Napolitano è un grande servitore dello Stato. Buon lavoro Presidente

“Giorgio Napolitano conferma ancora una volta di essere un grande servitore dello Stato e un grande italiano. In questi sette anni è stato un esempio di saggezza politica, il vero garante delle Istituzioni, ha guidato il Paese in un percorso di riscoperta del senso dello Stato e del valore dell’unità nazionale.”

Così il presidente del Senato, Pietro Grasso, che prosegue: “La sua elezione per un secondo mandato rassicura tutti i cittadini in un momento difficile per il Paese. Spero che ad una tale dimostrazione di responsabilità ne corrisponda una analoga da parte di tutte le forze politiche, come chiesto dal Presidente Napolitano. Ringraziandolo a nome del Senato, oltre che mio personale, e congratulandomi per la sua elezione, aggiungo solo: Buon lavoro Presidente.”

Non accettabile etichetta infamante golpe per elezione Capo dello Stato

Dichiarazione congiunta dei Presidenti di Camera e Senato

La libertà di espressione del dissenso, anche nelle forme più nette, è una delle caratteristiche più preziose e irrinunciabili della democrazia. E le scelte che si compiono in Parlamento sono doverosamente esposte ad ogni critica. Ma non è accettabile che venga qualificato con l’etichetta infamante di “golpe” il percorso limpidamente democratico che ha portato all’elezione del Capo dello Stato. Qualunque sia il loro giudizio sulla scelta compiuta a larga maggioranza dalle Camere riunite, tutti i cittadini italiani possono sentirsi garantiti da una procedura che ancora una volta ha rispettato integralmente la Carta costituzionale.

Testimoni dei diritti

Intervento alla cerimonia conclusiva del concorso studentesco

Cari ragazzi, cari professori,
Signor Ministro,

È con viva emozione che presiedo questa seduta dedicata ai vostri lavori sulla Dichiarazione universale dei diritti umani. Cosa vuol dire essere “Testimoni dei diritti”? Credo che ciascuno di voi abbia la propria risposta, io posso dirvi la mia: essere “Testimoni dei diritti” significa proporre un modello di cittadinanza aperto e responsabile, ispirato ai valori della solidarietà, dell’accoglienza, del riconoscimento dell’altro come specchio della nostra e dell’altrui dignità.

I lavori premiati oggi rappresentano lo sforzo di tutta la collettività degli studenti italiani. Voglio sottolineare che i vostri elaborati non sono stati una riflessione astratta dai contesti di vita e di studio di ciascuno.

Parlando di autodeterminazione della persona e dei popoli, di diritto all’istruzione e alla pace, di sviluppo della personalità, persino di riposo e di svago, vi siete calati nella concretezza della vita di ciascuno di voi e di quanti hanno sofferto e soffrono tuttora la negazione dei più elementari diritti enunciati nella Dichiarazione.

C’è un filo conduttore che lega tutti i vostri lavori, che tiene insieme le tante tessere di quel mosaico della cittadinanza universale che state costruendo nelle vostre scuole. Questo filo conduttore, che mi emoziona sempre ricordare, è nel primo articolo della Dichiarazione universale: tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

Dignità e diritti danno luce ad ogni essere umano già dalla nascita. La Dichiarazione universale, che voi studiate e soprattutto testimoniate nelle vostre scuole, nelle vostre vite, con i vostri amici e coetanei, non richiede altro se non la nascita! Vedete quale riconoscimento riceve la persona umana in quanto tale al di là di ogni distinzione! Quale ricchezza le viene riconosciuta!

Non possiamo non ricordare come queste parole sono state scritte nella Dichiarazione universale e scolpite nella coscienza di ogni donna e di ogni uomo proprio all’indomani della tragedia della seconda guerra mondiale. Pensate alle decine di milioni di vite spezzate, all’abisso del male raggiunto dalla Shoah, allo scenario apocalittico di Hiroshima e Nagasaki!

La dignità dell’uomo risorge dalle ferite più dolorose del “Secolo breve”, come il grande storico Eric Hobsbawm definì la parte centrale del Novecento, e richiama ciascuno di noi ad agire “verso gli altri in spirito di fratellanza”. Quale messaggio di speranza lancia la Dichiarazione universale ad un mondo che piange ancora per le sofferenze della seconda guerra mondiale!

Ogni vostro lavoro, prendendo in considerazione i diversi passaggi della Dichiarazione, si irraggia da questo principio irrinunciabile, costituisce un monito per ciascuno di noi, risveglia le nostre coscienze di fronte alle tante violazioni dei diritti che si consumano nel mondo.

Merito dell’iniziativa “Testimoni dei diritti” è quello di proporre un percorso condiviso, grazie anche alle visite di rappresentanti del Senato nelle scuole coinvolte e, in particolare, alla piattaforma didattica interattiva presente sul sito web www.senatoperiragazzi.it.

In questo modo le vostre intuizioni diventano stimolo per le Istituzioni, si confrontano con le scuole e i ragazzi di tutta Italia, costruiscono reti di relazioni e di contatti.

Come sapete, da tempo ormai il Senato della Repubblica è impegnato a favorire la tutela e la promozione dei diritti umani. Questo sforzo ha trovato nel corso degli anni un valido interlocutore nelle scuole che partecipano al progetto “Testimoni dei diritti”.

E’ mio auspicio che le Assemblee parlamentari tornino a mettere presto nelle proprie agende il tema dei diritti umani, della loro violazione, del loro riconoscimento sotto ogni latitudine.

Nella mia esperienza di magistrato ho imparato che la lotta contro ogni tipo di illegalità non può limitarsi all’uso di mezzi repressivi, pur necessari. L’illegalità, la malavita, le forme più diverse e più violente di criminalità organizzata fioriscono laddove la dignità della persona viene negata e umiliata.

Nel momento in cui la liberazione dal bisogno viene frustrata, la rivendicazione di diritti si perverte nella richiesta servile di favori. Lo spirito di fratellanza, cui ci richiama la Dichiarazione universale, viene sostituito dall’appartenenza al gruppo chiuso, alla cosca. Il gregarismo diventa il modello di comportamento del cittadino umiliato. Regole e valori della democrazia sono percepite come un peso, come un intralcio e i diritti sono il fumo negli occhi di ogni violento, di ogni prepotente.

Per queste ragioni non smettete mai di testimoniare la Dichiarazione universale dei diritti umani. Non lasciatevi mai convincere che i diritti sono cosa lontana dalle vostre vite, dai vostri progetti, dalle vostre speranze. I diritti ci sono dati dalla nascita. Spetta a ciascuno di noi, a ciascuno di voi difenderli e farli crescere giorno per giorno!

Vi ringrazio. E buon ritorno ai vostri impegni di giovani cittadini.

Incontro con familiari di bambini affetti da gravi patologie neurodegenerative

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Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, riceverà oggi a Palazzo Madama, alle ore 15.00, una delegazione di familiari di bambini affetti da gravi patologie neurodegenerative.

Saranno presenti all’incontro la Senatrice Anna Cinzia Bonfrisco e Gianni Pittella, Vice Presidente del Parlamento europeo.

Rapporto Unicef sulla povertà ed il benessere dei bambini dei Paesi ricchi

Autorità,
Signore e Signori,

è un grande piacere essere qui oggi, in occasione della presentazione del l’undicesima edizione del Rapporto UNICEF sul “Benessere dei bambini e degli adolescenti nei paesi ricchi”.

Il rapporto illustra una comparazione fra 29 paesi a economia avanzata e tiene in considerazione cinque dimensioni della vita infantile: benessere materiale; salute e sicurezza; istruzione; comportamenti e rischi; condizioni abitative e ambiente. Esamina anche ciò che pensano i bambini e gli adolescenti del proprio benessere, includendo una graduatoria della loro soddisfazione rispetto alle proprie condizioni di vita. Ed infine analizza i cambiamenti registrati durante la prima decade del 2000, valutando i progressi di ciascun paese.

Questa panoramica ci fornisce degli spunti interessanti di riflessione e rappresenta un volano per sollecitare il dibattito e l’attuazione di politiche nazionali per migliorare la vita dei minori. Ritengo che monitorare la povertà e le privazioni materiali dei bambini e degli adolescenti nei paesi cosiddetti ricchi sia fondamentale non solo per avviare politiche efficaci, ma anche per suscitare una maggiore responsabilità sociale e per un utilizzo più mirato delle risorse.

Nel rapporto appena presentato, i dati che riguardano il nostro paese sono davvero preoccupanti. L’Italia occupa il 22° posto su 29 Paesi: alle spalle di Spagna, Ungheria e Polonia, ma prima di Estonia, Slovacchia e Grecia. Insieme agli altri Paesi dell’Europa meridionale – Portogallo, Grecia e Spagna – l’Italia si trova nella terza fascia più bassa della classifica sulla povertà infantile relativa, con il 17% dei bambini sotto la soglia di povertà e il più alto tasso di tutti i Paesi industrializzati, dopo la Spagna, con l’11%, dei giovani che non sono iscritti a scuola, non lavorano e non frequentano corsi di formazione. Come evidenziato da questi dati, oggi non si può più parlare di “disagio sociale” ma di una vera e propria “questione sociale” da porre al centro dell’attenzione e dell’azione pubblica.

La politica non può affermare il suo ruolo se le manca il sentimento di partecipazione e quella capacità di condivisione umana e morale verso situazioni gravi di persone e di famiglie. La questione dell’infanzia e dell’adolescenza va messa al centro dell’azione politica se vogliamo che l’Italia possa avere un futuro.
Sicuramente le cause di questa drammatica situazione sono da ricercare nella crisi economica che da qualche anno sta interessando tutto il mondo. La disoccupazione, la precarietà del lavoro, i bassi salari, l’inadeguata istruzione, l’insufficiente aiuto alle madri e ai bambini, la mancanza di una casa, la discriminazione razziale, l’assenza di una prospettiva a lungo termine sono tutte condizioni che contribuiscono a minare le condizioni di salute e di sviluppo di un bambino.

Ma non solo. Siamo di fronte ad un impoverimento morale, dove le parole giustizia, cultura e tutela dei diritti fondamentali sembrano essere scomparsi dal vocabolario e dal tessuto sociale.

Come emerge nel rapporto, negli ultimi 50 anni, nonostante in gran parte dei paesi monitorati il reddito nazionale sia raddoppiato e in alcuni casi triplicato, una percentuale significativa dei bambini continua a vivere in famiglie in condizioni di povertà tali da mettere a rischio la loro salute e il loro sano sviluppo. Questo significa che il reddito delle famiglie non può essere l’unica misura per rappresentare il benessere dei bambini nei paesi cosiddetti ricchi, ma è necessario affiancare ai convenzionali indicatori della crescita economica come il PIL, statistiche più direttamente correlate alla vita delle persone, allo sviluppo umano, in termini di istruzione, salute, democrazia, equità sociale, tessuto relazionale.

Le conseguenze di una mancata protezione e promozione del benessere infantile sono pesantissime e si ripercuotono nelle fasi successive della vita di un bambino. Tali ripercussioni possono andare dalla compromissione di un corretto sviluppo cognitivo a risultati scolastici scarsi; da aspettative e competenze ridotte a bassi livelli di produttività e reddito; da alti tassi di disoccupazione a una maggior dipendenza dallo stato sociale; dalla diffusione di comportamenti antisociali al coinvolgimento in attività criminali – e i fatti di cronaca di questi giorni non fanno che confermare questo dato – alla maggiore probabilità di abuso di stupefacenti e alcool.

Oggi è più che mai urgente approvare misure contro la povertà infantile e le disuguaglianze. Bisogna sostenere politiche per i genitori che facilitino il loro ingresso nel lavoro; l’accesso garantito a servizi di qualità a prezzi accessibili; investire in istruzione ed educazione per dare a tutti uguali opportunità; politiche edilizie e urbanistiche a dimensione di bambino. Recentemente anche la Commissione Europea ha diramato una raccomandazione ufficiale dal titolo “Investire nei bambini: rompere il circolo vizioso di svantaggio” con la quale, con inequivocabile chiarezza, gli stati membri vengono sollecitati a mettere al centro dell’agenda il tema dell’infanzia e degli investimenti necessari per combattere la povertà dei bambini. Da Bruxelles arriva un messaggio chiaro a tutti i governi. Nella raccomandazione adottata il 20 febbraio scorso, infatti, si richiede ai paesi membri di sviluppare strategie integrate contro la povertà infantile.

È indispensabile quindi una inversione di rotta. La spesa pubblica, soprattutto quella destinata ai minori, non è un costo ma piuttosto un investimento fondamentale che ‘paga’ sia in termini di tutela di diritti che in un’ottica di razionalizzazione e risparmio per il futuro.

Dobbiamo cogliere l’urgenza delle criticità sollevate dal rapporto dell’UNICEF e adoperarci per risolverle. Per questo occorre una mobilitazione sociale e culturale, che aiuti a vedere i bambini come cittadini e individui dotati di diritti propri, non semplici appendici della propria famiglia, di cui seguono inevitabilmente il destino.

La legislazione vigente a tutela dei più piccoli, sia a livello nazionale sia internazionale, è senza dubbio un’esemplare conquista sociale e civile in materia di diritti umani. I progressi raggiunti sono straordinari ma ancora c’è tanto da fare, in particolare dove persistono situazioni di degrado e sottosviluppo che impediscono condizioni di vita rispettose dei diritti: assicurare ai bambini i loro sacrosanti diritti, accompagnare la loro crescita, garantire loro ogni protezione da abusi e pericoli costituiscono doveri inderogabili di un Paese civile e democratico.

La cultura della tutela dei bambini si fonda, certo, sulla garanzia della loro sicurezza e dignità, ma si sostanzia anche attraverso la costruzione di basi e di strumenti per la realizzazione di un avvenire migliore. I nostri figli ci costringono a tornare a guardare all’orizzonte e hanno il diritto di ricevere la capacità di desiderare, la speranza e la fiducia nell’avvenire.

Considero questi obblighi morali e materiali un imperativo categorico, e mi impegno a contribuire in tutti i modi possibili al futuro dei bambini e dei ragazzi e al futuro del mondo. Bisogna poter guardare in viso i nostri figli, e i figli dei nostri figli, senza mai avere la sensazione di doverci rimproverare qualcosa. Grazie.

È possibile consultare il rapporto Unicef qui.

 

Dal Parlamento parta una Commissione su tutte le stragi irrisolte

Messaggio in occasione dell’anniversario del rogo della Moby Prince

“Sono trascorsi 22 anni dal 10 aprile del 1991, quando 140 persone persero la vita nel rogo della Moby Prince, la nave passeggeri che entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo nella rada di Livorno, e il ricordo di quella tragedia è ancora vivo e indelebile in tutti noi.”Si apre con queste parole il messaggio che il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha inviato al Sindaco di Livorno, che prosegue: “Come cittadino e come Presidente del Senato, rinnovo la mia vicinanza e il mio affetto alle famiglie colpite, esprimendo il mio più profondo cordoglio per quanti persero la vita in quell’incidente. Le istituzioni e la società civile hanno il dovere di rimanere al fianco di chi è stato colpito da questo tragico evento facendo chiarezza su quanto avvenuto. Il ricordo di ciascuna vittima può diventare memoria collettiva solo se la verità saprà accompagnare l’operato di chi ha il dovere accertare i fatti come realmente accaduti. la giustizia è l’unica forma di conforto per chi ha perso i propri cari in tragedie di così ampia portata.”

Conclude il Presidente: “E’ mio auspicio che il ricordo di questa data possa continuare a parlare forte, sollecitando il rigoroso rispetto delle norme di sicurezza anche al fine di evitare che in futuro si ripropongano analoghi eventi. mi auguro che anche il parlamento sappia contribuire a questo obiettivo, utilizzando tutti gli strumenti a propria disposizione, a partire dalla costituzione di una Commissione d’inchiesta sulle stragi irrisolte del nostro paese.”

Il discorso di Giorgio. Le parole e i pensieri del Presidente Napolitano

Presentazione del volume di Tobia Zevi presso l’Istituto della Enciclopedia italiana

Cari amici, caro Tobia,

è per me un grande piacere essere qui con voi oggi, nella sede di questo prestigioso istituto che tanto ha contribuito al progresso scientifico e culturale del nostro Paese, per presentare un Volume a me particolarmente caro. Caro perché ha ad oggetto le parole e i pensieri di un Presidente che con la sua capacità comunicativa ha saputo sensibilizzare ed educare le istituzioni ed i cittadini in una fase estremamente complessa della nostra storia politica. Un Volume a me caro anche perché scritto da un giovane che, passando attraverso una profonda conoscenza della storia del linguaggio, ha saputo offrirci una sottile analisi letteraria – e non solo – dei discorsi pubblici del nostro Presidente.

Questo libro rappresenta il tentativo di cogliere l’impronta personale dei discorsi del Presidente Napolitano, evidenziandone al contempo la portata istituzionale. Un lavoro di analisi testuale puntuale, mai asettica, in grado di interpretare la moral suasion del Presidente come il frutto “di un’inclinazione personale e di un’etica fondata sul rigore, sulla serietà, sul senso di responsabilità verso le generazioni future”.

Rispetto ai sette argomenti del messaggio presidenziale che sono esaminati nel libro, vorrei brevemente soffermarmi sul sesto tema, quello a me più caro, per la mia storia personale e professionale, il tema della “Giustizia e politica: la responsabilità del potere”.

Dalla lettura della pagine dedicate a questo argomento emergono alcuni temi concernenti la giustizia ed in particolare il conflitto permanente tra politica e giustizia che ha prodotto il risultato non secondario di mettere spesso in secondo piano i veri mali della giustizia, tra cui l’anomalia del nostro sistema giudiziario: l’eccessiva durata dei processi.
Una parola chiave che torna con una certa frequenza è quella della giustizia come servizio, “servizio primario che lo Stato deve rendere ai suoi cittadini” si legge in un messaggio di Napolitano del 12 maggio 2008; e Tobia Zevi commenta questo passaggio ricordando che in realtà il servizio è un vocabolo generalmente riferito all’impegno politico.

Ma è innegabile che sia la giustizia, sia la politica, siano un “servizio”, una funzione svolta nell’interesse di, per qualcuno, non già contro qualcuno. Ma i presupposti per l’esercizio di questo servizio cambiano: il politico “serve” la Nazione pur essendo (o forse proprio essendo) di parte; il giudice no, fonda il proprio servizio sull’obbligatorietà dell’azione penale, sull’autonomia e sull’indipendenza strutturale, sulla soggezione solo e soltanto alla legge.

Mi ritrovo, poi, assolutamente nelle parole di Napolitano, richiamate nel Volume, quando afferma che il magistrato “non deve dimostrare alcun assunto, non certamente quello di avere il coraggio di «toccare i potenti», anche contravvenendo a regole inderogabili. Nè può considerarsi chiamato a colpire il malcostume politico che non si traduca in condotte penalmente rilevanti. La sola, alta missione da assolvere è quella di fare applicare e rispettare le leggi”. Sul tema dei rapporti tra politica e giustizia cito le parole del Presidente Napolitano:

“Si può finalmente dar luogo a un confronto sul tema che ci interessa e preoccupa, senza che le voci provenienti dal mondo della politica e dal mondo della magistratura siano contrassegnate da complessi difensivi e da impulsi di ritorsione polemica? Mi auguro che sia possibile”

Chi svolge attività politica non solo ha il diritto di difendersi e di esigere garanzie quando sia chiamato personalmente in causa, ma non può rinunciare alla sua libertà di giudizio nei confronti di indirizzi e provvedimenti giudiziari. Ha però il dovere di non abbandonarsi a forme di contestazione sommaria e generalizzata dell’operato della magistratura; e deve liberarsi dalla tendenza a considerare la polemica in quanto tale, o la politica di una parte, bersaglio di un complotto da parte della magistratura

“E nei casi in cui quei fenomeni [corruzione, reati penali] siano obbiettivamente riconducibili anche a persone che svolgono l’attività politica e ricoprono incarichi pubblici, dev’esser chiaro che l’investitura popolare, diretta o indiretta, non può diventare privilegio esonerando chicchessia dal confrontarsi correttamente col magistrato chiamato al controllo di legalità. (14 febbraio 2008)

Naplitano prende poi posizione su alcuni temi di attualità come le intercettazioni, l’esposizione mediatica dei magistrati. Si rivolge ai magistrati con queste parole:
“Nell’avvio e nella conduzione delle indagini, sappiate applicare scrupolosamente le norme e far uso sapiente ed equilibrato dei mezzi investigativi bilanciando le esigenze del procedimento con la piena tutela dei diritti costituzionalmente garantiti. Il discorso vale, in specie, per le intercettazioni cui non sempre si fa ricorso – come invece insegna la Corte di Cassazione – solo nei casi di “assoluta indispensabilità” per le specifiche indagini e delle quali viene poi spesso divulgato il contenuto pur quando esso è privo di rilievo processuale, ma può essere lesivo della privatezza dell’indagato o, ancor più, di soggetti estranei al giudizio” (21 luglio 2011)

Emerge il timore del Presidente Napolitano che le esorbitanti esternazioni di magistrati possano compromettere agli occhi dei cittadini l’imparzialità e la severità dei giudici. Come più volte ci ha ricordato il nostro Presidente, la formazione e la logica del merito appaiono di fondamentale importanza per la garanzia della professionalità della magistratura.
Accanto a questi profili della formazione e del merito, che investono direttamente l’attività del CSM, vi è però anche un secondo elemento – questa volta esterno – che condiziona in maniera determinante l’operato della magistratura come organo giudicante: la cultura della giustizia diffusa tra la società civile e tra i media. Perché un giudice possa esercitare serenamente la propria attività, libero da condizionamenti esterni, è necessario innanzitutto che il rapporto con i destinatari dei suoi provvedimenti – e quindi la collettività – sia radicato sulla fiducia.

Napolitano delinea un ritratto complesso e affascinante delle qualità che dovrebbero appartenere al magistrato, tutte improntate ad una concezione autorevole e umana della funzione giurisdizionale, caratterizzata da coraggio e umiltà, serenità, impegno, laboriosità ed equilibrio, responsabilità, imparzialità e riserbo. Ma la fiducia nella magistratura parte dalla cultura della legalità, quella cultura che si fonda non solo e non tanto sulla preferenza per valori astratti, bensì sulle scelte quotidiane di tutti noi. E’ vero, nel nostro paese vi sono molti fattori che scoraggiano un maturo approccio alla giustizia, ma sono convinto che questo sia un terreno su cui molto si può e si deve fare, a partire dalla comunicazione e dall’educazione alla legalità nelle scuole.

E’ su questo tema della cultura alla giustizia, fin dall’infanzia, che vorrei chiudere la mia riflessione, formulando un ringraziamento che vuole essere anche un auspicio. Il ringraziamento è al Presidente Napolitano, perché con i suoi pensieri e le sue parole ha saputo sempre riequilibrare i toni e i modi delle polemiche giudiziarie riportando l’attenzione dei cittadini su quelli che sono i valori autentici del nostro sistema giudiziario. Questo ringraziamento vuole essere però anche un auspicio, perché davvero dobbiamo augurarci che questa sua importante testimonianza non vada perduta e che chi lo seguirà, ma più in generale tutte le istituzioni, sappiano sempre lavorare per alimentare il rapporto fiduciario tra i cittadini e la magistratura.

Nel ringraziarvi per l’attenzione, vorrei ancora una volta congratularmi con Tobia Zevi per la maturità e l’equilibrio con cui, attraverso i discorsi del Presidente, ha saputo affrontare i temi forse più controversi della nostra più recente storia istituzionale.

Parlamento luogo di dialogo non di monologo

Comunicato congiunto dei Presidenti di Camera e Senato

Le aule parlamentari sono il luogo del confronto democratico e della trasparenza. E il dialogo è sempre più utile del monologo, anche quando l’oggetto della declamazione solitaria è la Carta fondamentale della nostra Repubblica. I luoghi delle istituzioni vanno rispettati, così come va rispettata la diversità di punti di vista tra le forze politiche, che non merita di essere permanentemente raffigurata come oziosa dissipazione di tempo e denaro. Il metodo democratico è questo, e tutti siamo chiamati a prenderne atto. I regolamenti delle Camere consentono tante forme di espressione del dissenso, della critica, della protesta, alle quali si può far ricorso senza forzature che non giovano alla credibilità della politica, tanto più in un momento difficile in cui gli italiani attendono risposte concrete. La nuova legislatura è nata nel segno di uno sforzo unanime per riavvicinare i cittadini alle istituzioni. Vogliamo sperare che tutti sentano la responsabilità di non interrompere questo cammino per calcoli di parte.

Non è mia intenzione ritardare i lavori del Senato

Comunicato sulle polemiche sui lavori parlamentari

“Da Presidente del Senato non ho alcuna intenzione né di ritardare né di ostacolare i lavori del Parlamento, centrali in una democrazia parlamentare quale è la nostra. Ho chiesto ai Capigruppo di avere le designazioni dei Senatori per le Commissioni entro giovedì scorso, e tranne due eccezioni sono già sul mio tavolo. Il regolamento non assegna al Presidente poteri sostitutivi e pertanto, finché le designazioni non saranno completate, non sarà possibile procedere alla convocazione delle Commissioni”.

Così il Presidente Pietro Grasso in merito alle polemiche sui lavori parlamentari, che prosegue: “Per quanto riguarda la convocazione delle Commissioni ho riscontrato sia ostacoli politici che giuridici, anche connessi alla formazione del governo. Per chiarire le posizioni dei gruppi sul tema ho anticipato a domattina alle 10 la Conferenza dei Capigruppo, in modo da delineare senza ambiguità i diversi orientamenti. Se al termine della Conferenza sarà necessario convocherò la Giunta per il regolamento, per definire gli aspetti interpretativi delle norme in materia. E’ del tutto evidente che nel frattempo la Commissione speciale potrà discutere tutte le questioni ritenute urgenti, e non escludo che su tematiche particolarmente complesse si possano istituire altre commissioni speciali “.

Gerardo Chiaromonte, un uomo delle istituzioni

Signor Presidente della Repubblica, colleghi parlamentari, autorevoli ospiti,
oggi è la mia “prima volta” in questa prestigiosa sala Zuccari, nel ruolo di Presidente del Senato. E sono onorato che ciò avvenga in occasione di un incontro così importante, in ricordo di Gerardo Chiaromonte, a vent’anni dalla sua prematura scomparsa.
E’ un onore tanto più grande per la presenza del Capo dello Stato, per la presenza di relatori tanto prestigiosi, e dei famigliari del senatore Chiaromonte, le figlie Franca e Silvia, e la Signora Bice Foà, cui rivolgo un saluto affettuoso.
Mi scuserete se inizio con un ricordo personale, con il ricordo del mio primo incontro con Gerardo Chiaromonte.

Avevo da poco finito di scrivere la monumentale motivazione della sentenza del primo maxiprocesso contro Cosa Nostra, quando, nell’autunno del 1988 la Commissione Parlamentare Antimafia compì la sua prima missione conoscitiva proprio a Palermo. Anch’io fui ascoltato, alla stregua di altri colleghi, sull’attualità delle dinamiche mafiose e fui invitato a trasmettere una relazione scritta. Dopo qualche mese, nella primavera del 1989, mi fu chiesto di collaborare in modo permanente ed esclusivo con la Commissione.

Devo confessare che di fronte a quella proposta, che pure ovviamente mi inorgogliva, all’inizio ero titubante. Avevo parecchie perplessità perché, dopo 12 anni di Sostituto presso la Procura di Palermo e 4 anni di giudice presso il Tribunale, si trattava di uscire dai ruoli della magistratura per andare ad affrontare un tipo di lavoro del tutto nuovo, sconosciuto, a stretto contatto con la politica. Come altre volte, avendo questa fortunata opportunità, mi confidai con Giovanni Falcone, il quale mi indusse ad accettare: “Se non prendono te – mi disse – chiameranno altri; con le conoscenze sulla mafia, che hai accumulato con il maxiprocesso potrai dare quell’apporto tecnico di cui hanno bisogno”.

Il primo impatto col Presidente Chiaromonte, che non avevo ancora conosciuto perché non aveva partecipato alla missione palermitana, non fu facile. Ricevetti l’impressione di una persona dai modi burberi, che non ti faceva sentire immediatamente a tuo agio. Ma probabilmente ero anch’io un po’ prevenuto e spaventato dal nuovo lavoro. Dopo pochi colloqui, però, ebbi modo di scoprire un uomo meraviglioso, ricco di sensibilità, di umanità, di quell’ironia e simpatia tipicamente partenopea. Un uomo, soprattutto, dotato di un alto senso dello Stato, un “uomo delle istituzioni”, come giustamente recita il sottotitolo dell’incontro di oggi. Anche per lui, peraltro, quegli anni alla guida della Commissione Antimafia furono più importanti di quanto egli stesso potesse pensare nel momento in cui, non senza qualche amarezza, fu designato a presiederla.

Come ha scritto il Presidente Napolitano nella prefazione al volume “I miei anni all’Antimafia,” che di quell’esperienza costituisce un affascinante diario, guidando la Commissione Chiaromonte “si liberò di ogni condizionamento di parte, si arricchì di un ancora più alto e forte senso dello Stato, si identificò con la coscienza di una missione, al servizio della democrazia, per la salvezza della democrazia”.
Fu molto facile affrontare con lui, insigne meridionalista, profondo conoscitore delle realtà sociali, economiche, politiche, culturali del Sud, i temi della mafia, di un fenomeno così complesso che si deve imparare a conoscere dall’organizzazione interna, dalle tradizioni, dai rapporti con le altre componenti sociali, con l’economia e con la politica.

Negli anni della nostra collaborazione il comportamento del Presidente Chiaromonte è stato sempre improntato a severità, coraggio e rigore nella valutazione delle responsabilità; pur non nascondendo, dove c’erano, le divergenze e le riserve, egli concedeva merito e comprensione a chiunque riteneva capace di comportamenti corretti e combattivi, soprattutto se in situazioni ambientali difficili.
Ricordo discussioni interminabili su tanti temi: il ruolo dei pentiti, il rapporto mafia-politica-società civile, i compiti della magistratura, la crisi del sistema politico italiano. Vivemmo insieme, pure nella diversità dei ruoli, gli alti e bassi della nostra comune esperienza: i momenti di amarezza nello scoprire i limiti e le inadeguatezze degli uomini e delle strutture preposti alla lotta alla mafia, i momenti di entusiasmo e di speranza in ogni vittoria dello Stato, in ogni segno, piccolo o grande, di vitalità della società meridionale, di rivolta alla rassegnazione.

Quando nel maggio ’91 fui chiamato a collaborare con Falcone al Ministero di Grazia e Giustizia continuai a mantenere il rapporto di collaborazione, seppur non più a tempo pieno, con la Commissione Antimafia. I nostri rapporti si fecero più radi nell’ultimo periodo quando, tra il ’92 e il ’93, Chiaromonte assunse la Presidenza del Comitato per i servizi di informazione e sicurezza. Ma anche in quegli ultimi mesi il nostro dialogo continuò, sempre vivo, sincero, stimolante.
Ricordo ancora uno degli ultimi incontri, a palazzo di San Macuto, quando lo trovai sconvolto, incredulo del terremoto politico-giudiziario determinato da Tangentopoli. Scrollando la testa, ed alludendo al capitolo della relazione relativo a Milano, che allora aveva suscitato tante polemiche, anche a sinistra, e a cui il Parlamento non volle dedicare troppa attenzione, mi disse ” Non ci hanno voluto ascoltare, noi l’avevamo annunciato. Si ricorda é scritto: Perversi intrecci tra affari, amministrazione e politica, pratiche di corruzione ed indebite pressioni per ottenere dalla Pubblica Amministrazione favoritismi e vantaggi”.

Dei tanti motivi di attualità del pensiero e dell’opera di Gerardo Chiaromonte ne voglio qui citare in particolare uno. Egli credeva moltissimo nel rinnovamento della politica. Anche nei suoi ultimi anni di vita, che furono gli anni difficilissimi del disfacimento di un intero sistema politico, rifiutò sempre la facile e vuota denuncia di una contrapposizione tra una società civile, tutta sana, e una società politica tutta, corrotta. Egli credeva nei partiti, in partiti certo rinnovati e aperti alla società, rifiutava le rappresentazioni sommarie e generalizzate di fenomeni che sapeva essere complessi; teorizzava che per attuare il processo di rinnovamento, la parte sana della società civile e della classe dirigente doveva esercitare una forte pressione sui partiti e sulla politica, in modo anche da evitare la presentazione come candidati di personaggi corrotti, collusi, compromessi o chiacchierati.

Quando espressi il mio scetticismo sulle possibilità di una tale rivoluzione, nell’imminenza delle consultazioni amministrative del 1991, funestate da una serie di omicidi e attentati, commessi in Calabria in danno di politici locali o aspiranti candidati (una sorta di primarie a colpi di pistola), concepì un codice di autoregolamentazione che fece sottoscrivere ai segretari di tutti i partiti, anche in vista delle consultazioni regionali siciliane.
Grande fu la sua delusione quando, esperiti i controlli dopo le elezioni, gli riferii che il codice era stato più volte violato.
Reagì dando disposizione di pubblicare i nomi degli impresentabili e dei partiti che non si erano attenuti alle regole sottoscritte ed, allargando le braccia, mestamente sentenziò:”per una politica che non si sa rinnovare non c’è futuro”!!
Un insegnamento al quale, ancora oggi, in un quadro radicalmente diverso, ma non meno complesso e delicato, dobbiamo fare riferimento.

Cosi come non possiamo dimenticare la sua fiducia nel ruolo del Parlamento, che per tanti anni, prima alla Camera e poi al Senato, lo aveva visto protagonista di battaglie memorabili.
“Ritenevo e in verità ritengo tuttora – scriverà nel suo “Itinerario di un riformista” – che il lavoro parlamentare, nonostante il decadimento e la crisi del Parlamento, sia uno dei modi più importanti per fare politica, per misurare le proprie posizioni, le proprie idee con quelle degli altri, alla testa di un collettivo di lavoro di molteplici e varie esperienze, maturate in ogni parte d’Italia”.

Ecco, è così che vorrei davvero si muovesse il Senato che ho l’onore di presiedere, in una legislatura che sta muovendo i suoi primi passi, non certo facili: come “un collettivo di lavoro di molteplici e varie esperienze, maturate in ogni parte d’Italia”.
Il valore della vita di Gerardo Chiaromonte non si potrà disperdere. Ha lasciato un patrimonio morale di equilibrio, di coraggio, di serietà, di sobrietà, di senso dello Stato, di passione politica.
Non solo i parenti e gli amici, ma tutti siamo pervasi da una triste nostalgia di lui, che comunque vivrà per sempre nella nostra memoria e nel nostro cuore.