Traffici e terrorismo

Gentili ospiti, caro Direttore Caracciolo, cari amici,

ospito con molto piacere alla Biblioteca del Senato un nuovo incontro promosso dalla Rivista di Geopolitica Limes. Siamo giunti, credo, al quarto appuntamento: ormai dunque una bella e importante consuetudine, un’occasione per riflessioni scientifiche e politiche sulla posizione e sul ruolo dell’Italia nel mondo. Per una drammatica coincidenza questo incontro sul terrorismo e i traffici si tiene a distanza di poche ore dai fatti di Parigi. Sono momenti nei quali proviamo tutti sentimenti di profondo dolore e di identificazione con la sofferenza delle vittime e dei familiari, ai quali ci stringiamo per rigettare con fermezza di assoggettarci alla paura. A nome mio e del Senato della Repubblica rivolgo un pensiero di affettuosa vicinanza alla famiglia di Valeria Solesin, una ragazza che rappresenta l’immagine dell’Italia tutta e dell’Europa che vorremmo. Siamo in attesa di conoscere meglio i fatti e i risultati delle indagini, ma appare già chiaro che gli attentati di venerdì notte segnalano un cambio di strategia rispetto all’attacco al settimanale satirico Charlie Hebdo, per il numero degli obiettivi e dei terroristi coinvolti, per le modalità di esecuzione, e per l’evidente programmazione della successione criminale. Inoltre, mentre la redazione di Charlie Hebdo veniva individuata come obiettivo specifico, i fatti del 13 novembre si caratterizzano come azioni terroristiche di più ampia portata, finalizzate a colpire persone individuate per caso e dunque a provocare paura nei cittadini, che si sentono tutti potenziali vittime.

Gli eventi di venerdì notte dimostrano diverse cose. La prima è che siamo esposti ad un fenomeno molto complesso e difficile da controllare e gestire, che richiede di calibrare attentamente le reazioni e gli interventi, evitando di agire emotivamente come i terroristi vorrebbero. La seconda è che in Europa noi stiamo tutti insieme, o cadiamo tutti insieme. Gli attentatori mandano un messaggio di imprevedibilità del pericolo e di vulnerabilità delle nostre società, che evidentemente non riguarda solo Parigi e la Francia, ma l’intera comunità internazionale, e in particolare modo l’Europa. L’Unione sta attraversando da tempo ormai un momento di fragilità, per l’impatto della crisi economica e per l’incapacità di affrontare con coesione e con solidarietà i flussi di profughi e migranti. L’unilateralismo praticato anche sulla lotta allo Stato Islamico e sul futuro della Siria e della Libia ha danneggiato tutti e l’Unione come tale. Il mio auspicio è che l’Unione europea sappia ritrovare le ragioni dell’unità di intenti e azione, attraverso una profonda strategia politica nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, condivisa, meditata e seria.

Al tempo stesso è necessario che la collaborazione delle strutture di intelligence e di polizia in questa materia, già molto intensa, sia razionalizzata e centralizzata per evitare che lo scambio di dati e informazioni si disperda nelle complessità dei sistemi nazionali di prevenzione e repressione. Le modalità di reclutamento degli operativi attraverso il web richiede poi sforzi nuovi per condividere mappature, modalità e tecnologie.

Per andare al tema specifico oggetto di questo incontro (la relazione fra terrorismo e criminalità a fini di profitto) vorrei cominciare proprio con lo Stato Islamico, per sottolineare che il richiamo dei terroristi a valori religiosi, abusivi e storpiati, deve essere correttamente inteso come la copertura ideologica posticcia di un fenomeno che è prevalentemente criminale e geopolitico. Lo Stato Islamico è una creazione geopolitica a vocazione territoriale che riempie i vuoti causati dalla debolezza e dall’assenza di politica ed istituzioni nell’area fra Siria e Iraq, oggi conosciuta come Siraq. La struttura dello Stato Islamico è largamente concepita attorno ad attività criminali necessarie per la sua sopravvivenza e per la fornitura di servizi ai suoi “cittadini”. Fra questi il traffico di droga, di esseri umani, di armi e di beni culturali.

Andando più indietro nel tempo, sono già ben note da molto le interconnessioni fra terrorismo, criminalità organizzato e traffici. Io stesso, quando svolgevo funzioni di Procuratore Nazionale Antimafia, ho avuto modo di accertare forme non solo di cooperazione, ma anche di commistione e sovrapposizione dei fenomeni. In Italia i processi hanno svelato particolari forme di rapporto fra le mafie e segmenti del terrorismo interno, nella commissione di alcuni delitti e di certe stragi; ed è poi stato riconosciuto da sentenze ormai definitive il carattere eversivo della strategia adottata da Cosa Nostra in un preciso momento storico: mi riferisco in particolare alle stragi commesse a Firenze, Roma e Milano nel 1993 e nel 1994.

L’esperienza internazionale evidenzia tre forme di commistione fra i due fenomeni. Nella prima forma, la più diffusa, i gruppi terroristici fanno ricorso a delitti a fini di profitto, come traffici di beni illeciti e di esseri umani ed estorsioni, per finanziare la propria esistenza e le proprie azioni. Nella seconda forma a convergere sono le rotte e le modalità di spostamento di beni e persone, che coincidono sia nel caso di traffici sia nel caso di azioni terroristiche ed eversive. Infine, in Italia, in Messico e in altri paesi le mafie hanno sperimentato modalità di attacco allo Stato tipiche di terrorismo ed eversione, caratterizzate dall’uso di strumenti che determinano la morte indiscriminata di vittime estranee ed inermi. In termini di politica criminale, queste interrelazioni inducono a studiare strategie diverse dal passato, fra le quali ad esempio l’uso estensivo degli strumenti di aggressione ai patrimoni illeciti.

Concludo. La politica in questi giorni ha la difficilissima responsabilità di tutelare la vita e la serenità dei cittadini, mantenendo però sempre la saggezza e la lucidità necessarie per combattere la barbarie solo con gli strumenti dello Stato di diritto, della democrazia, del multilateralismo e della diplomazia. Per questo sento forte il dovere di ripetere che il nostro impegno contro il terrorismo non deve mai mettere in discussione il dovere, morale e giuridico, di accogliere le persone incolpevoli che fuggono da guerre, persecuzioni e dagli orrori dello Stato Islamico; e l’obbligo di proteggere i diritti fondamentali e la libertà di credo di ciascuno, che sia cittadino o migrante. Io sono convinto che l’approfondimento e le analisi di chi si impegna nella ricerca e nello studio siano in questo momento un prezioso antidoto alla superficialità e al semplicismo di cui abbiamo purtroppo avuto qualche esempio in queste ore. Non esito a definire irresponsabile, pericoloso e controproducente il tentativo di chi intende alimentare la comprensibile paura e lo smarrimento dei cittadini, instillando odio e rancore verso chi è diverso e del tutto incolpevole e vive con altrettanta paura i nostri tempi. Per questa ragione ringrazio per la loro passione e la loro competenza gli autori e gli esperti della Rivista Limes e a tutti voi auguro buona prosecuzione e buon lavoro. Grazie.