Cari amici rifugiati, cari operatori, Padre Ripamonti, Presidente Prodi, Autorità, Signore e Signori,
è con grande piacere che ho accolto l’invito a partecipare all’incontro di oggi, in occasione della presentazione del “Rapporto annuale 2016” del Centro Astalli e per festeggiare insieme i 35 anni di attività in favore dei richiedenti asilo e dei rifugiati, nella splendida cornice di uno dei Teatri storici della città di Roma. Ringrazio a questo proposito il Presidente Sinibaldi che ospita questa significativa iniziativa. Il Rapporto, come ogni anno, descrive in modo accurato e dettagliato le condizioni dei richiedenti asilo e dei rifugiati – che dal 1 gennaio al 31 dicembre 2015 si sono rivolti alla sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati – ed evidenzia, al contempo, gli aspetti positivi e gli elementi di criticità del complesso e articolato sistema di accoglienza del nostro Paese. Si tratta di uno strumento indispensabile che ci aiuta a comprendere meglio le sfide che l’Italia e l’Europa si trovano ad affrontare rispetto alla drammaticità di un fenomeno migratorio epocale e ormai stabile: l’accoglienza e l’integrazione.
Permettetemi innanzitutto di ringraziare tutti gli operatori e i volontari dell’Associazione Centro Astalli, una realtà italiana di eccellenza che da sempre è impegnata ad accompagnare, ascoltare, servire e difendere i diritti dei migranti. Enorme ed encomiabile è lo sforzo profuso dal Centro Astalli nel sostenere i richiedenti asilo e i rifugiati e nel condividere le loro esperienze, dalla prima accoglienza fino alle attività di sensibilizzazione su tutto il territorio nazionale. Con le sue sedi territoriali (Roma, Vicenza, Trento, Catania, Palermo) e gli oltre 550 volontari e 49 operatori, il Centro Astalli, in un anno, ha risposto alle necessità di circa 36.000 migranti, di cui quasi 21.000 nella sola sede di Roma. Un lavoro davvero eccezionale caratterizzato da un approccio che prevede un sistema di accoglienza sempre più progettuale nel tentativo di costruire una società realmente inclusiva e che condivido profondamente.
Secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, riportati nel Rapporto, il numero dei migranti nel mondo ha raggiunto la cifra di 60 milioni, un popolo di uomini, donne e bambini in fuga dalle guerre, dai regimi dittatoriali, dalle persecuzioni politiche e religiose, dalle diseguaglianze economiche e dai disastri ambientali causati da cambiamenti climatici e da politiche sbagliate. Le rotte attraverso le quali si continua ad arrivare si concentrano soprattutto nel Mediterraneo, dove troppo spesso migliaia di persone non sopravvivono alla traversata. E’ di ieri la tragica notizia di centinaia di dispersi in mare, a un anno di distanza esatto dalla strage del 18 aprile 2015, tra le più gravi di sempre coni suoi circa 800 dispersi. In questo “circa” si nasconde una sofferenza immane, irraccontabile, il dolore di centinaia di persone ognuna con la propria storia, i propri affetti, i propri sogni. Trovo difficile, personalmente, continuare a discettare di grandi scenari internazionali senza tenere nella giusta considerazione la vastità di questa pena, che Papa Francesco ha definito pochi giorni fa “la catastrofe umanitaria più grande dopo la Seconda Guerra Mondiale”. Vorrei qui richiamare l’attenzione in particolare sul dramma dei minori stranieri non accompagnati: tutti i bambini migranti, profughi e rifugiati sono prima di tutto bambini in pericolo, soggetti vulnerabili e a rischio di violenza e sfruttamento se non adeguatamente protetti.
Come evidenziato dal Rapporto, il numero di rifugiati approdati nel nostro Paese nel corso dello scorso anno è stato consistente anche se inferiore allo straordinario flusso registrato verso la Grecia e attraverso i Balcani, composto in gran parte da cittadini siriani. Arrivano invece soprattutto dall’Africa e in misura minore dal Medio Oriente i richiedenti asilo che approdano sulle nostre coste. Le scelte politiche di alcuni Paesi europei e dell’Unione nel suo complesso potrebbero ora porre di nuovo il nostro Paese al crocevia della disperazione. L’Italia si trova di fronte ad un impegno straordinariamente difficile: salvare tutte le persone e accoglierle, dando risposte immediate alle impellenti esigenze, distribuendole nelle diverse regioni; e impostare contestualmente un piano strutturato che permetta di ricondurre tutti gli interventi di accoglienza a una gestione ordinaria e programmabile, uscendo finalmente dalla stagione dell’emergenza. Certamente ci sono stati e continuano ad esserci nel nostro Paese degli elementi di criticità legati al funzionamento non sempre ottimale di una macchina dalla straordinaria complessità e articolazione che coinvolge i vari livelli di governance, le realtà associative, le comunità dei territori di accoglienza e le diverse comunità dei migranti. Penso, ad esempio, alle crescenti difficoltà nell’accesso alla tutela, ai percorsi verso l’autonomia che restano ardui e fragili, agli ostacoli burocratici. Disagi e incertezza che contribuiscono ad aumentare nei rifugiati la sensazione di esclusione e di incomprensione. Tuttavia, emergono numerosi risultati positivi che non assurgono agli onori della cronaca perché costituiscono l’ordinarietà del funzionamento di un sistema che è andato crescendo rapidamente nel tempo e che soprattutto si è andato trasformando in un ordinario sistema multilivello. Primo fra tutti è il coinvolgimento dei territori: ritengo, infatti, che il modello dell’accoglienza diffusa in centri di piccole e medie dimensioni costituisca uno strumento privilegiato in termini di effettiva integrazione di nuclei familiari o piccoli gruppi senza determinare sensazioni di insicurezza nei cittadini.
Ma l’Italia non può rimanere sola o isolata nell’affrontare la gestione di un flusso migratorio dalle proporzioni epocali. E’ assolutamente necessario incoraggiare un serrato confronto con le Istituzioni europee affinché sia condivisa una strategia comune d’accoglienza e integrazione, valorizzando gli strumenti già oggi disponibili e adeguando le normative alle nuove esigenze. Ma anche gli eventi di questi ultimi giorni dimostrano una mancata solidarietà tra i Paesi dell’Unione europea e soprattutto la mancanza di una politica d’asilo forte e condivisa tra i Paesi membri dell’Unione, in grado di superare i limiti del Regolamento di Dublino e impedire di giungere al paradosso della costruzione dei muri nel cuore dell’Europa. Se da un lato ritengo sia fondamentale una lotta decisa alla tratta e al traffico di migranti, dall’altro è altrettanto fondamentale una forte politica comune di asilo e una nuova politica europea di migrazione legale. A tale scopo si dovrebbero prevedere altre forme di ingresso legale a livello europeo – come visti umanitari, possibilità di richiedere asilo dall’estero – che aiuterebbero a ridurre i flussi “irregolari” di richiedenti asilo. Altro elemento di riflessione – come è stato rilevato più volte e in diverse sedi – è che sono obiettivamente poche le opportunità per i flussi legali. Ciò costringe i migranti e i richiedenti asilo a rivolgersi ai «trafficanti di esseri umani» incrementando il loro volume di affari. A mio parere, la strada da intraprendere è quella di politiche nazionali e sovranazionali attraverso le quali pianificare e investire in cooperazione internazionale e accordi bilaterali, in progetti di partenariato e in corridoi umanitari, in piani di reinsediamento e di ammissione umanitaria. Si tratta di una strada lunga e che richiede necessariamente una linea europea comune.
Altrettanto indispensabile è una forte e coordinata azione politica a livello europeo di medio e lungo periodo, oltre a quella di breve periodo, per intervenire nei territori d’origine sulle cause di questo “esodo”. Quand’anche si riuscissero a trovare argomenti e strumenti per una piena ridistribuzione dei rifugiati attuali e prossimi venturi fra tutti i Paesi della Unione, resta sullo sfondo la questione della straordinaria pressione migratoria che proverrà dall’Africa per molti decenni a venire. In questa direzione si muove il “migration compact” presentato dal Governo italiano a Bruxelles. Un piano che rispecchia un impegno corale e condiviso di tutte le istituzioni italiane e segna un necessario cambiamento nell’approccio al tema, focalizzandosi anche sulla dimensione esterna del fenomeno migratorio. Si prevedono misure concrete di sostegno ai Paesi africani, nuove regole per le migrazioni regolari, incremento della cooperazione con i Paesi terzi di transito per garantire adeguata accoglienza a profughi e migranti. Una prova di lungimiranza strategica del nostro Paese che auspico le istituzioni e i Paesi membri dell’Unione sapranno cogliere con l’urgenza che è imposta dalla situazione. Sono certo che la giornata odierna costituirà un momento prezioso di analisi e approfondimento su un tema di costante attualità, che impone una risposta complessiva, certa, ai tanti interrogativi legati al dominante profilo umanitario della crisi migratoria che stiamo vivendo e al considerevole impatto socio culturale ed economico del sistema di accoglienza nazionale ed europeo. Siamo tutti chiamati ad una azione inclusiva di solidarietà e di apertura verso chi fugge dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla miseria e dalla fame e alla disperata ricerca di una vita migliore e più sicura per sé e la propria famiglia.
Concludo con le parole di Papa Francesco, che ci chiamano tutti in causa: “non bisogna mai dimenticare che i migranti, prima di essere numeri, sono persone, sono volti, nomi, storie. L’Europa è la patria dei diritti umani, e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare, così si renderà più consapevole di doverli a sua volta rispettare e difendere”. Buon lavoro.