Riparte il futuro. 100 giorni per la riforma della legge anticorruzione

Caro Presidente della Camera dei deputati, caro Luigi, gentili amici,

sono onorato di poter ospitare qui, nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, la prima assemblea dei cosiddetti “Braccialetti bianchi”, cioé di coloro che indossano il braccialetto simbolo di appartenenza alla campagna “Riparte il futuro”, promossa da Libera, dal Gruppo Abele e da tante altre associazioni per la riforma della normativa sul voto di scambio e la corruzione.

Ho aderito sin da subito a questa iniziativa, prima che come candidato alle elezioni e come ex magistrato l’ho condivisa come cittadino.

La corruzione ha assunto nel nostro Paese un livello di radicamento così profondo da non poter quasi più esser considerato un reato contro la Pubblica Amministrazione in senso stretto. Voglio dire con questo che, se a rigore la Pubblica Amministrazione, è quella che chiamiamo in termini giuridici la persona offesa del reato, di fatto quello che viene colpito dal complesso dei reati di corruzione è l’intero tessuto economico e sociale del nostro Paese.
La corruzione mina l’economia dal profondo, togliendo trasparenza alle transazioni, agli appalti, dai più piccoli ai più grandi, privilegiando e favorendo i corruttori a danno degli onesti, a danno dei più capaci, di coloro che hanno competenze e lavorano seriamente, nel rispetto delle Leggi.

Questo terribile stato di cose sta affossando l’economia e l’Italia tutta. Come possiamo pensare che un’opera realizzata grazie ad un appalto ottenuto attraverso l’elargizione di una somma di denaro, o di un favore, possa essere la migliore opera eseguibile, nel rispetto delle norme e dei criteri di economicità ed efficienza, oltre che del buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione?
La corruzione così disperde risorse, impedisce qualsiasi possibilità di sviluppo, ed è causa della mancata crescita economica, della disoccupazione e della morte della meritocrazia. Senza contare i suoi costi indiretti, di non agevole quantificazione economica ma ugualmente rilevanti, quali quelli derivanti dai ritardi nella definizione delle pratiche amministrative, nonché dal cattivo funzionamento degli apparati pubblici e dei meccanismi previsti a tutela degli interessi collettivi.
Ma la corruzione fa persino di peggio: nel favorire il malaffare deprime le coscienze.
Già il pensare comune che l’Italia sia un Paese dove la corruzione è dilagante porta alla rinuncia in partenza alle gare d’appalto da parte di aziende serie che operano nella piena legalità. Al contrario, può succedere che chi ha sempre agito correttamente si veda costretto anch’egli, per non vedersi sopraffatto economicamente e per evitare il tracollo, a ricorrere alla corruzione.
Inoltre il reato di corruzione, come è noto, spesso costituisce l’elemento cardine attorno al quale ruotano i “pacta sceleris” delle associazioni per delinquere.
Facile pensare quindi come possa far gola alle grandi organizzazioni criminali la possibilità di gestire i grandi appalti ponendo in essere sistemi di spartizione imperniati anche sul ricorso a questi reati.
Quante volte abbiamo visto andare deserte gare d’appalto, anche importanti? Il motivo sta proprio nel fatto che dietro quelle gare di appalto c’è un sistema malato, marcio, che ha ormai incrinato l’economia dell’intero Paese.
Ma vi è di più. La corruzione ora ha assunto anche nuove forme, alle quali neanche il legislatore del ’42 aveva pensato o che comunque non aveva disciplinato espressamente. Nuove forme perché nuove sono le utilità che dalla commissione del reato possono venire al corrotto o le finalità con le quali il corruttore agisce.

Esiste poi una forma di corruzione che forse più delle altre è indegna di un Paese civile e democratico e come tale più delle altre meritevole di esser sanzionata al massimo livello per questo tipo di reati. È la condotta di cui parliamo oggi, quella del cosiddetto “voto di scambio”, dove il reo ottiene la promessa di voti in cambio di un vantaggio di diversa natura. Naturalmente questa condotta è la più ripugnante, perché chi la commette è un potenziale rappresentante del popolo, è un candidato alle elezioni, è un probabile, futuro, parlamentare o rappresentante degli enti territoriali.
È una condotta, in definitiva, che fa crescere la sfiducia nelle istituzioni; è una condotta che inquina la vita istituzionale.
Per contrastarla, il legislatore è intervenuto con la novella del codice penale del 1992, creando, con l’articolo 416 ter, la fattispecie dello “Scambio elettorale politico-mafioso” e sanzionando la condotta di chi ottiene la promessa di voti con la stessa pena prevista dall’articolo 416 bis per chi fa parte delle associazioni di tipo mafioso.
L’art.416 ter prevede il caso della promessa di voti in cambio della erogazione di danaro. La giurisprudenza della Cassazione ha correttamente interpretato estensivamente il concetto di erogazione di danaro ricomprendendovi qualsiasi bene che rappresenti un “valore” in termini di immediata commisurazione economica, ma non ha potuto spingersi oltre, escludendo dalla portata precettiva altre utilità, che solo in via mediata possono essere trasformate in “utili” monetizzabili. Si sono fatti gli esempi delle promesse di informazioni su appalti, che permettono così l’infiltrazione criminale nell’economia, le promesse di posti di lavoro da garantire ai clan presenti sul territorio, le protezioni dall’azione repressiva, che ostacolano il lavoro delle forze di polizia, le promesse di cariche influenti. Va sottolineato che non per questo però la Suprema Corte ha escluso la configurabilità del reato in caso di promessa di indebiti favori o di posti di lavoro.
Occorrerebbe quindi, come chiede “Riparte il Futuro“, dilatare la portata della norma a tutti i tipi di utilità, inserendo le parole “o altra utilità” dopo quelle “in cambio della erogazione di danaro”. A sostegno di questo progetto, ho depositato nel mio primo giorno di insediamento in Senato, insieme a tanti altri colleghi firmatari, un mio disegno di legge recante “disposizioni in materia di corruzione, voto di scambio, falso in bilancio e riciclaggio”, dove nell’ambito di un più ampio disegno di riforma, è previsto l’inserimento sia delle “altre utilità” che, nella sua ultima versione, anche della “promessa”, e non solo de “l’erogazione” di denaro o di qualunque altra utilità.
Oggi ho convocato le Commissioni, e a loro saranno assegnati tutti i Disegni di legge, compresi quelli che riguardano questi temi. Procedere in questa direzione sarebbe un passo importante nella lotta alla corruzione, in particolare di quella elettorale. E tanti altri se ne possono fare.

D’altronde la lotta alla corruzione è una priorità nelle agende politiche internazionali. Ce lo chiede anche l’Unione Europea. Cito solo per fare un esempio la Commissione Europea, che parla di “fenomeno nefasto” a livello finanziario e sociale, perché “la corruzione nasconde spesso altre infrazioni gravi” e “intacca la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche”.
Ed un severo monito ad agire contro la corruzione ci è venuto una volta di più dal Presidente della Repubblica che nell’ultimo discorso di insediamento ha parlato di “pesanti ombre di corruzione e di lassismo” specialmente nelle istituzioni locali italiane, ed ha ricordato amaramente come siano state facilmente ignorate o svalutate le proposte innovative e correttive in materia di trasparenza e moralità nella vita pubblica. L’ammonizione più diretta il Presidente l’ha rivolta infine ai “corresponsabili del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere della politica e dell’amministrazione”, e “ai responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme”.
È tempo dunque di agire. Ce lo chiede l’Italia e gli italiani. Con uno sforzo comune di tutte le forze politiche e parlamentari ci dobbiamo provare, ci possiamo riuscire.
Vi ringrazio.

 

Cordoglio per la scomparsa di Giulio Andreotti

“Giulio Andreotti ha segnato un’intera epoca della nostra storia, contribuendo a fondare la nostra Repubblica da giovanissimo componente dell’Assemblea Costituente e alternando la carica di Primo ministro ad altri incarichi di governo, tra i quali, in particolare, quello di Ministro degli esteri.” Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, nel telegramma inviato alla famiglia del Senatore a vita scomparso oggi.
“Nel 1991, dopo quarantacinque anni di esperienza parlamentare a Montecitorio – ricorda il Presidente Grasso – giungeva la nomina a senatore a vita. Per oltre vent’anni ha portato la sua esperienza e la sua celebre ironia tra i banchi di Palazzo Madama. Nell’ora in cui ci ha lasciato invio le mie più sincere condoglianze.”

Lettera alla redazione de “le Iene”

Gentile redazione de “Le Iene”,
innanzitutto grazie per il vostro lavoro di controllo e di stimolo su quanto avviene o è avvenuto in Senato. Lo dico senza ironia, i vostri servizi fanno emergere criticità e contraddizioni che intendo affrontare rapidamente.

Ho visto l’anteprima del servizio che andrà in onda sul comportamento di alcuni dipendenti del Senato, contrari ai doveri di ufficio di puntualità e rispetto dell’orario di lavoro. Abbiamo già avviato immediati accertamenti dei fatti contestati affinché – ove riscontrati – vengano sanzionati al più presto e con la massima severità. Questo anche a tutela di tutti i dipendenti che con grande professionalità e disponibilità prestano il loro servizio all’Istituzione.

Inoltre, è in corso di attivazione un sistema di rilevazione delle presenze al passaggio dei varchi di accesso ai palazzi del Senato che sarà in grado di impedire ogni possibile abuso. Il sistema sarà comunicato ai Sindacati dei dipendenti nei prossimi giorni, prima della sua definitiva implementazione.

Un caro saluto,
Pietro Grasso

Anniversario omicidio Scaglione. La sua coerenza e il suo rigore siano d’esempio

“Per tutti gli uomini e le donne che quotidianamente lottano contro la criminalità organizzata, l’assassinio di Pietro Scaglione, il 5 maggio 1971, rappresenta un evento simbolo. I colpi di pistola che lo uccisero, insieme al suo autista Antonino Lo Russo, in via dei Cipressi a Palermo, dove era andato a pregare sulla tomba della moglie, costituiscono il primo della lunga serie di omicidi ‘eccellenti’ che in Sicilia hanno investito magistrati impegnati in prima linea nella lotta alla mafia.”

Così il presidente Pietro Grasso in occasione dell’anniversario dell’omicidio di Pietro Scaglione, che prosegue: “Dobbiamo forse a lui la prima intuizione sulle connessioni tra mafia e politica e sul profondo radicamento che quest’ultima sa ritagliarsi all’interno delle pubbliche amministrazioni. Come riconobbe lo stesso Buscetta nel Maxiprocesso di Palermo istruito da Antonino Caponnetto e Giovanni Falcone, Pietro Scaglione era uno “spietato persecutore della mafia” e un “magistrato integerrimo”. Forse proprio l’eccezionalità del suo rigore professionale ha consentito di dimostrare l’infondatezza della campagna di delegittimazione circolata all’indomani della sua morte.”

Conclude il presidente Grasso: “Mi auguro che la coerenza e il rigore che ha caratterizzato l’operato di Pietro Scaglione nei confronti di una criminalità che allora era ancora difficilmente decifrabile come mafiosa possano essere di esempio per noi. Ai familiari rinnovo il mio più affettuoso pensiero.”

Messaggio ai figli di Agnese e Paolo Borsellino

Carissimi Lucia, Manfredi e Fiammetta,

con commozione mi stringo ai voi nel dolore per la scomparsa di Agnese. Vi mancherà, come ogni genitore a ogni figlio, e mancherà anche a me, a noi che la avevamo conosciuta così coraggiosa eppure discreta, così forte di animo in un corpo minuto.

Il suo desiderio di verità e giustizia rimane intatto. La sua forza nel cercare, nell’affermare, nel difendere la verità sulla vita e sulla morte di vostro padre era e sarà tanto forte da sopravviverle.

È morta una persona meravigliosa e in questo giorno di tristezza vi sono tanto vicino. Ma non morirà con lei la voglia di sapere: per quanto mi sarà possibile, continuerò a tenere accanto la sua determinazione, quella con la quale ha condotto per vent’anni una battaglia di giustizia. Una battaglia che vinceremo.

La Torre e Di Salvo. Fare luce sulle pagine buie della nostra storia

“Ricorre oggi, 30 aprile, il trentunesimo anniversario della morte di Pio La Torre, ucciso in un vile agguato mafioso insieme al suo collaboratore Rosario Di Salvo. Desidero rinnovarne la memoria con i sentimenti di una sempre viva commozione”.

Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, in una dichiarazione.

“Fulgido esempio di altissime virtù civiche e di fermo rigore morale fino all’estremo sacrificio, fece della lotta alla criminalità organizzata la sua principale battaglia, impegnandosi con passione e tenacia affinché la Sicilia non fosse più terra di mafia.
Pio La Torre – aggiunge il Presidente Grasso – si è impegnato tutta la vita per sottrarre alle organizzazioni mafiose la loro egemonia sul terreno culturale e sociale. A lui dobbiamo la proposta di legge, approvata solo dopo la sua morte, che ha introdotto nel nostro ordinamento il reato di “associazione mafiosa”, a una sua intuizione dobbiamo la norma che prevede il sequestro e la confisca dei beni ai mafiosi, strumenti che si sono rivelati fondamentali nell’azione di contrasto alla criminalità”.

“Le istituzioni e la società civile – afferma ancora il Presidente del Senato – hanno il dovere di mantenere sempre viva la memoria di uomini coraggiosi e di servitori dello Stato come Pio La Torre, parlando di loro ai più giovani e impegnandosi concretamente a proseguire nella strada da loro tracciata”.

“Desidero ribadire la mia intenzione, già espressa nel giorno del mio insediamento come Presidente del Senato, di fare luce sulle pagine buie della nostra storia. I processi hanno accertato l’identità e le responsabilità degli esecutori materiali e dei mandanti mafiosi dell’omicidio, tuttavia, molti, troppi profili restano ancora oscuri. Per questo, accolgo con favore l’appello che mi è stato rivolto, condividendo l’esigenza di un impegno comune ed efficace per la ricerca della verità. In questo giorno che dedichiamo alla memoria di Pio La Torre – conclude il Presidente Grasso – giunga ai familiari, e a quanti lottano quotidianamente contro la criminalità organizzata, il pensiero più partecipe e solidale”.

La politica misuri il linguaggio. L’odio è contagioso

Intrevista di Francesco La Licata 

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, per il mestiere che svolgeva prima di approdare alla politica, è uomo abituato all’analisi, all’approfondimento e poi all’esternazione. Sulla sparatoria a Palazzo Chigi, ieri mattina, ha atteso prima di esprimersi. Le prime notizie giunte, infatti, prospettavano uno scenario molto diverso da quello reale: si parlava di attentatore, di conflitto a fuoco, di criminali in fuga. Un quadro a tinte scure che riportava alla memoria i momenti  più difficili della nostra Repubblica. Poi è arrivata la versione «reale», quella di un episodio attribuibile all’operato di un personaggio isolato, con qualche problema di stabilità emotiva.

Una prospettiva un po’ meno inquietante, Presidente?

«Fino a un certo punto. Perché fa male toccare con mano lo scollamento, la distanza che separa le istituzioni dai cittadini. Io intravedo una grande incognita in questa contrapposizione tra popolo e politica, grande almeno quanto il pericolo dell’eversione. Non può liquidarsi in modo consolatorio una realtà che ospita uomini disperati e quindi disposti a tutto. Bisogna intervenire per interrompere questa caduta».

Si avverte preoccupazione autentica, nelle sue parole.

«È compito nostro impedire che la disperazione si impadronisca delle nostre vite, che le situazioni drammatiche esasperino i comportamenti. Lo dico non perché, questa volta, la violenza ha colpito le istituzioni, i carabinieri a cui va tutta la nostra solidarietà. Vale anche per i cittadini che si tolgono la vita perché sopraffatti dalle avversità, dalla mancanza di lavoro, dalla propria decadenza fisica e morale».

Presidente Grasso, i cronisti andati alla ricerca del passato di Luigi Preiti si sono imbattuti nelle testimonianze di alcuni suoi concittadini che non hanno esitato a rammaricarsi per il fatto che abbia sparato contro i carabinieri. «Doveva sparare ai politici» hanno commentato in molti.

 «Ciò dà forza ai miei timori. La disperazione è contagiosa, come dimostra l’identità emotiva tra il sentire comune e il singolo attentatore. Anche l’odio e la facilità di giudizio sono contagiosi. Per questo mi sono permesso di invitare tutti, la politica in primis, ad evitare di contribuire ad aumentare lo stato di tensione».

Si riferisce ai toni del dibattito politico? 

«Credo sia necessaria una calma maggiore, specialmente in momenti come quelli che stiamo vivendo. Certo che è importante mantenere il controllo sul linguaggio della politica. Non solo le armi possono fare del male, anche le parole riescono ad esercitare violenza e creare dissidi insanabili. L’esasperazione verbale può finire per avere lo stesso effetto di una folla in tumulto: se parte la scintilla tutto diviene incontrollabile».

È una contestazione allo stile dei  «grillini»?

 «Assolutamente no. La questione riguarda tutti noi e riguarda soprattutto il clima che si è creato. Un clima di sospetto e delegittimazione che non risparmia nessuno, come dimostra la vicenda che ha visto protagonista Giulia Sarti, la giovane deputata del M5S che ha visto violata la propria privacy in nome di una supposta trasparenza totale. Spero si faccia al più presto chiarezza sull’episodio».

Ma non c`è il pericolo che in nome di una vaga pace sociale si finisca per tacitare ogni voce di opposizione o di dissenso? «Ho precisato più volte quanto tenga in considerazione l’opera di controllo sociale e il valore dell’opposizione. Certo, sono convinto che l’opposizione utile sia quella costruttiva che si svolge nelle sedi istituzionali e non l’esercizio di parole adatte più a demolire che a costruire».

La pace sociale è un bene che deve essere perseguito anche da chi occupa la politica e le istituzioni. O no? 

«Mi sembra che, in questo senso, qualcosa stia cambiando. Ci sono segnali positivi: nel nostro piccolo abbiamo già cominciato, per esempio, con la scelta di operare dei tagli sulle spese di nostra competenza. Speriamo di poter allargare quanto più possibile questa tendenza. Dalla settimana prossima, ora che abbiamo ottenuto il grande risultato di riuscire nella formazione di un governo, potremo far funzionare a pieno ritmo le assemblee e le commissioni. E sa cosa dico? Che ritengo giusto e utile la presenza massiccia dei deputati del M5S, perché sia garantito il massimo del controllo e della trasparenza. Spero anche che i risultati fin qui conseguiti, per esempio la loro presenza nell`ufficio di presidenza o nella giunta per il regolamento, possa fare da viatico per una collaborazione più profonda. Spero si possa raggiungere una intesa su fatti concreti, su singoli provvedimenti capaci di far passare in secondo piano le dichiarazioni ad effetto, buone solo per una opposizione cieca».

Sembra una strada in salita. 

«Io sono ottimista per natura. Ci vuole pazienza, ora che c’è il governo, un governo buono, vedrete. Non è compito mio anticipare ciò che è nei programmi del presidente Enrico Letta. Oggi il Parlamento conoscerà ciò che il governo considera le proprie priorità. Non è difficile immaginare che si occuperà di lavoro,di economia, del futuro dei giovani,di risparmi della politica e della pubblica amministrazione. Non vi sembrano obiettivi condivisibili? Non vi sembra un modo per combattere la sfiducia che si sta impadronendo del Paese e favorire un lento ritorno alla pace sociale?».

Per concludere, Presidente Grasso: il Senato che lei presiede si avvia verso un cambiamento di ruolo e, forse, un ridimensionamento. Pensa che si andrà incontro a resistenze corporative? 

«Le decisioni condivise non dovrebbero provocare contrapposizioni. E neppure i sacrifici condivisi. E’ opinione ormai diffusa che il bicameralismo perfetto è motivo di rallentamento delle decisioni governative e delle leggi. E poi, tra le risposte da dare ai cittadini c’è l’esempio di una classe politica capace di sottoporsi agli stessi sacrifici che chiede al popolo».

La Repubblica del Presidente. Il settennato di Giorgio Napolitano

Presentazione del volume di Vincenzo Lippolis e Giulio Salerno

Colleghi parlamentari, autorevoli ospiti, signore e signori,

ho accettato con molto piacere l’invito a partecipare, insieme a relatori così autorevoli, alla presentazione, dalla tempistica quanto mai azzeccata, del volume di Vincenzo Lippolis e Giulio Salerno, “La Repubblica del Presidente”. Dico subito che è un libro molto ben fatto, accurato e completo, in cui gli autori sono riusciti a coniugare l’approfondimento scientifico, frutto del loro lavoro di stimati professori universitari, una grande passione civile e una notevole capacità di divulgazione. Ne risulta un testo che è utile agli specialisti del diritto costituzionale ma è anche una lettura godibile, che si rivolge ad un pubblico più ampio, a tutti coloro che sono interessati a ripercorrere i passaggi spesso anche complessi della nostra recente vicenda politica e istituzionale.
Per la mia storia personale e professionale ho letto con particolare attenzione il capitolo dedicato ai temi della giustizia, in cui si dà conto dell’ampiezza dell’attività del Presidente Napolitano, dalle grandi tematiche ai singoli episodi di disfunzione, dai tentativi di svelenire i rapporti spesso tesi tra magistratura e politica agli appelli incessanti al miglioramento delle condizioni del sistema carcerario. Ma tutti i capitoli del libro sono interessanti e densi, sia che si parli di Europa e di relazioni internazionali, sia che si descriva il ruolo del Presidente nel complesso articolarsi dei rapporti con i diversi governi che si sono succeduti nel corso del suo mandato.
Devo solo dire che è un libro che ora rischia di dover diventare solo il primo volume di un’opera più ampia… mi dispiace per gli autori, che pensavano forse di potersi meritare un periodo di riposo, ma temo che dovranno subito tornare al lavoro per la seconda parte, per il seguito del testo….

Al di là della battuta, sicuramente c’è un capitolo che deve essere aggiunto alla storia del primo settennato di Giorgio Napolitano. E’ il capitolo che si è sviluppato in questi giorni, che deve raccontare il grande atto di generosità e di responsabilità che il Presidente della Repubblica ha compiuto sabato scorso, accettando la richiesta di svolgere le sue funzioni per un secondo mandato. La richiesta – è cosa nota, ma vale la pena di ricordarlo – gli è stata avanzata, in una maniera che definire “pressante” è forse eufemistico, non soltanto dai principali leader politici nazionali, espressione di uno schieramento parlamentare molto vasto, ma anche dalla quasi totalità dei Presidenti di Regione, che erano a Roma come grandi elettori. Una richiesta dunque che non è arrivata solo dal Parlamento, dallo Stato centrale, ma che davvero si può dire sia arrivata dalla Repubblica, dall’Italia intera.
Accogliendo un invito così corale, accettando un nuovo mandato presidenziale Giorgio Napolitano ha confermato ancora una volta di essere un grande servitore dello Stato e un grande italiano. La sua rielezione ha rassicurato tutti i cittadini, in un momento assai difficile per il paese, perché consente di avere un punto fermo nei prossimi delicatissimi snodi istituzionali che abbiamo davanti.

In questi sette anni il Presidente è stato un grande esempio di saggezza politica, un garante delle istituzioni e del patto di convivenza civile tra i cittadini. Non sono stati anni facili per il nostro assetto politico ed istituzionale, e più in generale, per il nostro paese. In molte occasione, di fronte alle incertezze di altri attori istituzionali, il Presidente Napolitano ha agito con determinazione, direi che ha dovuto agire con determinazione, ha dovuto interpretare in maniera molto incisiva il suo ruolo, non per produrre strappi nel tessuto costituzionale, non per eccedere dalle proprie funzioni, ma perché, come egli stesso ha avuto modo di dire, nel nostro ordinamento il ruolo del Capo dello stato non si risolve “nel tagliare nastri alle inaugurazioni” ma richiede invece di “prendersi delle responsabilità”.
Quello stesso senso di responsabilità che lo ha spinto ad accettare un nuovo mandato, nonostante avesse più volte rifiutato questa ipotesi, ora il Presidente Napolitano lo ho chiesto, con un vigore straordinario, anche alle forze politiche. Quelle forze politiche di cui non ha mancato di ricordare la “sordità”, le incertezze e i passi falsi, a cominciare dalla mancata riforma della legge elettorale, che ha giustamente definito “imperdonabile”, ma senza le quali, come ha pure aggiunto, “non c’è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche”.

E’ questo il cuore del suo messaggio di insediamento: il senso di responsabilità di fronte al paese, in una fase di grande difficoltà e di grande smarrimento come quella attuale. Le parole del Presidente Napolitano, lunedì pomeriggio, nella solennità delle Camere riunite in seduta comune, sono state davvero come pietre. Il suo discorso è stato, io credo, memorabile; un piccolo capolavoro di etica pubblica e di impegno civile, che non lascia spazio all’indulgenza e alle autoassoluzioni; un discorso che, mi auguro, sarà d’esempio all’attuale e alla futura classe politica.
E’ stato un discorso memorabile anche perché, accanto all’analisi rigorosa dei limiti del presente, non è mancata l’invocazione a un moto d’orgoglio nazionale, a un riscatto possibile, che inizi dall’affrontare subito, con spirito costruttivo, le principali emergenze del paese: tra queste il lavoro, la crisi economica, “l’innovazione e la crescita del paese”, “la prospettiva di futuro per un’intera generazione”.
Una delle condizioni poste dal Presidente Napolitano, che io senz’altro condivido, – e così concludo – è che il sistema politico, in una fase di grande smarrimento per il paese, dia finalmente prova di quella coesione e di quella responsabilità, che spesso, in questi ultimi frangenti, sono mancate. A cominciare dalla formazione di un nuovo governo e dall’avvio della sua azione.

Grazie.

Commemorazione di Teresa Mattei

Il Senato della Repubblica commemora oggi la luminosa figura di Teresa Mattei, scomparsa lo scorso 12 marzo all’età di novantadue anni. Già nel mio discorso di insediamento ho avuto modo di ricordare la più giovane donna eletta nell’Assemblea Costituente, “che per tutta la vita è stata attiva per affermare e difendere i diritti delle donne, troppo spesso calpestati anche nel nostro Paese”.
Una lunghissima vita vissuta con un profondo spirito di libertà e di giustizia, uniti ad un tenace anticonformismo e ad una radicata determinazione a perseguire il bene comune e la difesa dei più deboli.

Una vita che potrebbe apparire quasi romanzesca a chi guardasse, ad esempio, alle vicissitudini personali e familiari affrontate da Teresa nella lotta di Liberazione e negli anni dell’immediato dopoguerra, se quelle terribili vicende non coincidessero, in gran parte, con la storia del travagliato cammino del nostro Paese verso la democrazia, facendosi storia esse stesse.

Teresa Mattei era nata a Quarto il 1° febbraio del 1921, ed è cresciuta a Firenze. Nella seconda metà degli anni ’30, la casa della famiglia Mattei nei pressi di Firenze era frequentata da personalità di primo piano come Giorgio La Pira, Natalia Ginzburg, Adriano Olivetti, Piero Calamandrei, Don Primo Mazzolari, in un clima di dialogo costruttivo fra le diverse sensibilità politiche e culturali dell’Antifascismo che sembrava quasi un’anticipazione di quanto avverrà, un decennio più tardi, in seno all’Assemblea Costituente.

La cerchia familiare costituì la sua prima palestra di pensiero critico ed anticonformista, in particolare grazie al padre Ugo, ex ufficiale di Marina e brillante imprenditore, che non di rado coinvolgeva i suoi figli in azioni clandestine di opposizione al regime.
Teresa fu arrestata per la prima volta all’età di sedici anni, al ritorno da un viaggio in Francia, dove era stata inviata per consegnare una somma di denaro – frutto di una colletta – ai fratelli Rosselli. L’anno successivo fu espulsa da tutte le scuole del Regno, a causa di un acceso diverbio con il professore di scienze incaricato, dopo l’entrata in vigore delle Leggi razziali, di propagandare agli studenti le ragioni razziste dei provvedimenti contro gli ebrei. Confortata dal parere giuridico di Piero Calamandrei, sostenne egualmente, da privatista, l’esame di maturità e si iscrisse alla Facoltà di filosofia dell’Università di Firenze, dove si laureò poi, durante la guerra.

Con la caduta del Fascismo e l’occupazione tedesca, fu naturale che Teresa Mattei si impegnasse nella lotta partigiana, nelle formazioni nate dall’organizzazione clandestina del Partito comunista, al quale aveva aderito, insieme al fratello Gianfranco, già nel 1942.
Il periodo della guerra partigiana fu segnato, per Teresa, da due dolorosissimi eventi: nel febbraio del 1944 suo fratello Gianfranco si uccise nel carcere nazista di via Tasso a Roma, nel timore di rivelare, sotto tortura, i nomi dei suoi compagni di lotta. Pochi giorni dopo, mentre cercava di raggiungere Roma per dare conforto ai suoi genitori, fu arrestata e torturata dalla polizia tedesca, e riuscì a fuggire soltanto grazie all’intervento di un gerarca fascista, impietosito dalla sua giovane età.

Alla fine della guerra, Teresa Mattei si impegnò con l’Unione Donne Italiane (UDI), associazione che raccoglieva, fra l’altro, le donne che avevano partecipato a vario titolo alla lotta di liberazione nelle formazioni partigiane di ogni orientamento politico. Come membro del Comitato direttivo dell’UDI, incaricata specificamente di curare i rapporti fra l’Unione ed il Partito comunista, partecipò alla decisione di introdurre anche in Italia, sul modello francese, l’8 marzo quale festa delle donne. E fu sua l’idea di utilizzare la mimosa, un fiore povero delle campagne, come simbolo della festa.

All’interno dell’UDI si impegnò soprattutto nella campagna per l’estensione alle donne del diritto di votare ed essere elette.
Per effetto delle nuove norme Teresa Mattei poté quindi essere candidata nel collegio di Firenze e Pistoia, nelle liste del Partito comunista, ed entrò a far parte dell’Assemblea Costituente, insieme ad altre venti donne, risultando, a soli venticinque anni, la più giovane componente di quel prestigioso consesso.
La sua partecipazione ai lavori dell’Assemblea fu appassionata e significativa, ed almeno in due punti la formulazione della nostra Costituzione è debitrice del contributo di Teresa Mattei: l’articolo 3, sul principio di uguaglianza, e l’articolo 37, laddove, con riferimento al lavoro femminile, si fissa l’obiettivo di assicurare “alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.

Negli anni seguenti l’impegno di Teresa Mattei si rivolse prevalentemente alle tematiche dell’educazione e del diritto dei bambini ad esprimersi e comunicare, impiegando a questo scopo strumenti espressivi assai innovativi, come il mezzo cinematografico, con esperimenti che rovesciavano il paradigma di trasmissioni prodotte dagli adulti per i bambini, realizzando – attraverso la collaborazione entusiasta di centinaia di piccoli autori e attori – opere destinate agli adulti ma frutto dell’espressione libera dei bambini.
Negli ultimi anni della sua vita Teresa Mattei si è impegnata infine senza tregua nella testimonianza e nell’impegno civile sul terreno dei diritti e della difesa della Costituzione, mostrando fino alla più tarda età la fierezza, la determinazione e il coraggio delle proprie idee.

“Io non credo agli eroismi senza paura” ha scritto Teresa ” credo che l’unico eroismo sia di vincere la paura e fare lo stesso quello che si è deciso di fare”. Queste parole sono la migliore sintesi della sua lunga e significativa esistenza.
Sono certo pertanto di esprimere il sentimento concorde di tutta l’Assemblea nell’invitare tutti i colleghi ad osservare, in memoria di Teresa Mattei, un minuto di silenzio e di raccoglimento.

Cordoglio per la scomparsa di Antonio Maccanico

“Profondamente rattristato per il lutto che vi colpisce, desidero esprimere sentimenti di sincero cordoglio per la scomparsa del senatore Antonio Maccanico”. Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, nel telegramma di cordoglio alla famiglia. “Uomo di alte doti umane e professionali – aggiunge il presidente Grasso – iniziò da giovane funzionario parlamentare una lunga carriera al servizio dello Stato, fino ad assumere massimi incarichi amministrativi”.

“Autorevole componente dell’Assemblea di Palazzo Madama nella XI e nella XV Legislatura e per due volte deputato – conclude il Presidente del Senato – fu tra i protagonisti della vita politica e istituzionale del Paese degli ultimi decenni, portando il suo prezioso contributo di conoscenza ed esperienza anche al governo, quale sottosegretario e più volte ministro”.