Terracina aveva visto l’infermo ma non si era piegato

Commemorazione di Piero Terracina al Senato durante la seduta del 9 dicembre 2019

Presidente, Colleghi, intervengo con commozione al saluto che l’Aula sta tributando ad un grande italiano. La sua vita è stata davvero preziosa.

Aveva solo quindici anni quando un delatore lo fece arrestare. Sopravvisse – unico della sua famiglia – all’inferno dei campi di concentramento. Portò con sé, per anni, il timore che gli fosse chiesto come mai lui, e solo lui, fosse riuscito a tornare dalla Polonia. Ad un certo punto della sua vita, molti anni dopo, ebbe la forza di raccontare. Abbiamo il dovere di ringraziare i sopravvissuti per questo ulteriore e per nulla scontato atto di coraggio, e dobbiamo sentirlo soprattutto noi che abbiamo l’onore di poter chiamare “collega” una persona come Liliana Segre.

La testimonianza di Piero Terracina ha, innanzitutto, un valore straordinario dal punto di vista storico: lui, insieme ai pochi che si salvarono, ci hanno consentito di conoscere nei dettagli l’industria della morte voluta e realizzata dai nazisti, la banalità del male che ha segnato per sempre il corso della storia del nostro continente.

Quando Piero Terracina descriveva Auschwitz – Birkenau scavava dentro di sé per offrire la testimonianza del ragazzino che era, e di come quegli eventi abbiano determinato la sua intera esistenza. Potevi sentire il dolore che gli procurava tornare indietro con i ricordi, rivivere e raccontare l’orrore dei campi di concentramento. Eppure non si fermava, non si fermava mai: sentiva l’obbligo morale di mettere la propria vita e la propria testimonianza al servizio di tutti noi, soprattutto dei più giovani. Lo ha fatto fino all’ultimo, donandoci una impareggiabile lezione di dignità ed impegno.

E’ senza dubbio questo il suo lascito più importante. Chi ha avuto il privilegio di misurarsi con il suo racconto, non poteva non incrociare la dolcezza del suo sguardo: quegli occhi avevano visto l’inferno ma non si erano piegati ad esso.

Pur parlando del passato – un passato che giorno dopo giorno si fa sempre più remoto e che perde inevitabilmente i suoi protagonisti – Piero Terracina interrogava se stesso e gli altri sul presente e, soprattutto, sul futuro. Condivideva infatti il pensiero che più che recriminare su quanto si sarebbe potuto fare o dire allora per impedire la Shoah, era decisamente più importante insegnare a riconoscere i frutti possibili dell’indifferenza, ciò che conduce a simili tragedie. Ricordo una bellissima occasione, l’onore di accoglierlo in Senato per un convegno nel quale si parlava appunto del “peccato dell’indifferenza”. Credo sia un giusto e doveroso omaggio concludere questo breve ricordo con le parole che scelse per terminare il suo intervento.

Cito:

“la Shoah insegna (anzi, io direi IMPONE) di ricordare, ma soprattutto di fare. Non basta andare in pellegrinaggio ad Auschwitz. E’ necessario informarsi e soprattutto conoscere, e per conoscere bisogna lasciarsi interpellare, senza reprimere un salutare sentimento di vergogna per un sistema che in qualche modo ci appartiene e dal quale non siamo affatto immunizzati […] Educare i giovani, e questo è compito della scuola, al dovere dell’accoglienza ed al rispetto delle minoranze. Mettere al centro la protezione delle persone e non l’ossessione dei confini; fare del soccorso e del salvataggio la priorità delle politiche nazionali ed europee. Ecco, io penso, quello che si potrebbe e dovrebbe fare”

Ora che Piero Terracina non c’è più, tocca a noi il compito di tramandare le sue parole, portarle nel presente e nel futuro, renderle – ogni giorno – semi di speranza. Grazie di tutto Piero, che la terra ti sia lieve.