Intervista di Massimo Franco sul “Corriere della Sera” – 20 dicembre 2017
Lasciate che i grillini vengano a me. E si convertano alle istituzioni. Non lo dice proprio con queste parole. Ma la strategia di Pietro Grasso, presidente del Senato e leader di Liberi e uguali, la sinistra alternativa al Pd, sembra proprio questa: convincere ad andare alle urne chi negli ultimi anni si è astenuto. E «riportare a casa» i voti di quei settori dell’opinione pubblica che, per rabbia o per protesta, hanno gonfiato le percentuali del M5S. «Loro gridano onestà tre volte? Be’, io lo posso dire anche cinque», rivendica. Su Matteo Renzi, invece, Grasso è stranamente cauto; idem su Maria Elena Boschi: guarda oltre. E spiega perché ha deciso di fare politica mantenendo la seconda carica dello Stato.
Non ha scelto bene il momento per diventare un capo partito. Il Senato è esposto.
«Veramente, il Senato è stato esposto da una legge elettorale votata senza permetterci di discuterla dopo il sì della Camera; e dopo cinque voti di fiducia. A quel punto ho sentito l’esigenza di dare un segno di discontinuità politica uscendo dal Pd. Prima ho fatto quello che dovevo, garantendo che andasse in porto per dovere istituzionale. Poi ho preso carta e penna, senza consultare nessuno, e ho comunicato che lasciavo il Pd. La tempistica non è stata una mia scelta. Non ho pensato al seguito, e invece si è innescato un meccanismo che mi ha portato a impegnarmi direttamente in politica. È la prima volta, ma lo faccio con convinzione e vero entusiasmo».
Il Senato è uscito rilegittimato dal referendum del 4 dicembre del 2016. Non teme di delegittimarlo?
«Per pronunciarmi ho aspettato l’approvazione in prima lettura della legge di Bilancio. E comunque, no: ho mantenuto una perfetta indipendenza e autonomia. L’ho fatto in questi anni e continuerò a farlo ancora di più ora. I tempi stretti della legislatura mi hanno indotto a compiere il passo finale. D’altronde, quando tre ragazzi, Speranza, Civati e Fratoianni sono venuti a propormi il loro progetto, ho capito che potevo e dovevo rendermi ancora utile».
I «tre ragazzi» fanno pensare a Liberi e uguali come a una «Cosa rossa» aggiornata; e che li abbiano mandati Bersani e D’Alema.
«Tecnica antica, quella di demonizzare qualcuno per inficiare il ruolo di altri. Non sono mai stato strumento di nessuno, né da magistrato né adesso. L’etichetta di «Cosa rossa» era stata confezionata dagli avversari prima ancora che l’operazione partisse. Il progetto è diverso».
Lo è riuscito a cambiare lei?
«Certo vogliamo cambiarlo. Il coinvolgimento di Rossella Muroni, fino a ieri presidente di Legambiente, è un primo segnale. Ci rivolgiamo a settori del mondo cattolico, dei sindacati, di associazioni, in una parola dei corpi intermedi. Parliamo a una realtà potenziale molto più larga da coinvolgere. Il mio obiettivo è costruire un movimento dal basso che riduca le disuguaglianze e la povertà. La parola leader non mi piace».
Nel simbolo c’è il suo nome.
«Ero contrario, se non altro per pudore. Ma era necessario per farci riconoscere: succede alle nuove formazioni, anche «+Europa» ha messo il nome della Bonino».
Perché non si è dimesso?
«Invece di risolvere un problema, ne avrei creati alle istituzioni. Problemi seri, con i numeri del Senato in bilico e al termine della legislatura. Sarebbe stato un ulteriore elemento di instabilità».
Lei non è uomo da duelli televisivi duri. Parteciperà ai confronti in tv?
«Mi candido per il Parlamento, non per X Factor. Non mi interessa affascinare, né scontrarmi secondo logiche che non mi appartengono. La mia idea di politica non è la battaglia televisiva ma presentare la soluzione dei problemi. Se è necessario parteciperò ai confronti ma non amo gli scontri. Io voglio partire dai valori di sinistra con un progetto che guardi ben oltre le elezioni».
Come convincerà gli elettori che il voto a voi è utile, e non favorisce M5S o centrodestra?
«Guardi, noi ci proponiamo come sinistra di governo non come fine ma come mezzo per cambiare la rotta su lavoro, scuola, sanità. E vogliamo spiegare che non serve un voto solo di protesta. In più, con questo sistema, di fatto proporzionale, non ci sarà un vero vincitore. La storia del voto utile non regge».
Non ci sarà un vincitore ma la sinistra si candida a essere perdente.
«Vogliamo riportare al voto chi oggi si astiene perché deluso. Il Pd i consensi li ha già persi con l’astensione o col voto al M5S. Contiamo di recuperarli dando un’alternativa».
Il Pd continuerà a perderli?
«Lo dicono i dati. Noi saremo la rete che raccoglierà quel consenso prima che vada altrove».
Influisce l’andamento dei lavori della Commissione d’inchiesta sulle banche?
«Bisogna aspettare che finisca i lavori per capire meglio».
Nel suo partito c’è chi chiede le dimissioni di Boschi.
«Non affronto il problema delle sue dimissioni. O senti di darle per tue ragioni personali, o perché te le chiede qualcuno a cui non puoi dire di no. Per ora non si sono verificate queste condizioni».
Quanto influisce sulle difficoltà del Pd la sconfitta referendaria del dicembre 2016?
«Il referendum ha mostrato una partecipazione di popolo straordinaria. Molti hanno visto nella riforma, collegata con l’Italicum, un indebolimento della nostra democrazia. Le riforme vanno fatte con un altro approccio: merito e metodo di quella riforma l’hanno resa un’occasione mancata».
Le è pesato molto gestire il referendum dal Senato che doveva essere abolito?
«Fa parte del ruolo gestire con imparzialità provvedimenti che posso anche non condividere».
Cosa votò al referendum?
«Prima che arrivasse in Aula avevo espresso le mie perplessità, ma non mi sono espresso durante la campagna e non lo farò neanche ora».
Quindi potrebbe anche votare Pd e non dirlo.
«Rispondo con una battuta: se venisse sulla nostra linea… ma non mi sembra possa accadere. Io sono inclusivo, non metto veti».
Non è troppo facile prendersela con Renzi oggi? Per anni la nomenklatura del Pd, compresi alcuni che stanno con lei, non hanno fiatato.
«Non sono tra quelli che ne fanno una questione personale: ho avvertito una distanza crescente con le politiche attuate, e non ne ho fatto mistero. La campagna elettorale si fa sui contenuti. Se non c’è Renzi ma si continua con la stessa politica, le distanze con noi non si accorciano».
La descrivono come possibile garante di un M5S che si avvicina al governo.
«Su molti temi, a cominciare dall’Europa e dalla moneta unica, siamo distanti: pensare a un referendum sull’euro, tra l’altro, non è previsto dalla Costituzione. Più che parlare col M5S dopo le elezioni, preferisco parlare ora con i suoi elettori, convogliando la loro rabbia nell’ambito istituzionale. Vorrei riportarli a casa».
Vuole togliere voti al Pd e a Grillo?
«Non metto limiti, magari convinceremo anche elettori di centrodestra: quelli che prima erano i problemi di pochi sono diventati problemi di molti: precari, giovani professionisti, chi ha una piccola attività, una partita Iva».
Ha qualcosa da rimproverarsi per la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore?
«Ho applicato la legge Severino e il regolamento del Senato. E l’Aula nella sua sovranità ha votato».
Vorrebbe che partecipasse alla campagna elettorale?
«Già partecipa».
Come candidato.
«Non dipende da me».