismo, fu una delle stelle polari della sua esistenza. In Gandhi e Martin Luther King vedeva la realizzazione di un metodo di lotta che avrebbe avuto ragione delle ingiustizie e delle prevaricazioni, salvando così l’umanità dai suoi istinti peggiori. Fu sincero amico del popolo ebraico e della comunità dei Rom e dei Sinti, proprio perché insieme a loro aveva vissuto l’orrore dei campi di concentramento.
Dal dopoguerra fino alla fine dei suoi giorni non si sottrasse mai al compito, che riteneva ineludibile, di raccontare ciò che aveva visto e vissuto, di essere vicino agli ultimi, di mettere in guardia dai pericoli di un mai sopito revisionismo storico. La sua fu una fede incrollabile ma mai dogmatica. Era cresciuto nella Fuci e visse con grande speranza gli anni del Concilio. Si spese con entusiasmo per dar voce ai cattolici progressisti: fu uno dei protagonisti di quel movimento nel quale hanno trovato cittadinanza intelligenze e sensibilità che tanto hanno dato in termini culturali e anche politici al nostro Paese.
Nel corso della sua vita visse momenti di profondo dolore – penso per esempio alla sofferenza che gli provocarono gli omicidi di due suoi grandi amici, Aldo Moro e Vittorio Bachelet, o alla scomparsa dell’amata moglie – ma, proprio in virtù di questa purissima fede, non lasciò mai che lo sconforto prevalesse. Per tutta la vita, e credo questa sia la cifra più intima di Vittorio Emanuele Giuntella, rimase fedele ai suoi principi testimoniandoli nel proprio quotidiano, insegnandoli ai propri figli e nipoti, raccontandoli nelle scuole e negli incontri pubblici, rendendoli fondamento delle sue lezioni universitarie.
Un maestro, dunque. Solo chi vive secondo i principi e gli ideali in cui crede è capace di farli fecondare negli altri. E, senza dubbio, la lezione del Professor Giuntella è ancora viva nel cuore e nelle menti delle tante comunità che ha abbracciato nella sua vita. Quella del Senato gli è ancora grata per la dedizione e la cura con la quale ha contribuito a rendere la nostra Biblioteca un patrimonio culturale dell’Italia intera. Il suo lavoro, così come quello di altri funzionari del Senato (ne cito due legati a lui da stima e amicizia, Pietro Scoppola e Leopoldo Elia) ha dato lustro al Parlamento e costituisce un contributo originale e duraturo allo sviluppo democratico del nostro Paese. Gli sono riconoscenti le migliaia di militari internati, che, anche grazie al suo instancabile impegno, hanno visto riconosciuto il valore della loro difficile e coraggiosissima scelta. Lo sono, infine, gli studenti che hanno avuto il privilegio di nutrirsi del suo sapere e di essere ispirati dalla sua curiosità verso il mondo.
Per queste ragioni la giornata di oggi è una bellissima occasione per ricordare e al tempo stesso celebrare una figura che, a distanza di vent’anni dalla sua scomparsa, ancora illumina il cammino dei suoi tanti allievi.
Auguro a ciascuno di voi buon lavoro.