Autorità, gentili ospiti,
sono davvero felice che il Senato ospiti la presentazione del libro di Mons. Vincenzo Paglia, dedicato a un tema insieme intimo e universale come la morte e il cammino che ciascuno di noi è chiamato a fare nell’avvicinarsi, il più tardi possibile, ad essa. Il tavolo dei relatori è di altissimo livello, e mette insieme diverse sensibilità religiose e politiche, come è giusto fare di fronte al più insondabile dei misteri. Ringrazio di cuore il presidente della Commissione per la Biblioteca, Sergio Zavoli, che ha fortemente voluto questo incontro, l’Autore, che ha accettato il nostro invito, il senatore Lucio Romano, il Rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, l’onorevole Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio, il dottor William Raffaeli, medico e Presidente della Fondazione ISAL-Ricerca sul dolore e il moderatore Aldo Cazzullo per la loro presenza.
Questo libro è molte cose diverse: un’analisi dello stato dell’arte delle convinzioni in merito alla morte e all’eutanasia che prende in esame tutte le posizioni in merito, sia laiche che religiose; una profonda riflessione sui valori etici della società attuale, con numerosi contributi filosofici di grande spessore; la presa in carico del compito di svelare alcuni grandi paradossi della modernità; un inno alla dignità della vita di tutti, di tutte le persone, in ogni parte del mondo e in ogni momento della propria esistenza. E’, infine, un punto d’arrivo ma soprattutto un punto di partenza imprescindibile per il dibattito futuro, sia politico che culturale, su questioni in merito alle quali, avverte Gustavo Zagrebelsky, citato dall’autore nelle prime pagine, occorre guardarsi dalla sicumera: “nelle questioni di questo genere la problematicità è un dovere”. Dei paradossi incontrati in queste pagine ne voglio citare alcuni che mi hanno particolarmente colpito. Il primo: l’aver allontanato, nel corso dell’ultimo secolo, la morte dalle nostre case per medicalizzarla e tecnicizzarla ci ha indotto, come conseguenza, un allontanamento dall’idea della morte e, purtroppo, dalle persone che stanno morendo. Con una bella immagine monsignor Paglia, riprendendo Elias, riassume questa condizione in poche parole: dalle mani dei familiari si è passati a quelle degli ospedali e infine a quelle degli “incaricati”, facendo diventare del tutto fuori moda quel momento di dolore e unione rappresentato dalla “Pietà” di Michelangelo: la pietà è stata estromessa, conclude l’autore.
Il secondo paradosso è dato dal progresso della tecnica e dall’emergere di nuove fragilità: se da un lato, grazie alla medicina, si è “allungata” la vita media di molti anni, dall’altro si fa fatica a riempirla di senso. Non solo, la vecchiaia, ci dice l’autore, col suo carico di fragilità, di dipendenza dagli altri e di solitudine, è diventata una nuova forma di povertà che colpisce ogni classe sociale. L’ultimo paradosso, se vogliamo, è il libro stesso.
Questo libro che è una lunga riflessione sulla malattia, la vecchiaia, la solitudine e la morte, si trasforma sotto l’occhio del lettore, pagina dopo pagina, in uno sfrenato inno alla vita, ad una vita piena e ricca grazie al potere di alcuni grandi spinte, oltre alla fede, naturalmente. Si intuisce, infatti, proseguendo nella lettura, l’enorme differenza tra il curare, che attiene alla sapienza di medici e specialisti, e il prendersi cura, che coinvolge, oltre loro, anche le persone vicine al malato, a partire dai familiari. Superare quella che Papa Francesco definisce “la cultura dello scarto”, che toglie dalla vista i poveri e i malati, ci porterebbe a rivedere non solo i nostri valori ma anche le nostre abitudini.
Ricostruire le relazioni familiari e amicali su basi meno mediate e più dirette, tornare a prediligere il contatto fisico e umano a quello tecnologico, superare la paura della noia e dell’imbarazzo nei rapporti deve diventare un imperativo per noi e soprattutto per i più giovani. Ritrovare il “calore” delle relazioni significa superare il muro dell’autosufficienza, del bastare a se stessi, che toglie più di quanto si riesca a percepire nel breve periodo.
E’ la solitudine, forse, il più diffuso dei mali del nostro tempo: non avere accanto qualcuno disposto a una carezza, a un dialogo, a un gesto di attenzione. Il poeta Dario Bellezza prima di morire solo, abbandonato, parlando della sua condizione, la riassunse in una frase piccola ma spaventosa: “nessuno che mi faccia una spremuta d’arancia”. Nessun servizio di consegna a domicilio, nessuna App potrà mai soddisfare il bisogno di non sentirsi soli perché, come ci ricorda la poesia di John Donne, “nessun uomo è un’isola. […] Ogni morte d’uomo mi diminuisce, perché io partecipo all’Umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te”. Vado a concludere. Mi ha fatto molto piacere vedere citate dall’autore come particolarmente significative, “una via saggia da cogliere e da proseguire”, le conclusioni elaborate dal Comitato scientifico della fondazione Cortile dei Gentili intitolate “Linee propositive sulla relazione di cura”, alla cui redazione hanno partecipato credenti e laici e che sono state presentate proprio qui in Senato poco più di un anno fa. In quel documento infatti si sono esplorati i confini delle cure e soprattutto si è definita la necessità di un’alleanza fiduciaria tra medico e paziente per costruire il migliore trattamento sanitario per ciascun individuo, tenendo nella dovuta considerazione anche i suoi convincimenti etici e morali e i principi di dignità, di libertà e di salute della persona, nella ricerca di una autodeterminazione consapevole che possa arrivare fino al rifiuto delle cure.
Nelle ultime pagine mons. Paglia scrive che una legge su questi aspetti è forse necessaria, ma avverte al contempo che nessuna legge potrà da sola dare un senso al passaggio finale dell’esistenza umana. Da parte mia sono convinto, e l’ho ripetuto spesso in questi anni da Presidente del Senato, che non esista tema che il Parlamento non possa trattare, nemmeno il più controverso. La politica deve essere in grado di poter discutere ogni aspetto rilevante che riguardi i cittadini e la comunità, a patto che il dibattito non si irrigidisca in posizioni preconcette e ideologiche ma al contrario favorisca l’ascolto e l’incontro tra idee e valori diversi. Dobbiamo essere consapevoli che quando si cerca di dare una fredda veste normativa a tematiche così dense di significati, di dolore e di speranza, a guidarci deve essere la responsabilità, la reciprocità, l’ascolto. In questo cammino il libro “Sorella Morte” potrà essere di grande aiuto. Grazie.