di Eliana Di Caro per il Sole 24 Ore
La fila è di quelle riservate a Luciana Littizzetto o Checco Zalone, un serpente di persone che parte dall’ingresso della Sala Rossa (una delle più grandi) e arriva fuori al Lingotto. E non crediamo sia solo per la presenza di Pif, accanto al presidente del Senato Pietro Grasso e al giornalista Francesco La Licata. L’interesse per il racconto di chi ha fatto il magistrato per 43 anni e presenta “Storie di sangue, amici e fantasmi” (Feltrinelli) al Salone del Libro di Torino, a sei giorni dal 25esimo anniversario dell’assassinio di Giovanni Falcone, è forte, accompagnato dagli applausi e anche da qualche sorriso.
Grasso, sollecitato da La Licata che rievocava il loro primo incontro nel ’71 dinanzi al cadavere del procuratore PietroScaglione, il primo ucciso dalla mafia, ha spiegato di aver scritto questo libro per i più giovani innanzitutto, che nulla sanno di quel passato, con l’idea di «trasmettere una testimonianza degli ideali, dei valori, raccontando le persone che li hanno interpretati, che hanno combattuto per affermarli e che sono in grado oggi con il loro esempio di smascherare l’indifferenza, di superare coloro che non vogliono capire, non vogliono sapere. Perché è necessaria una rivolta morale in questo Paese».
Il presidente ha rievocato i tempi del maxiprocesso, uno spartiacque nella sua vita professionale. Era chiamato a fare «il giudice di tutto quel che Falcone e Borsellino avevano raccolto. Superando ostacoli notevoli, c’è stato un momento in cui si è realizzato un successo che ha innescato una reazione della mafia, e ho sempre avuto questo pensiero: ma se non avessimo superato qualcuno di quegli ostacoli, se il maxi processo non avesse portato agli ergastoli, non ci sarebbe stata quella reazione e sarebbero ancora vivi? Conoscendoli (Falcone e Borsellino,ndr) non si sarebbero fermati, avrebbero continuato. Questo mi tranquillizza, mi rasserena, supero così quel senso di colpa che ti coglie quando sei stato in trincea con tanti amici che non ci sono più e tu vai avanti e cerchi di realizzare quegli obiettivi. Sono felice di averlo fatto. Spero che nasca una coscienza collettiva che si canalizzi nella rivolta etica di cui abbiamo bisogno».
Proprio sul maxi processo Pif girerà il suo terzo film, perché il sacrificio e la battaglia di Falcone e Borsellino contro la mafia non vengano dimenticati «come è accaduto per altri prima di loro, ad esempio Chinnici e Mattarella»”. Pier Santi Mattarella fu ucciso il 6 gennaio 1980. «Una mazzata, dopo che la sua elezione a presidente della Regione era stata salutata come un segnale di speranza da tutti i siciliani», rievoca La Licata. Quel giorno, il magistrato di turno era Pietro Grasso. E quel giorno incontrò il fratello di Pier Santi, l’allora professore universitario Sergio Mattarella (che firma la prefazione al libro). «Nel 2015 ci siamo ritrovati al Quirinale: io presidente della Repubblica supplente, dopo le dimissioni di Giorgio Napolitano, a dare le consegne al neoeletto Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Altro che film di Pif! Pensate le vite parallele che, dopo 35 anni, si incrociano. Questo ci fa riflettere sulla strada che si è fatta, su quello che è cambiato».
Grasso, infine, si sofferma sul fatto che mentre una volta i ragazzi figli di mafiosi erano rispettati, ora si sentono ghettizzati e chiedono ai genitori di prendere le distanze. «C’è il lavoro degli insegnanti – osserva – ci sono i film, i libri, le fiction in tv, insomma si parla della mafia, benché la mafia a sua volta si trasformi, cercando di dar l’impressione che non esiste più. Mi sento però di dire che ho speranza, perché c’è meno omertà. Oggi nessuno può più dire “io non sapevo”.