Incontro con il Re e la Regina dei Belgi

Il  Presidente  del  Senato,  Pietro  Grasso, ha ricevuto oggi pomeriggio a Palazzo  Giustiniani il Re Filippo e la Regina Mathilde dei Belgi in visita ufficiale  in  Italia.  Erano  presenti  all’incontro il Primo Ministro del Belgio, Elio Di Rupo, e il Ministro degli Affari Esteri, Didier Reynders.

 

Donne, lavoro e disabilità: tra sicurezza e qualità della vita

Gentili ospiti,

è per me un grande piacere ospitare oggi in Senato la presentazione del secondo rapporto dell’ANMIL dal titolo “Donne, lavoro e disabilità: tra sicurezza e qualità della vita”.

L’ANMIL nacque nella prima metà dello scorso secolo e si sviluppò come associazione fra operai e contadini infortunati sul lavoro e già all’epoca dedicava specifica attenzione alle condizioni del lavoro minorile e delle donne. Si trattava allora di condizioni durissime, spesso drammatiche. Fortunatamente – anche grazie al lavoro di strutture associative  quali l’ANMIL – la situazione attuale non è più neanche confrontabile con quella dell’epoca, ma le conquiste sono state strappate a fatica, con un percorso che è stato lungo e impervio, disseminato di ostacoli rappresentati spesso da “luoghi comuni” difficili da sradicare.

La donna è da sempre e in ogni società una “lavoratrice”, in quanto ha sempre svolto un’attività socialmente essenziale ed economicamente quantificabile, a prescindere dalla retribuzione.Il lavoro casalingo, pertanto, è  “vero” lavoro e come tale deve essere riconosciuto, con pari dignità rispetto al lavoro svolto al di fuori dell’ambito domestico.  A seguito di un lungo cammino la donna ha raggiunto, nei Paesi democratici, una piena parità giuridica rispetto all’uomo, con un conseguente pieno coinvolgimento nei processi produttivi e, quindi, una maggiore esposizione al rischio di infortuni sul lavoro in ambiti esterni alla casa.

Il rapporto presentato oggi ricostruisce un quadro dettagliato delle problematiche e delle tutele vigenti per le lavoratrici disabili sotto i profili della salute, dell’occupabilità, della sicurezza, della conciliazione e della qualità della vita. Molti dei dati forniti nello studio sono preoccupanti ed evidenziano come ancora la donna continuino ad avere più problemi rispetto agli uomini sotto diversi profili, tra i quali  quello dell’accesso al mercato del lavoro, quello della tutela della salute sui luoghi di lavoro, quello della conciliazione dei tempi di lavoro e di vita familiare.

In Italia ogni anno si verificano tra le donne lavoratrici circa 235.000 infortuni sul lavoro, cui si aggiungono circa 15.000 casi di malattie professionali. Di tali eventi, oltre 2000 comportano esiti di invalidità permanente di gravità tale da essere classificati “disabili da lavoro”. Il rapporto analizza in modo approfondito molti aspetti del fenomeno, fornendo una grande quantità di dati statistici relativi alla distribuzione geografica, alle tipologie di infortuni, ai settori produttivi, alle conseguenze personali e familiari derivanti dall’infortunio. I relatori che prenderanno la parola illustreranno  quei dati. Io mi limiterò ad alcune considerazioni.

In particolare, molta attenzione è dedicata al fatto che oltre la metà delle donne infortunate non sia più in grado di svolgere le attività domestiche come prima dell’infortunio, e questo sembra incidere, soprattutto al Sud, sul ruolo familiare e sociale. Un altro fenomeno che ritengo particolarmente preoccupante è rappresentato dalla perdita del lavoro a seguito dell’infortunio: circa un quarto delle donne intervistate, infatti, dichiarano di esser state costrette a licenziarsi. La drammaticità del dato è evidente e conferma la persistenza di  comportamenti illeciti da parte di taluni datori di lavoro che rifiutano di considerare la donna infortunata come una risorsa e anzi cercano di liberarsene.

Poiché il lavoro rimane uno degli elementi principali per favorire il mantenimento di una vita attiva e un buon livello di integrazione della donna nella società, simili comportamenti devono essere contrastati in modo determinato. Credo sia, inoltre, assolutamente necessario rafforzare l’attività di formazione e informazione sul tema della sicurezza sui luoghi di lavoro. Le campagne di sensibilizzazione devono essere rivolte sia ai datori di lavoro, sia ai lavoratori che denotano spesso scarsa consapevolezza sulle condizioni di lavoro non adeguate, realizzando specifiche campagne informative indirizzate alle donne.

Infine, si deve rilevare che non sempre la normativa ha tenuto conto delle differenze di genere sui luoghi di lavoro e solo in anni recenti – peraltro limitatamente a specifiche tematiche – tali differenze sono state prese in considerazione dal legislatore. In futuro occorrerà una maggiore attenzione in tal senso, migliorando il quadro normativo vigente, in un’ottica sistematica di maggiore integrazione tra prevenzione, sicurezza, qualità della vita.

Grazie.

Incontro con Matteo Renzi

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Il  Presidente  del  Senato,  Pietro  Grasso,  ha ricevuto a Palazzo Madama Matteo Renzi.  Il  Segretario  del  Partito  Democratico  ha  informato il Presidente  Grasso  di  aver  ricevuto  dal  Capo dello Stato l’incarico di formare il nuovo Governo.

Il colloquio è durato circa 35 minuti.

A trent’anni dal nuovo concordato

Eminenza Reverendissima, Autorità, Gentili ospiti,

Questo convegno che ospitiamo in Senato in occasione del trentesimo anniversario dell’accordo di modifica del Concordato è un’occasione preziosa per rileggere il passato con gli occhi del presente e aprire prospettive sul futuro dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia.

Nella sua prima visita al Quirinale, il Santo Padre Francesco ha ricordato con un richiamo particolare il trentesimo anniversario dell’Accordo di Revisione del Concordato, il cosiddetto “Nuovo Concordato”. L’idea di “novità” coglie un aspetto rilevantissimo: l’intervento della Costituzione repubblicana, che all’art. 7 fa specifico riferimento ai Patti lateranensi e al tempo stesso contiene fra i valori fondamentali dell’ordinamento il principio di eguaglianza, all’art. 3 e la libertà religiosa all’art. 8.

L’innovazione risiede quindi non solo nei successivi aggiornamenti, resi necessari dall’evoluzione del contesto socio-politico, ma soprattutto nella piena consapevolezza che rispetto al testo originario si erano innovati gli stessi presupposti dell’Accordo, alla luce dei quali il testo veniva arricchito e integrato da un nuovo significato storico ed ideale.

Da un lato, l’intervento del dettato costituzionale; dall’altro, il Concilio Ecumenico Vaticano II. Eventi che hanno posto nella coscienza collettiva i fondamenti irrinunciabili della ritrovata comunità civile. L’Accordo di revisione indicava così una rinnovata strada comune, lungo la quale “il riconoscimento della dimensione sociale e pubblica del fatto religioso” – sono parole del Presidente della Repubblica Napolitano – si accompagnava alla maturazione della piena consapevolezza che dopo il “prologo risorgimentale”, era seguita la stagione del “patriottismo costituzionale”, ossia della saldatura della “ragione pubblica”, della “base pubblica di giustificazione, universalmente accettabile dai cittadini”, con le istanze più profonde e i legami più stretti tra pensieri, ispirazioni, progetti per la stessa convivenza e cittadinanza democratica.

L’Accordo di revisione ha rappresentato pertanto il tentativo sapiente di volgersi al passato rendendolo “storia” per il presente, per segnare un percorso aperto alle generazioni future. Esponenti politici provenienti da culture ed esperienze profondamente diverse compresero l’urgenza di affrontare temi così delicati e concorsero ad individuare un punto di sintesi superando anche le pregiudiziali ideologiche. Si poterono attuare principi costituzionali che secondo la Corte Costituzionale non potevano essere compressi da norme pattizie. E si rimossero gli ostacoli alla necessaria collaborazione fra forze laiche e cattoliche del Paese. In questo dibattito giocò un ruolo fondamentale il coinvolgimento del Parlamento, che non solo si occupò della legge di ratifica dell’Accordo ma preventivamente incise, e in misura molto rilevante, sulla formazione della volontà politica in vista delle modifiche. Lo dico anche per ricordare, in un momento in cui si discute della veste da dare alla nostra democrazia parlamentare, di quanto le Camere, entrambe le Camere, possano contribuire alla ponderazione delle grandi scelte del Paese.

​Non è la prima volta che nella storia dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia si avverte la necessità di riconoscere un antecedente in grado di potere generare processi virtuosi di superamento dei conflitti. L’Accordo del 1984 si ancorava al dibattito costituente sull’inserimento dei Patti del 1929 nella trama costituzionale e all’insegnamento del Concilio Vaticano II sui rapporti tra la Chiesa e la comunità civile.
​Per il primo aspetto, Giorgio La Pira svelò che la disposizione dell’art. 7 della Costituzione – “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani” – venne da lui stesso e da monsignor Giovanni Battista Montini individuato in un passaggio dell’enciclica di Leone XIII Immortale Dei del 1885. Significative furono poi le posizioni convergenti di Palmiro Togliatti e di Alcide De Gasperi, che pur così diversi erano consapevoli allo stesso modo che quel dibattito avrebbe segnato le sembianze dell’identità nazionale.
​La costituzione conciliare Gaudium et Spes riprende poi l’allocuzione di Benedetto XV del 21 novembre 1921, nel passaggio in cui il Sommo Pontefice indicava “l’armonia tra la società civile e quella religiosa” come “il fondamento di tutti gli altri beni”; ed ancor di più la dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa trovava linfa nelle parole pronunciate prima dell’apertura del Concilio da Giovanni XXIII, che in occasione del centenario dell’Unità d’Italia parlò di un “motivo di esultanza”. Appena qualche giorno prima dell’inizio dell’Assise Conciliare Giovanni Battista Montini disse, a proposito della svolta impressa dai fatti del 1870 allo Stato Pontificio e alla Chiesa: “La Provvidenza, quasi giocando drammaticamente negli avvenimenti, tolse al Papato le cure del potere temporale perché meglio potesse adempiere la sua missione spirituale nel mondo”.
Messaggi, echi, parole che abbiamo ritrovato nel magistero di Benedetto XVI, per il quale “è fondamentale insistere sulla distinzione tra l’ambito politico e quello religioso al fine di tutelare sia la libertà dei cittadini che la responsabilità dello Stato verso di essi”.

L’intreccio di storia, cultura, dibattiti parlamentari, decisioni politiche, segna quello che Papa Francesco ha definito “il solido quadro di riferimento normativo per uno sviluppo sereno dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia“, quel doppio binario fondato sulla “distinzione” e sulla “collaborazione” sul quale poggia l’impegno quotidiano, fermi i ” rispettivi ruoli e ambiti d’azione”, per il “servizio della persona umana in vista del bene comune” – sono sempre parole di Papa Francesco.

Il superamento delle divisioni e dei rapporti conflittuali si è tradotto in un livello più elevato di equilibrio, dove il ridimensionamento dello Stato Pontificio a “quel tanto di corpo che bastava per tenersi unita l’anima” – così Pio XI mutuando un’immagine di San Francesco d’Assisi – da elemento di frattura è diventato punto di sintesi e di maturazione per un rinnovato senso di appartenenza comune ai destini della Nazione.

Il dipanarsi delle vicende storiche non è frutto quindi di improvvisazione, ma della gradualità di pensieri e azioni che rendono attuale e fruttuoso l’impegno di quanti operano lontani dalla ribalta pubblica. La storia ci insegna a guardare oltre gli ostacoli, a superare le difficoltà secondo una logica comunitaria, di appartenenza comune e di riconoscimento reciproco.

Il tempo presente è saldamente ancorato ad entrambi i presupposti: Stato e Costituzione. Per non disperdersi è allora necessario fare tesoro dell’esperienza dell’incontro che ha segnato la storia dei rapporti tra Stato e Chiesa. Un’esperienza preziosa perché dimostra come non vi siano identità autoreferenziali, ma identità autonome che possono maturare e svilupparsi solo se ci si riconosce nella comune “identità arricchita” della Nazione.

Il Nuovo Concordato aprì anche la stagione delle intese con le altre confessioni, in base al terzo comma dell’art. 8 della Costituzione e pose le basi per una complessiva politica religiosa del Paese che oggi deve tenere conto di cambiamenti epocali che pongono sfide che attengono alle scelte religiose e chiamano in causa il diritto di famiglia, le modalità del lavoro, e altro.

A trent’anni di distanza il sistema dei rapporti tra Stato e Chiesa cui ha dato inizio l’accordo di Villa Madama ha dimostrato una notevole capacità di adattarsi alle sollecitazioni della modernità. Il dialogo con la Chiesa è stato in questi anni una fonte preziosa di crescita, di rafforzamento e di sprone per il Paese, per le Istituzioni, per la politica e per i cittadini. Io sono fermamente convinto che il futuro del Paese dipenderà dalla capacità che la politica avrà di colmare un vuoto profondo che la separa dai cittadini, di rappresentatività, di legittimità etica e di comprensione. E credo che questa necessaria “riscossa dei valori” beneficerà ancora del fecondo rapporto con la religione e con la Chiesa.

Incontro con il Segretario di Stato Parolin

Il  Presidente  del  Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi pomeriggio nel suo  ufficio  a  Palazzo Madama il Segretario di Stato di Sua Santità, S.E. Mons. Pietro Parolin.  Al  termine  dell’incontro, il Presidente Grasso e Mons. Parolin  si sono recati insieme all’incontro che era in corso in Sala Zuccari, a Palazzo  Giustiniani,  sul  tema  “A  trent’anni  dal  nuovo Concordato. 1984-2014”.

 

Nel Giorno del Ricordo

Signor Presidente della Repubblica, Autorità, cari ragazzi,

con intensa e profonda commozione sono oggi qui, insieme a voi, per ricordare una delle pagine più tristi che il nostro Paese, il nostro popolo ha vissuto: la tragedia della guerra, delle foibe, dell’esodo. Permettetemi di salutare e ringraziare gli autorevoli relatori che hanno illustrato con profonda conoscenza e con straordinaria sensibilità umana quel periodo terrificante che ha coinvolto tanti nostri connazionali.

Care ragazze e ragazzi che avete partecipato con impegno al concorso “La letteratura italiana d’Istria, Fiume e Dalmazia”, sono certo che l’approfondimento fatto con gli insegnanti per elaborare i vostri lavori vi abbia aiutato a comprendere, con maggiore consapevolezza, una fase storica per voi molto lontana, e vi consentirà di apprezzare ancora di più i valori di pace e accoglienza per un futuro privo di violenze e ingiustizie. Un ringraziamento particolare anche ai docenti che accompagnano i nostri ragazzi in un percorso di conoscenza guidato dai principi di cittadinanza attiva e democrazia partecipata.

Come già ha ricordato Antonio Ballarin, dieci anni fa il Parlamento italiano ha consacrato la data di oggi, anniversario della firma del Trattato di pace tra l’Italia e le Potenze Alleate nel 1947, quale “Giorno del Ricordo”. Da allora questa giornata è dedicata alla memoria di migliaia di italiani dell’Istria, del Quarnaro e della Dalmazia che, al termine del secondo conflitto mondiale, subirono indicibili violenze trovando, in molti, una morte atroce nelle foibe del Carso. Quanti riuscirono a sfuggire allo sterminio furono costretti all’esilio. L’occupazione Jugoslava, che a Trieste durò quarantacinque giorni, fu causa non solo del fenomeno delle foibe ma anche delle deportazioni nei campi di concentramento jugoslavi di popolazioni inermi. In Istria, a Fiume e in Dalmazia, la repressione Jugoslava costrinse molte persone ad abbandonare le loro case. La popolazione italiana che apparteneva a quella regione fu quasi cancellata e di quell’orrore, per troppo tempo, non si è mantenuto il doveroso ricordo.

Non possiamo dimenticare e cancellare nulla; non le sofferenze inflitte alle minoranze negli anni del fascismo e della guerra, né quelle inflitte a migliaia e migliaia di italiani. Questa Cerimonia si pone in assoluta continuità con le precedenti, celebrate al Quirinale dal Presidente Napolitano, che ha fatto di questo giorno non una commemorazione rituale ma un momento fondamentale di espressione dell’identità e dell’unità nazionale. Ciascun Paese ha il dovere di coltivare le proprie memorie, di non cancellare le tracce delle sofferenze subite dal proprio popolo. L’istituzione del “Giorno del Ricordo” vuole essere un modo per affrontare in maniera condivisa le cause e la responsabilità di quanto è accaduto e per superare tutte le barriere di odio, diversità e discriminazione. L’Italia non può e non vuole dimenticare.

La storia europea degli ultimi decenni ha senz’altro contribuito, con l’avanzare del processo di integrazione europea, a ricucire, anche nel quadrante orientale, gli odi nazionali. La Slovenia e la Croazia sono entrate a far parte dell’Unione europea e questo ha avuto un peso determinante nel superamento delle barriere ideologiche all’interno di un contesto, quello dell’Unione, che è per sua natura fondato sul rispetto delle diversità e sullo spirito di convivenza e reciproco scambio tra etnie, culture e lingue diverse. Le nuove generazioni slovene, croate e italiane si riconoscono in una comune appartenenza europea che arricchisce le rispettive identità nazionali.

Il ricordo, oggi, è per me un dovere come Presidente del Senato, ma prima di tutto come uomo, come cittadino; è un monito per tutti noi perché siamo tenuti ad impedire che l’ignoranza e l’indifferenza abbiano la prevalenza e perché tali orrori non si ripetano mai più e restino un ammonimento perenne contro ogni persecuzione e offesa alla dignità umana. E’ un dovere nei confronti dei sopravvissuti, dei familiari delle vittime che sono oggi con noi e dei rappresentanti delle Associazioni che coltivano la memoria di quella tragedia. Facciamo tesoro del passato per costruire un futuro dove la violenza, l’odio, siano solo un doloroso ricordo. Lo dobbiamo a noi stessi, ma soprattutto ai giovani verso i quali abbiamo il compito di trasmettere la conoscenza della storia, seppur a tratti disumana e terrificante, affinché mantengano la memoria facendosi loro stessi testimoni e crescano nel rispetto assoluto e incondizionato della dignità umana. Il lavoro della memoria non ammette distrazioni ma chiede a tutti la massima coerenza per essere sentito e vissuto ogni giorno. Se saremo capaci di costruire il ricordo ogni giorno, e non solo il 10 febbraio, se il ricordo sarà una guida dei nostri comportamenti, vuol dire che avremo compreso le atrocità di quanto accaduto.

La verità è dolorosa, ma ci consente di ripartire, di ricominciare per costruire un futuro di comune progresso, in nome della democrazia e della libertà.

Visita a Trieste per le cerimonie del Giorno del Ricordo

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Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, sarà a Trieste nel pomeriggio di lunedì 10 febbraio per le cerimonie in occasione del Giorno del Ricordo.

Alle ore 14,45 circa, il Presidente Grasso deporrà una corona al Monumento Nazionale della Foiba di Basovizza, alla presenza delle autorità locali: il Prefetto di Trieste, Francesca Adelaide Garufi, il Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, il Sindaco di Trieste, Roberto Cosolini, e la Presidente della Provincia di Trieste, Maria Teresa Bassa Poropat.

Alle 15,10 il Presidente del Senato sarà in Piazza della Libertà per la deposizione di una corona al Monumento all’Esodo in ricordo dei trecentocinquantamila esuli italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia. Subito dopo, il Presidente interverrà alla cerimonia prevista a Palazzo del Governo, con le autorità locali.

Successivamente, al Palazzo del Comune, il Presidente Grasso prenderà la parola nella sala del Consiglio Comunale durante la seduta solenne convocata in occasione del Giorno del Ricordo.

Infine, alle 16,45 circa, presso l’Hotel Savoia Excelsior Palace, il Presidente del Senato incontrerà i giovani che partecipano al Laboratorio di informazione politica “20Lab” e interverrà all’incontro sul tema “Lo Stato siamo noi. Legalità e cittadinanza attiva nella società e nelle Istituzioni”. L’incontro è aperto al pubblico.

Sessione straordinaria dell’Assemblea Nazionale Costituente Tunisina

Signor Presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente, Signor Presidente della Repubblica, Autorità, Signore e Signori,

è con viva emozione che oggi mi trovo a rappresentare il Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano per condividere con voi una tappa storica per l’affermazione della democrazia e la realizzazione dei diritti fondamentali in Tunisia e nell’intero Mediterraneo. Gli italiani si stringono a voi con gioia e speranza nel festeggiare questo traguardo, animati da quello spirito di fratellanza che salda strettamente le radici, la storia e il destino dei nostri popoli.

La Tunisia oggi celebra una palingenesi, una rinascita. Una nuova carta costituzionale è sempre il simbolo più profondo della determinazione di un popolo di rifondare le regole della convivenza collettiva e migliorare i destini individuali di ciascuno. La vostra Costituzione segna un momento epocale perché affronta con coraggio la sfida della democrazia dopo una lunga epoca di dittatura, discriminazioni, abusi, torture. La demolizione del regime passato ha innescato la transizione ad un nuovo assetto. La “primavera” del popolo tunisino si è risolta nella “primavera dei diritti”.

Voglio lodare le donne e gli uomini dell’Assemblea Nazionale Costituente, e tutte le forze politiche e sociali che con maturità, saggezza e tenacia hanno saputo comporre attraverso il dialogo ideologie e visioni diverse, dando vita ad una sintesi equilibrata fra memoria e modernità, tradizione e futuro. Questa vostra capacità di rinnovamento nella continuità offre una prova straordinaria di responsabilità che non mancherà di far sentire i propri effetti altrove. La Costituzione è per molti versi lungimirante e coraggiosa. Penso ai meccanismi di equilibrio e controllo reciproco fra i poteri dello Stato; alla costituzione di un potere giudiziario indipendente quale garante dell’effettiva realizzazione dei diritti e dello Stato di diritto costituzionale; al ruolo affidato alla Corte Costituzionale; alla fondazione di un nuovo rapporto fra religione e Stato. Penso ai diritti e alle libertà, alla libertà di credo e di coscienza, al rifiuto della tortura, alla difesa dell’ambiente. Penso al riconoscimento della parità fra donna e uomo, che dovrà essere non solo formale ma anche sostanziale, realizzando l’integrazione attiva delle donne nella società.

La Tunisia oggi è più forte, e questa forza non mancherà di fare sentire la sua onda d’urto in tutta la regione e ovunque nel mondo vi sono popoli che aspirano alla libertà e alle riforme. Questa convinzione deve indurre noi tutti a perseguire con determinazione e convinzione la cooperazione euro-mediterranea che finora ha conseguito risultati deludenti. L’Italia, che dell’Europa è la porta per geografia, per storia, per tradizione, crede fermamente nella necessità di una politica condivisa del Mediterraneo per affrontare insieme i problemi comuni: sicurezza, stabilità, diritti, immigrazione e integrazione, crescita economica, lavoro.

Questa Costituzione sancisce un patto sociale contro i nemici interni ed esterni della pace, della democrazia, dei diritti, della libertà. Ma la partita non è ancora vinta. Il cammino è denso di sfide, incognite e pericoli. Le forze regressive non sono ancora sconfitte e minacciano la sicurezza del Paese e della regione. La crescita economica ha bisogno di stabilità, per attrarre investimenti dall’estero e promuovere lo sviluppo.

Il successo del Paese sarà certificato dalla capacità di attuare pienamente la Carta; proteggere le minoranze; garantire la libertà di credo e di coscienza, separando la sfera pubblica da quella privata; proteggere la vita in ogni circostanza. I diritti vivono nell’effettività della quotidiana attuazione e interpretazione. Per questo noi auspichiamo che si tengano al più presto elezioni parlamentari, affinché un’assemblea rappresentativa legittimata democraticamente possa dare contenuto ai principi e valori della Carta. In questo percorso l’Italia sarà sempre al vostro fianco, per consolidare le istituzioni democratiche e per garantire al popolo tunisino libertà, sicurezza e sviluppo economico.  L’Italia, attraverso la Cooperazione allo Sviluppo, proprio in questi giorni sta mettendo a punto un programma per sostenere un processo elettorale libero e democratico e con una significativa partecipazione femminile, in attuazione del principio costituzionale delle pari opportunità.

A tutti voi, amici tunisini, rivolgo un augurio affettuoso a nome di tutti gli italiani convinto che il futuro di questo Paese e del mio, dell’Europa e del Mediterraneo dipenderà dalla capacità che avremo di credere insieme nella bellezza di un sogno, di una regione che sia sinonimo di pace, di accoglienza, di diritti e compimento della dignità umana.Questo il nostro impegno, questa la nostra speranza.

 

 

 

 

Ero super partes prima, lo sono ora. Tutelo la dignità delle istituzioni

Intervista di Liana Milella 

Lo rifarebbe? “Certo”. È pentito? “No”. Decisione tecnica o politica? “Istituzionale”. Ora che accadrà della riforma elettorale? “Andrà avanti”. Pietro Grasso parla con Repubblica mentre la sua auto sfreccia verso l’aeroporto dove l’attende un volo per la Tunisia. Dice: “Come si potrebbe non seguire un processo del genere? E’ doveroso e necessario”. E ancora: “Revocare la costituzione? Io non ne vedo il motivo”.

La giornata peggiore dall’inizio del suo mandato?

“Assolutamente no, ce ne sono state altre. Per me le giornate peggiori sono tutte quelle in cui non si riesce a fare nulla di concreto per risolvere i problemi dei cittadini, che sono molti e gravi.”.

I berlusconiani la rimproverano di non aver mai smesso la toga…è un’offesa?

“Intanto ho cambiato funzione, mi sono dimesso dalla magistratura e so ben distinguere la differenza dei ruoli, Ciò detto, l’aver mantenuto la capacità di essere autonomo, indipendente e super partes non mi costa fatica, è quello che ho fatto per 43 anni da magistrato, e credo che questi valori possano essere utili anche alla politica”.

Fazioso, persecutorio, perfino cattivo, grida Forza Italia. L’aveva messo nel conto?

“Avevo previsto una comprensibile reazione, ma non questi toni così aggressivi”.

Le rivolgono un’accusa grave per un presidente, di non rappresentare tutti….

“In questa situazione le parti erano divise: ho ascoltato tutti e deciso autonomamente, con grande senso di responsabilità”.

Lasciano l’aula, parlano di dimissioni, lavorano a una mozione di censura. La sua decisione merita questo?

“Lascio giudicare agli altri”.

Dicono che dietro di lei c’è Napolitano. Gli ha parlato?

“Alla fine del consiglio di presidenza, con una battuta, ho comunicato che «mi sarei ritirato in camera di consiglio per deliberare», e così ho fatto. Non ho seguito le agenzie ne avuto contatti con alcuno prima della decisione”.

“Sono coerente con la mia storia”dice lei. La coerenza da magistrato non cozza con il Grasso ormai  politico del Pd che deve farsi carico delle riforme? La sua mossa non rischia di rompere il feeling Renzi-Berlusconi?

“Come presidente ho anteposto la difesa della dignità e dell’immagine dell’Istituzione che rappresento. Sono convinto che questa dovrebbe essere la normalità e che non dovrebbe inficiare in alcun modo la spinta riformatrice condivisa dalle forze politiche”.

Ne ha parlato con Renzi?

“Ho deciso da solo”.

E con i berlusconiani? Ha chiamato prima Berlusconi?

“Ho chiamato tutti i capigruppo 48 ore prima del consiglio di presidenza, in modo da dare a tutti la possibilità di valutare la portata politica del tema e di condividere con i propri rappresentanti ogni valutazione in vista della riunione”.

Il merito della decisione. È giusto che il presidente del Senato se ne assuma da solo la responsabilità?

“Fa parte del ruolo, ed è stato unanimemente riconosciuto anche durante l’acceso dibattito di stamattina. Al contrario di quanto mi viene contestato io non ho inteso umiliare il consiglio di presidenza, piuttosto valorizzarlo, chiedendo a ciascuno dei partecipanti le loro argomentazioni. Non c’è stata una richiesta di parere e non si è arrivati a nessun voto. Questo era chiaro a tutti. Prima della riunione ero aperto ad ogni soluzione. Ho fatto tesoro delle argomentazioni di tutti, poi ho deciso”.

Decisione tecnica o politica? C’erano gli estremi per non costituire parte civile il Senato?

“La costituzione di parte civile è una facoltà. Mi sono convinto che essere presenti e partecipare tramite l’Avvocatura dello Stato a questo processo era non solo doveroso ma necessario. Non ho trascurato che vengono citate nel capo d’imputazione sedute specifiche del Senato nel corso delle quali si sarebbero commessi i fatti e che alcuni senatori sono chiamati come testimoni. Come si potrebbe non seguire un processo del genere? Circa l’effettiva qualità della persona offesa del Senato sarà il tribunale a decidere sull’ammissibilità.”

Non c’erano precedenti, dicono i suoi detrattori…

“E’ vero, ma non c’erano nemmeno precedenti di un processo in cui degli imputati venivano tratti a giudizio per la compravendita di senatori e per aver alterato il rapporto di rappresentatività tra parlamentari ed elettori”.

In aula lei ha detto che la costituzione si può anche revocare. Lo pensa davvero?

“Se non ci fossimo costituiti parte civile entro l’11 febbraio non avremmo più potuto farlo, ma si può revocare in ogni momento. Io non ne vedo il motivo, per me rimane ferma la necessità di seguire l’iter processuale e l’accertamento di una verità che riguarda il Senato come istituzione”.

Dicono che lei abbia ritenuto immorali coloro che non erano d’accordo…

“Non ho inteso in alcun modo tacciare di immoralità chi si è espresso contro la costituzione di parte civile. Si è trattato soltanto di una mia personale e ulteriore motivazione rispetto a quelle giuridico-politiche che erano state prospettate nella riunione”.

La battuta sull’ “ex senatore, per fortuna”?

“Non era una battuta: era una constatazione sull’ex senatore De Gregorio che ha ammesso di aver venduto il proprio voto per denaro. Si può restare indifferenti e estranei a tutto questo?”.

Prima la decadenza di Berlusconi col voto palese, ora la costituzione. I suoi detrattori dicono che è più anti-berlusconiano adesso di quando era magistrato…

“Non sono mai stato contro nessuno. Ricordo ancora la pioggia di critiche per aver riconosciuto i meriti di alcuni ministri di un suo governo, a riprova che ho sempre affrontato con obiettività tutti i temi che riguardavano lui come chiunque altro. Spero che si ritorni presto alla normalità e alla tranquillità nei rapporti tra i senatori e il loro presidente. Sono sempre stato e resto sopra le parti in questo ruolo istituzionale, sereno per la decisione che ho preso e che avrei preso nei confronti di chiunque”.

Visita a Tunisi in occasione dell’entrata in vigore della nuova Costituzione

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Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, rappresenterà il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, alla Sessione straordinaria dell’Assemblea Nazionale Costituente della Repubblica di Tunisia in occasione dell’entrata in vigore della nuova Costituzione.

Il Presidente Grasso sarà accolto dal Presidente della Repubblica Tunisina, Moncef Marzouki, al suo arrivo all’aeroporto di Tunisi, alle ore 17 di oggi, giovedì 6 febbraio e gli consegnerà un messaggio del Presidente Napolitano. Alle 18, a Palazzo del Bardo, è previsto l’incontro con il Presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente, Mustapha Ben Jaafar.

Domani, venerdì 7 febbraio, alle ore 10 avrà inizio la Sessione straordinaria dell’Assemblea Nazionale Costituente. Dopo i discorsi di benvenuto delle Autorità tunisine, prenderanno la parola gli invitati: il Presidente Grasso, i Capi di Stato e i Capi delle numerose delegazioni nazionali. Tra gli altri, è prevista la presenza del Presidente francese François Hollande e del Presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy.
Al termine della cerimonia, intorno alle 14,30 circa si terrà un pranzo ufficiale al palazzo presidenziale e successivamente un incontro tra il Presidente Grasso e il Presidente della Repubblica Marzouki.