Cari colleghi, Autorità, Signore e Signori,
Desidero per prima cosa augurare a tutte le delegazioni un cordiale benvenuto e ringraziare il Presidente della Delegazione italiana presso l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, On. Michele Nicoletti, per l’invito ad aprire questi importanti lavori dedicati al Mediterraneo. Il tema è di importanza cruciale per l’Europa e per ciascuno dei nostri Paesi e credo che la dimensione parlamentare del Consiglio d’Europa sia la sede più adatta a dibattere delle nostre politiche comuni e dei valori in cui ci riconosciamo e che ci legano, con la profondità e la serenità che i ritmi e le rigidità dei contesti governativi non sempre consentono. Di Mediterraneo recentemente si è parlato molto, e giustamente, sia per la drammatica catastrofe umanitaria collegata ai flussi migratori; sia per le minacce di sicurezza che provengono dalla sponda sud e sud-orientale di questa vasta area geografica.
Per noi europei lavorare nel Mediterraneo e per il Mediterraneo non è una opzione. Come amava ripetere un nostro grande statista, Aldo Moro: “nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa o nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo”. Storicamente, nonostante non siano mai mancati conflitti e instabilità, la regione mediterranea è stata attraversata da fruttuosi scambi commerciali e culturali che hanno forgiato tratti di identità comune fra le due sponde. Oggi transitano per il Mediterraneo il 19% dei traffici di merci globali, cifra in costante aumento; e l’interscambio economico fra i Paesi della sponda sud e nord è in continua crescita, nonostante il freno dovuto alle crisi economico-politiche. Al tempo stesso, il Grande Mediterraneo è divenuto il punto più nevralgico di un sistema globale mai così frammentato e disgregato. Penso ai vuoti geopolitici determinati dalla dissoluzione di stati e di istituzioni; all’influenza di poteri informali sulla politica e le relazioni internazionali: crimine organizzato, terrorismo, economia illegale. Penso ai diversi livelli di conflitto in corso: economici, geopolitici, confessionali, etnici. Penso alle minacce del jihad globale, al cui interno si vive un confronto generazionale-ideologico fra strategie di lotta al “nemico lontano” (l’Occidente) e lotta al “nemico vicino” (i governi del Medio Oriente), attraverso i metodi del terrorismo, dell’instabilità, della comunicazione e dell’offesa ai diritti e alla dignità umana. Penso agli squilibri economici e alle diseguaglianze, che tanta parte hanno nella genesi delle rivolte arabe; che pregiudicano la coesione sociale, consegnando larga parte delle popolazioni all’esclusione e alla marginalizzazione; che generano frustrazione e rancore incoraggiando soprattutto nei più giovani l’adesione a ideologie distruttive. Penso ai migranti in fuga da conflitti, da persecuzioni, da malgoverno. A questo proposito, non è possibile affrontare ora tutti i complessi risvolti del tema. Personalmente sostengo i piani che la Commissione Europea ha presentato come un primo passo importante. Più in genere, io credo che la storia che sarà scritta sui tempi che viviamo misurerà la coerenza e la visione politica dell’Unione Europea e dell’Europa intera, sul grado di responsabilità e di solidarietà con cui sapremo affrontare il tema migratorio, nel pieno rispetto del diritto internazionale, della vita umana e dei nostri valori costitutivi.
Per quanto riguarda le diverse crisi in atto, credo sia necessario muovere dalla realistica consapevolezza che non possiamo stabilizzare rapidamente i focolai di guerra in Siria, in Libia, in Yemen e altrove; e nemmeno determinare presto condizioni di vita e governo accettabili in altri aree della regione. E’ ineludibile una strategia comune rivolta al medio termine, con azioni di stabilizzazione politica delle crisi e di sostegno allo sviluppo. Un processo che comporterà la complessiva ricomposizione degli equilibri geopolitici fra le grandi potenze regionali, che ora dobbiamo sostenere con determinazione. Oggi affronterete in dettaglio il caso della Libia, sconvolta dalla guerra civile e divenuta crocevia dei traffici di ogni tipo, droga, armi e persone, e possibile base operativa dello Stato Islamico. Io sono convinto che l’obiettivo debba essere promuovere, come l’Italia sta facendo, una soluzione politica affidata alle Nazioni Unite: la costituzione di un governo di unità nazionale che interrompa le ostilità militari, riacquisti progressivamente il controllo del territorio e il potere di spesa e che diventi un credibile interlocutore per l’Europa. Sulla lotta allo Stato Islamico io penso che alle azioni militari già in corso per contenerne l’espansione territoriale, debbano affiancarsi strategie per dare vita progressivamente a istituzioni, a luoghi della politica, che riempiano i vuoti geopolitici occupati dal terrorismo.
Concludo. Il Mediterraneo ha unito le due sponde molto più di quanto non dica la vuota retorica dello scontro di civiltà. Ripartire dalla storia per costruire il futuro è un dovere che spetta a noi, alla politica. Credo questo sia un terreno naturale di lavoro per l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, che ci consente di dedicarci a riflessioni congiunte sulle prospettive di medio e lungo periodo e di confrontarci sui grandi temi dell’umanità visti attraverso la lente di quei principi e valori che noi parlamentari abbiamo l’alto compito di proteggere e promuovere, e che sono il nostro indelebile comune patrimonio.
Grazie.