Violenza sulle donne. Servono prevenzione e protezione delle vittime

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, “si unisce alla denuncia nei confronti di un fenomeno odioso che ha assunto dimensioni allarmanti”, e in questa ricorrenza invita tutti a ”un importante momento di riflessione e di analisi.”

“Per la complessità delle sue ragioni e per la pluralità delle sue manifestazioni – afferma il Presidente Grasso – è necessario che il tema della violenza contro le donne venga inserito tra le priorità dell’agenda politica del Parlamento e dell’azione del Governo, al fine di realizzare interventi mirati in ambito giudiziario, sanitario e culturale in sinergia con le associazioni e gli enti di volontariato.”

“Per contrastare efficacemente la violenza sulle donne – prosegue il Presidente del Senato – occorre sostenere, anche economicamente, la prevenzione e la protezione delle vittime, adeguando ove necessario il nostro ordinamento giuridico ai più innovativi strumenti di tutela e facilitando la denuncia delle sopraffazioni, che troppo spesso vengono tenute nascoste dalle stesse vittime, specie quando queste avvengono in ambito familiare.”
“Serve però soprattutto – conclude il Presidente del Senato – un impegno collettivo di educazione per diffondere, a partire dai più giovani, una cultura del rispetto della donna e della non violenza: la violenza contro le donne è socialmente, prima ancora che penalmente, inaccettabile, e dunque non ammette tolleranza né giustificazione. Ciascuno di noi è chiamato a fare la propria parte.”

Per una visione geopolitica del fenomeno mafioso. L’Italia al centro del Mediterraneo

Intervento al 19° Vertice Antimafia e 1° Summit del Mediterraneo

Cari ragazzi, autorità, colleghi e amici,

siamo di nuovo qui, al vertice annuale della Fondazione “Antonino Caponnetto”, come ogni anno da tanti anni a questa parte. Sfogliare gli appunti che ho preso ogni volta per preparare questo intervento è stato come ripercorrere a ritroso un cammino di ricordi, battaglie vinte e perse, polemiche, richieste, inviti alla politica e alla società civile, incontri, confronti a volte anche aspri ma sempre corretti. Il Vertice voluto da Nonno Nino rappresenta un appuntamento importante, una sorta di bilancio dello stato dell’arte della lotta alla criminalità e di definizione comune di nuove prospettive.

[…] Se come magistrato potevo dirmi soddisfatto del mio lavoro di quegli anni, in vista della scadenza del mio secondo e ultimo mandato da PNA ho realizzato […] che la quasi totalità delle mie proposte alla politica di rafforzare gli strumenti legislativi e aumentare le risorse umane e materiali per la magistratura e le forze dell’ordine erano rimaste inascoltate.
[…] oggi ho deciso di parlare con voi non dei risultati raggiunti ma di tre occasioni mancate, almeno per ora. Ovviamente la mia idea come “politico” era portare in sede parlamentare la mia esperienza di magistrato, quindi contribuire al dibattito intorno ai temi della giustizia e del contrasto alla criminalità. Non a caso nel mio primo giorno da senatore, il 15 marzo scorso, ho presentato un Disegno di legge riguardante corruzione, voto di scambio, falso in bilancio, riciclaggio e autoriciclaggio, temi per me improrogabili, che vanno a colpire “i piccioli” della criminalità, il denaro, e che possono restituire alle casse dello Stato miliardi di euro l’anno.

[…] Sempre dentro quel Disegno di legge c’era anche la norma sul voto di scambio della campagna di Libera “Riparte il futuro”, quella per cui centinaia tra deputati e senatori hanno indossato il famoso “braccialetto bianco”. Quella riforma ha poi iniziato il suo percorso alla Camera e, con qualche compromesso, si era arrivati ad un testo approvato all’unanimità che non era il migliore dei testi possibili ma aveva al suo interno novità interessanti, tanto che gli stessi promotori sono venuti nel mio studio a Palazzo Madama a chiedermi di fare di tutto perché venisse approvato rapidamente. Utilizzando una prerogativa del presidente avevo annunciato in Aula il 19 luglio, nel discorso commemorativo della strage di Via d’Amelio, che avrei dato alla Commissione Giustizia potere deliberante, in modo che il giorno stesso potesse diventare legge. Peccato che una campagna stampa abbia fatto venire dei dubbi ad alcuni parlamentari, bloccando la Commissione deliberante e rimandando a chissà quando questo traguardo. Da luglio ad oggi non se ne è più sentito parlare. Un’altra occasione sprecata.
La terza richiesta ancora inevasa è la riforma della legge elettorale. In un’intervista a Repubblica del 30 giugno scorso, ma gli esempi che potrei fare sono innumerevoli a partire dalla campagna elettorale, sono stato tra i primi ad avanzare l’idea di staccare la legge elettorale dalle riforme istituzionali, e la presentavo come una riforma da fare subito, con legge ordinaria ad iniziativa parlamentare e con due caratteristiche fondamentali: garantire una rappresentatività reale dei cittadini e la stabilità dei governi. Non avete idea delle critiche che mi ha attirato quell’intervista. Ora che sono passati mesi effettivamente la riforma della legge elettorale sta seguendo un percorso d’urgenza diverso dalle riforme istituzionali, ma al momento lo stallo è evidente: i gruppi parlamentari, anche per il loro disfacimento, non riescono a trovare un accordo politico, dimostrando di non riuscire a sentire la marea montante di una rabbia che si riverserà, più forte di prima, contro tutti i partiti. E’ questo atteggiamento di sordità totale che ci ha portato alla crisi istituzionale che stiamo vivendo nel nostro Paese in questo momento. Per tornare ad essere credibili, per abbattere quel 50% di indecisi e astenuti che ci hanno rivelato ieri gli ultimi sondaggi, i partiti devono iniziare a pensare non alle prossime elezioni, ma alle prossime generazioni.

Partiamo da qui: lotta alla corruzione, falso in bilancio, riciclaggio e autoriciclaggio, voto di scambio e riforma della legge elettorale. Tre riforme a costo zero che in una fase economicamente drammatica come quella che stiamo vivendo potrebbero far tornare all’impegno, alla passione, alla militanza, alla vita pubblica – in una parola: alla politica – quella metà di italiani stanchi, rassegnati e disillusi che se ne è allontanata.

[…] Possibile che appena piove un po’ di più l’Italia frana? Facciamo un piccolo esercizio di memoria degli ultimi tre anni: Messina, Veneto, Marche, Cinque Terre, Genova, Messina, Massa, Grosseto, Taranto e ora la Sardegna. Prima che ambientale la frana è etica, sociale, economica, politica!

[…] La sponda sud del Mediterraneo e l’intera regione del Mediterraneo allargato sono scosse da tre anni da un violento tsunami che propaga instabilità in tutto il mondo. […] Le conseguenze di questo quadro drammatico sono complesse, e particolarmente per l’Italia. L’instabilità danneggia l’economia, aggrava la povertà endemica di molti paesi della regione; i conflitti producono movimenti di profughi in cerca di una vita migliore, o almeno di una vita possibile. La debolezza delle frontiere, l’anarchia istituzionale apre nuovi corridoi per i traffici di droga, di persone, di armi, di cui l’Italia è il primo terminale. […] Ma non basta, il nostro Paese deve puntare molto di più sul Mediterraneo per giocarvi un ruolo di leadership e di guida come paese fondatore dell’Unione Europea, nel solco di una tradizionale capacità di dialogo che ci è riconosciuta in tutta la regione. Dobbiamo sostenere le transizioni democratiche e farci interpreti presso l’Unione Europea della necessità di affrontare i problemi dell’immigrazione e della criminalità nei paesi di origine.

L’Italia gioca un ruolo importantissimo, sia attraverso i propri militari che sono impegnati a mantenere la pace nell’ambito delle missioni delle Nazioni Unite e della NATO in Libano e in Afghanistan; sia attraverso una importante azione diplomatica che si svolge nella regione e nelle sedi multilaterali.

[…]Dobbiamo pensare e agire strategicamente e chiudere per sempre la stagione dell’emergenza, della superficialità, dell’approssimazione. Per combattere le mafie dobbiamo uscire dalla deriva etica che ha investito il Paese; dobbiamo occuparci di lavoro nero, di evasione fiscale, di corruzione, di economia illegale. Dobbiamo fare finalmente ripartire l’Italia; dobbiamo restituirle il ruolo di paese chiave dell’Unione Europea e di cerniera del Mediterraneo allargato che ci spettano per storia, per tradizione, per cultura. Il futuro del Paese, dell’Europa e della comunità internazionale dipendono dalla capacità che avremo di sanare un vuoto profondo di cui la politica soffre verso i cittadini e soprattutto verso i più giovani: un vuoto di comprensione, di rappresentatività e di legittimazione etica.

[…] Qual è il futuro di una società che non trasmette valori e fiducia ai cittadini? Quale il futuro di una politica vissuta come luogo di relazione clientelare? Occorre ricostruire la democrazia, e, ben oltre l’abito esteriore delle regole e delle auspicate riforme, trasmettere nuova energia alle istituzioni con la cultura della partecipazione, della trasparenza e della responsabilità, riavvicinando i giovani alla politica, partendo dalle scuole, dalle parrocchie, dalle associazioni giovanili, con l’impegno di tutti i cittadini.

Luiss. Inaugurazione del Master in Parlamento e Politiche Pubbliche

Cari ragazzi,

è per me veramente un piacere potervi accogliere in Senato in occasione dell’inaugurazione del Master in Parlamento e Politiche Pubbliche che segna oggi per voi l’inizio di un nuovo percorso formativo e di studio. Saluto il Direttore del Centro studi sul Parlamento, Andrea Manzella, e il Direttore della Luiss School of Government, Sergio Fabbrini, e insieme a loro tutti i docenti qui presenti.
Questo appuntamento costituisce ormai una tradizione che si rinnova di anno in anno, di legislatura in legislatura, a confermare il legame profondo che il Senato sa sviluppare con il mondo universitario e soprattutto con quelle iniziative di formazione specialistica che trovano nel Parlamento il proprio principale oggetto di studi.

L’inaugurazione di quest’anno costituisce forse ancora più che in passato un’occasione per confrontarsi sui problemi aperti del parlamentarismo contemporaneo. Il tema che avete scelto per il dialogo odierno, dedicato al “rapporto non risolto” tra decreto legge e legge di conversione, allude ad uno dei nodi problematici che oggi investe il ruolo delle Camere. Un nodo vistoso che incide su più dimensioni, dal rapporto di fiducia tra il Parlamento e il Governo alla trasparenza delle procedure decisionali, alla qualità stessa della legislazione. Sempre più spesso, nell’esame dei decreti legge, di fronte alla presentazione di centinaia di emendamenti e all’impossibilità di garantire tempi certi di esame e di approvazione del provvedimento, le Camere sono chiamate a confrontarsi con maxi-emendamenti coperti dalla questione di fiducia che riducono in maniera consistente gli spazi per il dibattito e il confronto. Tali prassi mettono fortemente in discussione la funzione del Parlamento come sede dove si svolge il contraddittorio politico e si esercita la funzione legislativa.

Non possiamo nasconderci di fronte a questi fenomeni, che negli ultimi anni lo stesso Presidente della Repubblica ha censurato in alcuni messaggi alle Camere, denunciando “gli effetti negativi di questo modo di legiferare sulla conoscibilità e comprensibilità delle disposizioni, sulla organicità del sistema normativo e quindi sulla certezza del diritto, nonché sullo stesso svolgimento del procedimento legislativo”.
Al contempo, però, dobbiamo imparare ad esaminare queste tendenze in una prospettiva più ampia, capace di guardare alle trasformazioni complessive che investono il ruolo del Parlamento, nel suo rapporto non solo con l’esecutivo, ma anche con il livello di governo europeo e in ultima istanza con gli elettori.

Molti sono i potenziali fattori di criticità. Penso innanzitutto alla tendenza a spostare il baricentro della decisione dai Parlamenti ai Governi, per favorire quelle istanze di governabilità e tempestività dell’azione politica che il compromesso parlamentare non sembra oggi più capace di garantire. La stessa crisi economica e finanziaria, e ancora di più la risposta che alla crisi hanno dato le istituzioni europee, tende a valorizzare il ruolo decisionale dei vari organi ed organismi che, a Bruxelles, partecipano alla governance economica europea, dal Consiglio europeo all’Eurogruppo. Ed ancora, la progressiva disaffezione dell’opinione pubblica rispetto al mondo della politica e dei partiti sembra oggi penetrare le stesse istituzioni parlamentari, che nella politica e nei partiti trovano la propria architettura portante.

Eppure, sono convinto che queste tendenze in atto debbano indurci ad un lucido e cosciente realismo, non certo ad un precostituito pessimismo. Le fasi di “crisi” rappresentano, infatti, un’opportunità strategica per rilanciare il compito affidato alla rappresentanza quale necessario momento di intermediazione tra gli elettori titolari della sovranità popolare e l’esercizio delle funzioni pubbliche. E’ questa la sfida che il Parlamento di oggi deve sapere affrontare, trasformando i fattori di criticità in opportunità per rilanciare con coraggio il proprio ruolo sia rispetto alle altre istituzioni rappresentative, sia rispetto agli elettori.

Non è casuale che, proprio in un momento di “crisi”, si stia affrontando il nodo delle riforme costituzionali. Sono convinto che anche per il Senato la stagione delle riforme possa rappresentare l’occasione per un costruttivo ripensamento del proprio ruolo istituzionale. In un recente convegno sul tema, che si è svolto proprio in una delle sedi della Luiss, ho avuto modo di sottolineare che le ragioni del bicameralismo discusse dai nostri padri costituenti, sono oggi più che mai attuali. Il bicameralismo garantisce il governo della complessità, e una maggiore riflessione sulle scelte legislative. Non dobbiamo sottrarci dall’attualizzare il sistema bicamerale perfetto, ma la modernizzazione del bicameralismo deve fondarsi sul convincimento che aumentare la qualità della democrazia, e quindi il tasso di efficienza delle istituzioni, passa per un rafforzamento, non per una diminuzione della loro legittimazione.

Si tratta di trovare un nuovo equilibrio tra i due rami del Parlamento che, per esempio, nel valorizzare anche in via esclusiva il rapporto fiduciario tra la Camera e l’esecutivo, consenta al contempo di riscoprire appieno il ruolo del Senato: nel rapporto con le autonomie territoriali; nell’esercizio della vigilanza economico-finanziaria; nello svolgimento della funzione di controllo, quindi nell’utilizzo di strumenti ispettivi, tra cui le commissioni d’inchiesta; nelle competenze sulle nomine; nella partecipazione alle decisioni europee. Lo stesso procedimento legislativo bicamerale, che ad oggi ha dato prova di una estrema flessibilità, consentendo ai partiti un potere assolutamente discrezionale rispetto ai tempi di approvazione delle leggi, deve essere ripensato.

Abbiamo bisogno di procedure più razionali che adeguino l’articolazione e la durata del procedimento legislativo alla natura dei provvedimenti, garantendo tempi adeguati di esame per le proposte che abbisognano di maggiore ponderazione, come quelle costituzionali, quelle che investono la tutela dei diritti fondamentali o quelle che incidono sui grandi temi etici.

Per altro verso, anche nei rapporti con l’Unione Europea vi sono oggi importanti aperture che investono il ruolo del Parlamento. Ricordo, in particolare, il controllo sul rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità introdotto dal Trattato di Lisbona, nonché la sfida della cooperazione con gli altri Parlamenti nazionali che, dopo l’entrata in vigore del Fiscal compact, trova un importante terreno di sviluppo nel settore delle politiche economiche e finanziarie.

Saper cogliere queste sfide richiede però coraggio e capacità d’innovazione. Nei prossimi decenni, dovremo sicuramente pensare ad un Parlamento che legifera meno, o che almeno legifera meglio, e che al contempo sa sviluppare la funzione di controllo e garanzia. Dobbiamo andare oltre il “controllo” in senso stretto, che si esprime nel potere di inchiesta parlamentare, nel sindacato ispettivo, nei pareri sulle nomine governative. Il Parlamento deve saper valorizzare nuovi strumenti e procedure di controllo, quelle che passano attraverso le informative del Governo in aula e in commissione, le verifiche ex post sull’attuazione delle leggi, il controllo contabile e finanziario.

Per garantire questi obiettivi, è senz’altro prioritario intervenire sui regolamenti parlamentari. Le riforme costituzionali sono necessarie e indifferibili, ma mi pare che non sia oggi più rinviabile una revisione organica, coordinata e contestuale dei regolamenti parlamentari di Camera e Senato che possa assicurare – a Costituzione vigente – significativi recuperi di funzionalità. Penso ad esempio alle misure volte a garantire corsie preferenziali per i disegni di legge di attuazione del programma di governo, che sono destinate a rivelarsi strategiche anche per ovviare alle degenerazioni della decretazioni d’urgenza e del reiterato ricorso alla fiducia ‘tecnica’.

Penso anche all’introduzione di nuove, più ampie, garanzie per l’opposizione che, in un sistema maturo di relazioni tra le forze politiche rappresentate in Parlamento, può senz’altro aspirare alla presidenza di alcune commissioni, nonché alla disponibilità di tempi adeguati e di procedure semplificate per la calendarizzazione e l’esame delle proprie proposte.

Dobbiamo poi provvedere con urgenza anche a quelle revisioni dei regolamenti parlamentari che appaiono più o meno “dovute” per la piena attuazione di altre riforme di sistema. La riforma dell’articolo 81 della Costituzione sul pareggio di bilancio, ad esempio, ci chiede di potenziare il controllo parlamentare sulla finanza pubblica. Serve inoltre una seria riscrittura di tutte le norme che disciplinano la partecipazione del Parlamento alle decisioni europee, finalizzata a promuovere l’intervento attivo delle Camere fin dalle fasi embrionali del processo di formazione degli atti europei.

Il mio auspicio, come Presidente del Senato, è di poter assistere ad una stagione di intenso rinnovamento di questa istituzione. E’ un rinnovamento che sicuramente deve trovare nella politica il proprio elemento propulsore. Ma al rinnovamento del Parlamento contribuiscono in maniera determinante anche tutte le persone che ogni giorno lavorano per questa istituzione. Per questo motivo, mi auguro che l’amministrazione parlamentare possa conservare quell’attrattività che le ha sempre consentito di essere fortemente selettiva nei suoi concorsi pubblici. A voi, cari studenti, rivolgo l’invito a non desistere mai dal perseguire i vostri sogni e i vostri progetti di vita, continuando ad investire le migliori energie in quella passione per gli studi parlamentari che vi ha portato a scegliere questo percorso formativo.

Incontro con la delegazione StopOpg

Cari Colleghi,
Gentili ospiti,
Signore e Signori,

sono particolarmente lieto di poter accogliere oggi, nei pressi del Senato, Marco Cavallo, in una delle tappe del suo viaggio in tutta Italia organizzato da Stop OPG per chiedere la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Questo cavallo di legno e cartapesta è simbolo di una battaglia iniziata nel 1973 e che, pur tra tante difficoltà, ancora continua.
Il viaggio e l’incontro di oggi costituiscono un prezioso momento di confronto e di riflessione, che riporta all’attenzione di tutti noi un tema di grande delicatezza sia sul piano istituzionale che su quello umano e sociale.

Il ricovero negli ospedali psichiatrici giudiziari, disciplinato per la prima volta da una legge del 1904, è ancora oggi previsto dal Codice penale come misura di sicurezza. Tuttavia, le condizioni di degrado, le carenze delle strutture, nonché le pessime condizioni di vita dei malati al loro interno – attestate anche da un’indagine parlamentare – hanno fatto sì che iniziasse un processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. Un processo, avviato dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità con l’introduzione dell’obbligo per il giudice di verificare lo stato di salute psichica del soggetto e il perdurare dell’infermità mentale al momento del ricovero e proseguito con importanti modifiche normative. La chiusura delle strutture, decisa nel 2011, è a oggi fissata al 1 aprile 2014.

Eppure, il traguardo è ancora lontano. Resta ancora molto da fare perché la sicurezza e la salute delle persone coinvolte siano tutelate in maniera concreta ed effettiva. È necessario un diverso approccio alla malattia mentale, che sposti gli obiettivi dell’intervento pubblico dal controllo sociale dei malati di mente alla promozione della salute e alla prevenzione dei disturbi mentali, dagli interventi fondati sul ricovero ospedaliero a quelli incentrati sui servizi territoriali di assistenza.

Per completare l’iter è necessaria una riforma legislativa, ma serve anche un previo, approfondito confronto con Governo, Regioni, Enti Locali e mondo del volontariato. È questo il percorso più corretto per definire le misure alternative alla detenzione e i percorsi di riabilitazione e reinserimento sociale delle persone oggi ancora presenti negli OPG, stabilendo quali strutture specializzate, nell’ambito dei servizi di salute mentale, dovranno accoglierle e curarle. Non possono i pazienti continuare a pagare per le difficoltà e le lentezze delle Istituzioni.
Nel prepararmi all’incontro di oggi ho voluto approfondire la storia di Marco Cavallo, e mi sono imbattuto in quella di Tinta. Lo voglio ricordare oggi con le parole di Giuseppe Dell’Acqua e del suo “Non ho l’arma che uccide il leone”:

“Quando il cavallo acquistò la sua forma definitiva era enorme e bello. Tinta guardava affascinato ed incredulo. Nessuno osava toccare il cavallo, solo Vittorio lavorava ogni giorno per rifinirlo e Tinta era con lui a passargli gli strumenti. Nessuno, prima di allora, aveva mai conosciuto Tinta. Era rinchiuso nel reparto «C», il reparto più brutto e orrendo del manicomio, esclusione nell’esclusione. Aveva venti anni, tutti passati negli istituti. […]
Tinta desiderava avere un orologio, dormire nella pancia del cavallo e avere la possibilità di uscire dal manicomio. Più che tutto un orologio, intanto, per poter tornare in orario.
La pancia del cavallo diventò la pancia dei desideri e il suo colore fu l’azzurro. Marco Cavallo, il cavallo azzurro. E Tinta ebbe il suo orologio, dormì nella pancia del cavallo e fu libero.”

Il viaggio di Marco Cavallo è un’occasione importante per parlare di questo, per evitare che la terribile condizione in cui si trovano i malati si protragga ancora nel tempo. Grazie, dunque, a Stop OPG e a tutti i miei colleghi che hanno sostenuto questa iniziativa.

Il diritto di bambini e ragazzi alla famiglia: come rilanciare adozioni e affidi

Cari ragazzi,
Presidente Brambilla,
Autorità,
Signore e Signori,

è con grande piacere che ho accolto l’invito a partecipare all’incontro di oggi in occasione della Giornata nazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Innanzitutto, desidero ringraziare la Presidenza della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza che, in collaborazione con il Dipartimento delle Politiche per la Famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha promosso questo convegno. Un momento prezioso di riflessione su temi delicati e cruciali. Permettetemi anche di ringraziare tutti gli operatori sociali e sanitari, gli enti, le associazioni di volontariato, gli educatori – qui presenti – e tutti coloro che si impegnano quotidianamente, silenziosamente e con abnegazione per una nuova cultura dell’accoglienza affinché ai bambini e ai ragazzi venga riconosciuto pienamente il diritto alla famiglia.

La legislazione vigente a tutela delle persone di minore età è senza dubbio una grande conquista sociale e civile in materia di diritti umani. I progressi raggiunti sono straordinari, frutto di battaglie che hanno richiesto anni di impegno. Battaglie che il nostro paese ha avuto il coraggio di sostenere e difendere ponendosi all’avanguardia anche rispetto agli altri paesi dell’Unione europea. Eppure c’è ancora molto da fare. Viviamo in una società estremamente complessa nella quale criticità e problematiche spesso subdole impediscono l’effettiva tutela di questi diritti così faticosamente conquistati.
Secondo quanto emerge dal Rapporto UNICEF 2013 sul benessere dei bambini e degli adolescenti nei paesi ricchi e dalla Relazione annuale dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza i dati che riguardano il nostro paese sono davvero preoccupanti. Su 29 Paesi l’Italia, insieme agli altri Paesi dell’Europa meridionale, si trova nella terza fascia più bassa della classifica sull’indigenza infantile, con il 17% dei bambini sotto la soglia di povertà. In Italia oltre il 10% dei ragazzi non è iscritto a scuola, non lavora e non frequenta corsi di formazione.

Sono dati drammatici: sicuramente le cause di questa situazione sono da ricercare nella crisi economica, ma non è solo questo. Siamo di fronte a un impoverimento etico, in cui valori quali giustizia, uguaglianza, merito, tutela dei diritti fondamentali, sembrano non trovare più cittadinanza. In questi giorni sono emerse notizie drammatiche che hanno a che fare con il consumo di droga e lo sfruttamento di minori. In alcuni di questi casi si è accertata la consapevolezza, la complicità dei genitori. Dobbiamo avere il coraggio di chiederci: è davvero un caso limite o, come credo, ci indica una deriva più ampia? Quanto di tutto ciò ha a che fare con le difficoltà economiche e con l’impoverimento del tessuto familiare? Ma soprattutto: cosa abbiamo insegnato a queste ragazze e a questi ragazzi? Quali valori gli abbiamo trasmesso? Quale idea dell’affettività? Quale consapevolezza dei rischi avevano? Possibile che anche a quell’età tutto debba ruotare attorno al denaro? Le cronache raccontano che la ricerca da cui è iniziato tutto sia stata: “come fare soldi in fretta”.

Dobbiamo risvegliarci da questo torpore, oggi è più che mai urgente approvare misure contro il disagio, la povertà infantile e le disuguaglianze. Se esistesse un solo dovere per una democrazia evoluta, questo consisterebbe nel saper offrire a ciascun figlio uguali opportunità di crescere, giocare, studiare, migliorarsi, uguali tutele e protezioni. Occorre una mobilitazione sociale e culturale che aiuti a vedere i bambini come cittadini e individui dotati di diritti propri, non semplici appendici della propria famiglia, di cui seguono inevitabilmente il destino.
Come è noto, la disciplina nazionale in tema di adozioni si informa al principio di centralità del minore, dei suoi diritti e interessi, e lo colloca in posizione paritaria rispetto agli adulti. La legge garantisce espressamente il diritto del bambino a crescere in una famiglia, ovvero in un contesto di amore, rispetto e cura.

Il sostegno alle famiglie è quindi imprescindibile per qualsiasi progetto che voglia onestamente parlare di politiche per l’infanzia e l’adolescenza. Bisogna sostenere politiche per i genitori che facilitino il loro ingresso nel lavoro, garantire l’accesso a servizi di qualità, investire in istruzione ed educazione per dare a tutti uguali opportunità, promuovere politiche edilizie e urbanistiche a dimensione di bambino.
Gli istituti dell’affidamento e dell’adozione, nazionale e internazionale, si pongono in una linea di continuità il cui punto di partenza è la famiglia, riconosciuta già nel preambolo della Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, come «unità fondamentale della società», nonché presupposto per uno sviluppo armonioso e completo della personalità del minore.

L’ordinamento nazionale deve tenere conto anche del quadro normativo europeo, e in particolare della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che, all’articolo 24, riconosce il diritto dei bambini «alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere», nonché il principio secondo cui «in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente».
Tuttavia, nonostante un solido quadro normativo di riferimento nazionale e internazionale, il diritto di bambini e ragazzi alla famiglia e in particolare gli istituti dell’adozione e dell’affido necessitano di un adeguamento ai rapidi mutamenti della società e alla realtà che stiamo vivendo. Dobbiamo inaugurare una nuova cultura dell’accoglienza e dell’ascolto dell’infanzia.

Penso ai fatti di Lampedusa e alla necessità di accogliere i bambini e le madri sole, penso a tutti quei bambini e ragazzi non accompagnati, penso a quelle situazioni in cui i minori sono vittime di un sistema giudiziario non in grado di ascoltare le loro esigenze, penso a tutti quei bambini che ho visto vivere sino ai tre anni di età nelle carceri con le proprie madri.
Il nostro sistema normativo sotto questi aspetti è lacunoso e carente nell’applicazione. Molto interessante, a tale proposito, è l’esito dell’indagine conoscitiva sull’attuazione della normativa in materia di adozione e di affido, approvata dalla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza lo scorso 22 gennaio. Preziosi e assolutamente condivisibili gli spunti per riformare la legislazione vigente forniti dagli operatori del settore. Ecco, credo che si possa ripartire da qui e che si tratti di un ottimo punto di partenza per affrontare tutte le problematiche legate al rilancio degli istituti dell’adozione e dell’affido.

Ad esempio, alcune criticità che caratterizzano l’applicazione della normativa sulle adozioni e sull’affidamento familiare incidono negativamente sul flusso delle domande di adozione. Infatti, pur continuando a registrare l’Italia un numero di adozioni più elevato rispetto agli altri Paesi europei, le domande di adozione nel corso degli ultimi anni hanno subito una flessione piuttosto marcata. Uno dei deterrenti principali alla scelta di adottare è costituito proprio dalla complessità delle procedure e dall’incertezza dei tempi richiesti per concludere il percorso. In questo senso, il Garante e la Commissione possono rappresentare punti di riferimento istituzionali, anche al fine di elaborare proposte da trasmettere al Governo e al Parlamento.
In conclusione, sono convinto che non ci si possa rassegnare al fatto che le crisi di bilancio e le difficoltà economiche congiunturali vadano a colpire l’infanzia e l’adolescenza. I costi sociali ed economici dei mancati investimenti sull’infanzia e l’adolescenza avranno un impatto negativo sull’Italia del presente ma soprattutto del futuro. In una fase di crisi economica perdurante, è necessario salvaguardare, in primo luogo le esigenze dei soggetti più fragili. È in questa direzione che occorre rimodulare gli obiettivi delle politiche sociali del nostro Paese, che deve impegnare il massimo delle risorse disponibili per tutelare la vita e il sano sviluppo dei bambini.

Assicurare i diritti fondamentali dei minori, accompagnare la loro crescita, garantire loro ogni protezione da abusi e pericoli costituiscono doveri inderogabili di un Paese civile e democratico. La cultura della tutela dei bambini si fonda, certo, sulla garanzia della loro sicurezza e dignità, ma si sostanzia anche attraverso la costruzione di basi e di strumenti per la realizzazione di un avvenire migliore.
C’è una frase di Alda Merini che credo possa concludere e riassumere il mio intervento, che rivolgo non solo a me stesso e a tutti i genitori presenti ma anche a tutti coloro che hanno la possibilità di intervenire per assicurare a ogni bambino e bambina il diritto a una famiglia, per ricordarci che il nostro impegno, l’impegno degli adulti verso i minori, in ogni senso, deve essere costante: “I figli si partoriscono ogni giorno”.
Auspicando un dibattito vivace e proficuo, auguro a tutti voi buon lavoro.

Rita Levi Montalcini, da perseguitata a senatrice a vita

Discorso in occasione del 75° anniversario delle leggi razziali

Autorità, gentili ospiti,

è per me un immenso piacere trovarmi oggi qui con voi a rendere omaggio alla figura di una grande scienziata del novecento e del nostro secolo, in occasione di questa cerimonia celebrata in concomitanza con il 75° anniversario delle infami leggi razziali, promulgate con Regio Decreto Legge il 17 novembre del 1938 e approvate senza discussione e per acclamazione alla Camera il 14 dicembre dello stesso anno. Passarono dal Parlamento quelle leggi, e spero che oggi, con questo incontro che si svolge in Senato, si possa riparare simbolicamente una così grave ferita, un così grave errore dei nostri predecessori.

Una piccola grande donna, Rita Levi Montalcini, la cui immagine e personalità rimangono parte integrante di un secolo di storia, nei campi della cultura, della scienza e dell’impegno politico e sociale: affascinava per l’eleganza, incantava per l’intelligenza, la tenacia, lo slancio verso il futuro a dispetto dell’età. Amava ripetere: “Io non sono il corpo, io sono la mente”.

Radiosa nell’aspetto così come nel carattere, non possiamo dimenticarne quel piglio principesco, l’eleganza tutta piemontese, asciutta, senza sfarzo ma sempre curata nei dettagli fino all’ultimo istante della sua vita.
Il suo rilevantissimo contributo al progresso delle scienze neurologiche – che le valse il premio Nobel per la medicina nel 1986, per la scoperta del fattore di crescita nervoso – non esaurisce la multiforme ricchezza del suo eccezionale profilo, che in ogni tappa della sua esistenza vede al primo posto una tenacia e uno straordinario senso di libertà, che per lei venne sempre prima di tutto.
Laureata in medicina e chirurgia a Torino nel 1936, nonostante l’ambiente familiare fosse ostile e per niente favorevole all’università per le donne, la vita le presentò gravi difficoltà, alle quali seppe rispondere sempre con coraggio e capacità di resistenza.

Fu vittima delle leggi razziali del fascismo che le vietarono ogni prospettiva di ricerca, costringendola dapprima a recarsi in Belgio, poi a rientrare in Italia, arrangiandosi un laboratorio attrezzato nella sua camera da letto. Aveva 30 anni e un obiettivo dal quale non l’avrebbero distolta neanche i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Voleva capire come si formano le fibre nervose quali fattori che regolano la crescita del sistema nervoso. In quella stanza, china sul microscopio a studiare i neuroni di embrioni di pollo, avrebbe compiuto esperimenti decisivi per la scoperta che le sarebbe poi valso il Premio Nobel.
Si trasferì successivamente negli Stati Uniti, continuando la sua attività di ricercatrice. Fu quella dell’espatrio l’unica via per superare gli ostacoli posti da quelle leggi barbariche a quella che era per lei una missione, prima ancora che una professione. E lei – dotata di quello spiccato senso dell’ironia che contraddistingue solo le persone particolarmente intelligenti – ha sostenuto, testuale: “Paradossalmente dovrei dire grazie a Hitler e a Mussolini che, dichiarandomi di razza inferiore, mi preclusero le distrazioni, la vita universitaria e mi condannarono a chiudermi in una stanzetta dove non potevo far altro che studiare.”

Lasciatemi qui invece, fuori dalla sua ironia, fare una considerazione di carattere generale: di quanta intelligenza, di quanta forza, di quante potenzialità l’Italia si è privata con quelle leggi vergognose che hanno condannato prima all’esilio, poi alla prigionia e alla morte, una parte della sua popolazione?
Una scelta di sacrificio, quella della piena dedizione ai suoi studi, alla quale ha aderito con rigore, senza cedere alla lusinghe del successo. Si è sempre preoccupata soltanto di trasmettere il suo sapere ai giovani, di formare una nuova generazione di scienziati, lottando contro nepotismi, pressioni politiche, consorterie.
Rita Levi Montalcini ha sempre dimostrato il suo attaccamento ai valori della libertà, la sua profonda fede democratica e la sua dedizione alle istituzioni, alle quali ha dato il proprio contributo a seguito della nomina a Senatrice a vita da parte del Presidente Carlo Azeglio Ciampi nel 2001, per altissimi meriti in campo scientifico e sociale.
La sua figura ha sempre rappresentato un monito a continuare a investire energie e risorse nella ricerca scientifica.

La conoscenza, diceva la senatrice Montalcini, deve essere considerata come un obbligo morale di tutti gli individui, sia come essere umani e ancor di più in qualità di scienziati ed educatori. La scienza, l’impegno sociale, le relazioni umane, l’istruzione erano per lei le componenti imprescindibili e la chiave dello sviluppo. Il suo sguardo era rivolto in particolare verso le popolazioni del terzo mondo, verso le donne africane per le quali si è sempre adoperata affinché potessero conquistare il diritto all’istruzione.
La vita, soleva ripetere, ha un valore se non concentriamo l’attenzione soltanto su noi stessi ma anche sul mondo che ci circonda.
Dietro la sua apparente fragilità si nascondeva un uragano di idee, di stimoli a fare, a sapere, a conoscere. La sua eredità sopravvivrà al tempo che passa.
Lei non ha mai temuto la morte, diceva sempre che quando muore il corpo rimane quello che hai lasciato, e lei ha lasciato tanto.

Esprimo un vivo ringraziamento a tutti coloro che hanno organizzato questo incontro, ai relatori e agli ospiti; un sentimento di particolare vicinanza lo vorrei esprimere nei confronti del signor Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz. È difficile parlare di un capitolo così doloroso della propria vita e lo ringrazio perché la sua testimonianza ci consente di non dimenticare uno dei momenti più bui della nostra storia.
Infine rivolgo un saluto affettuoso a Piera Levi Montalcini, che con la sua presenza, qui, oggi, ci fa sentire ancora più vicini ad una donna che ha rappresentato un secolo d’intelligenza.

Convegno “Prima le mamme e i bambini. Storie e protagonisti”

Autorità, signore e signori,

è per me un grande onore essere oggi qui, in occasione del convegno “Prima le mamme e i bambini”, organizzato da Medici con l’Africa CUAMM, per fare il punto sull’omonimo progetto quinquennale, a un anno e mezzo dal suo avvio. È un progetto di particolare significato, non solo medico, ma anche morale e civile, in quanto ha come obiettivo quello di garantire l’accesso gratuito al parto sicuro e alle cure del neonato in quattro Paesi africani che presentano i tassi di mortalità materna tra i più alti del mondo: Angola, Etiopia, Uganda, Tanzania.

Nel corso dei lavori di questa giornata verrà data voce ai protagonisti che operano nell’ambito del progetto, in ruoli tra loro diversi, ma tutti accomunati dall’impegno attivo nelle attività di Medici con l’Africa CUAMM. Sono rimasto davvero impressionato dall’approccio e dai numeri del programma.

Intanto mi ha colpito la dicitura “Medici CON l’Africa”, e non “PER”: indica un approccio, uno stile improntato alla condivisione e non al semplice aiuto. Ci mostra un percorso, non mediatico né emergenziale, basato sui tempi lunghi, sulla volontà di lavorare insieme alle comunità fino a renderle indipendenti. Don Dante Carraro qualche giorno fa mi ha spiegato che i loro programmi sono di sistema, di lungo periodo: 10, 15, 20 anni. Forse è un approccio che non fa notizia, per la famosa indifferenza al rumore di una foresta che cresce rispetto a quello di un albero che cade, ma indica un modello che anche la politica dovrebbe seguire: pensare a lungo termine, avendo come riferimento il futuro, le nuove generazioni e quelle che devono venire, non le prossime elezioni. Occorrono lucidità, coraggio, pazienza, un lavoro duro i cui risultati magari non sono immediati, ma saranno duraturi.

Anche i numeri del programma stupiscono: 4 ospedali, 22 centri di salute periferici, 1.300.000 abitanti coinvolti, circa 91.000 visite prenatali, già 84.718 mamme e bambini salvati, 42.359 parti assistiti, di cui solo 3.180 parti cesarei, meno del 10% del totale e questa percentuale dovrebbe portare a qualche riflessione anche da noi visto che abbiamo una tra le più alte percentuali di parti cesarei al mondo. A questi numeri ne aggiungo uno di cui come paese possiamo essere particolarmente orgogliosi: sono 32 le sedi universitarie coinvolte nel programma, e centinaia i ragazzi che decidono con passione di partire e prestare il loro servizio in questi paesi. Per nostra fortuna questa non è una fuga di cervelli ma un viaggio di cuori coraggiosi e solidali, che poi tornano e da qui continuano a promuovere la realtà del Cuamm.

La partecipazione, in questa giornata, di un così ampio numero di rappresentanti di diverse Istituzioni nazionali ed internazionali, da un lato testimonia il valore del volontariato e l’importanza sociale dell’attività svolta dalle ONG, dall’altro rappresenta il riconoscimento della grande forza di tali organizzazioni e della loro capacità di mobilitare risorse e di intervenire con concretezza ed efficacia nelle realtà – difficili e complesse – in cui operano. Le ONG costituiscono una risorsa fondamentale nell’affiancare gli Stati più ricchi nell’adempimento dei loro doveri di assistenza e cooperazione nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, i quali sempre più devono essere sostenuti affinché possano diventare gli artefici del proprio destino. Questo sostegno deve partire dalla tutela dei soggetti più deboli, le donne e i loro figli.

L’Italia – anche in quanto membro dell’Unione Europea – deve considerare la tutela delle donne e dei bambini una priorità programmatica sia nella sua politica interna, sia nel lavoro di proiezione internazionale del Paese. Il nostro dovere di politici, e il mio impegno di Presidente del Senato, è e deve essere orientato in tal senso.

Grazie, grazie davvero.

Dialogo sulla libertà di informazione

Intervento in occasione del convegno: “La libertà d’informazione che vorremmo, quella che abbiamo e quella che rischiamo di non avere”

Autorità, gentili ospiti,
è per me motivo di grande orgoglio accogliere, nella splendida cornice della Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, questo convegno dal titolo “Dialogo sulla libertà di informazione”, promosso dalle Associazioni “Ossigeno per l’informazione”, “Open media coalition” e “Altroconsumo”, che ringrazio per l’iniziativa di cui si sono fatti portavoce. Nel salutare la Presidente Boldrini e i relatori che hanno accettato di partecipare a questo confronto, vorrei rivolgere il mio più caloroso benvenuto a Frank La Rue, Relatore speciale delle Nazioni Unite per la promozione e tutela della libertà di opinione e di espressione, che ci onora oggi della sua presenza.
Già nel maggio scorso, nel corso delle polemiche nate a seguito di alcune mie dichiarazioni che si prestavano a essere fraintese, ho intrattenuto un dialogo a distanza con alcuni dei relatori qui presenti, penso ad esempio a Guido Scorza con il quale ci siamo “scritti” on line e che per primo aveva auspicato un confronto di questo tipo, e ho citato proprio un passaggio di La Rue che poi riprenderò.

Sono temi delicati, quelli di cui parleremo oggi, e che meritano grande attenzione perché hanno a che fare, tutti, con il tipo di società e di democrazia nella quale viviamo e ancor più vivremo nei prossimi decenni.
Intimidire un giornalista, e in Italia sono tanti i giornalisti minacciati, è un vulnus per la libertà d’informazione e per il diritto dei cittadini di essere informati. Nei giorni scorsi, appena ho saputo delle nuove e pesanti minacce per Lirio Abbate, che conosco e stimo sin dagli anni in cui era un giovane cronista dell’Ansa a Palermo, l’ho chiamato per esprimergli tutta la mia vicinanza e solidarietà.
Seguo da sempre le attività, i report e i dossier che “Ossigeno per l’informazione” pubblica gratuitamente sul sito sui giornalisti minacciati, sotto scorta e sulle notizie oscurate con la violenza, e il 22 luglio scorso proprio di questo abbiamo parlato con Spampinato, Mennella, Centore, Nerazzini, Rossi e Iacopino quando mi hanno consegnato simbolicamente “Taci o sparo”.
Abbiamo affrontato anche i temi dell’utilizzo a scopo intimidatorio delle querele, dell’importanza della corretta applicazione delle norme sulla rettifica, della salvaguardia dei cronisti a rischio, soprattutto quelli con meno garanzie e che scrivono per piccole testate locali o su internet, della necessità della trasparenza sull’assetto proprietario delle testate.

Lo scorso 17 ottobre la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge che modifica la legge dell’8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale e al codice di procedura penale in materia di diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante. Il DDL mi è stato trasmesso dalla collega Boldrini ed è assegnato alla Commissione Giustizia, dove a breve inizierà l’esame.
Alcuni elementi di novità introdotti, primo fra tutti l’abolizione del carcere per i giornalisti, possono essere salutati con grande soddisfazione dalla comunità internazionale e nazionale. Altri potranno essere introdotti qui in Senato, con particolare attenzione al tema delle querele che vengono usate come arma di dissuasione a proseguire nel lavoro di indagine e di approfondimento giornalistico. Credo, ma è solo una posizione personale, che si possa ragionare meglio su una sanzione pecuniaria proporzionale alla richiesta risarcitoria infondata per tutte le azioni temerarie. Contemporaneamente occorrerà riflettere bene anche su un completo diritto di rettifica. Sono certo che il dibattito in Commissione e in Assemblea consentirà di trovare il giusto equilibrio tra diritti e doveri di lealtà e correttezza.

La riforma della disciplina sulla diffamazione, le nuove regole per la tutela del diritto d’autore on line e i recenti orientamenti in materia di diritto all’oblio sono solo alcuni dei temi che stanno rivoluzionando il mondo dell’informazione e che animeranno il dibattito odierno. L’incontro di oggi ci aiuterà a comprendere meglio se i cambiamenti in atto sono idonei a garantire maggiore libertà d’informazione e anche a promuovere questo diritto fondamentale nella rete, con la consapevolezza che all’universo di Internet non è auspicabile applicare tout court le stesse norme che regolano la carta stampata se non alle testate registrate, come opportunamente prevede il DDL: il mondo della Rete è infatti molto più variegato e complesso di quello editoriale.

La libertà d’informazione costituisce il nucleo delle libertà civili, il presupposto per l’esercizio di ogni altra libertà costituzionalmente riconosciuta. Come è noto, l’ordinamento italiano trova nell’articolo 21 della Costituzione il punto centrale del sistema normativo sulla comunicazione sociale mediante l’affermazione, di ordine generale, per cui “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto, ed ogni altro mezzo di diffusione”. Secondo quanto riconosciuto dalla Dichiarazione Universale e dalla Convenzione Europea per i diritti dell’uomo, la libertà d’informare significa ricercare liberamente, liberamente diffondere idee e opinioni, liberamente criticare, ma anche assumersi le responsabilità della comunicazione, riconoscere gli effetti di quanto si comunica, rispettare le persone che mediante la comunicazione si raggiungono e si coinvolgono.

La libertà di informazione, come tutti i diritti, non può mai essere considerata assoluta. Deve essere ponderata, contestualizzata e bilanciata con gli altri valori costituzionali. Penso in particolare al diritto alla riservatezza, alla reputazione e all’oblio. Fino a che punto è possibile narrare o divulgare fatti concernenti un determinato individuo, chiunque esso sia? Esiste un limite all’interesse della collettività a conoscere certi eventi? C’è un confine tra diritto di cronaca e vita privata? Sono questi gli interrogativi su cui quotidianamente siamo tutti chiamati a confrontarci, ciascuno per il proprio ruolo nella società. In Rete inoltre il controllo delle informazioni diventa enormemente più difficoltoso in termini di capacità di controllare la qualità e l’attendibilità dei dati pubblicati e crescono esponenzialmente i rischi di diffamazione. Capisco e condivido la preoccupazione di chi vede nelle “regole da mettere alla Rete” la paura che tali vincoli siano usati per limitare la libertà di espressione e di opinione politica, ma questo non deve impedire ad uno Stato di difendere i propri cittadini dall’insulto, dalla diffamazione, dal razzismo o dalle minacce.

Un possibile punto di equilibrio tra questi diversi valori e interessi è stato indicato proprio da Frank La Rue: “le leggi per combattere espressioni di violenza, odio ed intolleranza (il cosiddetto hate speech) devono essere attentamente analizzate ed applicate da parte della magistratura, così come deve essere evitata l’eccessiva limitazione di modi di espressione legittimi”. Questo è quanto ci dice Frank La Rue, il quale prosegue: “Allo stesso tempo, mentre le leggi sono certamente necessarie e rappresentano una componente importante per affrontare la violenza verbale, queste dovrebbero essere integrate da misure politiche il più ampie possibili per ottenere cambiamenti reali nella mentalità, nella percezione e nelle argomentazioni delle persone” (fine della citazione).

Come ho avuto già modo di dire alla tutela della libertà dobbiamo affiancare anche un dibattito approfondito e sereno sulla responsabilità di ciascuno attraverso l’informazione e l’educazione. Per contrastare questa triste deriva serve promuovere una nuova cultura dell’informazione che sappia diffondere anche sulla rete quel self restraint che necessariamente deve accompagnare la libertà di manifestazione del pensiero. Serve però anche una revisione della legislazione in essere, capace di adeguare le garanzie costituzionali che accompagnano la libertà di informazione alle nuove tecnologie della comunicazione, una legislazione specifica insomma – non “speciale” – non per gli strumenti di tutela utilizzati ma perché rivolta ad un settore specifico della comunicazione, quello della Rete. Siamo sempre cittadini e ci rivolgiamo ad altri cittadini anche quando pubblichiamo un post, un commento, un tweet. Vista l’importanza che tutti riconosciamo alla rete credo che possiamo concordare sul fatto che della rete si faccia un uso pienamente consapevole.

Tra i valori da tutelare, crescente rilievo assume nella società contemporanea quel profilo particolare del diritto alla vita privata costituito dal “diritto all’oblio”. E’ chiaro che esiste una discrasia tra la tutela della privacy e quella del diritto all’oblio. Mentre la riservatezza può venir tutelata con una certa efficacia, intervenendo ad esempio sulla diffusione dei dati sensibili e la pubblicità loro attribuita, è arduo che il diritto all’oblio riceva altrettanta garanzia nell’epoca moderna. I motivi sono insiti nelle caratteristiche della rete globale: l’accesso di un numero indefinito di utenti, la memorizzazione e diffusione dei dati incontrollata, l’impossibilità di un provvedimento di qualsivoglia genere utile a rimuovere da tutti i canali le informazioni scorrette o superate. Per quanto io possa smentire efficacemente una notizia, nel momento in cui a distanza di tempo farò una semplice ricerca sarà la notizia ad emergere e non la smentita. Oggi ci sono possibilità tecnologiche da sfruttare in questo senso, ed è giusto iniziare a farlo.

Di fronte ad un fenomeno così complesso e per sua natura “globale”, soluzioni di livello nazionale e persino di livello europeo rischiano tuttavia di rivelarsi incomplete ed insufficienti. Per queste ragioni, non possiamo prescindere dalla ricerca di soluzioni su base internazionale. Mentre in Europa, ad esempio, sussiste un diritto alla riservatezza e all’oblio, negli Stati Uniti permane invece il contrapposto “diritto alla memoria”, con conseguente liceità della raccolta di dati anche se superati. Occorre quindi individuare una normativa mondiale condivisa che eviti incertezze interpretative o soluzioni differenziate tra singole nazioni o singoli continenti, ovvero a sostegno di tutte quelle situazioni di pericolo ai diritti della persona.

Senza confonderlo con il piano della libertà di espressione, e a questa differenziazione tengo molto, non posso non fare un breve cenno a tutti gli altri reati che vengono commessi anche grazie alle possibilità offerte da Internet. Nella mia esperienza passata da Procuratore nazionale antimafia ho più volte provato la frustrazione di veder bloccate indagini importanti e ribadito quanto sia necessario procedere con accordi internazionali per facilitare, in caso di reati acclarati, l’individuazione dei responsabili. Deve valere per internet quanto vale, ad esempio, per il mondo finanziario: come siamo chiamati a contrastare i “paradisi fiscali” e il segreto bancario, in caso di reati economici, dobbiamo contrastare i “paradisi virtuali” dove risiedono server che non consentono, o rendono estremamente difficile, la rintracciabilità di chi ha commesso crimini perseguibili dal nostro ordinamento.

Sulle caratteristiche del modello più adatto a governare il Web il dibattito è ancora aperto, ma il mio auspicio è che tale dibattito sia foriero di soluzioni in grado di garantire al più presto un’efficace ed appropriata tutela dei diritti fondamentali, capaci di assicurare, alla luce di tutte le evoluzioni della Rete, una promozione opportuna dello sviluppo della persona sotto ogni aspetto della sua esistenza, nell’ambito di un più ampio strumento giuridico universale, idoneo a sostenere i fondamentali principi di libertà nell’uso della Rete. Conosco l’obiezione di fondo: spesso in passato tentativi di affrontare l’argomento sono stati affossati da, per usare un linguaggio informatico, trojan legislativi inseriti ad arte per imbavagliare la rete. Dobbiamo stare attenti, vigilare che non accada, ma non abbandonare per questa paura l’idea di fare dei passi avanti, e mai indietro, per sfruttare al meglio le potenzialità della Rete prevenendone i rischi peggiori.
Sono certo che l’incontro odierno saprà offrire un contributo prezioso a queste problematiche aperte. Auspicando quindi un dibattito il più possibile franco e vivace, a tutti voi rivolgo i miei migliori auguri di buon lavoro.

Incontro con Jody Williams, Premio Nobel per la Pace nel 1997

Il Presidente del Senato ha ricevuto stamattina nel suo studio di Palazzo Madama la signora Jody Williams, Premio Nobel per la pace nel 1997 per il lavoro svolto attraverso la campagna internazionale per la messa al bando delle mine antiuomo.

La signora Williams era accompagnata dalla senatrice Silvana Amati e dai rappresentanti della rete italiana del disarmo, che hanno conferito al Presidente un riconoscimento simbolico per la rapida approvazione in Senato in via definitiva del Trattato Onu sul commercio delle armi.

Gli ospiti hanno descritto i progressi della campagna internazionale per la messa al bando delle mine terrestri e chiesto il sostegno del Senato della Repubblica nell’ulteriore avanzamento dei loro sforzi per la tutela della “sicurezza umana”.

Solidarietà al Pm Nino Di Matteo

Esprimo solidarietà e vicinanza a Nino Di Matteo per le gravi minacce ricevute, certo che saranno approntate tutte le misure di sicurezza e tutela necessarie per salvaguardare la sua incolumità e il proseguimento del suo lavoro.