Intervista a “Press & Imprese” – Periodico sulla legalità e sulla cultura d’impresa – di Eliana Marino
“Quando vedi i tuoi amici morire, capisci che non puoi fare altro che ricercare peer il resto della tua vita la verità”. I suoi amici, i suoi “maestri”, come lui stesso li definisce, sono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I loro corpi sono stati distrutti da centinaia di chili di esplosivo, le loro idee no, mai. “Pensando a loro, ogni giorno, io continuo nella mia azione”. Lui è Pietro Grasso, 69 anni di cui 44 trascorsi in magistratura, sette come procuratore nazionale antimafia e da oltre un anno presidente del senato. “Legalità, verità e giustizia – dice – sono gli obiettivi da perseguire da parte di tutti i cittadini, ma ancora di più quando si decide di scendere in politica”. Di certo, di questo è consapevole, “il problema principale, oggi, è quello di provare a risolvere problemi di sussistenza di buona parte della popolazione. Quando per poter ottenere i propri diritti non si avrà più bisogno di ricorrere a qualcuno, mafioso, politico o amministratore che sia, là comincerà il cambiamento. E non basta la repressione, ci vuole soprattutto il coinvolgimento”.
Presidente, rispetto agli anni ’80 e ’90 che l’hanno vista in prima fila nel contrasto alla criminalità insieme a Falcone e Borsellino, in Sicilia e in Sicilia e più in generale in Italia,quali obiettivi sono stati raggiunti?
Nel corso di questi ultimi anni, sono stati fatti dei fondamentali passi avanti nel contrasto alla criminalità organizzata e sono stati inferti alcuni colpi durissimi alle mafie. Falcone e Borsellino ci hanno lasciato un patrimonio comune fatto di conoscenze, di intuizioni, di rigoroso metodo investigativo che ancora oggi deve far parte del bagaglio professionale di ogni magistrato. Non bisogna dimenticare che molte delle iniziative immaginate e intraprese in quegli anni si sono poi realizzate tanto sul piano legislativo che su quello investigativo e strategico: un esempio su tutti, la Direzione Nazionale Antimafia, che ho avuto il privilegio di dirigere per alcuni anni. D’altro canto ora le mafie sono diventate internazionali e dobbiamo fare in modo che gli strumenti legislativi e repressivi del nostro ordinamento, proprio quelli disegnati da Falcone e Borsellino, siano adottati da tutti gli altri paesi europei. Penso in particolar modo alla creazione di un Procura Europea, una struttura che innalzerà il livello dell’azione di contrasto ai delitti contro gli interessi finanziari dell’Unione e garantirà risultati che nessuno Stato da solo potrà mai realizzare.
A suo giudizio gli imprenditori che ruolo hanno e hanno avuto nella diffusione dei principi di legalità?
La criminalità organizzata fiorisce proprio dove c’è la ricchezza, questa è ormai una verità acquisita. Spesso dico che per colpire i mafiosi bisogna “mettergli le mani in tasca” e, sotto questo profilo, il mondo dell’imprenditoria è investito di una grandissima responsabilità. Nella nostra Sicilia abbiamo avuto esempi di altissimo profilo come Libero Grassi, che ebbe il coraggio di denunciare e la forza e di rifiutare qualunque commistione tra la sua impresa e il mondo criminale. All’epoca Grassi fu colpevolmente lasciato solo dalle Istituzioni e dalle associazioni di categoria, ma questo oggi non accadrebbe più: gli imprenditori stessi hanno capito che anche da loro dipende l’esito della sfida alla criminalità e l’affermazione della cultura della legalità e l’impegno di Confindustria Sicilia lo dimostra da anni.
Per uscire dalla zona grigia fatta di commistioni e confini flebili tra diritti e favori, secondo lei quali misure bisognerebbe mettere in campo?
Sono da sempre convinto che all’antimafia della repressione, di cui si deve occupare la magistratura coadiuvata dalle forze dell’ordine, si deve accompagnare quella della speranza, alla quale ognuno di noi, secondo le proprie possibilità, deve contribuire. La criminalità organizzata si può battere solo con uno sforzo condiviso di Istituzioni, scuola, società civile, associazioni di categoria, mondo imprenditoriale e informazione. Ogni iniziativa in grado di rendere più conveniente rispettare le leggi piuttosto che infrangerle è essenziale perché aiuta a ridefinire, in senso positivo, il rapporto del cittadino con la propria comunità e con le Istituzioni. Devo dire che in questi anni, grazie allo straordinario impegno di molte associazioni di volontariato, stiamo ottenendo risultati che ci fanno ben sperare per il futuro: penso a realtà consolidate come Libera, AddioPizzo e anche, naturalmente, ai vostri progetti. Tutto questo prima non c’era e ancora non c’è in altre regioni dove, nonostante i segnali positivi, il coinvolgimento fa ancora fatica. Ma è questa la strada maestra.
Eppure c’è ancora chi pensa che la mafia dia lavoro e lo Stato lo tolga.
Questa è una sfida che lo Stato non può perdere: bisogna sradicare la convinzione che la mafia dia lavoro e protezione. Una cosa difficile quando, come avviene soprattutto nel Sud Italia, non c’è uno Stato che riesca ad essere, nel welfare, presente come dovrebbe. Bisogna uscire da questa forma di schiavitù psicologica ed economica. Insieme dobbiamo evitare che il sistema mafioso inquini quello legale.
Il concetto di sicurezza partecipata, così come inteso nel progetto Pon “Caltanissetta e Caserta sicure e moderne” rappresenta una modalità operativa in linea con la sua importante iniziativa denominata “Piattaforma della Giustizia”, che mira a realizzare una riforma partecipata del sistema giustizia in Italia..
La piattaforma della giustizia, che lanciai nel febbraio del 2013, nasceva proprio con l’obiettivo di stimolare il dibattito su temi cruciali quale la lotta alla corruzione, il voto di scambio e l’introduzione nel nostro sistema del reato di auto-riciclaggio. Credo che un ampio confronto su questi temi, in grado di raccogliere opinioni e orientamenti divergenti, non possa che essere salutare.