Aboliamo la “Mafia TAX” una volta per tutte

Mentre qualcuno pensa alla “flat tax” e a come regalare soldi ai più ricchi, c’è una tassa odiosa che paghiamo tutti senza accorgercene e che succhia come un vampiro i soldi dei cittadini: è la Mafia TAX.

La Mafia TAX è quella rendita parassitaria, quel profitto e quelle risorse che la mafia e la criminalità organizzata rubano ai cittadini attraverso la corruzione, i comitati d’affari, gli appalti con le tangenti e le attività di estorsione.
La Mafia TAX è quella che pagano alcuni imprenditori per vincere un appalto o per acquisire delle forniture, risparmiando poi magari sulla qualità dei materiali o sfruttando il lavoro nero.
La Mafia TAX è quella che paghiamo quando amministratori corrotti si appropriano dei finanziamenti pubblici, gonfiando i costi.
La Mafia TAX è quella che pagano gli imprenditori quando gli viene estorto del denaro. La Mafia TAX è quella che pagano con i danni alla salute i cittadini che vivono nei territori inquinati dal traffico di rifiuti tossici.

Noi di “Liberi e Uguali” vogliamo abolire la Mafia TAX una volta per tutte!

Perché è un freno allo sviluppo, uccide la concorrenza e colpisce chi fa bene e onestamente il proprio lavoro. Non c’è giustizia sociale quando crescono sfruttamento, illegalità e criminalità. E quella per la giustizia sociale è una battaglia che ho combattuto per tutta una vita e continuerò a combattere in “Liberi E Uguali”.

Lo so bene: il denaro è la ragion d’essere della mafia. Ricercarlo è la soluzione, trovarlo è il problema. Gli espedienti per nasconderlo sono noti: paradisi bancari, trust, società fiduciarie, sovra e sotto fatturazioni, operazioni finanziarie strutturate e così via. Così come i mezzi di contrasto: limiti all’utilizzo del contante, tracciabilità delle transazioni, monitoraggio delle operazioni sospette, nazionali e transfrontaliere di contanti.

Certa politica dovrebbe smettere di nascondere il problema sotto al tappeto. Noi di “Liberi e Uguali” sappiamo da che parte stare e vogliamo portare nel Paese un cambiamento fatto di moralità e rispetto delle regole. La parola “legalità” non va urlata nelle piazze, va realizzata ogni giorno con i comportamenti e le azioni. Finché sarà più conveniente fare finta che va bene così, che qualcosa è meglio di niente, che è meglio un lavoro nero e magari contiguo “al sistema” piuttosto che non avere niente da portare a casa la sera, non sarà possibile vincere pienamente questa battaglia. E bisogna cominciare dai piani alti, perché, quando lo Stato retrocede, i deboli sono quelli che ci rimettono per primi.

Quello che vogliamo non è solo uno Stato che reprima il crimine e che magari arriva solo dopo che il peggio è successo, ma una comunità che previene alla radice le condizioni su cui prospera quel malaffare che sottrae al bene comune le risorse di tutti.

Lotteremo «per i molti, non per i pochi»

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Grazie alla diffusione del rapporto di Oxfam International il mondo, l’Europa e l’Italia tornano a parlare di disuguaglianze. È un bene e ci auguriamo che le forze politiche, impegnate in campagna elettorale, trovino il tempo per leggerlo.

I dati sull’Italia sono molto chiari: su 28 Paesi Ue siamo ventesimi per livello di disuguaglianza. A metà 2017, il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre il 66% della ricchezza nazionale e il successivo 20% ne controllava il 18,8%. Al 60% degli italiani restava appena il 14,8%.

La quota di ricchezza dell’1% più ricco degli italiani supera di 240 volte quella del 20% più povero della popolazione. La crisi ha accentuato le differenze tra i più ricchi e i più poveri:iIn dieci anni il 10% più povero ha visto diminuire il suo reddito del 28%. Quasi un terzo!

Sono numeri che dovrebbero far indignare e far discutere i partiti: e invece Berlusconi parla di flat tax, una misura per la quale il ceto medio e il miliardario pagherebbero la stessa aliquota. Questo non farebbe che accrescere le disuguaglianze.
Alle diseguaglianze crescenti non si risponde abbassando le tasse ai più ricchi, come propone il centrodestra con la flat tax, quello è un regalo ai più ricchi! Con la flat tax le entrate dello Stato diminuirebbero di almeno 40 miliardi l’anno (la stima è del Sole24Ore) e la possibilità di investire in sanità, scuola, università, trasporti locali sarebbe minore di quanto già non sia. Meno entrate fiscali significa meno servizi, oppure servizi a pagamento che molti non potranno permettersi, anche se pagheranno qualcosa in meno di tasse.

Una riflessione contenuta in quel testo mi ha colpito: Le origini familiari e il contesto socioeconomico nel quale si cresce è decisivo nel determinare il futuro, sia negli studi che nel reddito: i Paesi dove questa tendenza è più accentuata sono gli Stati Uniti, la Francia, il Regno Unito e l’Italia. Quando diciamo che serve un piano straordinario per aumentare i posti disponibili negli asili nido, chiediamo investimenti nella scuola e l’abolizione delle tasse universitarie, allora abbiamo ragione: questi sono gli strumenti per rimettere in moto l’ascensore sociale.

Essere donna è, e non dovrebbe essere, un altro ostacolo: le donne, in Italia (e in altri luoghi nel mondo), guadagnano meno anche quando fanno gli stessi lavori degli uomini. È inaccettabile.

Per ridurre le disuguaglianze, dice Oxfam, occorre far pagare alle multinazionali e ai più ricchi le tasse in maniera adeguata, aumentare la spesa pubblica in welfare, ridurre gli stipendi e i bonus dei manager, proteggere i diritti dei lavoratori. Sono idee molto simili a quelle contenute nel nostro programma. Per fare queste cose, dunque, noi ci siamo e ci saremo.

Con Liberi e Uguali esprimo i miei sentimenti di sinistra

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di Stefania Rossini, da L’Espresso del 21 gennaio 2018

L’entusiasmo e il piglio con cui Pietro Grasso incarna il ruolo di leader della sinistra sono una delle sorprese di questo inizio di campagna elettorale. Chi aveva pensato che fosse semplicemente un uomo-simbolo, scelto a tavolino per dare smalto a una coalizione di facce usurate, ha scoperto un oratore potente e un politico determinato. Accompagnato dall’aura di una vita spesa a combattere la mafia e dall’esperienza più recente di presidente del Senato, Grasso è alla ricerca di quella che chiama “la connessione sentimentale” con il popolo della sinistra. Così galvanizza platee esibendo l’emozione di uomo solo al comando, inventa il nome di Liberi e Uguali, lancia idee controverse (come l’abolizione delle tasse universitarie), fa addirittura intravedere la possibilità di un accordo con i 5 Stelle per un futuro governo. E di fronte a chi avanza qualche distinguo, come alcuni vecchi leader, o a chi si accoda per suggerire un ticket, come Laura Boldrini, non rinuncia alla responsabilità di decidere.

Lo aiutano un aspetto piacevole, un’eleganza da signore siciliano e forse anche un’età (73 anni) che lo contrappone all’overdose di giovanilismo degli ultimi anni e lo fa paragonare ai due grandi vecchi della sinistra anglosassone, Jeremy Corbyn e Bernie Sanders.

Presidente, è così? È per questo che è stato accettato facilmente da un popolo di disillusi?
«Penso di essere riuscito a trasmettere la passione con cui ho intrapreso questa avventura politica».

Non ha sospettato di essere stato scelto soprattutto perché estraneo al vecchio mondo politico? Un papa straniero rassicurante.
«Se quella è la motivazione, è un problema di chi l’ha pensata. Io ho visto che mi si offriva l’occasione di realizzare il mio progetto. E l’ho presa».

Qual è il suo progetto?
«Quello di mettere al centro le persone. Vedo una società frantumata, gente che cammina con la testa bassa, che non sa se arriverà alla fine del mese. Vorrei veder rialzare quelle teste restituendo a tutti i diritti negati: il diritto alla scuola, al lavoro, alla salute e anche alla casa. Questa è la sinistra che mi interessa, fatta di valori e non di appartenenza a partiti. E’ ora di riaffermare che alla base di tutto ci sono i principi di uguaglianza sociale».

Infatti lei si è dichiarato un “ragazzo di sinistra”. Francamente finora nessuno se ne era accorto.
«Questo è un bene, perché fino a poco tempo fa sono stato un magistrato, una funzione dove bisogna non solo essere imparziali, ma anche apparire imparziali. Poi come presidente del Senato ho dovuto garantire la terzietà. Solo oggi posso far emergere i miei sentimenti politici. Ma sappia che già negli anni Sessanta mio padre, che era di idee socialiste, mi portava in piazza ai comizi di Nenni. Poi, per darmi l’idea della pluralità, mi portava anche ai comizi di Almirante. Voleva che vedessi tutto per farmi un’opinione».

Proprio in quel periodo scoppiava il Sessantotto. Lei lo ha vissuto?
«L’ho visto da lontano. In quell’anno facevo il militare e avevo da poco vinto il concorso da magistrato. Due anni dopo mi sarei sposato e tre anni dopo avrei avuto un figlio».

Perché correva tanto?
«Erano altri tempi e l’importante era rendersi al più presto autonomi dalla famiglia. Dovevi gettare subito le basi del tuo programma di vita. Il mio sogno di fare il magistrato era sorto da bambino, di fronte alle pozze di sangue dei cadaveri per le strade di Palermo e l’ho realizzato appena possibile. E poi avevo già trovato la ragazza del mio cuore, che è ancora accanto a me».

Già, sua moglie è una figura importante nella sua vita. Si dice che sia il suo unico spin doctor.
«La verità è che ogni tanto la tiro in ballo per farmi da scudo. Del resto lei ha le mie stesse idee, anzi più esplicite. Quando faceva l’insegnante era sempre in prima fila nelle manifestazioni con gli striscioni dei Cobas. Io ero sostituto procuratore e mi raccomandavo al questore: “Per favore non me la manganellate troppo”».

E’ questa affinità che vi ha tenuto insieme per quasi 50 anni?
«Oltre all’affetto, direi che il merito è tutto suo. Ha condiviso le mie scelte e accettato le mie lunghe assenze per lavoro. Soltanto il maxi processo a Cosa nostra mi ha tenuto distante quattro anni. Un’assenza che mio figlio, allora adolescente, ci ha messo molto tempo a perdonarmi. Poi ha deciso, senza dirmelo, di fare il poliziotto, una scelta che lo avvicinava a suo padre, ma nello stesso tempo lo distingueva».

Nella sua vita sembra contare molto anche l’amicizia. Quella con Falcone è ormai entrata nel mito.
«È stata un’amicizia fraterna e profonda, cominciata sul lavoro nella stima reciproca e finita a Capaci il 23 maggio del ’92, in quella strage dove avrei dovuto morire anch’io se non avessi trovato un posto all’ultimo momento su un aereo. Falcone mi è stato strappato nel momento più intenso del nostro rapporto. Eravamo a Roma, distaccati al ministero di Grazia e Giustizia dove ci aveva chiamato Claudio Martelli, allora ministro, e passavamo insieme tutto il tempo. Ho saputo più tardi che, proprio a Roma, siamo scampati a un attentato per un curioso equivoco».

Racconti.
«Anni dopo un collaboratore di giustizia mi ha confessato: “Vi seguivamo e avevamo l’ordine di colpirvi quando andavate al vostro ristorante abituale, Il Matriciano nel quartiere Prati, ma non vi ci abbiamo mai trovato”. Il fatto è che il nostro ristorante era La Carbonara a Campo de’ Fiori. Ci ha salvato l’ignoranza dei mafiosi in materia di pastasciutta».

C’è un’altra sua amicizia importante che ha l’andamento di una fiction. Quella con il presidente Sergio Mattarella.
«Sì, con due momenti apicali all’inizio e alla fine. Ci siamo visti la prima volta davanti al cadavere di suo fratello Piersanti il giorno dell’Epifania del 1980, lui accorso disperato, io presente come pm di turno. Dopo tanti anni, nel salone dei Corazzieri al Quirinale, come presidente della Repubblica supplente sono stato io a passare le consegne al presidente eletto. In mezzo due vite, vissute in gran parte in parallelo nella nostra Palermo».

Nelle due settimane in cui è stato supplente non ha mai sognato di poter essere lei ad avere quella carica?
«No, io non sono una persona ambiziosa. Ho sempre lasciato che le cose mi capitassero per poi scegliere. È andata così anche quando Bersani mi ha chiesto di candidarmi alle politiche del 2013 o quando, appena eletto, mi ha detto a bruciapelo: “Ti ho proposto come presidente del Senato”. La mia vita è un susseguirsi di “sliding doors” con le biforcazioni del destino. A parte, come le ho detto, la decisione precoce di fare il magistrato».

Lei è cattolico, presidente?
«Sì, e anche praticante».

Però nel raggruppamento di cui è leader non c’è traccia di cattolici di rilievo.
«Sto lavorando perché arrivino. Il mondo cattolico fa parte del mio progetto perché ha in sé quei principi di uguaglianza sociale di cui parlavamo».

C’è Rosy Bindi che è libera.
«Lo so, l’ho cercata, ma non vuole. Ha dichiarato che non si sarebbe ricandidata ed è il tipo che rimane coerente con se stessa».

Passiamo al futile. Dicono che lei ha una faccia da attore. Pensa di essere bello?
«No».

Neanche da giovane?
«Se lo sono stato, non l’ho percepito, anche perché non mi sembra di aver avuto molto successo mondano».

Però è in buona forma fisica.
«Questo sì. L’attività fisica mi aiuta a far funzionare il cervello. Ogni mattina faccio un po’ di ginnastica e, appena posso, faccio tennis, nuoto, windsurf, sci e anche qualche partita di calcetto».

Rimpiange di non aver fatto il calciatore?
«Non è mai stato un impegno professionale. A 14 anni ero in una società seria di calcio giovanile: tre allenamenti la settimana, riunione il sabato, partita la domenica. Poi è finita lì».

Che altro fa nel tempo libero? Vedo sulla sua scrivania “Il luogo stretto” del dissidente siriano Fary Bayrader. Ama la poesia?
«Perché no? È un modo per guardare il mondo con occhi diversi. Per anni sul comodino ho tenuto Paulo Coelho, consigliato da mia moglie».

Al cinema ci va?
«Non sempre volentieri, perché al tempo del maxiprocesso fui gelato da una donna che, notando la scorta che ormai mi accompagna da più di trent’anni, sussurrò al marito “Sediamoci lontano, non si sa mai”».

La lascio con uno sguardo sul suo futuro. Lo immagina ancora istituzionale o tutto politico com’è al momento?
«Alle istituzioni ho dedicato la mia vita, ora sono in una dimensione politica che mi dà la sensazione, e anche la presunzione, di poter ancora essere utile a qualcosa».

Diritto allo studio, lavoro stabile, legalità. Proposte serie e concrete

Noi di Liberi e Uguali mettiamo al centro del nostro programma il futuro del nostro Paese. Siamo contrari a misure spot, bonus e una tantum che costano tanto e finiscono presto: faremo proposte serie e concrete.

Il primo punto è quello del diritto allo studio, che è un diritto universale: dalla culla alla laurea. Vogliamo un grande piano per gli asili nido, per allineare l’Italia agli obiettivi europei.  Servono 160.000 posti in più. Bisogna rivedere radicalmente la Buona Scuola, che ha scontentato tutti. Mobilità e stipendi dei docenti sono enormi problemi, per non parlare dell’alternanza scuola-lavoro, una idea giusta realizzata malissimo. Sull’università abbiamo una proposta chiara: abolire le tasse universitarie, per chi chi lo merita, non per i fannulloni. E poi più borse di studio, buoni libri e residenze universitarie.

Il secondo punto è il lavoro, un lavoro stabile. Con un lavoro precario non si può immaginare il futuro, avere una casa, fare dei figli. Tutelare i lavoratori e i loro diritti è decisivo ma lo è ancora di più creare nuovo lavoro, lavoro pulito. Dobbiamo investire sulla green economy, non solo perché bisogna proteggere la nostra terra e la nostra salute ma perché l’economia verde può far ripartire il Paese. Sarebbe rivoluzionario rendere gradualmente l’Italia carbon free.

Senza legalità nessuno può pensare davvero di cambiare l’Italia. Per questo la legalità è il terzo punto fondamentale del nostro programma. Possiamo recuperare miliardi – c’è chi dice più di 100 miliardi – combattendo davvero l’evasione fiscale e l’economia criminale. Con quei soldi abbasseremo le tasse al ceto medio. Oggi l’82% del gettito viene da dipendenti e pensionati, così una famiglia media non ce la può fare. Noi crediamo che chi ha di più deve pagare di più.

Saremo una forza di governo responsabile, ferma sui contenuti

Da La Stampa del 5 gennaio 2018

Può sorprendere, in Pietro Grasso, la spensierata rilassatezza con la quale sta affrontando da qualche giorno un lavoro nuovissimo, quello di leader di una lista fresca e composita, ma è la stessa “incoscienza” che lo accompagnò cinque anni fa quando assunse la presidenza del Senato, senza mai essere entrato prima in un’aula parlamentare. Serenità che è anche un “programma politico”? O dimostra un’alta considerazione di sé? Lui, in una mansarda di un palazzo ottocentesco della Fondazione Olivetti, appena ristrutturata, sorride: «Per me l’esperienza di giudice a latere del maxiprocesso è stato qualcosa che mi ha cambiato la vita e la visione delle cose. Un processo che contava 475 imputati, 438 capi di imputazione, 120 omicidi, con le motivazioni da scrivere mentre la tua famiglia è sotto minaccia. Ho imparato che quando le difficoltà appaiono insormontabili, alla fine, con pazienza, con metodo, con analisi, studiando le soluzioni, ascoltando le “parti” e con l’aiuto di un po’ di fortuna, beh, le cose possono andare per il verso giusto. Certo, si possono fare errori – chi non ne fa? – ma quella è stata la grande lezione di vita che mi ha dato la serenità per affrontare le cose più difficili. Non so se si vede, ma è così».

Nella imminente convention programmatica di Liberi e uguali per lei basterà riproporre le ricette della sinistra-sinistra, più investimenti, più lavoro, spese spesso a pie’ di lista? Oppure sente il dovere di una proposta di sinistra di governo, nel segno dell’etica della responsabilità?

«Non condivido questa diversità tra sinistra-sinistra e sinistra di governo. L’etica della responsabilità? È un dovere dire sempre la verità ai cittadini. Noi non proporremo soluzioni irrealizzabili, ma alcune esigenze sociali sono irrinunciabili, anche perché le ricette neo-liberiste si sono dimostrate inefficaci. Per questo Paese serve un Piano di sostenibilità ambientale, la messa in sicurezza del territorio, a partire dalle scuole e un piano per il Welfare che ripensi a quanto è cambiata la vita di donne e uomini. Quindi non bonus bebè, ma un piano straordinario di asili e orari flessibili per i genitori. Riforme strutturali, non una tantum elettorali. Dare diritti a milioni di giovani nella morsa della precarietà. E proponiamo di fare come in Islanda, dove è stato deciso per legge l’obbligo della perfetta parità retributiva tra uomini e donne».

Non si è ancora capito: la vostra Lista evocherà più Corbyn o più il Pd pre-Renzi?

«Le esperienze altrui sono utili per migliorarle, per non ripeterne gli errori. In questi anni la gestione della crisi ha prodotto più ricchezza per pochi, aumentando le diseguaglianze, rendendo le decisioni pubbliche meno democratiche. Quel che apprezzo in Corbyn è l’idea che non siano i giovani contro i vecchi e neppure il nuovo contro il passato, noi siamo per politiche che guardino a molti non a pochi».

Per il dopo-voto lei se la sente di escludere a priori una vostra alleanza di governo con Cinque stelle e con un Pd de-renzizzato?

«Nelle alchimie di questi giorni ci sono troppe incognite, a cominciare dagli effetti di una legge elettorale unica al mondo e il mio non è un complimento. Guardare genericamente al futuro non appartiene al mio pragmatismo e dopo il voto voglio vedere forze in campo, numeri e soprattutto i programmi. Noi saremo una forza di governo responsabile, ferma sui contenuti. Contribuire eventualmente ad un’alleanza di governo deve essere il mezzo per produrre la forte inversione di rotta che auspichiamo e non certo una scorciatoia per ricavare qualche poltrona in più. Il governo come mezzo, non come fine».

Ma intanto la vostra campagna elettorale sarà per togliere più voti possibili a Pd e Cinque Stelle?

«Il nostro obiettivo è recuperare più voti possibili dagli elettori demotivati e non rappresentati del centrosinistra e poi cercare di riprendere quei voti di sinistra andati verso i Cinque Stelle per protesta, per indignazione, per mancanza di riferimenti elettorali progressisti. E anche, con la mia presenza, andare incontro a chi pensa che il cambiamento si ottiene attraverso le istituzioni e non aprendole, come una scatoletta di tonno!».

Il suo ex collega Ingroia è stato volutamente sgradevole, dicendo che lei non è mai stato di sinistra…

«Bene, il fatto che nessuno abbia potuto intravedere nella mia azione giudiziaria, quelle che allora erano mie idee politiche di sinistra, questo per me è un vanto! Evidentemente non sono stato influenzato, come altri, da pregiudiziali politiche o ideologiche. Per me la giustizia è un servizio, non un potere».

Lei ha fortemente voluto in squadra Rossella Muroni, già presidente di Legambiente: sarà al suo fianco?

«Certamente. Non è solo una candidata, darà un profilo al programma e al progetto. Lei è la punta di diamante di una visione del Paese, di un programma sociale, ambientalistico e di un metodo che sono anche i miei».

Perchè ho deciso di candidarmi

Intervista di Massimo Franco sul “Corriere della Sera” – 20 dicembre 2017

Lasciate che i grillini vengano a me. E si convertano alle istituzioni. Non lo dice proprio con queste parole. Ma la strategia di Pietro Grasso, presidente del Senato e leader di Liberi e uguali, la sinistra alternativa al Pd, sembra proprio questa: convincere ad andare alle urne chi negli ultimi anni si è astenuto. E «riportare a casa» i voti di quei settori dell’opinione pubblica che, per rabbia o per protesta, hanno gonfiato le percentuali del M5S. «Loro gridano onestà tre volte? Be’, io lo posso dire anche cinque», rivendica. Su Matteo Renzi, invece, Grasso è stranamente cauto; idem su Maria Elena Boschi: guarda oltre. E spiega perché ha deciso di fare politica mantenendo la seconda carica dello Stato.

Non ha scelto bene il momento per diventare un capo partito. Il Senato è esposto.
«Veramente, il Senato è stato esposto da una legge elettorale votata senza permetterci di discuterla dopo il sì della Camera; e dopo cinque voti di fiducia. A quel punto ho sentito l’esigenza di dare un segno di discontinuità politica uscendo dal Pd. Prima ho fatto quello che dovevo, garantendo che andasse in porto per dovere istituzionale. Poi ho preso carta e penna, senza consultare nessuno, e ho comunicato che lasciavo il Pd. La tempistica non è stata una mia scelta. Non ho pensato al seguito, e invece si è innescato un meccanismo che mi ha portato a impegnarmi direttamente in politica. È la prima volta, ma lo faccio con convinzione e vero entusiasmo».

Il Senato è uscito rilegittimato dal referendum del 4 dicembre del 2016. Non teme di delegittimarlo?
«Per pronunciarmi ho aspettato l’approvazione in prima lettura della legge di Bilancio. E comunque, no: ho mantenuto una perfetta indipendenza e autonomia. L’ho fatto in questi anni e continuerò a farlo ancora di più ora. I tempi stretti della legislatura mi hanno indotto a compiere il passo finale. D’altronde, quando tre ragazzi, Speranza, Civati e Fratoianni sono venuti a propormi il loro progetto, ho capito che potevo e dovevo rendermi ancora utile».

I «tre ragazzi» fanno pensare a Liberi e uguali come a una «Cosa rossa» aggiornata; e che li abbiano mandati Bersani e D’Alema.
«Tecnica antica, quella di demonizzare qualcuno per inficiare il ruolo di altri. Non sono mai stato strumento di nessuno, né da magistrato né adesso. L’etichetta di «Cosa rossa» era stata confezionata dagli avversari prima ancora che l’operazione partisse. Il progetto è diverso».

Lo è riuscito a cambiare lei?
«Certo vogliamo cambiarlo. Il coinvolgimento di Rossella Muroni, fino a ieri presidente di Legambiente, è un primo segnale. Ci rivolgiamo a settori del mondo cattolico, dei sindacati, di associazioni, in una parola dei corpi intermedi. Parliamo a una realtà potenziale molto più larga da coinvolgere. Il mio obiettivo è costruire un movimento dal basso che riduca le disuguaglianze e la povertà. La parola leader non mi piace».

Nel simbolo c’è il suo nome.
«Ero contrario, se non altro per pudore. Ma era necessario per farci riconoscere: succede alle nuove formazioni, anche «+Europa» ha messo il nome della Bonino».

Perché non si è dimesso?
«Invece di risolvere un problema, ne avrei creati alle istituzioni. Problemi seri, con i numeri del Senato in bilico e al termine della legislatura. Sarebbe stato un ulteriore elemento di instabilità».

Lei non è uomo da duelli televisivi duri. Parteciperà ai confronti in tv?
«Mi candido per il Parlamento, non per X Factor. Non mi interessa affascinare, né scontrarmi secondo logiche che non mi appartengono. La mia idea di politica non è la battaglia televisiva ma presentare la soluzione dei problemi. Se è necessario parteciperò ai confronti ma non amo gli scontri. Io voglio partire dai valori di sinistra con un progetto che guardi ben oltre le elezioni».

Come convincerà gli elettori che il voto a voi è utile, e non favorisce M5S o centrodestra?
«Guardi, noi ci proponiamo come sinistra di governo non come fine ma come mezzo per cambiare la rotta su lavoro, scuola, sanità. E vogliamo spiegare che non serve un voto solo di protesta. In più, con questo sistema, di fatto proporzionale, non ci sarà un vero vincitore. La storia del voto utile non regge».

Non ci sarà un vincitore ma la sinistra si candida a essere perdente.
«Vogliamo riportare al voto chi oggi si astiene perché deluso. Il Pd i consensi li ha già persi con l’astensione o col voto al M5S. Contiamo di recuperarli dando un’alternativa».

Il Pd continuerà a perderli?
«Lo dicono i dati. Noi saremo la rete che raccoglierà quel consenso prima che vada altrove».

Influisce l’andamento dei lavori della Commissione d’inchiesta sulle banche?
«Bisogna aspettare che finisca i lavori per capire meglio».

Nel suo partito c’è chi chiede le dimissioni di Boschi.
«Non affronto il problema delle sue dimissioni. O senti di darle per tue ragioni personali, o perché te le chiede qualcuno a cui non puoi dire di no. Per ora non si sono verificate queste condizioni».

Quanto influisce sulle difficoltà del Pd la sconfitta referendaria del dicembre 2016?
«Il referendum ha mostrato una partecipazione di popolo straordinaria. Molti hanno visto nella riforma, collegata con l’Italicum, un indebolimento della nostra democrazia. Le riforme vanno fatte con un altro approccio: merito e metodo di quella riforma l’hanno resa un’occasione mancata».

Le è pesato molto gestire il referendum dal Senato che doveva essere abolito?
«Fa parte del ruolo gestire con imparzialità provvedimenti che posso anche non condividere».

Cosa votò al referendum?
«Prima che arrivasse in Aula avevo espresso le mie perplessità, ma non mi sono espresso durante la campagna e non lo farò neanche ora».

Quindi potrebbe anche votare Pd e non dirlo.
«Rispondo con una battuta: se venisse sulla nostra linea… ma non mi sembra possa accadere. Io sono inclusivo, non metto veti».

Non è troppo facile prendersela con Renzi oggi? Per anni la nomenklatura del Pd, compresi alcuni che stanno con lei, non hanno fiatato.
«Non sono tra quelli che ne fanno una questione personale: ho avvertito una distanza crescente con le politiche attuate, e non ne ho fatto mistero. La campagna elettorale si fa sui contenuti. Se non c’è Renzi ma si continua con la stessa politica, le distanze con noi non si accorciano».

La descrivono come possibile garante di un M5S che si avvicina al governo.
«Su molti temi, a cominciare dall’Europa e dalla moneta unica, siamo distanti: pensare a un referendum sull’euro, tra l’altro, non è previsto dalla Costituzione. Più che parlare col M5S dopo le elezioni, preferisco parlare ora con i suoi elettori, convogliando la loro rabbia nell’ambito istituzionale. Vorrei riportarli a casa».

Vuole togliere voti al Pd e a Grillo?
«Non metto limiti, magari convinceremo anche elettori di centrodestra: quelli che prima erano i problemi di pochi sono diventati problemi di molti: precari, giovani professionisti, chi ha una piccola attività, una partita Iva».

Ha qualcosa da rimproverarsi per la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore?
«Ho applicato la legge Severino e il regolamento del Senato. E l’Aula nella sua sovranità ha votato».

Vorrebbe che partecipasse alla campagna elettorale?
«Già partecipa».

Come candidato.
«Non dipende da me».

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CORRIERE DELLA SERA

Rossella Muroni coordinerà la campagna elettorale

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C’è un’Italia che ha soluzioni straordinarie e innovative per cambiare il nostro Paese in meglio. C’è un’Italia che ogni giorno le mette in pratica ma è ignorata dalla politica. Liberi e Uguali nasce proprio per dare voce e rappresentanza a questa Italia, per collaborare e crescere insieme.
Sono orgoglioso di poter annunciare che Rossella Muroni entra nella nostra squadra e che coordinerà la campagna elettorale. Chi conosce Rossella sa del suo lavoro ventennale in Legambiente; sa quale patrimonio di entusiasmo, competenza ed energia porterà; sa che il suo impegno ecologista si lega con una visione innovativa dell’economia e dello sviluppo del nostro Paese. Con coraggio ha scelto di dimettersi da presidente di Legambiente e accettare la sfida di portare in Parlamento le idee che per anni ha invano proposto alla politica.

Noi siamo felicissimi che abbia accettato di partecipare alla costruzione di Liberi e Uguali e di entrare a pieno titolo in questo progetto. Lo avevo detto: per noi il tema ambientale non è uno slogan da campagna elettorale ma una precisa idea di Paese. Ogni proposta programmatica – dal lavoro alla scuola, dalla salute all’economia, dal fisco alle infrastrutture – sarà pensata nell’ottica del rispetto e della valorizzazione del nostro patrimonio ambientale. Con Rossella, con il suo impegno in prima persona, colmeremo il ritardo che ci separa dagli altri paesi europei che stanno già realizzando la green society.

Benvenuta Rossella e buon lavoro!

Io ci sono!

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Discorso del 3 dicembre 2017 all’Atlantico Live di Roma per la presentazione di Liberi e Uguali 

Che emozione essere qui con voi!

Mi devo scusare con tutte quelle persone, migliaia di persone, che sono fuori e che intravedo in lontananza. Scusateci: non ci aspettavamo assolutamente questa così bella adesione fin dal primo momento. Chi è qui ha già fiducia, non ha bisogno di sentire per potersi rendere conto di ciò che cerchiamo di fare. Grazie per la fiducia.

Vedo persone, storie, culture e mondi che hanno scelto di camminare insieme, ma non in virtù di un calcolo politico ma per difendere i valori e i principi in cui credono. Lasciatevelo dire: è una bellissima immagine che dà forza e energia.

Dare le dimissioni dal gruppo del Partito Democratico è stata una scelta politica e insieme personale, frutto di un’esigenza interiore. Una scelta che ha fatto molto rumore: ho ricevuto molte telefonate, ascoltato tante persone; mi hanno offerto seggi sicuri, chiesto di “fermarmi un giro”, di fare la “riserva della Repubblica”. Mi dispiace, questi calcoli non fanno per me.

Ho combattuto in prima linea tutte le battaglie della mia vita, mettendoci la faccia senza mai pensare alla convenienza. In fin dei conti, alla mia bella età, posso dire di aver già fatto la mia parte. Ve lo assicuro: non ho rimorsi, né rimpianti, né ambizioni personali. Sento però che il delicato momento che affrontiamo richiede un atto di ulteriore impegno. Oggi la sfida è batterci per ciò che ci unisce nel profondo, per i principi e i valori che sono alla base della nostra comunità e ne rappresentano la linfa vitale, il lievito madre. E come in passato scelgo di non tirarmi indietro. Sono qui per questo. Come voi tutti.

In forme e ruoli diversi ho sempre servito le istituzioni, è una cosa di cui sono molto orgoglioso. Diventare magistrato era il mio sogno, farlo in Sicilia un atto di amore per la mia terra, accettare incarichi che hanno cambiato per sempre la mia vita e quella della mia famiglia una questione di coscienza. Sono stati anni bellissimi e feroci, pieni di dolore e di speranza, di rinunce e di entusiasmo, di amicizie troncate nel sangue e di risultati eccezionali. Abbiamo vinto molte battaglie ma la guerra è ancora in corso, e viene portata avanti ogni giorno da donne e uomini di cui dobbiamo essere fieri.

Nel 2012, quando il mio mandato da Procuratore Nazionale Antimafia stava per finire ho accettato la proposta di “spostarmi in politica”. Decisi, con la stessa emozione che ho oggi, di chiudere il più significativo capitolo della mia esistenza per continuare, con altri mezzi, le battaglie di sempre. Il primo giorno in Senato ho depositato un Disegno di legge contro la corruzione, l’autoriciclaggio, il falso in bilancio e il voto di scambio. Poi, con una bella dose di sorpresa, il secondo giorno sono stato eletto presidente del Senato. Esserlo è un onore indescrivibile. Ho difeso le Istituzioni, il ruolo e la centralità del Senato, la sua funzione imprescindibile nella nostra democrazia parlamentare. Sin dall’inizio ho rivendicato il diritto di parola: l’imparzialità nell’esercizio della funzione non prevede la rinuncia alle proprie idee politiche. Ho continuato, con coerenza, a far sentire la mia voce sui temi per i quali mi sono sempre impegnato.

In questo nuovo capitolo della mia vita, in questo percorso che oggi si unisce al vostro, porto tutta la mia storia, ma mai mi farò scudo del passato. Io e voi abbiamo la testarda convinzione che in questo momento debba prevalere lo spirito di servizio, la volontà di partecipare a qualcosa di più grande di noi, la generosità nel ritrovare un pezzo di Paese che si è allontanato e che si astiene. Serve un’alternativa all’indifferenza, alla rabbia inconcludente dei movimenti di protesta, alle favole bellissime mai realizzate che abbiamo sentito raccontare per decenni. Allora tocca a noi. Tocca a noi offrire una nuova casa a chi non si sente rappresentato. Tocca a noi difendere principi e valori che rischiano di perdersi: la dignità del lavoro, un welfare che si prenda cura di tutti, una scuola e un‘università che rispettino il valore degli insegnanti e la centralità degli studenti, la possibilità di allargare i diritti e pretendere il rispetto dei doveri, tasse più giuste e progressive, una vera parità di genere. Insomma, una nuova proposta per il Paese.

Per tutto questo, io ci sono!

Noi riaccenderemo la speranza. Ricordo l’emozione e il senso di responsabilità del mio primo voto: mi piacerebbe la provassero anche le ragazze e i ragazzi che andranno a votare la prossima primavera. Ai miei tempi era come un dovere: se non si votava veniva apposto il bollo “non ha votato”. Un dovere che io ho vissuto già allora come un diritto. E’ scegliere il proprio destino andare a votare e non lasciarlo fare ad altri. Ragazzi, scegliete il vostro destino!

Mettiamoci al servizio di un cambiamento radicale, che inizi proprio dalla politica. La politica è un bene comune di cui prendersi cura, ogni giorno. Realizzeremo una totale discontinuità nei programmi, nei comportamenti, nei modi di fare politica e di comunicarla.

Non c’è bisogno, credo, di parlare di giustizia, lotta alla criminalità e al terrorismo, avremo modo e tempo. Per me non sono bandiere da sventolare in piazza ma l’impegno di una vita. Oggi voglio parlare di giustizia sociale. Il mondo intorno a noi cambia in fretta: innovazione tecnologica, sconvolgimenti climatici e geopolitici, intelligenza artificiale, grandi migrazioni, nuovi modelli economici. Comprendere e governare questi processi è la ragion d’essere della politica, la sua prima funzione nella società.

Basta con gli slogan. Chiediamoci come ridurre le diseguaglianze, a cominciare dal Mezzogiorno; quali equilibri inaugureremo tra vecchi e nuovi mercati; come generare una ricchezza diffusa e non appannaggio di pochi; come difendere i diritti, a partire da quello al lavoro, un lavoro con garanzie e pari retribuzione tra uomini e donne. Chiediamoci come creare prospettive per i più giovani e garantire loro un sistema pensionistico che tenga conto degli anni di crisi, di impieghi saltuari e mal pagati, di collaborazioni occasionali, tirocini, stage e così via. Non è solo una questione di ordine economico ma di dignità della persona, di ciò che lasceremo in eredità ai nostri nipoti.

Se invece ci perderemo in sterili polemiche e tatticismi non riusciremo a coltivare quella visione del domani che serve per affrontare le grandi sfide che ci attendono. In troppi giocano con le parole, facendo leva sulle paure delle persone, sulla loro rabbia. È così che la nostra comunità, guardandosi allo specchio, si scopre oggi più divisa, più frammentata, più debole, più rancorosa. A parole sbagliate corrispondono politiche sbagliate.

Noi siamo qui oggi perché sappiamo quanto necessario e urgente sia impegnarci in un lavoro paziente, lungo, appassionato che non si esaurisce il giorno delle elezioni ma continuerà, per ricostruire una comunità coesa e solidale.

In questi anni sono andato poco in televisione, ho fatto pochissime interviste, mai ho inseguito o alimentato inutili polemiche. Non aspettatevi quindi da me, neanche in campagna elettorale, fiumi di parole. Ce ne sono altri che sono bravissimi in questo, suggestionano con le parole. Io parlerò di cose concrete, noi faremo proposte serie.

Ho incontrato migliaia di persone, raccolto le loro preoccupazioni e ascoltato paure, domande, ambizioni, speranze. Sono stati incontri ricchi di umanità che mi hanno insegnato moltissimo su questa nostra Italia, sui suoi difetti ma anche sui suoi grandissimi pregi. Non sempre è stato facile guardare occhi negli occhi chi ha perso tutto in pochi istanti a causa di un terremoto, o di una alluvione; chi da troppo tempo aspetta dallo Stato giustizia e verità; chi fa i salti mortali perché ha un parente disabile e mille ostacoli da superare; chi ha perso il lavoro o, magari ha un lavoro, un negozio, un’impresa, una professione, una pensione ma questo non gli basta per vivere una vita dignitosa.

Molti avevano la testa china e lo sguardo rivolto verso il basso, gli leggevi dentro l’amarezza, la frustrazione. Questi cittadini sono il simbolo di una nazione che non crede nei partiti e nelle istituzioni, che indifferente si rassegna agli scandali, alla corruzione, alla mala sanità, alle scuole pericolanti, all’idea che i nostri ragazzi debbano fuggire per realizzarsi. Una nazione che rinuncia al futuro. Il nostro compito è far rialzare lo sguardo di tutte quelle persone, restituire loro fiducia. Non chiedono altro che tornare a credere nel fatto che sì, lo possiamo cambiare questo Paese.

A noi non basta dirlo, spenderemo ogni energia per farlo: con umiltà e con assoluta determinazione. Non può avere successo un uomo solo al comando, magari circondato da “yes men”. Io non ho alcuna intenzione di esserlo, perché non può funzionare un progetto dominato dai personalismi, serve la rivoluzione della generosità, della solidarietà politica, economica e sociale. Noi diremo la verità – lasciamo ad altri le fake news – senza sconti diremo la verità, senza esagerazioni, con coraggio. La politica si fa per quello che si ritiene giusto, non per un punto percentuale in più nei sondaggi o nelle elezioni.

Ricuciremo i lembi di questa nostra comunità, ferita dagli anni di crisi e sempre più frenata dal pensiero che “tanto siamo in Italia, le cose vanno così”. Io non posso accettare di vivere in un Paese che mette i giovani contro gli anziani, che butta via il capitale umano di migliaia di persone facendole sentire inutili, che litiga tra nord e sud, tra poveri e più poveri, che obbliga a scegliere tra lavoro e salute, che ancora non riconosce la possibilità di decidere, in scienza e coscienza, quando le cure si trasformano in sofferenza, in accanimento terapeutico.

Lottiamo perché si abbandoni la cultura dell’arroganza e della furbizia e si abbracci quella della collaborazione, dell’inclusione, della partecipazione. Dobbiamo remare tutti insieme dalla stessa parte. In ciascuno di voi c’è un patrimonio di idee, di passione, di coraggio, di impegno: usiamolo per scuotere l’Italia dal torpore. Solo insieme possiamo cambiare questo Paese. Facciamolo non lasciando indietro nessuno. Facciamolo costruendo, con l’ottimismo della volontà, un progetto visionario.

Vedo nei vostri occhi il mio stesso desiderio, la mia stessa determinazione: significa che ho scelto bene i miei compagni di viaggio. Altri ne arriveranno perché questo progetto sarà aperto e accogliente per tutti. Daremo vita a una nuova alleanza tra cittadinanza attiva, movimenti, sindacati, associazioni, corpi intermedi, volontari, forze di sinistra e forze cattoliche, democratiche e progressiste.

C’è già un’Italia che si impegna con generosità nelle parrocchie, nelle scuole, nelle associazioni, sui terreni confiscati: che è vicina agli ultimi e agli esclusi senza clamori. Ci sono persone che reggono privatamente il peso delle carenze pubbliche: ne ho incontrate tantissime, e voi ne conoscete più di me. Persone che pensano, come noi, che il valore della vita umana vada oltre le convenienze contingenti; che chi nasce, cresce e studia in Italia è già un cittadino italiano, pur non avendo ancora la cittadinanza.

Sono quelle persone di buona volontà che a Como hanno avuto la forza e l’intelligenza di non reagire nemmeno di fronte a inaccettabili intimidazioni. Mi ha colpito la compostezza priva di paura di chi era lì solo per dare una mano al prossimo, e aveva davanti la rabbia di quei quattro fascisti.

C’è un’onda nera che monta, a partire dalle periferie delle nostre città: è lì che dobbiamo tornare, è da lì che dobbiamo ripartire. Il nostro è un progetto più grande di come fino ad ora lo hanno raccontato, e se ne accorgeranno presto! Non lasciamoci intimorire; non lasciamoci scoraggiare da chi parla di rischi di sistema, di “favore ai populismi”, di voto utile. L’unico voto veramente utile è quello che costruisce una rappresentanza democratica di idee, di valori, di programmi, di sacrificio, di dedizione e di speranze, portando in Parlamento i bisogni e le richieste della metà d’Italia che non vota.

Noi siamo qui proprio per loro, senza inseguire rancori e nostalgie. Sia chiaro: è il futuro che ci sta a cuore. Un pezzo di quel futuro è nelle esperienze e nelle testimonianze che abbiamo ascoltato: una ricchezza straordinaria di soluzioni già esistenti ai molti dei problemi che conosciamo, ma che non sono state sufficientemente valorizzate. Hanno tracciato strade che ci portano nel futuro, su cui far correre la nostra possibilità di farcela, come Paese.

La precarietà di un ricercatore non è solo un problema personale, lo è per la crescita di noi tutti. La protezione dell’ambiente non è alternativa allo sviluppo, anzi i due processi possono e devono andare insieme. Abbiamo bisogno di imprenditoria nuova, sana; di raccontare il nostro Paese, puntando sulla nostra incredibile biodiversità culturale, paesaggistica, architettonica, enogastronomica e artistica. E farne un patrimonio vivo e condiviso.

Abbiamo la necessità di mettere ordine a un sistema di bonus, incentivi, sgravi, una giungla paradossale dove è difficile districarsi. Di rivendicare un sistema fiscale equo e progressivo, che sostenga un piano strategico di investimenti e rafforzi un welfare capace prendersi cura di ogni fragilità. Di aiutare le famiglie con politiche di sostegno reali, a partire dagli asili nido, perché i bonus passano ma i figli, quei pochi – troppo pochi – che nascono, restano.

Siamo perfettamente consapevoli che l’Italia non potrà avere un futuro fuori dall’Unione Europea, con convinzione e senza tentennamenti. Dobbiamo fare le cose per bene, con cura e attenzione. Avremo un programma scritto e ideato attraverso un percorso partecipato, che terrà insieme la concretezza delle soluzioni e una visione chiara del futuro del nostro Paese. Lo faremo insieme, chiedendo aiuto ai migliori, anche a coloro che oggi non sono qui. Voi che siete fuori questa sala, voi che avete dubbi su questo percorso, superateli. Portate le vostre idee, portate il vostro sguardo: non abbiamo paura di guardare lontano, ben oltre il termine delle prossime elezioni e della prossima legislatura.

Grazie per essere arrivati fino a qui, iniziamo un nuovo percorso, una nuova proposta, al centro della quale metteremo la volontà di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Questo è l’articolo 3 della Costituzione, quello che più mi emoziona perché dice tutto quello per cui vale la pena lottare.

Tocca a noi dimostrare che le istituzioni sono di tutti, che fare politica è un orgoglio e non una vergogna. Tocca a noi realizzare il sogno dei padri e delle madri Costituenti. Ripartiamo dai principi fondamentali.

C’è in gioco il futuro dell’Italia.

Questa è la nostra sfida: batterci perché tutti – nessuno escluso – siano liberi e uguali. Liberi e uguali.

Incontro con i familiari di Niccolò Ciatti

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Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi a Palazzo Madama i genitori e la sorella di Niccolò Ciatti – il ragazzo barbaramente ucciso ad agosto in una discoteca a Lloret de Mar, in Spagna – assieme ad una delegazione della Scuola superiore “Russell-Newton” da lui frequentata a Scandicci.

I familiari di Niccolò e la delegazione della Scuola erano accompagnati dalla Vice Presidente del Senato, Rosa Maria Di Giorgi e dal Sindaco di Scandicci, Sandro Fallani.

Gli studenti hanno consegnato al Presidente del Senato una petizione firmata da studenti e docenti che esprime pieno supporto “a tutti coloro che lavorano alle indagini” e chiede “una giustizia completa e senza zone d’ombra” per il compagno scomparso.

Il Presidente Grasso segue con la massima attenzione la vicenda e ha assicurato ai familiari di Niccolò il proprio convinto sostegno alle iniziative finalizzate a fare chiarezza sulle responsabilità e a dare “risposte ferme e chiare” sull’accaduto.

Presentazione del documentario “Cieli Rossi, Bassano in Guerra”

Intervento alla presentazione del documentario sulla Grande Guerra di Giorgia Lorenzato e Manuel Zarpellon

Presidente Marini, Sottosegretario Baretta, Professor Mondini,

vorrei come prima cosa rivolgere un sentito ringraziamento al Circolo dei veneti a Roma per aver organizzato questa giornata e al Comitato Storico Scientifico per gli Anniversari di Interesse Nazionale per aver offerto il proprio patrocinio a questa iniziativa.

Sono molto lieto di essere qui con voi alla presentazione di questo documentario, frutto di un lavoro lungo e meticoloso, che ci offre una prospettiva inedita degli anni della Grande Guerra. È uno sforzo prezioso che ripercorre un evento che ha cambiato la storia del nostro continente, modificando i confini geografici, geopolitici, culturali e sociali dei popoli coinvolti. La principale eredità della guerra fu proprio la dissoluzione dell’ordine europeo allora esistente, il suicidio dell’Europa, come venne definito.

Questo documentario contribuisce a trasmettere l’orrore del conflitto mondiale a chi non l’ha vissuto, descrivendone con rigore storico il suo divenire, il suo volto più crudo. Sono passati cento anni eppure, attraverso un racconto semplice ed efficace, supportato da filmati e fotografie originali di altissimo valore culturale, ci è offerta l’opportunità di calarci pienamente nell’atmosfera di allora. L’Italia – così come le altre potenze protagoniste del conflitto – non sarebbe stata più la stessa. Il nostro fronte fu il luogo sul quale si consumò una vera e propria tragedia nazionale che ha segnato la nostra comunità con profonde ferite. Mi ha colpito molto la metafora di una “fornace che inghiottiva migliaia di soldati”. È stato proprio così: a ben guardare ognuno di noi – nella propria famiglia – custodisce i racconti di chi visse in prima persona quell’orrore.

La Storia della Grande Guerra – quella con la s maiuscola – si compone infatti di un mosaico di migliaia e migliaia di singole storie di uomini che combatterono nelle trincee, si fecero coraggio nonostante le difficoltà e le privazioni, resistettero in condizioni difficilissime e difesero fino allo stremo il nostro Paese. La durezza e le privazioni di quei mesi ci convinsero che la guerra non aveva nulla di positivo ma era solo veicolo di morte e sofferenza.

Concludo ringraziando Giorgia Lorenzano e Manuel Zarpellon – autori e registi del documentario – e con loro il professor Mondini, che hanno saputo restituirci un affresco così potente ed evocativo, così reale e profondo. Grazie perché raccontare e approfondire la storia della nostra terra, delle sue ferite, della sua gente è la premessa per mettere le giovani generazioni e quelle future nella condizione di non ripetere gli errori del passato.

Buon lavoro a tutti.